Vol. 6, n. 2 ottobre 2020

Teorie e Modelli didattici

La metodologia della ricerca educativa

Un esempio di ricerca per i bambini

Luigina Mortari1, Federica Valbusa2 e Marco Ubbiali3

Sommario

La ricerca educativa ha una funzione trasformativa, poiché è finalizzata al miglioramento della pratica educativa. Si configura quindi non solo come ricerca esplorativa, che mira alla comprensione approfondita di un determinato fenomeno educativo, ma soprattutto come ricerca operativa, che sperimenta ipotesi di lavoro sul campo e ne studia rigorosamente l’efficacia. Quando i partecipanti sono bambini, la ricerca educativa si qualifica come ricerca per i bambini, poiché prevede un’offerta di esperienze che si ipotizzano essere significative per la loro fioritura. Questo implica utilizzare strumenti che abbiano una valenza euristica ma al tempo stesso educativa. Come si struttura un disegno di ricerca di questo tipo? Come si qualifica dal punto di vista etico? Quali sono i metodi di raccolta e di analisi dei dati più adatti? A queste questioni si risponderà presentando MelArete, un esempio di ricerca educativa realizzata nella scuola dell’infanzia e primaria nell’ambito di un progetto di educazione etica.

Parole chiave

Ricerca educativa, ricerca per i bambini, educazione etica.

Didactic theories and models

The methodology of educative research

An example of a research project for children

Luigina Mortari4, Federica Valbusa5 and Marco Ubbiali6

Abstract

Educative research is transformative, because it aims to improve educative practice. Therefore, it is not only explorative research, aimed at deeply understanding an educative phenomenon, but it is mainly operative research, aimed at experimenting working hypotheses on the field and rigorously studying their effectiveness. When participants are children, educative research is qualified as research for children, because it is structured as an offer of experiences which are meant to be significant for their flourishing. This implies the use of instruments with both heuristic and educative valence. How is a research design of this type structured? How is it characterised from an ethical perspective? What are the best methods of collecting and analysing data? The authors will answer these questions by presenting MelArete, an example of an educative research project implemented in nursery and primary schools within a project of ethical education.

Keywords

Educative research, research for children, ethical education.

Il problema di partenza: rilevante per la pratica

La pedagogia è un sapere prassico, cioè chiamato a orientare la pratica educativa (Mortari, 2007; Iori, 2000). Per potersi qualificare come tale, deve mantenersi radicata nell’esperienza concreta di chi lavora nell’ambito dell’educazione, assumendo come significativi per l’indagine solo quei problemi che vengono percepiti dai pratici come primari nel loro agire quotidiano. Se il sapere dell’educazione, alla cui costruzione è finalizzata la ricerca pedagogica, trova il suo senso nella capacità di confrontarsi con la pratica educativa, per comprendere le questioni che la attraversano e, ragionando su di esse, fornire indicazioni orientative per il suo miglioramento, risulta evidente che i problemi oggetto di studio non possono essere decisi in astratto, ma devono emergere dal confronto continuo con educatori e insegnanti e dall’ascolto attento delle loro riflessioni e delle loro esigenze. Come già rilevava Dewey, infatti, «le pratiche educative […] sono l’unica fonte dei problemi fondamentali su cui si deve investigare», ma rappresentano anche «la prova definitiva per validare le conclusioni di ogni ricerca» (Dewey, 1984, pp. 16-17). Questa seconda puntualizzazione suggerisce che, oltre a fornire il materiale problematico da cui prendere le mosse, la pratica educativa costituisce anche ciò con cui bisogna in definitiva misurarsi per valutare la rilevanza di una ricerca, quando essa è giunta a conclusione. Una ricerca sarà infatti rilevante nella misura in cui contribuirà alla costruzione di un sapere dell’educazione significativo per i pratici, cioè capace di fornire utili spunti di riflessione e di lavoro per migliorare i contesti educativi, per poterli rendere sempre più rispondenti al compito di promuovere la fioritura delle diverse dimensioni dell’esistenza di bambini e bambine, ragazzi e ragazze.

Il problema da cui prende le mosse il progetto MelArete (Mortari, 2019a; 2019b), presentato in questo saggio come esemplificativo della struttura di una ricerca educativa, è la crisi etica che attraversa il nostro tempo, che si esprime in forme di indifferenza verso l’altro, assenza di empatia, comportamenti antisociali e violenti, mancanza di senso civico e comunitario, e indisponibilità a impegnarsi per il bene comune (Boella, 2018; Pulcini, 2009). Anche nei contesti scolastici si assiste a situazioni che attestano l’incapacità di riconoscere l’altro nella sua alterità e nel suo valore, oltre che a episodi di aggressività fisica e verbale, che rientrano nelle dinamiche del bullismo. C’è inoltre un impoverimento del linguaggio eticamente connotato, che rende necessaria un’alfabetizzazione alle parole capaci di descrivere la dimensione del vivere bene con gli altri.

Ricerca teoretica e ricerca empirica: una circolarità ricorsiva

Per poter contribuire significativamente alla costruzione del sapere dell’educazione, la ricerca pedagogica deve svilupparsi come ricerca teoretica e come ricerca empirica. Attraverso il confronto con altre scienze umane che indagano i fenomeni educativi, quali la filosofia, l’antropologia, la psicologia e la sociologia, la ricerca teoretica prende in esame le questioni fondamentali dell’agire educativo per costruire un orizzonte di ipotesi pedagogiche; tali ipotesi pedagogiche, a cui si giunge attraverso un esteso confronto con la letteratura disponibile sul tema oggetto di indagine, dovranno però poi essere studiate anche nell’esperienza per valutare se reggono al confronto con essa, e questo è il compito della ricerca empirica, che si occupa di indagare l’agire educativo nel suo concreto accadere. Come già evidenziava Dewey, infatti, la filosofia dell’educazione deve avvalersi dei contributi della ricerca sul campo perché le scienze empiriche mettono a disposizione dati importanti ai quali non si può pervenire per via astratta (Dewey, 1993, p. 16); questo confronto con l’esperienza risulta fondamentale perché qualsiasi teoria, per quanto ben meditata, deve essere messa alla prova dei fatti (Dewey, 1974, p. 194) prima di essere acquisita come strumento per orientare la pratica. Nella ricerca pedagogica, ricerca teoretica e ricerca empirica devono essere strettamente connesse, in un rapporto dialogico-ricorsivo (Mortari, 2007, pp. 12-13): una nuova acquisizione teoretica porterà a modificare o ampliare le ipotesi pedagogiche da mettere alla prova dell’esperienza e, al tempo stesso, i risultati della ricerca sul campo porteranno a modificare o ampliare la prospettiva teoretica di partenza.

MelArete affonda le sue radici in una teoria dell’educazione all’etica delle virtù pensata nell’orizzonte della cura,7 che assume come riferimenti fondamentali la filosofia di Platone e Aristotele e le riflessioni di alcuni autori contemporanei, esponenti del care ethics approach, come Gilligan (1987), Noddings (2002) e Tronto (1993). Questo quadro teorico di riferimento ha portato allo sviluppo di una ricerca educativa strutturata attorno ai concetti di bene, cura e virtù, sui quali i partecipanti sono stati invitati a riflettere: se infatti l’oggetto dell’etica è il bene, esso si realizza attraverso la cura; e la cura è una pratica informata dalle virtù (Mortari, 2015).

La ricerca sul campo: naturalistica e trasformativa

Una ricerca pedagogica è altamente rilevante per i pratici quando introduce nei contesti educativi nuove esperienze, e considera queste oggetto di ricerca al fine di valutarne l’efficacia. Un processo epistemico che persegue questo obiettivo risulta ispirato dall’epistemologia naturalistica (Lincoln e Guba, 1985; Erlandson et al., 1993), che prescrive di collocare le ricerche negli ambienti dove i fenomeni ordinariamente accadono, e si caratterizza per un’intenzione trasformativa (Mortari, 2009a), quella di apportare un miglioramento nella pratica educativa.

La ricerca a scuola

Con l’affermarsi del paradigma ecologico, la logica sperimentale che caratterizza le ricerche di stampo positivistico è stata messa in discussione, in quanto ritenuta difficilmente applicabile nel campo delle scienze umane, dove la realtà indagata è complessa, imprevedibile e, quindi, non controllabile. Risulta invece preferibile collocare la ricerca in un setting naturale (Lincoln e Guba, 1985; Erlandson et al., 1993), cioè nei contesti in cui il fenomeno oggetto di studio ordinariamente accade, proprio perché è in relazione al contesto in cui si verifica che ciascun fenomeno acquisisce il suo significato. Per conoscere l’esperienza dei bambini occorre allora sviluppare la ricerca negli ambienti in cui quotidianamente essi vivono, come per esempio quello scolastico, assumendone i linguaggi specifici, cioè quelli educativi. Se per le ricerche di stampo positivistico è importante avere un campione rappresentativo della popolazione, così da pervenire a risultati generalizzabili, la ricerca naturalistica è guidata dall’obiettivo di guadagnare una comprensione profonda rispetto a un’esperienza e, di conseguenza, coinvolge un numero limitato di soggetti che vengono ritenuti significativi in relazione al fenomeno da investigare. Si parla quindi di purposeful sampling (Merriam, 2002, p. 12), cioè di un gruppo «mirato» di partecipanti.

Il progetto MelArete si è sviluppato come un duplice percorso educativo, parallelo ma diversificato secondo l’età, per la scuola dell’infanzia e per la scuola primaria, ed è stato messo alla prova attraverso una ricerca empirica svolta durante l’anno scolastico 2016-2017 in 12 sezioni di scuola dell’infanzia di Roma, Aldeno (TN), Imola (BO), Galliera (BO) e Minerbio (BO) (coinvolgendo 116 bambini di 4-5 anni) e in 6 classi quarte di scuola primaria di Bergamo e Roma (coinvolgendo 106 bambini di 8-9-10 anni).

La ricerca per i bambini

Una ricerca empirica nel campo delle scienze umane può essere di due tipi: ricognitiva, quando lo scopo è quello di comprendere un fenomeno così come si presenta per colmare una lacuna conoscitiva; o trasformativa, quando lo scopo è quello di intervenire in un contesto, per mettere alla prova dell’esperienza una teoria, così da migliorare sia la teoria che la pratica. Una ricerca del secondo tipo nell’ambito dell’educazione si configura come una ricerca non semplicemente «sull’educativo», ma propriamente «educativa»: si tratta di offrire ai partecipanti esperienze che si ipotizzano essere per loro significative, e considerare tali esperienze oggetto di ricerca. Coerentemente con l’intenzione di portare «qualcosa di buono» nel contesto, al fine di migliorarlo, una ricerca educativa che coinvolge bambini non sarà soltanto una ricerca con i bambini, giacché essi risultano essere i partecipanti del progetto attivato, ma sarà più specificamente una ricerca per i bambini (Mortari, 2009a), in quanto mossa dall’intenzione di offrire loro buone esperienze educative. Esperienze che si ipotizza possano rivelarsi significative per la loro maturazione, nelle diverse dimensioni in cui tale maturazione può realizzarsi: cognitiva, affettiva, corporea, relazionale, estetica, etica, spirituale e politica. Il disegno di una ricerca educativa per i bambini comprenderà allora: 1) la progettazione di un intervento educativo, che abbia come obiettivo quello di favorire la fioritura di una o più dimensioni esistentive dei partecipanti; 2) la progettazione di una indagine sull’intervento effettuato, che abbia come obiettivo quello di raccogliere dati dalle esperienze realizzate al fine di comprenderne l’efficacia educativa.

Il progetto MelArete si pone un duplice obiettivo: uno di tipo educativo — promuovere il pensiero etico nei bambini —, e uno di tipo euristico — comprendere come si qualifica il pensiero etico dei bambini.

Una caratteristica fondamentale della ricerca naturalistica è quella di non codificare in anticipo il disegno epistemico (Erlandson et al., 1993, p. XIV; Merriam, 2002, p. 10), in tutte le sue fasi e in tutti i suoi aspetti, ma di strutturarlo invece secondo una logica evolutiva, attraverso l’incontro e il confronto con il contesto, e l’analisi esplorativa dei dati in esso raccolti. Poiché la realtà educativa, in virtù della sua complessità, unicità e imprevedibilità, non è comprimibile in un approccio conoscitivo predefinito, stabilire in anticipo il disegno di ricerca appare epistemologicamente riduttivo. Il progetto di una ricerca educativa si configura quindi come un disegno emergente, nel senso che sia la progettazione dell’esperienza educativa che la progettazione del processo euristico presentano la forma dell’«indeterminatezza» (Lincoln e Guba, 1985, p. 208): si tratta di andare sul campo con alcune ipotesi progettuali, che si strutturano e continuamente si ristrutturano nel corso dell’esperienza educativa e di ricerca, tenendo conto delle sollecitazioni che si raccolgono dalla progressiva conoscenza del contesto di indagine. Come una mappa, che non è già disegnata prima di esplorare il territorio, ma si disegna gradualmente nel corso dell’esplorazione stessa (Mortari, 2006; 2009b).

Le attività previste dal progetto MelArete sono state gradualmente raffinate, anche ascoltando i suggerimenti delle insegnanti e tenendo conto dei desideri dei bambini. Inoltre, a partire dalle analisi preliminari dei materiali raccolti, si è deciso come intervenire sulla progettazione per rendere più efficaci le azioni di ricerca finalizzate alla raccolta dei dati. Uno strumento fondamentale per migliorare in corso d’opera la struttura della ricerca educativa è stato il diario di ricerca (Mortari, 2009b), nel quale i ricercatori annotavano le loro riflessioni sulla progettazione e la realizzazione del percorso, ma anche sui vissuti mentali (pensieri ed emozioni) che accompagnavano il processo epistemico.

Considerazioni etiche

Quando si parla di etica della ricerca in genere si fa innanzitutto riferimento ai codici etici, introdotti per normare differenti situazioni problematiche che possono presentarsi durante il lavoro euristico, dal momento della sua progettazione fino alla stesura del report finale. Tuttavia, nessun codice, per quanto possa essere dettagliato, esaurisce le criticità etiche che è possibile incontrare durante un lavoro sul campo, e non esistono regole che solo per il fatto di essere applicate garantiscano l’eticità di una ricerca. Senza negare ai codici la funzione di regolamentare la ricerca, si tratta di superare una concezione canonica (Christians, 2005, p. 149) o regolativa (Cannella e Lincoln, 2007, p. 316) dell’etica, per ripensare invece la questione nella consapevolezza che il semplice adeguarsi alle regole non è sufficiente per fare di una ricerca una ricerca etica.

Pensando la questione nell’orizzonte dell’etica della cura, è possibile sostenere che una ricerca educativa si muove su uno sfondo etico nella misura in cui il ricercatore fa proprie alcune direzionalità etiche e sviluppa specifici modi di essere nella relazione (Mortari, 2009a).

Le direzionalità etiche della cura che occorre fare proprie nell’ambito di una ricerca per i bambini sono: avere rispetto per i partecipanti; sentirsi responsabili nel proprio agire; offrire buone esperienze; saper incarnare una tensione donativa, dando e dandosi tempo per la costruzione di relazioni positive. Queste direzionalità si attualizzano quando i ricercatori incarnano precisi modi di essere sensibilmente relazionali nella ricerca: essere ricettivi; essere responsivi; prestare attenzione; essere non-intrusivi; avere cura del clima emozionale; coltivare una forma di quietezza interiore, che si traduce nell’essere tranquilli e rilassati; avere fiducia.

Durante il progetto MelArete, oltre a raccogliere il consenso informato da parte dei genitori e a rispettare il diritto alla riservatezza dei bambini coinvolti, anonimizzando i dati raccolti, sono state agite le posture relazionali proprie di un’etica della ricerca informata dall’etica della cura.

Gli strumenti della ricerca educativa

Il fatto che la ricerca educativa abbia un obiettivo educativo e un obiettivo euristico implica che anche gli strumenti in essa utilizzati debbano assolvere una duplice funzione: promuovere un’esperienza educativa di qualità e consentire un processo di ricerca rigoroso. Il ricercatore deve aver cura del fatto che tali strumenti siano centrati sui bambini (Barker e Weller, 2003, p. 36), cioè capaci di intercettare i loro bisogni e i loro desideri. È quindi preferibile utilizzare strumenti di ricerca «non convenzionali» (Lahman, 2008, p. 294), ma pensati invece per adattarsi al meglio al mondo dei bambini, e piacevoli (Punch, 2002), oltre che costruiti con cura estetica. Questa necessità di adattare gli strumenti alla prospettiva dei bambini non è dettata dal fatto che essi dispongano di ridotte capacità di comprensione (Harden et al., 2000), ma dall’importanza di contestualizzare la ricerca nel mondo di vita ordinario dei bambini.

Gli strumenti utilizzati nell’ambito del progetto MelArete strutturano diverse tipologie di attività che si focalizzano sui concetti di bene, cura e virtù, e sulle virtù specifiche di coraggio, generosità, rispetto e giustizia; le presentiamo qui di seguito.

  • Riflettere sulle storie. Per avvicinare i bambini alle grandi domande dell’etica, che se poste senza mediazione e la dovuta attenzione risulterebbero troppo intellettualistiche, sono state inventate alcune narrazioni che, costruite a partire da una situazione problematica, si concludono con un gesto etico che suggerisce una domanda eidetica (Che cosa significa avere cura? Cosa è il bene? Cosa è una virtù?), alla quale i bambini sono invitati a rispondere. La valenza educativa di questa attività è stimolare il pensiero dei bambini a riflettere su uno specifico concetto etico; la valenza euristica è quella di raccogliere le definizioni eidetiche di ciascun concetto fornite dai bambini.
  • Scrivere il diario delle virtù. Poiché la scrittura facilita la riflessione sull’esperienza, i bambini sono stati invitati con cadenza regolare a narrare, attraverso la scrittura o il disegno (e la descrizione orale che lo accompagnava), un gesto di virtù agito in prima persona o visto agire da altri nella loro quotidianità. Dal punto di vista educativo questa attività permette ai bambini di riflettere sulla loro esperienza etica, mentre dal punto di vista euristico permette di esplorare come i bambini concettualizzano le virtù a partire dal proprio vissuto, oltre che di comprendere se e come cambia nel corso del tempo la concettualizzazione dell’esperienza stessa.
  • Le vignette sui dilemmi etici. Vengono graficamente rappresentate alcune situazioni, che esprimono differenti possibili risposte a un dilemma etico inizialmente presentato. Ai bambini viene chiesto di descrivere tali situazioni e poi di scegliere quale tra esse rappresenta una scelta compatibile con l’agire virtuoso. Dal punto di vista educativo le vignette intendono incrementare il pensiero etico dei bambini offrendo loro differenti situazioni a partire da cui confrontarsi e ragionare sulle diverse virtù. Dal punto di vista euristico le vignette permettono di comprendere le idee dei bambini sulle singole virtù e i ragionamenti che sviluppano per identificare azioni virtuose nei contesti problematici.
  • Le attività ludiche. Al fine di rendere piacevole l’apprendimento abbiamo inventato per ciascuna virtù uno o più giochi che coinvolgessero i bambini nella riflessione attraverso strumenti non convenzionali. I giochi sono tutti differenti ma accomunati da una valenza educativa, che consiste nel permettere ai bambini di approfondire le loro concezioni delle singole virtù, e da una valenza euristica, che è quella di consentire ai ricercatori di comprendere quali idee sviluppano i partecipanti relativamente a ciascuna virtù.

Senza essere anti-quantitativa, la ricerca naturalistica privilegia metodi qualitativi, ricorrendo all’elaborazione quantitativa quando ciò viene ritenuto necessario (Lincoln e Guba, 1985, pp. 198-199). I metodi qualitativi vengono considerati più adeguati a cogliere l’essenza del mondo umano, dal momento che esso è un mondo di significati e la comprensione dei significati non è garantita da un processo di quantificazione ma richiede la messa in atto di processi interpretativi (Mortari e Ghirotto, 2019).

Tenendo conto del fatto che le questioni educative più significative riguardano dimensioni esperienziali che non sono quantificabili ma solo indagabili qualitativamente, gli strumenti utilizzati nell’ambito del progetto MelArete e precedentemente presentati sono stati pensati per consentire la raccolta di dati qualitativi, per i quali è stato sviluppato un coerente metodo di analisi.

L’analisi dei dati: il metodo meticciato

Esistono due concezioni di metodo: quella formularistica, che lo concepisce come un insieme di indicazioni già decise a priori, e quella emergenziale, che lo concepisce come induttivamente emergente dalla ricerca stessa (Mortari, 2009b). Dalla prima concezione derivano procedure deduttive di analisi dei dati, che vengono letti dalla lente di categorie prestabilite; dalla seconda concezione derivano invece procedure di analisi induttive, che leggono i dati a partire da categorie che emergono dai dati stessi. Un metodo di analisi coerente con la concezione emergenziale è il metodo meticciato (Mortari, 2007; Mortari e Silva, 2018), che unisce aspetti del metodo fenomenologico (Husserl, 2002; Giorgi, 1985; Moustakas, 1994; Mortari, 2007; 2008) con aspetti della grounded-theory (Glaser e Strauss, 1967). Il meticciamento, che è guidato dall’intenzione di adottare quelle procedure epistemiche che si ritengono maggiormente adeguate alla comprensione della singolarità e la specificità del fenomeno oggetto di studio, deve essere condotto seguendo il principio della «libertà rigorosa» (Mortari, 2007), che suggerisce la possibilità di utilizzare aspetti di metodi diversi purché si esplicitino le ragioni delle proprie scelte. Meticciare il metodo fenomenologico con la grounded-theory è epistemologicamente legittimo perché essi condividono alcuni assunti centrali: l’aderenza ai dati per costruire una descrizione quanto più fedele possibile del fenomeno oggetto di indagine; la messa tra parentesi o sospensione di tutte le pre-conoscenze e di tutte le teorie pre-date, così da comprendere l’originalità del fenomeno indagato senza farsi condizionare da ciò che già si sa; la messa in atto di procedure di analisi di tipo induttivo, per mantenere la costruzione della conoscenza radicata nel materiale raccolto attraverso il processo euristico.

Durante il progetto MelArete abbiamo raccolto materiale di tre tipologie: il materiale eidetico, costituito dai pensieri dei bambini rispetto alle domande che chiedono di individuare l’essenza di un fenomeno; il materiale narrativo, raccolto a partire da storie, vignette e giochi che stimolano l’immaginazione; e il materiale esperienziale, costituito dalle riflessioni dei bambini sulla loro esperienza.

Per ciascuna tipologia di attività, seguendo la specificità del materiale raccolto, si costruiscono procedure di analisi ad hoc che rendono operativo il metodo meticciato, i cui passaggi essenziali sono i seguenti: vengono individuate le unità di testo significative, ossia quelle che rispondono alla domanda di ricerca; queste vengono analizzate per cercare il significato che esprimono, che viene sintetizzato in una descrizione primaria, definita «concettualizzazione di significato» (CS); concettualizzazioni che esprimono significati simili vengono poi raggruppate insieme, sotto una formulazione che evidenzia l’essenza di significato comune: in questo modo si elaborano le «concettualizzazioni secondarie» o «categorie» (C).

Un’azione particolarmente utile è quella di annotare eventuali suggestion, ossia le intuizioni interpretative che saranno poi utili al commento dei risultati.

A titolo di esempio riportiamo in tabella 1 il processo di analisi delle definizioni del concetto di cura date dai bambini di 5 anni durante la prima attività del percorso.

Tabella 1

Esemplificazione del processo di analisi secondo il metodo meticciato

PARLANTE

EXCERPT

CS

C

SUGGESTION

Filippo, 5 anni

«Quando sono malato mamma mi dà una medicina che mi piace sempre».

Medicare le persone.

Riparare le ferite.

La cura è qui espressa secondo l’accezione di terapia.

Daniele, 4 anni

«Pure io mi prendo cura dei miei mici. Li tengo in braccio, li riparo».

Proteggere.

Preservare la vita.

I bambini riconoscono la dimensione della cura intesa come procurare ciò che è necessario alla vita.

Al termine del processo di analisi, che viene validato attraverso un continuo ritorno sui dati effettuato da un gruppo di ricercatori che discutono insieme le loro interpretazioni, si elabora un coding system, a partire dal quale formulare una teoria descrittiva dei significati, con l’intenzione di fornire alla comunità educativa e scientifica una comprensione fedele e profonda del pensiero dei bambini coinvolti.

Al fine di rispettare il pensiero dei bambini abbiamo rilevato che alcuni dati risultano sporgenti, cioè irriducibili a qualsiasi categorizzazione: non potendo essere codificati li abbiamo valorizzati nella loro unicità.

Aggiungiamo che l’analisi dei diari non ha seguito solo il metodo meticciato, in quanto si è inteso valorizzare anche l’elemento longitudinale, per rendere conto di come si è sviluppato il pensiero di ogni bambino lungo l’arco del progetto. In questo caso abbiamo introdotto una prospettiva dinamica che guardasse non soltanto al contenuto puntuale dei pensieri ma anche al loro sviluppo nel tempo.

I risultati

Proprio perché caratterizzata da una specifica situazionalità, cioè condizionata dalla specificità del contesto in cui avviene, una ricerca educativa non porta a risultati generalizzabili. Se è vero che non si può pervenire a un sapere dal valore generale è comunque vero anche che quello guadagnato non è soltanto un sapere particolare; si tratta piuttosto di aspirare a un sapere esemplare, che possa supportare e orientare la realizzazione di ricerche analoghe a quella effettuata in un dato contesto (Mortari, 2010, pp. 12-13). Importante, nella pubblicazione dei risultati, è mettere a disposizione della comunità scientifica i dati, affinché possa essere disponibile un bagaglio di evidenze che sostengono le conclusioni a cui si è pervenuti rispetto all’efficacia educativa delle attività proposte.

La ricerca della quale abbiamo brevemente reso conto ha mostrato — dal punto di vista esplorativo — che i bambini sono capaci di raffinato pensiero etico, quando si dia loro voce e li si accompagni con i giusti stimoli e le giuste domande, e — dal punto di vista verificativo — che il progetto MelArete è in grado di accompagnarli in questo. I bambini sanno assumere il linguaggio esistenziale dell’etica, in parole e atteggiamenti, come mostrato sia dalle analisi svolte sulle loro parole che dal racconto delle insegnanti che, nella quotidianità, hanno riferito di profondi e significativi cambiamenti nel linguaggio, nelle posture e nelle relazioni tra gli alunni. I bambini hanno cioè assunto una capacità riflessiva e un vocabolario che li aiuta a orientare la propria esistenza verso la ricerca del bene, un bene che si fa gesto di cura per se stessi, per gli altri e per il mondo in cui abitano. MelArete non porta a conclusioni dal valore generale, ma offre agli insegnanti utili spunti di riflessione e di lavoro educativo, che necessariamente vanno adattati alla classe o alla sezione, nella consapevolezza che i bambini sono capaci di pensare grande.

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1 Dipartimento di Scienze Umane, Università di Verona.

2 Dipartimento di Scienze Umane, Università di Verona.

3 Dipartimento di Scienze Umane, Università di Verona.

4 Università di Verona.

5 Università di Verona.

6 Università di Verona.

7 «MelArete» è un termine che coniuga in sé le due parole che nel greco antico sintetizzano la teoria alla base del nostro progetto: melete, che significa «cura», e arete, che significa «virtù».

Vol. 6, Issue 2, October 2020

 

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