Vol. 8, n. 2, ottobre 2022 — pp. 1-3

EDITORIALE

Un principio-guida per la formazione dei docenti

Nel nostro Paese si è tornati a mettere mano alla formazione iniziale dei docenti di scuola secondaria. Una questione che dopo l’immotivata soppressione delle SSIS (articolate su un percorso organico di estensione biennale) non ha più trovato una soluzione soddisfacente, dai TFA fino al minimalismo dei 24 CFU a cui l’aveva ridotta il ministro Bussetti. Una vera odissea, una peregrinazione senza bussola, senza la guida di un’idea organica. Sull’intera vicenda pesa anche una errata concezione dell’insegnamento, spesso inteso come una pura trasmissione di un sapere da riprodurre, che da parte del docente richiede solo la padronanza di certi contenuti.

In questa sede intendiamo porci soltanto un problema di fondo, che ha un carattere preliminare rispetto all’intera progettazione del percorso formativo degli insegnanti: quale idea di insegnante deve essere assunta come riferimento, come punto di convergenza dei vari aspetti di tale percorso. La questione sembra del tutto trascurata nel dibattito politico, ne è spia la scelta di denominare il percorso formativo come i 60 crediti. Come è noto, l’uso di un certo linguaggio trascina con sé una certa prospettiva, un dato modo di vedere le cose. Questa denominazione, che fa riferimento a un aspetto puramente quantitativo (il numero di CFU del percorso), crea una prospettiva additiva. Sembra cioè che l’insegnante prenderà forma assommando il numero di crediti previsti. In altre parole, per riprendere un topos ormai classico, è come se si dicesse a un muratore che il suo compito è quello di ammucchiare mattoni, senza indicare secondo quale tipo di architettura li deve comporre. Ma nessuna impresa edilizia procede in questo modo, limitandosi ad accatastare i materiali. Tale impresa è sempre guidata da un progetto, da un modello dell’edificio da realizzare. Ma nella formazione dei docenti si prescinde da questa indicazione di fondo, dal chiarire quale modello di docente si deve realizzare, assumendolo come punto di convergenza delle varie piste formative (corsi, laboratori, tirocinio). E questo priva il percorso del suo principio-guida: la destinazione a cui deve condurre.

Per dare senso e coerenza al percorso formativo è perciò necessario individuare un’idea di insegnante che funga da principio-guida, da stella cardinale capace di orientarlo.

Nella pedagogia sono state proposte varie soluzioni per caratterizzare l’immagine del docente, spesso attraverso metafore. Metafore quali: l’insegnante come artista, che sottolinea il ruolo dell’intuizione e della creatività nel lavoro in classe; l’insegnante come ingegnere, che enfatizza l’esigenza di una pianificazione didattica tecnicamente adeguata; l’insegnante come ricercatore (di matrice deweyana), che evidenzia la capacità di far fronte in modo riflessivo ai problemi della pratica didattica; l’insegnante come intellettuale (di estrazione gramsciana), che mette in primo piano il ruolo della consapevolezza storico-culturale della problematica formativa e la figura del docente come dirigente del processo formativo. E altre. Queste figure evidenziano aspetti rilevanti del lavoro didattico, ma forse ne oscurano altri. Così, le metafore citate sembrano individuare momenti della professionalità docente, più che rappresentare modelli capaci di restituirne la complessità. D’altra parte, sostenere che il docente deve essere capace di indossare tutti questi abiti, e saper essere — in rapporto ai diversi momenti del lavoro scolastico — ora un artista, ora un ingegnere, ora un ricercatore, ora un intellettuale, equivale a farne una sorta di novello Leonardo. Ipotesi indubbiamente suggestiva, ma forse poco realistica. Sembra più ragionevole un’idea di insegnante che assuma come centro di gravità una di queste figure, facendo delle altre satelliti secondari. A questo proposito, un’ipotesi interessante è quella di legare l’idea di insegnante alla figura del ricercatore, capace di affrontare in modo riflessivo e intelligente i problemi della pratica didattica. Ciò non esclude che il docente possa contingentemente indossare anche le vesti delle altre figure, senza però essere caratterizzato da queste.

La figura dell’insegnante come ricercatore è di estrazione deweyana. Dewey — in The Sources of a Science of Education (New York, Liveright, 1929) — non ha però attributo meccanicamente al docente la patente di ricercatore. L’insegnante non è tale solo in forza della sua esperienza (che, anzi, può cristallizzare pratiche routinarie che sono l’opposto dell’atteggiamento della ricerca). Dewey indicava come condizione un apprendistato basato sulla collaborazione tra insegnanti e ricercatori. In altre parole, l’insegnante può diventare un ricercatore in forza di un certo percorso formativo, imparando ad assumere un atteggiamento altamente pensante e aperto alla sperimentazione di ipotesi rispetto ai problemi della pratica didattica. E in questo modo egli può imparare ad apprendere in modo intelligente dalla propria esperienza.

Porre una simile idea di docente come principio-guida della formazione degli insegnanti significa curvarne ogni aspetto secondo la sua logica intrinseca. Allora i vari pezzi non si ammucchieranno più in modo confuso, ma andranno a comporre un mosaico coerente.

Massimo Baldacci

 

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