Vol. 7, n. 2, ottobre 2021

TEORIE E MODELLI DIDATTICI

Il sistema didattico: dalla costruzione del programma di insegnamento alla costruzione del curricolo

Per una sinergia tra obiettivi formativi, esiti occupazionali, contenuti di studio e modalità didattiche

Michele Corsi1

Sommario

Il contributo analizza il sistema universitario italiano alla luce dei processi di riforma a far data dal 1999, e nel quadro della letteratura nazionale e internazionale edita in materia. In una dinamica che è tutt’altro che conclusa.

Si compone di quattro premesse iniziali: i contesti anche storici di riferimento, le modifiche intervenute e i processi di miglioramento da porre in atto, il rapporto della didattica con la ricerca e la valutazione più specifica dei Corsi di Laurea in L-19 e in LM-85. Per passare poi a considerare le parole chiave dei testi giuridici emanati in proposito e le buone prassi richieste da essi, a muovere dai descrittori di Dublino.

Il testo considera infine il ruolo degli obiettivi formativi qualificanti e i parametri caratteristici che li connotano. Per chiudere col passaggio dalla costruzione del singolo programma di insegnamento a quella del curricolo, intese, entrambe, quali opportune azioni di miglioramento, e con la proposta, a livello nazionale, dei progetti «TECO-D» e «TECO-T».

Parole chiave

Università, Sistema didattico, Sinergia.

DIDACTIC THEORIES AND MODELS

The educational system: from building the teaching program to building the curriculum

For a synergy among training objectives, employment outcomes, study contents and teaching methods

Michele Corsi2

Abstract

The paper analyses the Italian academic system in light of the reform processes started in 1999 and within the framework of the national and international literature published on the subject. This dynamic process is far from over.

The paper lays on four main premises: the reference framework including historical references, the necessary modifications and improvements, the relationship between education and research, and the specific evaluation of the Degrees in L-19 and LM-85. The paper, then, considers the keywords showing up in the legal texts issued on the matter and the good practices they request to be followed, starting from the Dublin descriptors.

Lastly, the paper considers the role of the qualifying learning objectives and their characterizing parameters. The conclusions of the paper describe the construction of both Course Learning Outcomes and Program Learning Outcomes, to be both intended as appropriate improvement actions, and the proposal of the «TECO-D» e «TECO-T» projects at a national level.

Keywords

University, Educational system, Synergy.

Introduzione

Quattro premesse.

Per un intervento che vuole essere prevalentemente didascalico e informativo. Nonché, ovviamente, dovutamente argomentato.

Prima premessa

La normativa italiana ed europea, come la letteratura nazionale e internazionale in materia, è vastissima. Tanto da precedere, in alcune sue parti, pure la riforma Berlinguer del 1999 (DM 509 del 3 novembre 1999) che ha avviato il processo di cambiamento dell’architettura universitaria in generale.

Al pari delle «Linee Guida» del CUN come dell’ANVUR. E, nondimeno, dei progetti nazionali e internazionali posti in essere al fine di valutare, misurare e migliorare l’esistente. In una dinamica di accrescimento e di modificazione tutt’altro che conclusa. Così da dover attivare un’abilità fondamentale in grado d’individuare la tessitura sottesa a tutto questo materiale e non essere costretti a buttare all’aria, ogni volta, il lavoro fatto e ricominciare quasi da capo (Graziosi, 2010). Ma, al più, aggiungere e integrare. In una parola, o con uno slogan: perfezionare limitatamente alle successive richieste ministeriali.

A partire da:

  • il processo di Bologna del 1999;
  • l’incontro interministeriale di Bergen del 2005;
  • i «descrittori di Dublino» in specie, di cui all’EHEA (European Higher Education Area) e all’EQF (European Qualification Framework) che hanno accostato diversi livelli successivi di applicazione, come di validazione, ai differenti descrittori di Dublino per ciascun Corso di Studio sia triennale che magistrale, in modo da poterli tradurre in «risultati attesi di apprendimento»;
  • in accordo e in sinergia con gli stakeholders, che fanno parte, ormai, del patrimonio e del comportamento abituale di ogni ateneo, di cui anche ai «Rapporti Trends» dell’European University Association (la Conferenza Europea dei Rettori);
  • nel solco, infine, di una formazione europea e mondiale che del «Life-Long Learning» (LLL) ha fatto il suo vessillo irrinunciabile (di cui, ad esempio, pure alla «Raccomandazione 2008» dell’Unione Europea). Che, tradotta nella prassi pedagogica e normativa italiane, rinvia ai legami, peraltro ancora molto sfocati nel nostro Paese, tra la formazione iniziale e quella in servizio.

Seconda premessa

Per cui l’impegno di queste pagine è quello di avviare una riflessione che, muovendo dall’esistente, possa gradatamente, step by step, andare a valutare quali azioni di miglioramento siano ulteriormente possibili a livello di sistema universitario nazionale.

Nella consapevolezza che molto di positivo è stato già realizzato: di cui anche ai recenti accreditamenti dei molteplici atenei da parte dell’ANVUR. In quella condizione essenziale del viaggio e del cambiamento per cui il mondo si modifica un poco alla volta. Giorno dopo giorno, a modello del «Libro della Genesi».

Laicamente: con prudenza e misura.

Nell’ulteriore consapevolezza, peraltro, della natura universitaria dell’offerta didattico-formativa.

Di cui pure alla normativa ministeriale che la governa e alle differenti specificità dei vari corpi docenti.

Terza premessa

Questo intervento ha in specie, e innegabilmente, quale suo centro la didattica.

Nonostante sappiamo bene come la migliore storia e tradizione dell’università nazionale ed europea («culla» delle università mondiali, ma oggi, per molti aspetti, sorpassata, o quasi, nei ranking internazionali, da non pochi atenei asiatici: dall’India alla Corea, come dall’Australia) abbiano sempre legato fra loro, indissolubilmente, la didattica con la ricerca. Che tra l’altro, a mio parere, è il miglior portato normativo della Legge 240/2010.

Ma sulla ricerca mi tacerò perché non attiene alla tematica di questo contributo. Anche se non posso tralasciare di rilevare come, pure a quest’ultimo livello, molti progressi siano stati già compiuti in Italia. In particolare, sul versante del più opportuno collocamento editoriale e di una significativa apertura internazionale della produzione scientifica.

A me solo il dovere di segnalare l’imprescindibilità di un tale nesso con la ricerca, a vantaggio anche della medesima didattica.

Quarta premessa

Per muovermi, paradigmaticamente, nell’area di mia maggiore competenza, quella che si riferisce ai Corsi di Laurea in Scienze della formazione, e peculiarmente a due Corsi di Studio, uno triennale e l’altro magistrale, della mia più diffusa esperienza universitaria:

  • la L-19 in «Scienze dell’educazione e della formazione»;
  • la LM-85 in «Scienze pedagogiche».

Per due ordini di considerazioni.

La prima, più generale: per la quale l’ordito formale e giuridico, che sostiene tutti i Corsi di Laurea (di cui, ad esempio, al DM del 16 marzo 2017, pubblicato nella GU n. 155 del 6 luglio 2007), è, comunque, sostanzialmente lo stesso.

La seconda, invece specifica: al fine di favorire un confronto più adeguato fra gli specialisti in materia.

Le parole chiave di questo intervento

Le parole chiave di questo testo ruotano intorno a tre grappoli di semantemi o di riflessioni.

Il primo, fondamentale, è costituito dai termini sistema e sinergia.

Il secondo è incentrato sulla costruzione dei programmi: da quello della singola materia d’insegnamento al curricolo complessivo (Baldacci, 2010).

Il terzo, infine, vede, connessi tra loro, gli obiettivi formativi con gli esiti occupazionali, i contenuti di studio con le modalità didattiche.

Con una responsabilità, a un tale livello, che, prima ancora dei singoli Dipartimenti o delle poche Facoltà rimaste ancora attive in Italia, è dei rispettivi Consigli di Corso di Laurea o di Classi di Lauree.

E dove una prima sintesi fra questi tre «piani» è individuabile nel compito mai lieve, ma graduale e progressivo, di fare sistema: di operare, cioè, le massime sinergie possibili.

A muovere dai descrittori di Dublino

I descrittori di Dublino sono quelli che, solitamente, vengono tradotti, nelle diverse tabelle delle differenti Classi di Laurea, in Obiettivi Formativi Qualificanti.

Con un linguaggio che ritorna, anche qui, costante, o quasi ridondante, in tutte le Classi delle Lauree, sia triennali che magistrali.

E con le Attività Formative Indispensabili, di cui ai diversi Ambiti disciplinari e ai conseguenti Settori scientifico-disciplinari, a fare da supporto. O, in altri termini, a fungere da materia lievitante.

Suddivisi, peraltro, in attività formative di base e caratterizzanti per le lauree triennali.

E solamente caratterizzanti per quelle magistrali.

Con un numero medio di CFU minimi ministerialmente prescritti: all’incirca 90 per le triennali e 48 per le magistrali, da poter, poi, ulteriormente modulare.

Cui aggiungere, nondimeno, ulteriori CFU, a motivo delle diverse scelte di sede, pensate e riflettute, e in rapporto con quattro parametri coerenti fra loro:

  • la specificità del particolare corpo studentesco (e, per noi, in ragione pure del peculiare «medium» didattico adottato: in presenza, a distanza o misto);
  • la tipicità di ciascun corpo docente;
  • le richieste degli stakeholders, in relazione fisiologica con gli sbocchi occupazionali previsti: e questa è la responsabilità precipua di costoro, e non altra;
  • gli obiettivi formativi, che un particolare organo accademico si propone, conseguentemente, di raggiungere.

Consapevoli, peraltro, che ci si muove a livello di formazione iniziale.

E che la formazione in servizio è tutt’altra materia.

Col «peccato originale» – sicuramente non europeo o internazionale – di non poche università pubbliche del nostro Paese di aver aggravato oltre misura siffatti percorsi di laurea, caricandoli di programmi e contenuti di studio contrassegnati da una quantità inenarrabile di testi e di pagine.

E superando, per questa via, anche il limite ministeriale del rapporto tra CFU, offerta didattica e impegno per gli studenti, che sono, poi, i differenti «intervalli» previsti per ogni CFU, per cui a 1 CFU di insegnamento non possono corrispondere più di 50 pagine di studio per gli studenti.

Costringendo, in specie, i laureandi triennalisti ad andare fuori corso e allontanandoli, ancora di più, dal mercato del lavoro. A fronte dei loro colleghi francesi, tedeschi, ecc.

E gonfiando in forma talmente spropositata il percorso triennale in particolare, da impedire poi, di fatto, la loro successiva iscrizione alle lauree magistrali.

Sicché, oggi, non pochi Atenei, e tipicamente al Centro-Sud, nel confronto fra gli iscritti complessivi alle lauree triennali e quelli iscritti alle magistrali, si configurano, prevalentemente, come un «post liceo» o un diplomificio universitario di primo livello. Il che li separa pure, ulteriormente e inevitabilmente, da ogni potenziale, e futuro, posizionamento di valore nei ranking internazionali, ricacciandoli nella parte bassa delle classifiche mondiali.

Le parole chiave degli obiettivi formativi qualificanti

Le parole chiave degli obiettivi formativi qualificanti sono essenzialmente tre:

  • conoscenze
  • competenze
  • padronanza.

Che diventano talora quattro, nelle diverse tabelle ministeriali, in un processo comunicativo-didattico pragmatico alla Watzlawick (Watzlawck, Beavin e Jackson, 1971), con riferimento anche alle abilità da conseguire da parte degli studenti, e da far raggiungere a opera del corpo docente.

Mi soffermo adesso sulle prime tre.

Perché sulla quarta vorrei avanzare, più in là, una proposta su cui iniziare, magari, a riflettere.

Il modello didattico di sistema, o di con-testo, è lo stesso per tutte le Classi di Laurea. Tali da rappresentare quindi, queste ultime, i differenti testi contenutistici di questo contesto puro o formale, alla Parsons (1968).3

Mentre, in un processo sistemico-cibernetico:

  • le conoscenze sono il dato d’ingresso
  • le competenze: quello trasformativo
  • la padronanza: l’elemento in uscita.

Con le competenze, peraltro, che sono il prodotto delle conoscenze (Corsi, 1993).

Laddove la conoscenza è tipicamente individuale. E la competenza, a misura del suo stesso significato etimologico, introduce, piuttosto, al plurale organizzato, o da organizzare: quello dei professionisti di domani (Laffi, 2014; Alessandrini, 2019), formati dai diversi Corsi di Laurea e che muovono tutti verso i medesimi obiettivi.

Questo, allora, è il primo paletto irrinunciabile.

Descrittori di Dublino o obiettivi formativi qualificanti, rapporto con gli stakeholders, ecc., ovvero si tratti pure di Corsi di Studio in Scienze giuridiche, motorie o del turismo, Scienze economiche o educativo-pedagogiche e così via, tutta questa vasta rappresentazione deve tendere a formare professionisti iniziali nei differenti ambiti lavorativi. Tant’è che non è un caso che, subito dopo la precisazione contenutistica di conoscenze, competenze, prescritte come necessarie, le finestre iniziali delle diverse tabelle di laurea procedono, a passo serrato, verso l’individuazione, o l’elenco, talora ossessivi, o comunque rigorosamente precisi e puntuali, degli sbocchi occupazionali previsti. In un’unica tessitura di sistema.

Da qui, il primo warning per ciascuno di noi quale docente.

Nella scrittura dei nostri differenti programmi di insegnamento, e poi nella didattica in presenza oppure nella video-registrazione delle nostre lezioni, le scelte formali comuni a monte devono poter essere la risposta a questi tre indicatori.

  • Quali conoscenze voglio trasmettere, tali che gli studenti le apprendano, attraverso lo strumento-risorsa della «mia» specifica disciplina?
  • Quali competenze dovrebbero poter acquisire i diversi discenti?
  • In vista, infine, di quale padronanza almeno disciplinare; e, per questa via, pre-professionale?

Mi sposto ora sulle abilità.

Quasi opportunamente, in molte tabelle ministeriali, le abilità sono citate accanto alle competenze. Talora prima delle seconde: come se le abilità fossero individuali e le competenze plurali o inter-soggettive. O talvolta dopo. Che è l’approccio, quest’ultimo, o la scansione temporale, che maggiormente preferisco.

Perché sia nella teoria delle catastrofi di René Thom di scuola post-cartesiana (1985) che nella teoria della creatività di Jerome Bruner (1964), di cui anche a molti studi precedenti di John Dewey tanto sui processi d’insegnamento-apprendimento quanto sullo sviluppo cognitivo personale e sociale (2018), l’abilità è la catastrofé, l’uscita di pregio, la mano sinistra bruneriana, il pensiero divergente a fronte di quello convergente meramente conoscitivo, la cifra del professionista. Di cui, nondimeno, ai differenti professionisti inevitabilmente scanditi nella distribuzione normale dei fenomeni o nella curva di Gauss. Al pari dell’area di sviluppo potenziale di Vygotskij (Vygotskij, Lurija e Leontjev, 1969) per la pedagogia e la didattica speciali.

Costruire le abilità richiede, però, un approccio didattico particolare. E il ricorso a peculiari materiali didattico-formativi.

È quanto viene praticato, ad esempio, nei laboratori di area scientifica. O nei seminari e nelle esercitazioni di marca umanistica.

Per la L-19, e in specie per i 55 CFU aggiuntivi, o extra-curricolari, del percorso in «Educatore dei servizi educativi per l’infanzia» (DM 378 del 9 maggio 2018), la presenza, dall’AA 2019-2020, di 5 CFU di laboratori (l’8% dell’intero pacchetto) nei SSD fondamentali (pedagogici e psicologico-evolutivi) permette di raggiungere un siffatto obiettivo.

E lo consente, indiscutibilmente, pure in ogni ateneo, attraverso qualsiavoglia medium didattico che venisse adottato.

Il problema, tutto risolvibile, sta, pertanto, nella costruzione mirata di programmi ad hoc. Che non possono, o non dovrebbero, essere costruiti sulla falsa riga didattico-contenutistica di quelli delle materie d’insegnamento.

Per preparare piuttosto, a un tale riguardo, «studi di caso», «role-playing», «materiali» adatti allo scopo che, attraverso poi il riscontro, o il feedback, degli studenti, con parte di questi CFU affidati nondimeno al loro impegno, o lavoro, siano in grado di farli crescere o progredire: dal riconoscimento delle abilità, inizialmente possedute, a quelle auspicabilmente, e professionalmente, da conseguire. E correlativamente con le competenze a monte, quali pre-requisiti necessari.

Da qui la proposta, almeno per i Corsi di Studio dei Dipartimenti di Scienze della formazione.

Quella, cioè, di utilizzare questa parte almeno delle ore complessive a favore di una didattica autenticamente interattiva, in funzione laboratoriale e di acquisizione di abilità.

Oltre alla mission più generale, o generica, di risoluzione dei dubbi di comprensione, delucidazione, ecc.

Dal singolo insegnamento al curricolo

È in questo paragrafo, in particolare, che voglio soffermarmi sulle possibili azioni migliorative da introdurre.

Dal momento che ritengo di avere già dato sufficienti spunti nella direzione di una riflessione preliminare volta alla costruzione dei diversi programmi d’insegnamento, e orientata verso quella sinergia culturale e didattico-formativa prescritta dalla normativa nazionale, in combinato disposto con quella europea e internazionale.

Che è, peraltro, il sottotitolo di questo mio intervento.

In virtù di quel richiamo forte alla dimensione professionalizzante iniziale, cui mi sono appellato in precedenza.

Con l’ulteriore attenzione, nella società dell’incertezza alla Bauman (2008) o del cambiamento (Bertman, 1998), a offrire contenuti rigorosi, ma non rigidi, metodi e strade di ricerca piuttosto che ricette confezionate o pre-confezionate, processi euristici e non prodotti chiusi. In grado di seguire la storia, e anzi di anticiparla. Così da concorrere pure a costruire, alla Morin (2000), «teste ben fatte e non già teste piene».

In modo da procedere anche verso quella tessitura unitaria che veda assieme gli obiettivi formativi con gli esiti occupazionali, i contenuti di studio con le modalità didattiche. Come ci siamo proposti sin dall’inizio di questo intervento. Laddove poi, nel caso di ciascun ateneo, la modalità didattica adottata fosse una soltanto: tradizionale e in presenza o telematico-tecnologica.

Riguardati, questi parametri, appena e di nuovo citati, come i quattro vertici della cornice didattico-formale in cui iscrivere i nostri diversi programmi e i loro differenti materiali di studio.

Oppure, alla stregua di quattro fari, o meta-indicatori, capaci di tracciare la via alla migliore proposta disciplinare.

Diversamente si potrebbe operare con la didattica mista, negli altri atenei, ma abbandonando indubbiamente, ovunque e comunque, la sola lezione frontale certamente utile per la trasmissione delle conoscenze, ma impari, parzialmente o totalmente, in vista delle competenze o della padronanza da raggiungere.

Procedo rapidamente.

A leggere le competenze, le abilità e la padronanza in uscita dei Corsi di Studio di Scienze dell’educazione e della formazione e di Scienze pedagogiche (per limitarmi a giocare nella mia parte di campo) è evidente il richiamo alla collegialità interdisciplinare e trans-disciplinare (Stramaglia, 2019).

Con altro linguaggio, o secondo altra prospettiva: alla costruzione curricolare.

In un processo culturale che ha registrato, a un tale riguardo, Cesare Scurati come uno dei Maestri europei degli ultimi decenni del secolo scorso (Scurati, 2017). Oltre a Frabboni (2002).

Da qui un’ulteriore proposta. Da mettere, magari, per ora solo in cantiere: quella di costruire assieme, i vari docenti, i programmi d’insegnamento, per lo meno di una medesima area. Iniziando da quelle prevalenti o maggiormente prossime.

Ed è la prima azione migliorativa da introdurre.

Per poi proseguire, in un futuro successivo e tutto da studiare, verso un ordito curricolare unitario di metodi e di contenuti, di processi euristici e quant’altro, curricolarmente sistematizzati e sistemici.

Ed è la seconda azione migliorativa.

Con una responsabilità, a questo livello, che non può che essere dei singoli Consigli di Corsi di Studio o di Classi.

Per una conclusione

Mi avvio a terminare, con una conclusione che è di fatto una segnalazione.

Riferendomi, in specie, alle competenze. A misura dell’attenzione strategica nazionale che ormai le riguarda.

E, cioè, il progetto «TECO» messo in piedi dall’ANVUR sin dal 2012 per valutare gli esiti degli apprendimenti dei laureandi italiani per gruppi omogenei di Corsi di Laurea.

Pure nelle due ulteriori varianti di «TECO-D», in relazione alle competenze disciplinari; e di «TECO-T», in rapporto a quelle trasversali; e pertanto, in buona sostanza, curricolari.

E che vede collaborare tra loro dal 2018, in questa sperimentazione, diversi Corsi di Laurea di L-19 in Italia: Bergamo, Firenze, Macerata, Salerno, Siena, Foggia, ecc.

Ma con un auspicio: che possa estendersi, in tempi brevi, a livello dell’intero territorio nazionale così da rappresentare, questa importante e imponente raccolta di informazioni, una significativa banca dati a vantaggio non soltanto del migliore esito formativo: le competenze appunto, ma, attraverso questo gradiente, di costituire una decisiva area di riflessione per il miglioramento, l’ammodernamento e la professionalizzazione di questi specifici Corsi di Laurea.

Bibliografia

Alessandrini G. (a cura di) (2019), Lavorare nelle risorse umane. Competenze e formazione 4.0, Roma, Armando Editore.

Baldacci M. (2010), Curricolo e competenze, Milano, Mondadori.

Bauman Z. (2008), Paura liquida, Roma-Bari, Laterza.

Bertman S. (1998), Hyperculture. The Human Cost of Speed, Westport, CT, Praeger Publishers.

Bruner J.S. (1964), Dopo Dewey. Il processo di apprendimento nelle due culture, Roma, Armando Editore.

Corsi M. (1993), Governare il cambiamento. Le risorse della scuola italiana, Milano, Vita e Pensiero.

De Giacinto S. (1968), Un modello di Parsons applicato alla pedagogia, «Pedagogia e Vita», vol. 30, pp. 15-42.

De Giacinto S. (1977), Educazione come sistema, Brescia, La Scuola.

Dewey J. (2018), Scuola e società, Roma, Edizioni Conoscenza.

Frabboni F. (2002), Il curricolo, Roma-Bari, Laterza.

Graziosi A. (2010), L’università per tutti. Riforme e crisi del sistema universitario italiano, Bologna, Il Mulino.

Laffi S. (2014), La congiura contro i giovani. Crisi degli adulti e riscatto delle nuove generazioni, Milano, Feltrinelli.

Morin E. (2000), La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero, Milano, Raffello Cortina.

Parsons T. (1968), La struttura dell’azione sociale, Bologna, Il Mulino.

Scurati C. (2017), L’innovazione nella scuola. Per la formazione degli insegnanti, Brescia, La Scuola.

Stramaglia M. (a cura di) (2019), Pop cultures. Sconfinamenti alterdisciplinari, Lecce-Rovato, Pensa Multimedia.

Thom R. (1985), La teoria delle catastrofi, Milano, FrancoAngeli.

Vygotskij L.S., Lurija A.R. e Leontjev A.N. (a cura di) (1969), Psicologia e pedagogia, Roma, Editori Riuniti.

Watzlawick P., Beavin P. e Jackson D.D. (1971), Pragmatica della comunicazione umana. Studio dei modelli interattivi, delle patologie, dei paradossi, Roma, Astrolabio.

Sitografia

Agenzia Nazionale di Valutazione del sistema Universitario e delle Ricerca – ANVUR, Rapporti sullo stato del sistema universitario e della ricerca, https://www.anvur.it/documenti-ufficiali/rapporti-sullo-stato/ (consultato il 5 ottobre 2021).


1 Professore Emerito di Pedagogia Generale e Sociale M-Ped/01, Università degli Studi di Macerata.

2 Università degli Studi di Macerata.

3 Sul modello puro o formale in pedagogia, il lettore può consultare, quali letture minime e peraltro contemporanee, De Giacinto S. (1968), Un modello di Parsons applicato alla pedagogia, «Pedagogia e Vita», vol. 30, pp. 15-42, oltre che De Giacinto S. (1977), Educazione come sistema, Brescia, La Scuola.

Vol. 7, Issue 2, October 2021

 

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