Test Book

Modelli educativi / Educational models

Agire bene la scuola: l’educazione emotiva come competenza trasversale
Acting the school well: emotional education as a transversal competence

Elena Visconti

Ricercatrice confermata c/o Dipartimento di Scienze Umane Filosofiche e della Formazione



Sommario

L’educazione attraversa i sentieri delle emozioni: esse si presentano come esperienze complesse che mediano la relazione tra individuo e ambiente, si configurano come bagaglio che fenomenologicamente giustifica quelle traslazioni significanti che caratterizzano pedagogicamente i processi evolutivi e sanciscono discontinuità ontologica per il farsi persona. Emozionarsi significa aprire la strada all’alterità, all’empatia, al senso di cura. La scuola contemporanea affronta la sfida educativa in una società tecno-complessa e tiene conto della multidimensionalità strutturale e sistemica a cui è sottoposta. Oggi più che mai si ha necessità di fare corrispondere la competenza alla conoscenza per adempiere a un progetto che non è soltanto didattico, istruttivo e formativo, ma si configura anche come un progetto di vita.

Parole chiave

Scuola, emozioni, competenze.


Abstract

The education crosses the paths of the emotions: they are introduced as complex experiences that the relationship mediates among individual and environment, they are shaped as baggage that justifies those translations meaning that characterize a pedagogics evolutionary trials and decides ontological discontinuity to make a person. Arouse emotions means to open the road to the difference, to the empathy, to the care sense. The contemporary school faces the educational challenge in a tecno-complex society and keeps in mind of the structural and systemic more dimensions to which is submitted. Today never necessity is had to make to correspond the competence to the knowledge to carry out to a project that is not didactic, instructive and formative only, but it is a life project.

Keywords

School, emotions, competences.


Un primo sguardo alla natura paradigmatica dell’educazione emotiva

La ricerca pedagogica, nella costante interpretazione della fenomenologia dell’esperienza educativa, ha sempre elaborato riflessioni derivanti dalla storicizzazione degli eventi e da condizioni che ne identificavano il panorama storico-sociale e culturale della Weltanschauung come prodotto del ricco bagaglio del passato e della tradizione. L’educazione del nostro tempo risente di tutte le trasformazioni epocali, avvenute nei corsi e ricorsi diacronicamente tratteggiati dalla storia, e rifrange specularmente questa stessa immagine sulla complessiva dimensione dell’età evoluti­va, relativamente alla categoria concettuale dello sviluppo e a quella della cultura, con ricadute ed effetti sulle dinamiche interne ai sistemi formali e informali della paideia attuale.

Importanti confronti paradigmatici (Kuhn, 1962) volgono lo sguardo verso nuove prospettive metodologiche che lasciano intravedere potenziali risorse nei processi educativi e in tutte quelle forme, teoricamente rispecificate, prossime e contigue ad azioni significative. Proprio per la complessa architettura teorica della pedagogia appare opportuno ragionare intorno all’educazione considerando l’ampia struttura paradigmatica che ad essa appartiene per statuto e che, al tempo stesso, ne sancisce ermeneuticamente continuità/discontinui­tà ontologica ed epistemologica. La costante intersezione, tra paradigmi e strutture, delle scienze garantisce al discorso educativo tali elementi di interlocuzione che determinano il superamento di sistemi “chiusi” e scientificamente aprioristica­mente assunti, restitu­endo significato all’interdipendenza fattoriale e alla multidisciplinarietà.[1]

La dimensione antropologica, di studio e analisi pedagogica, rimane aperta, probabilisti­ca ed incompiuta, o meglio tendenzialmente in grado di compier­si almeno nella generalissima ed universale di­gnità umana. È in questo spazio di osservazione, in­definito e indefinibile, che si incontra la ricerca sull’uomo e sulle “sue” scienze, poste in antitesi semantico-concettuale e per questo generanti senso e discontinuità nell’ottica della valorizzazione delle potenzialità di ogni persona.

La ricer­ca è un processo di verifica e di osservazione dell’accadu­to, sia che essa venga realizzata su di un piano teoretico, sia che essa venga svolta su un piano uno empirico-sperimentale, problematizzando e individuando il focus di interesse scientifico in seno a una vasta realtà conoscitiva, fenomenologica e paradigmatica. Si parla di paradigma quando “l’e­sperimento e la teoria provvisoria si confrontano e si artico­lano l’uno con l’altra”[2] determinando dinamiche di mutevolezza, elementi di conoscenza che si strutturano e si destrutturano, che si costruiscono e si distruggono, in sintesi, che rivoluzionano un’assodata credenza o verità.

L’autore de La struttura delle rivoluzioni scientifiche puntualizza dicendo che: “una volta assimilata la scoperta, gli scienziati erano in grado di spiegare una sfera più vasta di fenomeni naturali e di da­re una spiegazione più precisa di alcuni di quelli conosciuti precedentemente. Ma questo vantaggio veniva raggiunto sol­tanto in seguito all’abbandono di alcune opinioni o di alcu­ni procedimenti precedentemente accettati e, al tempo stes­so, in seguito alla sostituzione di quelle componenti del pre­cedente paradigma con altri […]. Le scoperte […] sono le fonti di questi mutamenti, insieme distruttivi e costruttivi di paradigmi”.[3]

L’opera educativa nell’ampia configurazione di elementi di interdipendenza si riempie di significato e conferisce senso a tutti i processi integralmente rivolti alla persona.[4] Un fondamentale contributo nella ricerca, non trascurabile dopo la necessaria premessa, è offerto da tutte quelle condizioni che si caratterizzano come qualitative e che corrispondono a un sentire pedagogico fatto di emozioni, sentimenti, stati d’animo, che ben compongono il mosaico-uomo soprattutto se educativamente orientato.

L’educazione emotiva attiene a una felice combinazione, non necessariamente simultanea, tra stati mentali e stati emotivi, contemplata proprio da approcci multidimensionali e confermata anche dagli studi sulla Teoria della mente e dalle attuali neuroscienze.[5] In questi studi, realizzati soprattutto nell’ultimo trentennio, ci si propone il superamento della biforcazione tra cognizione ed emozioni approdando alla prospettiva unitaria della totalità: “l’empatia è esperienza radicale che ha caratteristiche di totalità, dove mediazione cognitiva e condivisione affettiva si intersecano”.[6]

Tra emozione e cognizione c’è interdipendenza: sono i processi co­gnitivi a orientare le emozioni, ma queste ultime influenzano la cognizione dando ini­zio, indirizzando o interrompendo l’elaborazione delle informa­zioni. In base all’interpretazione assegnata agli stimoli provenienti dal mondo esterno le emozioni si modificano e variano anche i contenuti cognitivi. Nell’esperienza emotiva ci sono sempre un’ela­borazione cognitiva e una memoria affettiva relativa alla medesima situazione esperita.[7] La memoria delle emozioni che sono già note, e dunque riconosciute, influenza il modo attraverso cui etichettiamo una determinata situazione. Le emozioni non sono altro che il risultato della lunga costruzione sociale che si avvia dall’infanzia attraverso la relazione di attaccamento all’interno delle relazio­ni affettive.[8]

 

La trasversalità della competenza emotiva

Riferirsi alla scuola di oggi significa tenere conto proprio di questa multidimensionalità e di quanto siano complesse le situazioni che ad essa appartengono. Se solo ci si sofferma a pensare quante realtà vitali orbitano attorno al sistema-scuola, si riesce a comprendere quali e quanti sono i sistemi degli affetti e delle emozioni di cui si deve necessariamente tener conto per far corrispondere la competenza alla conoscenza. Assumere competenze ed essere e pronti ad affrontare la vita richiede la capacità di fronteggiare la propria emotività come competenza soggettiva, e quella di riconoscerne l’altrui come competenza empatica, relazionale e sociale.

La competenza emotiva e quella empatica producono ascolto attivo e narrazione delle proprie sensazioni ed emozioni e orientano a un’osservazione non superficiale degli altrui stati, atteggiamenti e comportamenti. Esse preparano alla profondità del “pensare”, investendo sulla non linearità dei processi, di tutti i processi: da quelli personali, a quelli relazionali formali e informali e a quelli più estesi della socialità.

Il compito educativo deve assurgere a una sorta di prossemicità intesa come precognizione della relazione con l’altro e come esito: positivo, paritario, attivo nell’ascolto e che preveda il costrutto complesso dell’essere competenti in un quadro significativo che implichi i saperi, il saper fare, il saper essere e il saper comunicare.[9]

La scuola contemporanea deve ricoprire un ampio ruolo educativo e fornire a tutti e a ciascuno le coordinate utili per rispondere adeguatamente alle richieste di una società complessa, in continua metamorfosi nei suoi scenari globali. Scenari tra loro contrastanti in cui è tenuta, in assetto critico però con se stessa in quanto istituzione pedagogica, ad affrontare un duplice impegno: un primo, teso a garantire una sorta di forma pseudo-aziendalistica e di performance con l’attivazione di competenze multiple spesso sganciate da un ordine complessivo, da una cornice unitaria in senso formativo (bildung); e, un secondo, che si ponga come supporto al disagio socio-relazionale e affettivo degli alunni che, oggi più che mai, lamentano forte sofferenza alla consuetudine scolastica e agli apprendimenti; non contemplando l’idea generare, che forse può perseguire entrambe le vie, di fornire riflessioni eticamente responsabili[10] e di progettare azioni e interventi educativi e didattici volti all’educazione integrale e all’autorealizzazione del soggetto-persona,[11] senza immaginare spazi frammentati, di risoluzione semplicistica, nell’utopia che se ne possano realizzare gli obiettivi. Appaiono molte contraddizioni che fanno capo proprio alla difficile antinomia tradizione/innovazione in cui il sistema scuola, ormai da anni, si trova in balìa, e, “inoltre da una parte si reclama che la scuola ripristini una disciplina rigorosa, dall'altra le si chiede di farsi agenzia di contenimento del disagio giovanile. La società, in altre parole, pone alla scuola esigenze in contrasto, che la mettono in una situazione di “doppio vincolo”: qualsiasi cosa faccia, per qualche verso sbaglia, e viene sommersa da una pioggia di critiche”.[12]

Si possono osservare, dalle ricerche nazionali, i rischi alimentati da tale sistema per bambini e adolescenti a cui la scuola riesce a offrire poco, nonostante la miriade di offerte formative, in una condizione di emergenza che non si annuncia più rispetto al solo apparato scolastico, ma che interessa un più ampio tessuto sociale che vede coinvolte le famiglie e il sistema economico, culturale e struttural-istituzionale nella sua totalità. Una sicura risorsa nonché elemento di congiunzione tra le parti è l’educazione emotiva, proiettata a divenire competenza, che coglie la ricchezza di tale complessità mettendo insieme e attraversando le caratteristiche quali-quantitative: nelle relazioni educative orizzontali e verticali, ma anche, e soprattutto, nei suoi percorsi curricolari.[13] Stesso dicasi per la valutazione dei processi formativi che sta assumendo altra veste rispetto alla prospettiva appena precedente di un cognitivismo tout court, ripiegato alle sole forme prestazionali: “La cultura valutativa entra in questa fase proprio nella costruzione di un raccordo stabile tra formazione e impatto della formazione. Cosa è stato appreso? Cosa è stato applicato in classe di quanto appreso? Quale impatto ha avuto sulle pratiche scolastiche correnti? Quale impatto ha avuto sugli esiti? In aggiunta, un’azione valutativa che sia effettivamente uno strumento di crescita professionale non può limitarsi al controllo del raggiungimento degli obiettivi (goal-based evalution), ma deve essere basata su una pluralità di approcci e di epistemologie di riferimento, quali ad esempio la goal-free evaluation, la responsive evaluation, l’empowerment evaluation, la success case evaluation”.[14]

Competenza trasversale, tra le competenze ordinarie della scuola contemporanea, è proprio la competenza emotiva, alla quale ci si prepara affinché si possano sviluppare alcune abilità pratiche (skills) necessarie per l’autoefficacia (self-efficacy) dell’individuo nelle transazioni sociali che suscitano emozioni (emotion-eliciting social transaction) e che appartengono alla vita, all’aspettativa socio-emotiva e relazionale di ciascuno. [15]

La scuola risulta essere il luogo privilegiato, nella significativa rete di relazioni tra soggetto in età evolutiva, famiglia e sistema ambiente-territorio, in cui assumere il comune patto di responsabilità relativo alla formazione dell’uomo di domani, in sinergia tra azione consapevole, capacità di scelta e raggiungimento del risultato desiderato in una transazione emotiva interpersonale.[16] A sostegno di un progetto condiviso, l’universo scuola ha il compito di proseguire nel cammino di crescita e di educazione avviato dalla famiglia per l’aspetto intellettuale e per quello affettivo, perché riuscire a gestire le emozioni significa promuovere la capacità di leggere e interpretare gli stati emozionali utilizzando abilità con cui è possibile comprendere meglio se stessi e gli altri.[17]

Individuare e costruire le fondamentali basi della competenza emotiva significa riuscire a esprimere, comprendere e regolare le proprie emozioni.[18] Questo processo è connotato anche dalla caratteristica metodologica di un intervento educativo volto a promuovere il benessere socio-emotivo, relazionale e anche motivazionale ed elettivo nell’apprendimento.[19] Nel processo di apprendimento non è coinvolta solo l’area cognitiva, ma anche quella relazionale, quella motivazionale, quella emotiva e quella affettiva. Non si apprende in modo sterile, ma ogni acquisizione appartiene a un range di bisogni, desideri, emozioni, affetti, pregiudizi, ostacoli e risorse del sé.[20] L’esperienza scolastica e di apprendimento è un’esperienza complessa che vive di molteplici sintonie: con l’insegnante, con il gruppo classe, con il tempo, con gli spazi, con gli strumenti di lavoro; ma soprattutto lo è perché non c’è apprendimento che non sia emotivo e denso di vissuti pregressi, infatti “per l’allievo l’apprendimento è innanzitutto un’esperienza emotiva in cui vengono riattivate anche sofferenze legate a stati infantili della mente. L'insegnante dovrà essere in grado di contenere l'angoscia e le ansie dell'allievo nelle vicissitudini emotive che attraversa: “prendendo in sé” anche l’aggressività, l’angoscia, l’ansia, la rabbia, l’inadeguatezza del discente per “metabolizzare” tutto ciò così da restituirglielo “bonificato”. L’allievo allora sperimenterà che tali dinamiche emotive possono essere definite, portate fuori dal proprio mondo interno, condivise e “mentalizzate” ossia trasformate in attività di pensiero”.[21]

In effetti, questa sinergia tra sviluppo intellettuale ed espressione, comprensione e regolazione emozionale si registra come assolutamente favorevole anche per gli aspetti neuropsicologici e psicopedagogici: attenzione, concentrazione, memoria, impegno, applicazione responsabile e autonoma nell’esecuzione di un compito, organizzazione concettuale, strategie di risoluzione di problemi, ed infine, rendimento scolastico.

Promuovere la competenza emotiva a scuola, e dunque, essere preparati, formati nelle abilità interpersonali, riuscire ad assolvere impegni percependo di essere competenti socialmente, prendere decisioni padroneggiando il proprio stato umorale, vivere esperienze positive con coetanei e con gli insegnanti significa agire bene la scuola.

Genitori, insegnanti, educatori e tutti gli operatori dell’universo infantile e adolescenziale osservano quotidianamente, nell’esperienza educativa, questo fenomeno che è anche molto latente e implicito. La prospettiva metodologica qualitativa è quella che maggiormente permette di approfondire la realtà, infatti si raggiunge, grazie ad essa, “il massimo del rigore e il massimo della capacità di descrizione rispetto a eventi complessi, che spesso coinvol­gono anche il mondo delle emozioni”.[22] Il panorama educativo, didattico e formativo richiede osservazioni e informazioni che riguardano molto spesso alcuni aspetti dell’interiorità e si ravvisa la necessità di cogliere il vissuto emotivo, internamente alle dinamiche individuali, dei gruppi e delle relazioni amicali e/o istituzionali, che diventa risorsa per chi si appresta all’analisi di situazioni complesse.

Sono in gioco le emozioni, i sentimenti, gli amori, i vissuti di gratificazione e benessere o di mortificazione, le espe­rienze di vita, singole e socio-relazionali, che modellano l’esistenza e la sua stessa trascendenza in senso ermeneutico e fenomenologico segnando la sorte dell’empatia del nostro tempo.[23] In tale prospettiva “la pe­dagogia fondamentale però ci guadagna, in quanto riflessio­ne sulla natura specifica dell’empatia condotta innanzitut­to secondo il principio di determinazione, se come punto di avvio vengono assunte piuttosto le analisi svolte nell’ambito degli studi di psicologia della conoscenza e delle emozioni; di psicologia sociale e della personalità; e di psicologia del­lo sviluppo. La ragione di questa proposta risiede nella con­vinzione spontanea assunta da queste discipline psicologi­che come un’evidenza elementare che l’empatia sia un com­portamento umano universale, una dote che in qualche mo­do la natura dà a ogni uomo. Con l’empatia, pertanto, non è solo questione di un “metodo”; si tratta piuttosto (soprat­tutto) di una verità (è evidente il riferimento a H.G. Gada­mer Verità e metodo) che non a caso induce molti a parlarne come capacità “innata” e comunque “connaturale” all’esse­re umano”.[24]

 

Il metodo empatico per agire bene la scuola

Una modalità pedagogica che voglia abbracciare nella sua ampia prospettiva conoscitiva non solo le azioni o le funzioni, ma anche l’“animo umano”, esige un metodo empatico che rintracci quel diffici­le punto di mediazione tra ciò che è rigidamente misurabi­le e ciò che invece non può essere così limitatamente giusti­ficato.

L’aspetto emotivo-empatico risul­ta essere trasversale allo studio che si rivolge all’educazione ed è registrabile come dato significativo e chia­ve di lettura determinante nei processi evolutivi, formativi e psico-pedagogici. I dati dell’emotività e quelli relativi all’empatia, una volta tradotti in parametri, categorie ermeneutiche e classificati, possono orientare molto meglio anche l’interpretazione dei dati quantitativo-statistici emersi.

Dopo Dilthey e Heidegger, ma anche dopo Gadamer e Ricoeur, la razionalità adeguata a intendere i concreti eventi di senso che in un contesto storico determinano, configurano una determinata figura dell’esistenza, è l’ermeneutica. Applicata al nostro tema, la riflessione ermeneutica assume la concreta azione educativa, il “quasi-testo”, come suo oggetto proprio e adeguato. Riflessione eminentemente pratica, pertanto, essa istituisce un “dialogo” con la precomprensione della pedagogia spontanea; e, articolandola, la reinterpreta criticamente in una nuova comprensione che consenta di vedere in modo più adeguato (in modo meno inadeguato) l'essenza. Un'ermeneutica dell'empatia come evento di senso è pertanto scienza dialettica in senso proprio […]”.[25]

L’empatia si fonda come fenomeno umano ed è recentemente diventata oggetto d’indagine scientifica nella ricerca, ormai non solo più psicologica e delle scienze umane bensì bio-neuro-fisiologica, anche se assume un significato storicamente rilevante nell’estetica tedesca di fine Ottocento, per i quali studi Einfuhlüng sintetizza l’idea della contemplazione del bello nelle opere d’arte.[26]

La pedagogia, sulla scorta delle riflessioni della psicologia e della psicoanalisi, ha necessità di riconoscere nel processo empatico un metodo che andrebbe a favorire la relazione educativa anche come relazione d'aiuto. L’empatia come virtù e come caratteristica peculiare della persona è stile eminentemente umano.

Avere consapevolezza emotiva e stile empatico forma al riconoscimento dell’altro, la verità del metodo è la scoperta della persona nella conquista della dimensione dell'esistenza autentica.[27] L’empatia traduce la capacità di proiettare se stes­si in ciò che è altro da sé in modo da comprendere l’altro attraverso un processo di immedesi­mazione, in cui la cultura dei sentimenti si pone come materia­le psichico dei valori che si proiettano nella civile convivenza e nella comunità educante.[28]

Una delle più importanti interpreti della verità come autentica compenetrazione emotiva è E. Stein, la quale identifica l’empatia con “un ge­nere di atti nei quali si coglie l’esperienza vissuta altrui” e ne riconosce dapprima un “individuo psicofisico” e successivamente una “persona spiri­tuale”. Con Scheler questi atti as­sumono perce­zione interiore, o meglio, sperimentazione interiore della realtà: <[29]

Le recenti ricerche di neurofenomenologia non si discostano molto dalle considerazioni filosofiche espresse nel Secolo scorso, ovviamente, però, calate sulla scorta di risultati scientifici oggettivi relativi allo studio della mente. L’empatia è intesa, dunque, come stato individuale, relazionale e sociale e appartiene a chi è affettivamente consapevole e si può considerare come categoria complessa dell’affettivi­tà e della relazionalità. “In sostanza, la nostra capacità di empa­tizzare dipende dal sistema del “sentirsi corporeo” (omeosta­si e rappresentazione degli stati interni corporei) e dallo svi­luppo del sé come entità affettiva. […] L’empatia si manife­sta in diversi modi. Alcuni di questi sono involontari e incon­sapevoli, altri dipendono dall’attivazione di processi cogniti­vi ed emotivi (immaginazione, anticipazione) che non sem­pre si completano con la condivisione dell’altrui stato emo­tivo. L’empatia non è semplicemente una risonanza emotiva tra l’io e l’altro. Per sentire/conoscere l’altro come soggetto di esperienza sono necessarie: consapevolezza di sé affettiva e cognitiva (se non mi sento una persona, non posso attribuire all’altro la qualità di persona) e conseguente distinzione tra sé e l’altro, la quale permette anche di modulare le emozio­ni in prima o in seconda persona. […] l’empatia è un model­lo di esperienza complesso, che nasce e si fonda su una rela­zionalità e interdipendenza originaria e inconsapevole, e ma­tura attraverso attività che coinvolgono la percezione, la me­moria, l’affettività e operazioni cognitive”.[30]

L’empatia è una fondamentale risorsa umana ed è, contestualmente, una competenza socio-emotiva che trasversalmente incrocia gli ambiti dell’educazione, dell’istruzione, dell’apprendimento, della formazione e della socializzazione. Essa è habitus comportamentale e stile mentale, attraverso l’atteggiamento empatico si coglie e si costruisce l’esperienza significativa dell’educazione dell’uomo.

Tale esperienza significativa è collegata ai con­testi in cui si agisce, agli ambienti di apprendimento e alla cultura come salvaguardia, tutela e cura dell’ecosistema.[31] L’atto empatico è da ritenersi come complessiva in­terpretazione del mondo che trascrive le risonanze interiori in rappresentazioni linguistiche e sociali in cui sono presenti emotività, affettivi­tà, relazionalità, cognitività e veicolazione di senso.

Verso un’ermeneutica delle emozioni: la narrazione come catarsi educativa

L’analisi finora condotta rintraccia la via narrativa di un racconto che è il proprio racconto interiore, in prossimità con il racconto altrui. L’incontro di queste comunicazioni profonde permette di regolare e rivisitare, a livello metacognitivo, le emozio­ni vissute attribuendo significato all’esperienza e all’educazione. Quest’ultima traiettoria ermeneutica della competenza emotiva permette di ridescrivere il proprio racconto rispetto alle esperienze realizzate e consente di portare a razionalità fenomeni che almeno nella percezio­ne si traducono in sensazioni poco riconoscibili, rimandan­do al pensiero e alla riflessione, come stati mentali ed elaborazioni cognitive, elementi su cui è possibile inter­venire razionalmente. Educare all’emotività è, infatti, un impegno pedago­gico imprescindibile che va perseguito proprio per potenziare le azioni pedagogiche. L’esperienza emotiva, vissuta ed elaborata, si sviluppa in un racconto che divie­ne atto di costruzione e ri-costruzione della propria storia, in virtù al valore che le emozioni hanno assunto per la persona che le interpreta. L’ipotesi di verbalizzare, esplicitare, narrare le emozioni nel racconto autentico del sé, in relazione educativa tra “sé docente” e “sé discente”, rende suggestiva la complessa configurazione della scuola contemporanea che tenta di recuperare frammenti dispersi a vari livelli di gestione e organizzazione didattica, istruttiva, formativa e anche relazionale.

La narrazione delle emozioni diviene centrale non solo per gli aspet­ti cognitivi, ma soprattutto per il valore di scambio sociale, infatti, può essere assunta come prezioso strumento in quanto capace di veicolare si­gnificati comuni, aumentando così la coesione del gruppo e l’assunzione di valori condivisi per il forte coinvolgimen­to affettivo ed emotivo dell’interlocutore e per la descrizione dei vissuti, dei sentimenti e delle emozioni. “Il richiamo alla narrazione prelude l'ipotesi di una narrazione educativa delle emozioni, dei propri vissuti, che non sia semplicemente un parlare di sé: piuttosto un dispositivo educativo, discorso e dialogo di qualità, intenzionali e orientati [...]. Essa muove e fa leva sulle capacità della persona di elaborare processi ermeneutici, autoriflessivi e riflessivi sulla propria esperienza per scambiarli con altri, arricchirli mediante una reciproca e profonda negoziazione di una co-costruzione di senso, di cambiamento e di sviluppo”.[32]

L’implicito dell’uomo si risolve quasi in toto in quest’atto autentico del narrare e del narrarsi emotivamente, ed è attraverso di esso che l’educazione prende forma esplicita, espressa di un sé vagabondo nelle piegature dell’anima e di cui l’uomo necessi­ta per conoscersi, per essere e per saper essere. Il racconto appartiene all’uo­mo ed è sempre un racconto intriso di sentimenti, la sua forma autentica e inesauribile del dare, a se stes­so e agli altri, lo rende categoria pedagogica per eccellenza.[33] La narrazione emotiva si compie in un racconto aperto, incompiuto, indecifra­bile che incontra lo spazio dell’alterità quale cifra universale di un pedagogico sentire. Il trasporto emotivo del racconto di sé trascende il reale nella possibilità di modificarlo in maniera catartica come liberazione dei conflitti interiori, vere resistenze al cambiamento e alla potenziale dedizione-disponibilità di occuparsi di sé, di aver cura e di autorealizzarsi come persona.

La narrazione/rimemorazione dei propri vissuti e la connessa educazione emotiva, in vista di una competenza, sono il preludio di una pedagogia che si interroga, riflette problematizzando non restando mai in superficie e che fronteggia le difficoltà del nostro tempo e di chi, in questa società, tenta di crescere, di formarsi e di essere educato per diventare persona degna e responsabile per il proprio e per l’altrui sentire.

 

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[1] Cfr. T. Kuhn, The structure of Scientific Revolutions, Chicago, University of Chicago Press, 1962. Trad. it., La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Torino, Einaudi, 1969.

 

[2] T. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, op. cit., p. 85.

[3] T. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, op. cit., p. 90.

[4] Cfr. D. Bruzzone, Farsi persona. Lo sguardo fenomenologico e l’enigma della formazione, Milano, FrancoAngeli, 2012.

[5] Cfr. M. Armezzani, G.F. Bosio, C. Cerri e M. Lenoci, Intenzionalità ed empatia. Fenomenologia, psicologia, e neuroscienze, Roma, OCD, 2008.

[6] R. Cerri, Empatia e comunicazione familiare, “La Famiglia”, marzo-aprile 2001, p. 42.

[7] R. Lazarus, Emotion and adaptation, New York, Oxford University Press, 1991.

[8] Cfr. J. Bowlby, Attachment and loss, voll. 1-2-3, New York, Basic Books. Trad. it., Attaccamento e perdita, voll. 1-2-3, Torino, Boringhieri, 1980; M. Ainsworth, Modelli di attaccamento e sviluppo della personalità, Milano, Raffaello Cortina, 2006, ed. or. 1972.

[9] Cfr. M. Gallerani, Prossimità inattuale. Un contributo alla filosofia dell’educazione problematicista, Milano, FrancoAngeli, 2015.

[10] H. Jonas, Il principio responsabilità. Un'etica per la civiltà tecnologica, a cura di P.P. Portinaro, Torino, Biblioteca Einaudi, 2002, ed. or. 1979.

[11] Cfr. G. Acone, L’orizzonte teorico della pedagogia contemporanea, Salerno, Edisud, 2005.

[12] M. Baldacci, La dimensione emozionale del curricolo. L'educazione affettiva razionale nella scuola, Milano, FrancoAngeli, 2008, p. 8.

[13] M. Baldacci, La dimensione emozionale del curricolo. L'educazione affettiva razionale nella scuola, Milano, FrancoAngeli, 2008, p. 8.

[14] R. Trinchero, Per una nuova cultura della valutazione della formazione scolastica. In Ripensare la scuola nella società di oggi. La formazione degli insegnanti, “Pedagogia oggi”, n. 2, 2015.

[15] Cfr. C. Saarni, The development of emotional competence, New York, Guilford Press, 1999.

[16] Cfr. Saarni, The development of emotional competence, op. cit.

[17] Cfr. D. Kindlon e M. ThompsonIntelligenza emotiva per un bambino che diventerà uomo, Milano, Rizzoli, 2000, ed. or. 1999. 

[18] Cfr. S.A. Denham, Emotional development in young children, New York, Guilford Press, 1998.

[19] E. Visconti, Processi educativi e apprendimento elettivo, Lecce, Pensa, 2011.

[20] E. Visconti, Processi educativi e apprendimento elettivo, Lecce, op. cit.

[21] R. Pergola, L’inconscio a scuola. Aspetti emotivo-affettivi nella relazione educativa e scolastica, “International Journal of Psycoanalysis and Education – IJPE”, vol. 1, n. 1, 2006.

[22] S. Mantovani, La ricerca sul campo in educazione. I metodi quali­tativi, Milano, Bruno Mondadori, 1998, p. viii.

[23] Cfr. A. Bellingreri, Per una pedagogia dell’empatia, Milano, Vita e Pensiero, 2005.

[24] A. Bellingreri, Per una pedagogia dell’empatia, op. cit., p. 57.

[25] A. Bellingreri, Per una pedagogia dell’empatia, op. cit., p. 233.

[26] Cfr. Th. Fr.Vischer, Il simbolo. In A. Pinotti (a cura di), Estetica ed empatia. Antologia, Milano, Guerini e Associati, 1997.

[27] Cfr. H.G. Gadamer, Wahrheit und Meghode: Grundzuge einer philosophischen Hermeneutik, Tubingen, Mohr. Trad. it., Verità e metodo, Milano, Bompiani, 1983, ed. or. 1960.

[28] Cfr. J. Rifkin, La civiltà dell’Empatia, Milano, Arnoldo Mondadori, 2010.

[29] M. Scheler, La posizione dell’uomo nel cosmo ed altri saggi”, trad. a cura di Rosa Padellaro, Milano, Fratelli Fabbri, 1970, pp. 193-194, ed. or. 1928.

[30] M. Cappuccio (a cura di), Neurofenomenologia: le scienze della mente e la sfida dell’esperienza cosciente, Milano, Bruno Mondadori, 2006, p. 86.

[31] G. Bateson, Verso un’ecologia della mente, Milano, Adelphi, 1976, ed. or. 1972.

[32] D. Aimo, Tra emozioni, affetti e sentimenti. Riflessioni pedagogiche, prospettive educative, Milano, EduCatt, 1999 p. 157.

[33] Cfr. D. Demetrio, Manuale di educazione degli adulti, Roma-Bari, Laterza, 1997.




Autore per la corrispondenza

Elena Visconti
Indirizzo e-mail: eviscont@unisa.it
Università degli Studi di Salerno, Via Giovanni Paolo II, 132 80484 Fisciano (SA)


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