Vol. 9, n. 1, aprile 2023 — pp. 1-3

EDITORIALE

Don Milani e la Scuola della Costituzione

Cento anni fa nasceva Lorenzo Milani. Sarebbe diventato una delle figure più significative del nostro Paese. Di famiglia borghese, laica per parte di padre ed ebrea per parte di madre, a vent’anni si convertì alla fede cristiana, e dopo il seminario fu ordinato sacerdote. Vivrà fino alla precoce morte (avvenuta nel 1967) in questo suo ministero religioso, portato avanti con una coerenza che ne farà sempre un isolato.

Fin dall’inizio del suo sacerdozio, nell’anno 1947-48 nella parrocchia di Calenzano, manifestò la sua spiccata vocazione sociale e pedagogica, dedicandosi alla cura dei giovani e alla creazione di una scuola serale. Negli anni seguenti, si precisò la sua scelta evangelica, ma anche sociale e politica, a favore dei poveri.

Erano gli anni del centrismo democristiano, dell’anticomunismo e del tentativo del pontefice Pio XII di promuovere una ricristianizzazione della società italiana, contro la modernizzazione e la secolarizzazione. Don Milani viveva con sofferenza lo schieramento della Chiesa dalla parte della borghesia, che concorreva a mantenere i poveri nell’ignoranza e nella subalternità. L’educazione era per lui non solo il presupposto per il riscatto sociale e politico dei poveri, ma anche il viatico per promuovere la loro umanità e la loro crescita spirituale entro il messaggio del Vangelo. L’appartenenza alla Chiesa era però per lui una esigenza interiore assoluta. E questo dissidio tra l’amore per i poveri e il bisogno di essere parte di una Chiesa che pure tradiva i poveri lo accompagnerà e lo inquieterà per tutto il suo cammino. Della Democrazia cristiana, poi, apprezzava soltanto il gruppo che faceva capo a Dossetti e La Pira, di orientamento cristiano-sociale.

Quel giovane cappellano che prendeva le parti dei poveri e se la faceva persino con i comunisti era però sgradito ai borghesi e alle gerarchie ecclesiastiche. Così, alla fine del 1954 fu trasferito a Barbiana, una piccola parrocchia di poche decine di anime, situata nella zona appenninica del Mugello. Lo si era voluto esiliare, mettendolo in condizione di non nuocere. E a Barbiana egli visse e operò fino alla morte.

Qui finì di comporre le sue Esperienze pastorali, nelle quali rimeditava la sua esperienza di Calenzano. Un libro scomodo, del quale le gerarchie ecclesiastiche ottennero il ritiro dalle vendite poco dopo la sua uscita.

Qui creò la sua scuola, che raccoglieva i piccoli montanari del Mugello che avevano abbandonato la scuola pubblica in seguito alla bocciatura. Ragazzi ai quali, col suo magistero appassionato, egli voleva dare la dignità di cittadini.

E qui scrisse insieme a loro la sua Lettera a una professoressa, uscita un mese prima della sua morte. Una limpida critica alla scuola che discriminava i figli dei poveri per mantenere il potere dei borghesi. Un libro che provocò un vero terremoto politico-culturale e pedagogico.

Nel suo testamento, scrisse ai suoi ragazzi: «Ho voluto più bene a voi che a Dio». E volle essere sepolto lì a Barbiana, dove era stato loro maestro.

Negli anni successivi, gli anni della contestazione, Lettera a una professoressa rappresentò un punto di riferimento della critica alla scuola classista e selettiva.

L’insegnamento di don Lorenzo continua a essere fonte d’ispirazione pedagogica anche nei nostri giorni.

La sua è una pedagogia dell’emancipazione, concepita per i soggetti subalterni colti nella loro concretezza storico-sociale. Don Milani non parla mai dell’uomo in generale, bensì di persone in carne e ossa, che vivono una precisa condizione sociale: i contadini e gli operai di Calenzano, i piccoli montanari del Mugello. Si tratta di soggetti prigionieri della loro povertà materiale e culturale, dalla quale egli li vuole liberare, promuovendo il loro sviluppo culturale e politico.

La sua è una pedagogia della parola e dell’esperienza. Il suo insegnamento procede dall’esperienza di vita dei ragazzi, muove dal loro sentire comune per portarli verso il sapere e la comprensione. E per arrivare a ciò intende restituire la parola ai subalterni, realizzare il loro diritto di narrare sé stessi e il proprio mondo, invece di essere narrati da altri, dai gruppi dominanti. Così la padronanza della parola diviene veicolo non solo della comprensione del proprio mondo, ma anche condizione del mutamento dei rapporti sociali e di riscatto dalla condizione di subalternità.

La sua è una pedagogia dell’alfabetizzazione critica, imparare a leggere i testi e imparare a leggere il mondo sono due processi strettamente intrecciati. E leggere il mondo non significa solo capirlo, vuol dire anche giudicarlo e impegnarsi per cambiarlo, per renderlo migliore.

La sua è una pedagogia dell’intersoggettività: la consapevolezza non è un frutto individuale ma sociale, è l’esito di una ricerca comune, del confronto con le cose e con gli altri. E solo dalla consapevolezza del carattere sociale e condiviso dei problemi può nascere la volontà politica di superarli insieme, altrimenti si cade nell’avarizia di pensare solo a sé stessi.

La sua è una pedagogia dell’uomo completo, protesa a formare non solo lavoratori ma cittadini: «I Costituenti credevano che si patisse tutti quanti la voglia di ricucir budella e di scrivere ingegnere sul proprio biglietto da visita. Dobbiamo invece educare i nostri ragazzi a più ambizione, a diventare sovrani», cittadini sovrani. Una pedagogia che mette al centro la persona e che vede il compito della scuola nella rimozione degli ostacoli culturali che ne limitano la libertà e l’eguaglianza, così da realizzare la sua piena dignità.

Una pedagogia, la sua, che trova ispirazione nella Costituzione non meno che nel Vangelo.

Molti anni dopo la sua morte, nell’epoca del neoliberismo trionfante, hanno scritto che il suo fu solo narcisismo, che la sua critica contro la selezione scolastica ha compromesso la serietà degli studi, che egli è il responsabile della caduta della qualità dell’istruzione. Ma chi voglia rimettersi in cammino verso una Scuola della Costituzione deve ripassare da Barbiana, dalla lezione di don Milani. Un uomo che seppe seguire gli ideali della propria coscienza con una coerenza che non cessa di inquietarci.

Massimo Baldacci

 

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