Vol. 7, n. 2, ottobre 2021

TEORIE E MODELLI DIDATTICI

Innovare la scuola attraverso il Curricolo Integrato

Berta Martini1

Sommario

L’articolo amplia la nozione di Curricolo integrato (CI) estendendo il suo significato a diverse possibili direzioni di integrazione e ne delinea un modello costruttivo di tipo teorico-processuale. Il contributo si colloca all’interno di una duplice prospettiva: sistemica e content-oriented. La prospettiva sistemica consente di elaborare una concezione aggiornata di curricolo come sistema di esperienze, mentre quella content-oriented consente di correlare reciprocamente i diversi aspetti della problematica curricolare (contenuti, spazi e tempi dell’insegnamento e dell’apprendimento). L’articolo è diviso in due parti. Nella prima parte si definiscono in maniera correlativa le direzioni di integrazione del curricolo: i contenuti di insegnamento, gli spazi di apprendimento e i tempi didattici. Nella seconda parte si descrive il modello teorico processuale proposto e le sue principali caratteristiche.

Parole chiave

Curricolo, Progettazione curricolare, Curricolo integrato.

DIDACTIC THEORIES AND MODELS

School innovation with the Integrated Curriculum

Berta Martini2

Abstract

The paper expands the concept of Integrated Curriculum (IC) through the extension of its meaning into different possible directions of integration. Moreover the article outlines a theoretical-processual constructive model. The contribution is placed within a two-fold perspective: systemic and content-oriented. The systemic perspective allows elaborating an updated conception of curriculum as a system of experiences, while the content-oriented perspective allows correlating the different aspects of the curricular issue (contents, spaces and times of teaching and learning). The paper is organized into two parts. In the first part, the directions of integration of the curriculum are defined in a correlative way: teaching content, learning spaces and teaching time. In the second part, the proposed theoretical-procedural model and its main features are described.

Keywords

Curriculum, Curriculum Design, Integrated Curriculum.

Introduzione

Altrove (Martini, 2020a) abbiamo discusso una concezione aggiornata di curricolo, il Curricolo Integrato (CI), diretta all’estensione del suo significato in chiave «integrata», allo scopo di proporlo, ancora oggi, come un dispositivo teorico e metodologico in grado di rispondere in maniera efficace ai problemi educativi del nostro tempo. In quella sede, tuttavia, ci eravamo limitati ad affrontare il problema della selezione e dell’organizzazione dei contenuti di insegnamento in chiave integrata, ricavandone un modello di progettazione curricolare interdisciplinare, coerente con una concezione dei saperi come sistemi complessi e dinamici di conoscenze (Martini, 2011). Qui ci proponiamo di approfondire la questione prendendo in considerazione molteplici direzioni di integrazione e ricavando un’ipotesi di modello teorico-processuale di curricolo integrato.

La necessità di estendere l’idea di CI includendovi diverse direzioni di integrazione ha due ragioni. La prima, di tipo sociale e culturale, riguarda la richiesta di cambiamento rivolta alla scuola per adeguarla alle istanze delle nostre attuali società. Un cambiamento che, appunto, investe una pluralità di aspetti (contenuti, modalità, tempi, spazi e luoghi dell’insegnamento e dell’apprendimento). La seconda, di tipo pedagogico e didattico, riguarda la necessità di coordinare in maniera organica e coerente il carattere plurale e dinamico dell’esperienza educativa, nonché di connettere le diverse esperienze tra loro in modo funzionale agli obiettivi formativi.

Integrare per Innovare

Dobbiamo, innanzitutto, precisare che utilizzeremo il termine «curricolo» secondo due distinte ma convergenti accezioni di significato: come continuum delle esperienze compiute dall’allievo in un certo arco della sua vita scolastica (per esempio, un’annualità scolastica, un grado o un ciclo scolastico) (Stenhouse, 1977); come dispositivo per la selezione, l’analisi, la trasposizione e la pianificazione dei contenuti e delle attività di insegnamento. Tali significati, evidenziano due prospettive tra loro complementari: la prima pone l’attenzione su «ciò che accade» (qui e ora) nell’esperienza educativa e interpreta il curricolo come risultante del percorso formativo vissuto dall’allievo; la seconda pone l’attenzione su ciò che «dovrebbe accadere», o si ha intenzione che accada, nell’esperienza educativa e interpreta il curricolo come dispositivo teorico-metodologico di progettazione. Sebbene distinte, entrambe queste accezioni prefigurano il curricolo non come un oggetto finito, ma come un oggetto sociale aperto alla revisione e alla negoziazione interna ed esterna alla scuola. Entrambe, inoltre, investono una molteplicità di direzioni nelle quali si articola, o si progetta, l’esperienza scolastica: che cosa insegnare e far apprendere; come farlo; attraverso quali tipi di situazioni o ambienti di apprendimento; dove; in quali tempi; in funzione di quali scopi e risultati ecc. Prendere a riferimento queste dimensioni in vista di una loro integrazione curricolare, pertanto, ci consente di rispondere in maniera comprensiva tanto alle esigenze di cambiamento (dato che esso è atteso proprio in queste direzioni), quanto a quelle di un loro coordinamento in un tutto organico (dato che l’esperienza scolastica, quella vissuta e quella progettata, deve connettere in maniera coerente tutte le dimensioni di cui si compone). E questo consente alla scuola di evitare di incorrere nel rischio di rispondere in maniera frammentaria all’istanza dell’innovazione, sia dei contenuti sia delle pratiche didattiche, ponendola in relazione a ciò che nella scuola c’è già (anche di innovativo) e funziona (anche di tradizionale), sfuggendo tanto alla retorica del cambiamento quanto a quella della restaurazione.

Per semplificare, assumiamo tre principali direzioni di integrazione curricolare: i contenuti di insegnamento e apprendimento, gli spazi di apprendimento e i tempi di insegnamento. Sebbene da un punto di vista analitico sia possibile distinguere dimensioni più fini, da un punto di visa logico è conveniente articolare il CI lungo un numero ridotto di dimensioni e attribuire ad esse, come spiegheremo più avanti, un significato esteso. Questo ci aiuterà a rendere maggiormente evidente la struttura logica del curricolo e renderla disponibile per costruire un’ipotesi di modello teorico-processuale sufficientemente agile che successivamente possa essere articolato, per analogia, in un numero variabile di dimensioni.

L’integrazione dei contenuti di insegnamento. Tale dimensione è quella che ha concettualmente segnato in modo più forte la nozione di CI. Per lo più, infatti, in letteratura parlare di curricolo integrato significa riferirsi alla integrazione fra discipline di insegnamento e, in forza di questa integrazione, a forme di accesso indiretto alle conoscenze disciplinari attraverso progetti, piani di lavoro, temi e problemi di natura interdisciplinare (Drake e Burns, 2004; Fogarty, 1991; Jacobs, 1989). Tendere a una integrazione disciplinare costituisce senza dubbio un’istanza valida per sottrarre l’esperienza scolastica alla separazione e alla frammentazione dei contenuti di conoscenza. Separare e frammentare le conoscenze può infatti significare separare e frammentare l’esperienza scolastica dell’allievo, con ovvie conseguenze sul senso attribuito alle conoscenze acquisite e all’esperienza vissuta. D’altra parte, da un punto di vista curricolare, integrare le discipline non è cosa facile, per una serie di buone ragioni epistemologiche e didattiche, né è necessariamente efficace da un punto di vista dell’apprendimento. Non è cosa facile da un punto di vista epistemologico, perché agire al confine tra differenti discipline richiede di mettere in relazione, anche a proposito degli stessi oggetti di studio, diversi aspetti: differenti quadri teorici (i quali inevitabilmente condizionano il significato di ciò che vediamo e di ciò che pensiamo); differenti criteri di validità (i quali — per dirla con Schwab (1971) — definiscono la «sintassi della scoperta» e ai quali dobbiamo assoggettarci per assumere come valida una certa conoscenza); nonché, differenti pratiche epistemiche (quel «saper vedere» e «saper agire» specifico di un certo dominio conoscitivo che ci permette di operare con pertinenza e efficacia al suo interno). Alla difficoltà epistemologica si somma poi quella didattica, dato che ciascuno di questi aspetti deve essere tenuto in considerazione nel processo di trasposizione da sapere esperto a sapere da insegnare e di progettazione delle situazioni didattiche. Il che peraltro, va detto, richiede all’insegnante un’elevata competenza, sia disciplinare sia didattica. L’integrazione delle conoscenze, infine, non è detto che sia efficace dal punto di vista dell’apprendimento. Il lavoro interdisciplinare, infatti, si basa, oltre che su alcune competenze trasversali, su padronanze di tipo disciplinare che costituiscono, per così dire, gli ancoraggi concettuali, linguistici e metodologici per guadagnare la capacità di agire «al confine tra campi diversi» e per costruire, così facendo, nuove conoscenze e nuove competenze, sia disciplinari sia trasversali. Ciò pone un problema di allineamento dei livelli di padronanza guadagnati dagli allievi nelle differenti discipline in rapporto a temi e problemi interdisciplinari. Il rischio, infatti, è che per taluni temi/problemi essi non abbiano ancoraggi sufficienti per comprendere fenomeni e situazioni ad essi riferiti, né per sostenere la costruzione di nuovi concetti o il raffinamento concettuale di quelli già in loro possesso. In sintesi, tendere a un’integrazione tra discipline non può costituire solo un’opzione ideologica astratta, per quanto condivisa. Essa richiede di essere presa in carico a livello curricolare dotandosi di dispositivi per la individuazione di adeguati temi/problemi di natura interdisciplinare; così come di criteri per la selezione dei contenuti ad essi relativi e per la correlazione di adeguati livelli di conoscenze e competenze, sia disciplinari sia trasversali, in rapporto ai temi e ai problemi proposti. Da un punto di vista curricolare, questo significa anche interpretare il lavoro interdisciplinare non come un’opzione univoca che caratterizza l’intero curricolo, bensì come un’opzione collaterale al lavoro disciplinare, secondo modelli curricolari integrati in grado di connettere esperienze disciplinari e interdisciplinari in funzione di determinati traguardi formativi.

L’integrazione degli spazi di apprendimento. Lo spettro dei possibili spazi nei quali e attraverso i quali apprendere è oggi più che mai ampio e diversificato. In un’accezione larga, la dimensione spaziale del curricolo riguarda qualunque contesto nel quale si svolge l’esperienza educativa: il setting predisposto dall’insegnante, l’aula scolastica, il laboratorio, ma anche il contesto extrascolastico, l’ambiente naturale o digitale, le reti, lo spazio virtuale (individuale e sociale, pubblico e privato), ecc. Ciascuno di questi contesti, attraverso la possibilità che offre di compiere operazioni e stabilire relazioni, consente a ciascun allievo di dare significato alla realtà e, per questa via, di strutturare la sua personalità e il suo modo di pensare e di agire. Ogni contesto, dalle cui caratteristiche fisiche, culturali e sociali dipende il lavoro di insegnanti e allievi, può essere individuato o appositamente costruito principalmente in funzione di due aspetti: il sapere che in tale contesto viene trasformato e ricostruito; le relazioni che vi vengono istituite e che attraverso scambi comunicativi, processi di collaborazione, condivisione di conoscenze e pratiche permettono agli allievi di progredire nell’apprendimento (Damiano, 2013). In chiave curricolare, l’integrazione degli spazi può dunque essere interpretata come la possibilità di una loro ricostruzione e ricomposizione in un tessuto di nuove relazioni istituite fra saperi e fra contesti. Una ricostruzione, quindi, che lontano da approcci decostruzionisti astratti sia fondata sulle connessioni degli aspetti peculiari di ciascun contesto con le altre dimensioni curricolari. Ricostruire gli spazi attraverso connessioni reciproche fra contesti, consente di innestare la dimensione spaziale in una progettazione curricolare aperta, distribuita in ambienti, materiali e pratiche, funzionali al tipo e al livello di conoscenze e competenze attese dagli allievi, anche prevedendo che essi non appartengano allo stesso gruppo classe. In questo senso, la dimensione spaziale ingloba, aggiornandole, l’istanza di una scuola «aperta dentro» e «aperta fuori» (Frabboni, 1973; 1993), ossia di una scuola aperta al territorio e in dialogo con le altre istituzioni; così come l’istanza di continuità curricolare ed esperienziale dei percorsi formativi. Gli spazi possono fungere cioè da tessuto connettivo che mette in relazione saperi, esperienze e attori (interni ed esterni), attraverso la co-progettazione di percorsi multipli, aperti a molteplici opzioni da selezionare in aderenza a uno specifico progetto epistemologico e didattico.

L’integrazione dei tempi didattici. La dimensione temporale del curricolo può essere articolata, in funzione di due aspetti: il tempo dell’insegnamento e il tempo dell’apprendimento, individuale o collettivo. Ogni esperienza definita all’interno di un dominio conoscitivo o al confine tra domini conoscitivi diversi può avere un’estensione temporale diversa in dipendenza dei contenuti di insegnamento, dello spazio in cui questi contenuti sono distribuiti e fatti agire dagli allievi, delle operazioni che si prevede possano essere svolte al suo interno, nonché degli obiettivi e dei risultati attesi. Tale estensione temporale è, in parte, definita in maniera progettuale, ossia è predefinita; in parte, è l’esito del concreto svolgersi dell’esperienza, ossia è ridefinita in sede di svolgimento e riprogettazione del percorso formativo. Ciò accade, evidentemente, perché il tempo scolastico si determina all’incrocio tra il tempo dell’insegnamento e il tempo dell’apprendimento. In altri termini, e secondo la classica concettualizzazione proposta da Carroll (1972), per raggiungere un certo grado di apprendimento il tempo didattico deve essere modulato sulla base del rapporto tra il «tempo impiegato» dall’allievo a cercare di raggiungere un certo livello di competenza e il «tempo necessario» all’allievo per raggiungere tale competenza. Ciò significa, in prima approssimazione, che se si concede a ciascun allievo il tempo di cui necessita, tutti possono raggiungere livelli di apprendimento soddisfacenti. Più analiticamente, poiché il tempo di cui necessita l’allievo per raggiungere un certo grado di apprendimento dipende, oltre che dalle sue attitudini, anche dalla qualità della proposta didattica e poiché il tempo che egli effettivamente impiega ad apprendere dipende dal tempo concessogli dall’insegnante, la modulazione della dimensione temporale del curricolo deve essere messa in rapporto al tipo di esperienza didattica e dunque, in ultima analisi, a quali scelte si fanno relativamente ai contenuti di insegnamento e ai contesti di apprendimento. In sede di progettazione curricolare, infatti, una certa esperienza didattica potrà avere una diversa dilatazione temporale in relazione alla densità o complessità epistemica dei contenuti coinvolti, al grado di problematicità della situazione didattica e, di conseguenza, agli obiettivi di apprendimento previsti. In questa prospettiva, il curricolo può essere strutturato in base a unità organizzative di diversa mole, ciascuna corrispondente idealmente a una esperienza didattica, modulabili e componibili tra loro, la cui distribuzione nel tempo presenta collegamenti sia in parallelo (più unità di lavoro nello stesso intervallo temporale), sia in serie (una sola unità di lavoro per ciascun segmento temporale).

Da quanto abbiamo detto, contenuti, tempi e spazi si danno come dimensioni correlative del curricolo, nel senso che esse si corrispondono reciprocamente in rapporto a ogni esperienza didattica. Per ciascuna esperienza, per esempio, l’integrazione dei contenuti di conoscenza determinerà le opzioni sugli spazi e sui tempi. Viceversa, la disponibilità di contesti specifici determinerà la focalizzazione su certi contenuti e la durata dell’esperienza all’interno del contesto, e così via. Ogni esperienza di cui si compone il CI può dunque essere concepita come un’unità organizzativa connessa ad altre unità e definita in base alla relazione reciproca (R) tra contenuti (k), spazi (s) e tempi (t). Schematicamente, se indichiamo con E una qualunque esperienza curricolare e con R la relazione di integrazione correlativa tra le diverse dimensioni dell’esperienza, allora possiamo scrivere

Esperienza curricolare = R (k, s, t)

Resta ora da definire il modello attraverso il quale è possibile costruire, da un punto di vista operativo, i percorsi componenti il curricolo.

Un modello teorico-processuale di CI

Avanziamo l’ipotesi di un modello teorico-processuale, strutturato sul concetto di rete e descritto in base a una prospettiva content-oriented. Procederemo per estensione rispetto a quanto già discusso in altri lavori (Martini, 2019; 2020a) adottando la rete come modello rappresentazionale dell’integrazione del curricolo lungo le tre dimensioni individuate. Nei nostri lavori precedenti avevamo strutturato il CI in base all’analogia fra sistema delle conoscenze e sistema delle conoscenze da insegnare. Avevamo quindi rappresentato il sistema delle conoscenze curricolari come una rete i cui nodi e aggregati di nodi individuavano le conoscenze trasposte in chiave didattica, mentre i cammini individuabili per interpolazione di nodi costituivano i possibili percorsi conoscitivi all’interno della rete.

La modellizzazione proposta, tuttavia, ha il limite di articolare la progettazione del CI lungo la sola dimensione dei contenuti di insegnamento. I percorsi risultanti da questo modello sono dunque percorsi integrati solo da un punto di vista disciplinare. Occorre dunque estendere il modello in modo da integrare contemporaneamente ai contenuti di insegnamento anche le dimensioni spaziale e temporale.

Come abbiamo detto, ogni esperienza di insegnamento di cui si compone il CI può essere concepita come un’unità organizzativa connessa ad altre unità e definita in base alla relazione correlativa istituita tra contenuti di insegnamento, spazi di apprendimento e tempi didattici. Ora, se assumiamo di concepire il curricolo come «sistema» di esperienze di insegnamento/apprendimento, allora è possibile estendere la rappresentazione reticolare alla rete di esperienze e rappresentare il CI come una rete i cui nodi individuano esperienze curricolari, i link individuano i legami tra le esperienze e i cammini interni alla rete individuano possibili percorsi formativi. In base a questa rappresentazione, ogni nodo-esperienza resta definito sulla base di determinate opzioni didattiche che riguardano tutte e tre le dimensioni di integrazione del curricolo, mentre quest’ultimo resta definito dai possibili cammini ottenuti per interpolazione di questi nodi.

Questa rappresentazione ci consente di includere nel curricolo qualsiasi esperienza, dalla più tradizionale alla più innovativa, variando correlativamente il «valore» delle variabili k, s e t. In questo modo, le tre dimensioni individuano teoricamente lo spazio di tutte le possibili opzioni metodologico-didattiche nel quale si colloca ciascuna esperienza. Per ciascuna delle tre dimensioni integrative considerate (k, s, t), tali opzioni possono essere descritte in maniera polarizzata, secondo opzioni antitetiche, corrispondenti a livelli modesti/elevati di integrazione. In questo senso, la dimensione dei contenuti di insegnamento (k) conduce alla polarizzazione tra opzioni disciplinari o interdisciplinari corrispondenti, rispettivamente, a esperienze caratterizzate da bassi/elevati livelli di integrazione tra discipline. Sebbene, occorre ribadirlo, una bassa integrazione interdisciplinare può dar luogo a un’elevata integrazione delle conoscenze appartenenti a uno stesso campo disciplinare. La dimensione degli spazi (s) può essere espressa dalla polarizzazione tra contesti erogativi-chiusi e contesti problematici aperti, siano essi scolastici o extrascolastici, corrispondenti, rispettivamente, a esperienze didattiche caratterizzate da basso/elevato «grado problemico» (Calvani, 2011). Infine, la dimensione temporale (t) può essere polarizzata in base alla distinzione tra tempi didattici ridotti o estesi, corrispondenti, rispettivamente, a esperienze più brevi e circoscritte o temporalmente più dilatate e contenutisticamente più estese o più trasversali.

Da un punto di vista operativo, poiché i nodi-esperienza sono costruiti determinando le variabili k, s, t in maniera correlativa, è possibile caratterizzare i nodi a partire da una qualunque di queste variabili e determinare le altre in maniera relazionale, coerentemente con il tipo di nodo-esperienza che si intende realizzare. Assumeremo pertanto un approccio content-oriented che pone, per così dire, l’osservatore al livello del sotto-sistema dei saperi. Da questa prospettiva è possibile guardare ai saperi come a campi di conoscenze, strutturati intorno a differenti principi organizzatori. Tali principi, riferibili storicamente a strutture (Bruner, 1961; Schwab, 1971; Stenhouse, 1977), concetti (Ausubel, 1995; Novak e Gowing, 1989; Novak, 2001; Damiano, 1994; 2007) e nuclei fondanti (Baldacci, 2003; Rossi, 2017) offrono repertori di contenuti e attività epistemicamente rilevanti su cui indirizzare l’impegno cognitivo degli allievi. Da questo punto di vista, articolare le strutture essenziali dei saperi e servirsene come veicoli per la composizione del curricolo fornisce un principio procedurale utile. In base a questo principio è infatti possibile orientare il lavoro cognitivo degli allievi e strutturare gli spazi e i tempi dell’apprendimento. Non da ultimo, esso permette di rispondere anche all’istanza della trasformazione della conoscenza. L’accrescimento del sapere, infatti, da un punto di vista epistemologico favorisce la maturazione dei domini disciplinari e questa, a sua volta, comporta la strutturazione distintiva di idee unificanti, teorie, concetti-chiave, nonché di una rete stabile di relazioni tra fatti o fenomeni che può essere interrogata in chiave problematica per individuare temi e problemi didattici. In altre parole, rinnovare i contenuti di insegnamento non significa solo aggiornarli rispetto ai risultati della ricerca, ma anche connetterli, vecchi o nuovi che siano, in rapporto a problemi significativi per il presente e per il futuro. D’altra parte, il problema non è quanti e quali saperi inseriamo nel curricolo ma, piuttosto, come li concepiamo, come li ricostruiamo in chiave didattica e, soprattutto, come li mettiamo in relazione al percorso di crescita degli allievi, ossia come li rendiamo operanti affinché possano agire come mezzi e contesti per la loro crescita (Martini, 2020b).

Torniamo alle implicazioni dell’approccio content-oriented sul curricolo integrato e spieghiamo in che senso articolare le strutture essenziali dei saperi serve a orientare il lavoro cognitivo degli allievi e a definire spazi e tempi dell’apprendimento.

Incardinare il lavoro cognitivo degli allievi intorno a ciò che di essenziale c’è in una disciplina significa interpretare lo sviluppo di capacità generali e specifiche in maniera non indipendente dalla specificità di contenuto. In particolare, si guarda a ogni sapere disciplinare come a un campo di attività, espressione del corrispondente sistema correlativo di oggetti, problemi, concetti, teorie, metodi, linguaggi. L’assunto implicito di questa prospettiva è che il lavoro all’interno di un certo ambito di conoscenze contribuisca allo sviluppo di capacità cognitive che si strutturano progressivamente in abitudini durevoli di comportamento e che la pluralità degli ambiti di lavoro disciplinare intercetti una vasta gamma di conoscenze e abilità e un’ampia varietà di possibilità del loro uso, funzionale a tale strutturazione (Martini, 2014). In questa prospettiva, ciascun sapere porta in sé un proprio progetto conoscitivo che si realizza attraverso l’individuazione di un campo di problemi, di una rete di concetti e di proprie logiche investigative che si danno come contesti e strumenti di lavoro cognitivo. La trasposizione o ricostruzione didattica del sapere, pertanto, deve muovere dall’analisi di questi stessi elementi essenziali di conoscenza teorica, metodologica e pratica, e dei fenomeni che caratterizzano la loro acquisizione e il loro uso contestualizzato. Alla luce del CI, tale trasposizione/ricostruzione riguarda non solo il lavoro disciplinare, ma anche quello al confine tra discipline. La progressiva competenza disciplinare che rende l’allievo capace di saper agire e saper pensare secondo una logica specifica, infatti, è ciò che permette all’allievo di riconoscere temi e problemi interdisciplinari come debitori di quel che sa e di quel che sa fare, di disciplinare o no. A sua volta, la reiterazione di questi modi di pensare e di agire, secondo processi di adattamento a diversi contesti, contribuirà a strutturare, oltre che le competenze disciplinari, anche quelle di tipo trasversale. D’altra parte, nessun problema reale complesso, la cui natura è spesso interdisciplinare, può essere decifrato se non all’incrocio di prospettive specifiche che siamo in grado di assumere e che ci forniscono un’euristica per comprenderlo e per cercare di risolverlo, procedendo per adattamenti progressivi di strutture disciplinari (concetti, teorie, pratiche, metodi, linguaggi) conosciute, padroneggiate e fatte agire.

Tutto questo si riflette evidentemente sulla progettazione di tempi e spazi di apprendimento. Orientare la scelta su tempi e spazi di apprendimento a partire dalle opzioni compiute sui contenuti essenziali significa concepire gli spazi di apprendimento come spazi di trasmissione e di ricerca. Spazi più tradizionali, o più innovativi, più o meno strutturati e più o meno ricchi di materiali, nei quali si forma e opera una comunità di allievi. Spazi nei quali, come accade per la scienza nel suo farsi, convergono sia le capacità e il frutto del lavoro individuale sia l’agire collaborativo della comunità-classe, sostenuto dall’interscambio comunicativo di conoscenze e pratiche. In altre parole, la possibilità che intorno a temi e problemi cruciali l’allievo inneschi un processo conoscitivo rilevante, in grado di permettergli la ristrutturazione delle conoscenze, dipende dalla disponibilità stessa di ambienti di apprendimento progettati allo scopo. Il che significa che i contenuti, e ciò vale ancora di più per quelli ritenuti essenziali, per essere fruibili da parte degli allievi devono essere ambientati e situati, ossia inseriti in una cornice e forniti secondo forme tali da far emergere il loro significato in modo relazionale, anziché in modo astratto e incondizionato. Questo pone un problema di «allineamento» tra l’articolazione e la complessità dei contesti e la complessiva capacità di apprendere degli allievi. Maggiore è la quantità di conoscenze che caratterizzano i contesti, maggiore deve essere la capacità di saper agire su quelle conoscenze, selezionandole tra i repertori conoscitivi disponibili, adattandole e mobilitandole in relazione agli scopi. A questo riguardo, la costruzione di cammini formativi reticolari, ottenuti per interpolazione di nodi-esperienza diversificati nei contenuti e negli obiettivi di apprendimento e distribuiti temporalmente in intervalli temporali variabili, facilita, dal nostro punto di vista, l’allineamento tra il livello delle conoscenze possedute dagli allievi e la complessità dei contesti di apprendimento. Ciò, peraltro, riguarda anche la capacità di insegnare degli insegnanti. È infatti evidente che situazioni più complesse, che facciano intervenire più dati e più informazioni, nonché differenti logiche di indagine e interpretative richiedano a chi insegna una progettazione più avvertita e, dunque, una competenza disciplinare e didattica più elevata.

Un’ulteriore osservazione riguarda la dialettica tra «il conoscere» e «il fare», costitutiva del discorso didattico (Martini, 2018). L’istanza di rinnovamento scolastico tende ad assegnare, non senza ragione, il primato a una didattica basata sul learning by doing o su forme di «apprendistato cognitivo» (Collins, Brown e Newman, 1987; Jonassen, 1998), soprattutto per affrancarla dalle derive del nozionismo e dell’istruzionismo (Martini, 2020a). Questa riflessione, tuttavia, ha spesso il limite di non radicare le forme dell’agire didattico sulle forme delle pratiche, più o meno codificate, dei saperi. Al contrario, le pratiche esperte relative ai diversi campi di studio, così come i «saper fare» desunti dalle «pratiche sociali di riferimento» (Martinand, 1981; 1986) che vengono annoverate tra i savoirs savants dei processi traspositivi (Develay, 1995) possono contribuire a vincolare gli spazi e i tempi dell’apprendimento. Sebbene non sia possibile stabilire un isomorfismo tra pratiche esperte o tra pratiche sociali di riferimento e attività didattiche è possibile istituire tra queste una relazione comparativa che riguarda la trasposizione/ricostruzione didattica del sapere. Ciò significa che la determinazione delle strutture essenziali (k) del curricolo deve includere le pratiche epistemiche proprie della costruzione della conoscenza in maniera da incardinare i contesti di apprendimento intorno alle strutture pragmatiche dei saperi (Tombolato, 2020). Questo, peraltro, permette di legare tra loro conoscenze e competenze, dato che la strutturazione della capacità di agire si dà a partire dall’apprendimento di conoscenze e abilità che «passano» nella pratica e si strutturano progressivamente come un «saper fare». Detto in altri termini, le competenze si danno come apprendimento collaterale di secondo livello, o deuteroapprendimento, ottenuto per strutturazione dell’apprendimento di primo livello, o protoapprendimento (Bateson, 1976). A questo proposito, riteniamo inefficace la consuetudine scolastica di formulare il curricolo nei termini di una enucleazione sinottica di conoscenze-abilità-competenze espresse secondo formulazioni generali e astratte. La ragione è che questa formulazione non coglie la differenza di ordine logico tra conoscenze e competenze (Baldacci, 2006; 2010), né il fatto che la mobilitazione delle conoscenze è correlata a ciò che le situazioni didattiche attivano di contenutistico e di pratico. In sintesi, affermare la necessità di andare «oltre le discipline» o affermare il primato del «fare», come un certo dibattito sulla scuola tende a fare un po’ troppo semplicisticamente, richiede, per paradosso, di tornare alle discipline stesse e alle loro strutture conoscitive e logiche e di riflettere profondamente sulla loro trasposizione e ricostruzione affinché le strategie didattiche, dirette all’interdisciplinarità o all’apprendere facendo, siano individuate e ricostruite in chiave didattica in maniera non svincolata da quei savoirs savants e da quelle pratiques savants attraverso le quali i saperi sono socialmente costruiti.

In conclusione, ponendoci all’interno di un paradigma sistemico e adottando una prospettiva content-oriented, abbiamo cercato di sostenere che l’integrazione del curricolo, tesa a recepire le istanze sociali di cambiamento della scuola, deve avvenire lungo le diverse dimensioni della problematica formativa. Per fare questo, abbiamo proposto di concepire il CI come sistema di esperienze di insegnamento/apprendimento definite in maniera correlativa dalle variabili k, s, tcontenuti, spazi di apprendimento, tempi didattici — ossia esperienze incardinate su strutture disciplinari essenziali e distribuite temporalmente su diversi contesti, scolastici ed extrascolastici, disciplinari e interdisciplinari. Inoltre, utilizzando il modello rappresentazionale della rete come euristica per la costruzione di percorsi curricolari, abbiamo configurato questi ultimi come cammini che si costruiscono per interpolazione di nodi-esperienza da connettere tra loro in rapporto alla convergenza sugli obiettivi del curricolo. Il modello teorico-processuale che abbiamo descritto costituisce, nel momento in cui scriviamo, solo un’ipotesi di lavoro che, come tale, necessita di essere implementata e verificata sul campo. Speriamo tuttavia possa aprire la strada a un programma di ricerca centrato sul curricolo, capace di contribuire in maniera razionale al rinnovamento della scuola, dei suoi contenuti e delle sue prassi, in direzione di integrazione.

Bibliografia

Ausubel D.P. (1995), Educazione e processi cognitivi, Milano, FrancoAngeli.

Baldacci M. (2003), Didattica per moduli, Roma-Bari, Laterza.

Baldacci M. (2006), Ripensare il curricolo, Roma, Carocci.

Baldacci M. (2010), Curricolo e competenze, Milano, Mondadori.

Bateson G. (1976), Verso un’ecologia della mente, Milano, Adelphi.

Bruner J. (1961), The Process of Education, Cambridge, Harvard University Press.

Calvani A. (2011), Principi dell’istruzione e strategie per insegnare, Roma, Carocci.

Carroll J.B. (1972), Problemi di misurazione relativi al concetto di mastery learning. In J.H. Block (a cura di), Mastery Learning. procedimenti scientifici di educazione individualizzata, Torino, Loescher.

Collins A., Brown S.J. e Newman S.E. (1987), Cognitive Apprenticeship: Teaching the Crafts of Reading, Writing and Mathematics, https://www.ideals.illinois.edu/bitstream/handle/2142/17958/ctrstreadtechrepv01987i00403_opt.pdf?sequence (consultato il 12 ottobre 2021).

Damiano E. (1994), Insegnare per concetti. Un modello didattico fra scienza e insegnamento, Torino, SEI.

Damiano E. (2007), Il sapere dell’insegnare. Introduzione alla didattica per concetti con esercitazioni, Milano, FrancoAngeli.

Damiano E. (2013), La mediazione didattica. Per una teoria dell’insegnamento, Milano, FrancoAngeli.

Develay M. (a cura di) (1995), Savoirs scolaires et didactiques des disciplines, Paris, ESF.

Drake S.M. e Burns R.C. (2004), Meeting standards through Integrated Curriculum, Alexandria, VA, ASCD (Association for Supervision and Curriculum Development).

Fogarty R. (1991), The mindful school: How to integrate the curricula, Palatine, IL, Iri/Skylight Training & Publishing.

Frabboni F. (1973), La scuola fuori, Bologna, Cooperativa libraria universitaria.

Frabboni F. (1993), Manuale di Didattica generale, Roma-Bari, Laterza.

Jacobs H.H. (a cura di) (1989), Interdisciplinary curriculum: Design and implementation, Alexandria, VA, ASCD (Association for Supervision and Curriculum Development).

Jonassen D.H. (1998), Designing constructivist learning environments. In C.M. Reigeluth (a cura di), Instructional-design theories and models, Mahwah, NJ, Lawrence Erlbaum Associates.

Martinand J.-L. (1981), Pratiques sociales de référence et compétences techniques. À propos d’un projet d’initiation aux techniques de fabrication mécanique en classe de quatrième. In A. Giordan e J.-L. Martinand (a cura di), Diffusion et appropriation du savoir scientifique: enseignement et vulgarization. Actes des troisièmes Journées internationales sur l’éducation scientifique, Paris, UER Didactique, Uni. Paris 7, pp. 149-154.

Martinand J.-L. (1986), Connaître et transformer la matière, Berne, Peter Lang.

Martini B. (2011), Pedagogia dei saperi, Milano, FrancoAngeli.

Martini B. (2014), La mente disciplinare. Il rapporto mente-saperi alla luce della prospettiva modularista. In G. Annacontini e R. Gallelli (a cura di), Formare altre(i)menti, Bari, Progedit, pp. 128-147.

Martini B. (2018), La dialettica sapere formale/sapere della pratica alla luce della dialettica sapere/sapere da insegnare, «METIS. Mondi Educativi», vol. 8, n. 2, pp. 50-67.

Martini B. (2019), Verso un Modello di curricolo Integrato, «Pedagogia più Didattica», vol. 5, n. 2.

Martini B. (2020a), Verso un’ipotesi di Curricolo Integrato. In B. Martini e M.C. Michelini (a cura di), Il Curricolo Integrato, Milano, FrancoAngeli, pp. 105-123.

Martini B. (2020b), Istruzione. Termine e concetto. In M. Baldacci e E. Colicchi (a cura di), I concetti fondamentali della pedagogia. Educazione Istruzione Formazione, Roma, Avio Edizioni Scientifiche, pp. 188-202.

Novak J.D e Gowing D.B. (1989), Imparando a imparare, Torino, SEI.

Novak J.D. (2001), L’apprendimento significativo, Trento, Erickson.

Rossi P.G. (2017), The curriculum, the macro design and the micro design, and the curriculum transposition, «Education Sciences & Society», vol. 8, n. 2.

Schwab J.J. (1971), La struttura delle discipline. In J.J. Schwab, L.H. Lange, G.C. Wilson e M. Scriven, La struttura della conoscenza e il curricolo, Firenze, La Nuova Italia, pp. 1-27.

Stenhouse L. (1977), Dalla scuola del programma alla scuola del curricolo, Roma, Armando Editore.

Tombolato M. (2020), La conoscenza della conoscenza scientifica. Problemi didattici, Milano, FrancoAngeli.


1 Professore Ordinario di Didattica e Pedagogia speciale, Dipartimento di Studi Umanistici, Università di Urbino «Carlo Bo».

2 Università di Urbino «Carlo Bo».

Vol. 7, Issue 2, October 2021

 

Back