Vol. 8, n. 2, ottobre 2022

TEORIE PEDAGOGICHE

Democrazia e postdemocrazia, le radici culturali e la contemporaneità

John Dewey e Colin Crouch

Teodora Pezzano1

Sommario

La crisi della democrazia è uno degli aspetti più significativi del dibattito internazionale contemporaneo. In questo contributo l’autrice analizza il modello deweyano, così come è esplicitato nel testo di John Dewey The Public and Its Problems (1927), confrontandolo con il modello della postdemocrazia di Colin Crouch nel suo testo Combattere la democrazia (2020).

Parole chiave

Identità, Pubblico, Crisi della democrazia, Modello deweyano di democrazia, Modello di postdemocrazia.

PEDAGOGICAL THEORIES

Democracy and postdemocracy, cultural origins and present time

John Dewey and Colin Crouch

Teodora Pezzano2

Abstract

The crisis of democracy is one of the most meaningful aspects of international contemporary debate. In this paper the author analyzes the Deweyan model of democracy as it is explained in his book The Public and Its Problems (1927) compared with the Colin Crouch’s model of postdemocracy explained in his book Combattere la postdemocrazia (2020).

Keywords

Identity, Public, Crisis of Democracy, Democracy (Deweyan Model), Postdemocracy (Colin Crouch’s Model).

Premessa

La crisi della democrazia è uno dei temi centrali e più controversi del dibattito contemporaneo. Ricordiamo che la democrazia ha subìto e continua a subire trasformazioni, cambiamenti e ad essere oggetto di intensi dibattiti. Per questo, per affrontare un problema così complesso, è opportuno delimitare in modo chiaro l’argomento. Per farlo mi concentrerò sul concetto di postdemocrazia, una recente proposta di Colin Crouch e una delle teorie di orientamento sociologico più chiare sugli sviluppi del modello contemporaneo di democrazia (Crouch, 2003; 2020).

La polemica culturale più ricorrente sul tema è che il modello democratico non rappresenta la comunità sociale, la sovranità del popolo, ma esprime il potere delle élite politiche economiche e finanziarie che risultano dominanti nel contesto della società globale contemporanea. La mia riflessione sviluppa l’argomento a partire dall’analisi di The Public and Its Problems di John Dewey (1927; qui considerato nella traduzione italiana dal titolo Comunità e potere, 1971) e di Combattere la postdemocrazia di Colin Crouch (2020). Questi due testi, nati in contesti culturali e storici molto diversi, si legano a due periodi interessanti nella storia delle trasformazioni e delle crisi affrontate dal modello democratico.

Tuttavia, è necessaria una ulteriore premessa. Mentre il pensiero deweyano è un classico da considerare in tutta la sua complessità, una radice fondante del concetto di democrazia, l’analisi di Crouch deve essere considerata, sia pure in una prospettiva sociologica e politica, come uno dei momenti significativi del dibattito internazionale che negli ultimi decenni si sta svolgendo sul tema della crisi della democrazia.

Il Pubblico e i suoi problemi. La democrazia dal basso

La democrazia, così come lo richiede la sua etimologia, vuole che il potere parta dal basso, dal popolo, per controllare le rappresentanze politiche e economiche che governano e la possono condizionare. Dewey, nel saggio del 1927 The Public and Its Problems, parla dell’approccio bottom up vs top down e definisce questa sua idea di democrazia che lo accompagnerà nel corso della sua vita. In effetti, la teoria della democrazia di Dewey è estremamente complessa e va colta all’interno della sua vastissima produzione scientifica. Tra i suoi innumerevoli contributi sono da segnalare The Ethics of Democracy (1888), Democracy and Education (1916), The Public and Its Problems (1927) e Liberalism and Social Action (1935) (si veda in proposito Spadafora, 2015; Pezzano, 2017).

La sua teoria complessiva considera la democrazia «a way of life». La democrazia deve attingere dal basso, dalle comunità locali, le sue istanze, e costruire con il metodo scientifico un processo di continua sperimentazione. Ciò allo scopo di definire un’azione sociale che superi l’Old Individualism e sviluppi i temi della solidarietà e della costruzione di valori comuni, soprattutto nella scuola. Quest’ultima deve essere aperta alla democrazia e non al mercato, come è talvolta richiamato nel dibattito contemporaneo (Baldacci, 2019).

In The Public and Its Problems l’approccio sperimentale di Dewey si sviluppa in modo estremamente coinvolgente. Il testo espone un percorso suddiviso in sette capitoli. Si parte dalla «ricerca del Pubblico» per approdare alla descrizione di un metodo scientifico che possa risvegliare l’«eclisse del Pubblico» e portare alla scoperta di una «Grande Comunità» (e non solo una «Grande Società»!). Questo è il senso della democrazia. L’idea di Pubblico nasce dal complesso rapporto tra le attività private, economiche, sociali e affettive, ma anche dalle dinamiche collettive ed è costituito da coloro che vengono coinvolti dalle conseguenze indirette delle «transazioni», in misura tale da dover prendersi cura di esse. Questo passaggio è fondamentale per capire cosa Dewey intenda per Pubblico e anche per Stato (perché ciò che chiamiamo Stato opera solo attraverso gli individui). Secondo Dewey, il Pubblico e lo Stato possono comprendersi solo ed esclusivamente all’interno della azione umana intenzionale e non in elementi esterni ad essa. Dewey intende per Pubblico, dunque, la serie di relazioni e di attività economiche, sociali e affettive che fanno agire gli individui nella società. Le varie istituzioni sono strettamente connesse alle attività umane e sociali in cui l’imprevedibilità del risultato è il focus. Proprio per questo il concetto di società non può essere cristallizzato, ma è espressione di siffatta dimensione dinamica del Pubblico.

Il Pubblico e, soprattutto, l’opinione pubblica sono realtà complesse che legano l’azione degli individui alle varie attività, a volte impersonali, della collettività e del governo dello stato democratico. Questa complessa situazione è maggiormente evidenziata dall’affermazione dei processi di industrializzazione. «Lo Stato rappresenta [...] un importante interesse sociale, anche se tale interesse è specifico e limitato. Non deve quindi stupire, da questo punto di vista, che le esigenze del pubblico organizzato, non appena entrano in giuoco, abbiano la preminenza su altri interessi [...] L’industria e le invenzioni tecniche, per esempio, che alterano i modi della condotta associata e che trasformano radicalmente la quantità, il carattere e il punto di incidenza delle loro conseguenze indirette» (Dewey, 1971, pp. 20-22).

Il Pubblico indirettamente determina la forma di Stato che è espressione proprio del rapporto tra le élite e la società più ampia, che è rappresentata dall’opinione pubblica. «Il campo d’azione di uno Stato si trova quindi in quella zona che sta tra le associazioni troppo ristrette, vicine e intime, e quelle che sono così remote da avere contatti poco frequenti e fortuiti [...] L’oscillare e il mutare della linea di distinzione fra uno Stato e altre forme di unione sociale è argomento a sfavore di quelle teorie dello Stato che postulano, sul piano concreto, uno Stato altrettanto nettamente delimitato quanto il concetto da esse formulato» (Dewey, 1971, pp. 33-34).

Già Dewey intravede in questa idea come lo Stato sia, in un certo senso, la dimensione di un sistema complesso composto dall’opinione pubblica, dalla società civile e dalle élite dominanti. Da questa constatazione il filosofo americano sviluppa l’idea dello «stato democratico» che si basa sul concetto di rappresentanza che definisce il valore della democrazia come sistema politico. «Democrazia è una parola che ha molti sensi. Alcuni di questi sensi rivestono una importanza sociale e morale così vasta da restare estranei al tema che stiamo discutendo. Ma uno di questi sensi è specificamente politico, perché sta a indicare un modo di governo, un determinato tipo di scelta dei pubblici ufficiali e di ordinamento della loro condotta come pubblici ufficiali. Non è il più elevato tra i diversi sensi della democrazia; riveste un carattere relativamente speciale. Ma rappresenta pressoché tutto ciò che è rilevante per la democrazia politica» (Dewey, 1971, p. 64).

Passando in rassegna alcune teorie politiche di tradizione anglosassone e, in particolare, l’utilitarismo e l’individualismo, Dewey analizza l’importanza della concezione politica della democrazia rifacendosi a James Mill, che insiste sulla breve durata delle cariche e la frequenza dello svolgimento di elezioni. Ma, il problema della democrazia politica non è di carattere solo tecnico, bensì politico.

Il filosofo, facendo riferimento alle grandi trasformazioni tecnologiche del Novecento, afferma che la democrazia rappresentativa non può controllare le istanze della società civile, come invece avveniva nella comunità sociale. «La Grande Società creata dalla macchina a vapore e dall’elettricità può essere una società, ma non è una comunità» (Dewey, 1971, p. 76). In altri termini, il sistema tecnologico e industriale ha creato conseguenze impreviste e anche diseguaglianze sociali incolmabili. In questo senso lo Stato democratico ha evidenziato quelli che sono i limiti della cultura democratica, che non riesce più a realizzare una democrazia dal basso. Proprio per questo, l’autore parla in modo esplicito di una «eclisse del Pubblico».

Il senso democratico che era espresso dalle piccole comunità assembleari e democratiche americane si è dissolto, facendo emergere una difficoltà da parte della società civile di farsi rappresentare politicamente dai governi democratici. E il sistema dei partiti rappresenta per Dewey una realtà in cui è difficile esprimere la rappresentanza. «Al posto di individui che scelgono nell’intimo della loro coscienza e che traducono in pratica questa loro scelta con un atto individuale di volontà, si hanno invece cittadini che hanno la fortunata possibilità di votare per una lista di uomini in genere a loro sconosciuti, confezionata per loro in una direzione di partito da un apparato invisibile le cui operazioni sono una specie di grazia pre-ordinatrice» (Dewey, 1971, p. 94). La realtà sociale complessa ha determinato, soprattutto con l’aiuto delle lobbies, una Grande Società che non è diventata una Grande Comunità, secondo lo spirito delle piccole comunità sociali e religiose americane. L’eclisse del Pubblico ha determinato la difficoltà della democrazia di porsi realmente al servizio di ogni persona. «Finché la Grande Società non si convertirà in una Grande Comunità, il Pubblico rimarrà in uno stato di eclisse. Solo la comunicazione di idee può creare una grande comunità» (Dewey, 1971, p. 112).

La democrazia è considerata da Dewey una idea fondamentale per comprendere la vita sociale, una idea che non può essere sicuramente superata da altri sistemi. Proprio per questo Dewey parla della necessità di sviluppare una indagine sociale che parta dal basso e spinga le istituzioni rappresentative della democrazia a svilupparsi. Solo in questo modo si può sviluppare una spinta da parte dell’opinione pubblica, che non può essere un «fantasma», ma deve essere cosciente delle sue potenzialità. «La via più facile per controllare la condotta politica consiste nel controllare l’opinione. Finché gli interessi del profitto pecuniario saranno potenti e finché un pubblico non avrà localizzato la sua posizione e non avrà identificato se stesso, chi ha tale interesse sarà indotto da un movente, al quale non si contrappone nessuna resistenza, a adulterare le fonti dell’azione politica in tutto ciò che lo tocca» (Dewey, 1971, p. 142).

Il filosofo chiarisce in modo molto efficace che la società comporta un rapporto tra l’individualità (che può essere scissa tra gli ideali religiosi e politici e gli interessi economici) e una società che difficilmente può trovare legami sociali che la rendano vicina al valore della solidarietà. Nella chiusa del suo discorso, Dewey si rifà in modo chiaro alla centralità dell’educazione e del metodo scientifico, che muovendo dal basso può rendere la società e l’opinione pubblica sempre più consapevoli delle proprie possibilità di sviluppo culturale e sociale.

La soluzione che intravede alla vigilia della grande depressione economica che si sviluppò dal 1929 è quella di un progetto educativo e scientifico che partendo dal basso migliori i valori politici della democrazia. «Anche quando i processi dell’educazione non mirino a mantenere in vita, immutate, le istituzioni vigenti, si parte dal presupposto che debba esistere una raffigurazione ideale del fine che ci si propone di raggiungere, sul piano individuale come su quello sociale e che questa concezione di un determinato scopo previsto debba ispirare il processo educativo» (Dewey, 1971, p. 136).

Questa riflessione deweyana, considerata nel contesto del suo tempo, è un momento di consapevolezza importante della crisi della democrazia ed è un preambolo significativo al recente contributo di Colin Crouch sul concetto di postdemocrazia.

Combattere la postdemocrazia. Teorie e suggestioni

La proposta di Colin Crouch sul concetto di postdemocrazia si distingue, rispetto ad altre teorizzazioni, per una proposta culturale molto chiara. In particolare, vorrei considerare il recente testo di Colin Crouch, Combattere la postdemocrazia (2020), che riprende e sviluppa il noto testo del 2003.

La postdemocrazia, secondo Crouch, è causata principalmente dalla globalizzazione economica e finanziaria. Bisogna, dunque, guardare al rapporto fra democrazia e capitalismo globale digitale e finanziario per comprendere le direzioni di sviluppo della società contemporanea.

«Nel 2003, in Postdemocrazia, scrissi che gran parte del mondo occidentale era avviato verso una condizione in cui la democrazia si riduceva all’ombra di se stessa». E due erano i motivi centrali che animavano la tesi di fondo del sociologo. «Il primo era la globalizzazione, che aveva trasferito le grandi decisioni economiche in un ambito del tutto irraggiungibile [...] Il secondo era la progressiva perdita di significato delle divisioni di classe e di religione, che a suo tempo avevano consentito ai comuni cittadini di sviluppare una identità politica [...]» (Crouch, 2020, p. IX). Il testo in questione sviluppa il problema che era stato esposto nel lavoro del 2003. Il concetto di «post-» enfatizza molto la riflessione sulla crisi della democrazia.

Il tema centrale del discorso di Crouch è l’allentamento del legame tra rappresentanza politica e la massa, in quanto il rapporto centrale della politica è con le élite economico-finanziarie globali. La democrazia è considerata poco rappresentativa, nel senso già individuato da Dewey in The Public and Its Problems, in quanto non fornisce all’elettore la possibilità di una scelta che lo possa adeguatamente rappresentare. Ma, il potere conferito alle élite globali dominanti ha determinato, soprattutto nell’epoca dei social media, una grande disuguaglianza e corruzione. «Le attività lobbistiche dei ricchi si indirizzano soprattutto verso i decisori politici, attraverso le relazioni private delle élite postdemocratiche. Ma il denaro può essere usato anche per influenzare le opinioni della gente comune. Negli ultimi anni, l’ascesa dei social media ha aperto nuove possibilità. Internet può servire a inviare messaggi mirati apparentemente provenienti da movimenti civici di massa, ma in realtà controllati da alcuni tra i personaggi più ricchi del pianeta» (Crouch, 2020, p. 23).

Il modello del neoliberismo oligopolistico ha determinato una specifica narrazione secondo cui c’è una profonda interdipendenza tra l’affarismo, di cui l’economia non legale è un’espressione importante, e la democrazia. In effetti il management delle grandi aziende globali e digitali spesso si intreccia in modo organico a quelle che sono le esigenze del mercato globale, per cui il neoliberismo oligopolistico condiziona in modo chiaro lo sviluppo della democrazia. La crisi finanziaria del 2008 è stata un chiaro esempio del modello della postdemocrazia, in quanto le lobbies finanziarie e bancarie che avevano determinato la crisi sono state in grado di influenzare la politica pubblica in modo da proteggere i loro interessi. «La crisi del 2008 ha offerto una impressionante conferma del perfetto intreccio tra élite politiche e economiche e del loro stravolgimento della democrazia; e lo ha fatto in due modi: innanzitutto nell’attività lobbistica svolta prima della crisi; in secondo luogo, nella priorità data, dopo lo scoppio della crisi, agli interessi del settore bancario» (Crouch, 2020, p. 46).

In effetti, la crisi ha evidenziato la difficoltà di progettare uno sviluppo economico tramite l’azione governativa e ha messo in luce il potere egemonico del mercato, che non ha permesso alle istituzioni democratiche di favorire la partecipazione e di costruire politiche sociali per il progresso materiale e civile dei cittadini. In questa prospettiva, il modello dell’euro (Crouch, 2020, pp. 87-88) ha determinato un grave indebolimento politico dei partiti e il limite delle azioni politiche della democrazia, rafforzando l’affermazione della postdemocrazia. Interessante è l’analogia crisi euro/crisi democrazia: così come per la crisi legata all’euro sono state influenti le decisioni politiche, lo stesso accade per la crisi che oramai da anni vive la democrazia. E le decisioni politiche devono riguardare soprattutto le banche che devono diminuire il più possibile le misure di austerità imposte ai propri cittadini.

Secondo Crouch, la struttura del Parlamento dell’Unione Europea assume le caratteristiche del modello della postdemocrazia. In questo senso, egli spiega i fenomeni del «pessimismo nostalgico» di movimenti che si richiamano a tendenze sovraniste, di chiusura nei confronti della globalizzazione ed europeizzazione elitaria finanziaria. Chiarisce anche che il populismo è una forma di protesta civile che, spesso, non presenta un impianto ideologico di riferimento se non quello di combattere ogni forma di corruzione politica e di impegnarsi a redistribuire le risorse. Passando in rassegna le varie espressioni politiche nei vari contesti sociali di questi movimenti, dal trumpismo ai movimenti europei alt-right fino al movimento politico che ha generato la Brexit, Crouch mette in evidenza come la teoria della postdemocrazia, di fatto, ha generato e sta generando questo movimento politico radicale che cambia la struttura culturale e ideologica dei partiti. Ed è per questo che il sociologo cerca di comprendere quale possa essere una nuova identità culturale e politica che offra la possibilità di costruire una democrazia non distante dai valori della cittadinanza e della partecipazione.

Bisogna ricostruire quelle che sono da considerare le identità politiche novecentesche e offrire delle possibilità a un nuovo modello politico che possa andare oltre la postdemocrazia.

È indubbio che il mercato globale, come anche Von Hayek aveva chiarito, non può essere legato alla democrazia. Il mercato globale, ovviamente, non può dipendere dalla organizzazione della democrazia, ma è necessario limitare il suo strapotere sulle dinamiche politiche democratiche (Crouch, 2020, pp. 162-163).

Inoltre, è evidente che di per sé lo stato di diritto, con esplicito riferimento alla magistratura indipendente (come nel caso delle authorities economiche), non può certo garantire una nuova forma di democrazia.

Crouch, come soluzione finale, auspica il rinnovamento di alcuni movimenti che possano determinare il cambiamento sociale dei valori democratici, come ad esempio, l’ambientalismo, le questioni di genere, la società multiculturale e, in generale, una democrazia dei diritti che possa determinare una nuova stagione della democrazia. «È essenzialmente una questione di educazione, che è il nome dato al processo attraverso il quale impariamo a giudicare e a riflettere. È significativo che in quasi tutti i paesi in cui sono state effettuate indagini, le probabilità che una persona appoggi un movimento dell’alt-right diminuiscano al crescere del livello dell’istruzione. Naturalmente, tra i sostenitori di questi movimenti ci sono anche persone con elevato livello di istruzione che credono profondamente nei valori del conservatorismo sociale, li accettano razionalmente e sanno argomentarli con coerenza. Questa possibilità rientra nel pluralismo che la democrazia deve sempre favorire» (Crouch, 2020, p. 174).

Il modello di Crouch, alla fine, invoca il cambiamento educativo dei partiti per tentare di limitare la deriva della democrazia in postdemocrazia.

Riflessioni conclusive. Le radici e la contemporaneità, per un nuovo modello di democrazia

I due modelli esposti, quello di Dewey e quello di Crouch, pur tenendo conto delle chiare differenze tra questi autori, offrono due prospettive importanti per comprendere la crisi della democrazia.

La teoria deweyana è complessa e originale. La democrazia è «a way of life» che si deve sviluppare nella vita umana di ogni individuo. In particolare, la democrazia deve portare ogni individuo a sviluppare i propri embedded powers. Ecco perché Dewey analizza la scuola come uno specifico laboratorio della democrazia. Ma la democrazia è un modello politico in crisi, in quanto la rappresentanza non riesce a interpretare adeguatamente i bisogni individuali e sociali di ogni individuo e le élite politiche e economiche dominano il contesto della vita democratica.

Il testo The Public and Its Problems del 1927 è emblematico in quanto è pubblicato prima della Grande Depressione del 1929, che sancisce la crisi del capitalismo maturo. Il concetto fondamentale che Dewey intende focalizzare è quello del Pubblico. Il rapporto, in effetti, tra l’individualità e la socialità rappresenta il vero nodo epistemologico che il filosofo cerca di sviluppare in questo testo. Ci si trova dinanzi alla complessità dell’individuo, unita alla complessità della società e alle imprevedibili conseguenze che questo rapporto può determinare. Proprio per questo il Pubblico, che costituisce il senso della società civile, non può determinare la costruzione di un autentico circuito democratico. In altri termini, il Pubblico mostra la sua eclisse, la sua incapacità di costruire un circuito democratico che possa permettere la rappresentanza e la partecipazione dei cittadini. Il Pubblico esprime quello che Walter Lippmann definiva opinione pubblica fantasma: una opinione pubblica condizionata e manipolata. La proposta deweyana, come è ben noto, si basa sulla centralità del metodo dell’intelligenza applicato all’opinione pubblica e all’educazione. Sono questi due princìpi che determinano in modo chiaro quella democrazia che proviene dal basso e che può spingere le élite politiche, economiche e finanziarie ad avvicinarsi a quelle che sono le esigenze culturali e sociali delle masse. In effetti, l’idea deweyana di rendere consapevole il Pubblico è una proposta molto lucida che fa emergere la centralità dell’educazione. La filosofia è una «teoria generale dell’educazione», in quanto cerca di costruire un processo teorico-pratico di trasformazione della realtà e, proprio per questo, la democrazia si può realizzare solo tramite l’educazione.

Il concetto di postdemocrazia di Colin Crouch (coniato dall’omonimo libro nel 2003 e sviluppato dopo diversi anni di studi appassionati e di specifiche ricerche sociali) si basa sul principio che la globalizzazione sviluppatasi negli ultimi decenni ha espropriato le caratteristiche fondamentali del processo democratico. La globalizzazione digitale, economica e, soprattutto, finanziaria (che ha avuto un epilogo importante nella grande crisi del 2008) ha espropriato il potere democratico delle classi dirigenti delle democrazie occidentali per consegnarlo nelle mani e nelle strutture impersonali degli organismi di potere internazionali. Questo ha sradicato i cittadini e gli ha allontanati dai valori identitari di natura politico-partitica, religiosa, ideologica, così come si erano sviluppati nel secolo scorso. Le grandi narrazioni ideologiche del liberalismo e del socialismo hanno lasciato il posto al neoliberismo che si intreccia con le specifiche caratteristiche del mondo social e digitale, limitando la democrazia intesa come sistema politico che permette il pluralismo e la partecipazione dei cittadini.

La soluzione che propone Crouch per combattere, e non solo gestire il fenomeno della democrazia, è il ricorso alle istituzioni rappresentative dello stato di diritto: la magistratura e le varie forme di authorities. In secondo luogo, è fondamentale per il sociologo dare voce politica a quei movimenti che vanno al di là del pessimismo nostalgico della conservazione sociale e del populismo semplicistico. La democrazia è una questione di diritti e i diritti ambientalisti, di genere, multiculturali sono il progetto politico più significativo della democrazia del futuro. In questa prospettiva, numerosi sono gli studi che da diversi anni cercano di indagare la questione della «crisi della democrazia» (Ginsborg, 2006; Zagrebelsky, 2007; Rodotà, 2012; Bobbio, 2014).

In definitiva, però, quello che colpisce è l’interesse che Colin Crouch ha, al pari di Dewey, sul valore determinante dell’educazione. Per Crouch l’educazione si sviluppa nell’ambito della formazione scolastica ed è determinante per formare la coscienza civile dei cittadini. Si tratta di una proposta simile a quella di Dewey, con una chiara differenza. In Dewey l’educazione deve costruire un progetto sociale complessivo che faccia sviluppare la democrazia dal basso. In Crouch l’educazione è vista come maggiore istruzione scolastica che permette a ogni cittadino di potere sviluppare le sue competenze di cittadinanza.

L’educazione rimane il punto di riferimento per limitare la crisi della democrazia, sia alle origini della questione, sia in tempi più attuali. Forse la crisi della democrazia è un fenomeno che si è sempre accompagnato con lo sviluppo della democrazia stessa, almeno a partire dal secolo scorso. Pertanto, solo l’educazione può limitare le patologie della vita democratica.

Bibliografia

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1 Università della Calabria.

2 Università della Calabria.

Vol. 8, Issue 2, October 2022

 

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