Vol. 7, n. 2, ottobre 2021 — pp. 1-4

EDITORIALE

L’educazione alla ragione: una prospettiva inattuale per il nuovo secolo

Sono passati oltre cinquanta anni dalla prima edizione del volume di Giovanni Maria Bertin: Educazione alla ragione (Armando Editore, Roma, 1968). Si tratta di una delle opere italiane di pedagogia più importanti dal secondo dopoguerra. Opera caratterizzata in modo preciso e inequivocabile sul piano pedagogico-culturale, ponendosi come compiuta espressione del problematicismo pedagogico formulato da Bertin sulla linea del razionalismo critico di Banfi, e perciò dotata di una forte coerenza interna, essa ha inteso però incidere sul piano storico-sociale delle idee e delle pratiche educative. Come tale è stata un punto di riferimento fondamentale sia per studiosi universitari, sia per pedagogisti, educatori e insegnanti.

Da tempo ormai introvabile, tale opera vede ora una nuova edizione per i tipi di Avio (Roma, 2020). Torna così in circolazione una delle lezioni pedagogiche più alte del Novecento.

Quando giunge a scrivere Educazione alla ragione, Bertin è uno studioso maturo (ha superato i cinquanta anni), che ha già elaborato le linee fondamentali della propria concezione pedagogica, e intende quindi darne una sistemazione organica e coerente.

Il percorso di ricerca che porta a Educazione alla ragione può essere interpretato in base a una doppia coordinata: da un lato le radici teoriche di cui si nutre tale ricerca, dall’altro il contesto storico-culturale entro cui essa prende forma.

Per quanto concerne il primo lato, la radice teorica principale dell’indagine di Bertin è costituita dal razionalismo critico di Antonio Banfi, suo Maestro. I principi di una teoria della ragione, pubblicati dal filosofo milanese nel 1926, ne sono il termine di riferimento essenziale, insieme agli scritti pedagogici raccolti da Bertin nel volume di Banfi, La problematicità dell’educazione e il pensiero pedagogico (La Nuova Italia, Firenze, 1961). Ma giocano indubbiamente un ruolo rilevante anche i saggi poi raccolti nei volumi La ricerca della realtà (uscito postumo per Sansoni, Firenze, 1959); e L’uomo copernicano (Il Saggiatore, Milano, 1950, che ospita gli scritti del periodo marxista di Banfi). Da Banfi, Bertin eredita l’impostazione critico-razionale di matrice neokantiana, ma compiendo scelte personali rispetto all’architettura teoretica del Maestro.

Accanto a questa radice principale, si possono collocare altre influenze, come quella dell’esistenzialismo francese, dal quale Bertin accoglie la categoria dell’impegno etico e l’esigenza di tradurla sul piano storico-sociale oltre che personale — mentre da un esistenzialismo che prelude a un ripiegamento individualistico, egli prende le distanze fin da Esistenzialismo, marxismo, problematicismo nella pedagogia (Edizioni Viola Ave, 1955). Ma il tema critico-razionalista resta quello dominante.

Il programma di ricerca di Bertin muove, dunque, da questa radice banfiana, ma si sviluppa in un contesto storico segnato da problemi sociali e vivaci contese culturali, e non può non avere rapporti con la temperie del periodo. Come egli stesso afferma in apertura alla Prefazione, le posizioni che stanno alla base di Educazione alla ragione sono maturate nel periodo seguente alla Seconda guerra mondiale, e sono connesse «al rifiuto di un mondo dilaniato da discriminazioni […] e alla realizzazione di un mondo migliore». L’umanità è appena uscita da una fase in cui una cieca irrazionalità e una violenta volontà di dominio hanno creato una tragedia senza precedenti nella storia. Occorre ritrovare il ruolo della ragione umana come principio di ricostruzione non solo materiale, ma civile e morale.

Nel nuovo quadro storico-culturale, complesso e in rapido mutamento, Bertin tira le fila del proprio percorso di ricerca, con la stesura di Educazione alla ragione (terminato nel novembre del 1967 e pubblicato nel 1968), senza indebolire in alcun modo la propria scelta per la ragione e senza ripiegare su un atteggiamento difensivo rispetto ai mutamenti in atto, ma con limpida e serena coerenza. Infatti, come si coglie nella Prefazione, egli scorge con chiarezza i problemi che derivano dal montante consumismo, i condizionamenti e l’alienazione che produce, e mostra di comprendere il disagio giovanile che vede espresso ora nella fuga (nel consumo di allucinogeni) ora nella contestazione, considerandoli non solo sotto il profilo sociale e politico, ma rimarcandone il carattere esistenziale di fondo (cifra peculiare, questa, della sua concezione della problematica umana). Tuttavia, rispetto alla mancata concretizzazione delle speranze del dopoguerra per un mondo migliore, Bertin non reagisce col pessimismo o con la chiusura difensiva, ma indicando la realizzazione di una «civiltà della ragione» come il compito per il quale occorre la mobilitazione delle forze della cultura, oltre che di quelle sociali.

In questo contesto, la ragione diviene, così, non solo principio di risoluzione della problematicità dell’esperienza (e di quella educativa in particolare), ma traguardo storico-culturale ideale e, dunque, fondamentale finalità educativa, come è indicato in modo emblematico dal titolo del volume: non «pedagogia della ragione» o «filosofia razionale dell’educazione», bensì educazione alla ragione, a indicare non solo un’impostazione teorica, ma un compito storico-pratico che richiede un impegno etico-razionale.

In questo senso, si potrebbe azzardare che Educazione alla ragione nasca sotto il segno di un’inattualità aurorale: alla sua pubblicazione può apparire già in contro-tendenza rispetto alla temperie socioculturale, poiché rivendica un principio (la ragione) e un compito (la civiltà della ragione) che — per quanto enunciati in modo composto e pacato — rispetto al contesto storico-culturale suonano come una sfida o un’utopia. Ma come Bertin chiarirà successivamente: «L’idea pedagogica, in quanto tale, dev’essere inattuale, altrimenti non sarebbe idea, ma costume, prassi, ideologia».1 Perciò, Educazione alla ragione esprime una vera e autentica idea pedagogica.2 Un’idea che nella sua inattualità si pone come un fecondo principio critico e ricostruttivo rispetto ai gravi problemi umani sociali che ci troviamo ad affrontare in questo turbolento nuovo secolo.

Massimo Baldacci


1 Bertin G.M. (1997), Nietzsche. L’inattuale, idea pedagogica, Firenze, La Nuova Italia, pp. 6-7.

2 Come tale incontrerà un ampio interesse, oltre a suscitare notevoli osservazioni critiche nella pedagogia italiana. Di ciò si ha una prima nozione dall’Appendice del volume, oltre che da Beseghi E. (1985), Bibliografia su Bertin, in M. Gattullo, P. Bertolini, F. Frabboni, V. Telmon e A. Canevaro (a cura di), Educazione e ragione, Firenze, La Nuova Italia, pp. 773-778.

 

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