Test Book

Teorie e modelli didattici / Theories and teaching models

Lo sviluppo delle competenze, una proposta operativa
The development of competences, an operational proposal

Silvia Fioretti

Assegnista di ricerca



Sommario

L’articolo si pone l’obiettivo di indagare una prospettiva per lo sviluppo delle competenze in ambito educativo, in particolare scolastico, attraverso la predisposizione di contesti di apprendimento connessi a situazioni problematiche autentiche e funzionali. Tali situazioni problematiche si sviluppano in più fasi ricorsive, da quelle più complesse e articolate che esigono la combinazione di diverse procedure, a quelle maggiormente scomposte negli elementi costitutivi basilari e che presentano consegne esplicite. Si ritiene che porre a confronto gli studenti con situazioni prima complesse e vaste poi scomposte negli elementi costitutivi, anche attraverso proposte ricorsive, possa favorire un’appropriazione progressiva e completa delle conoscenze e delle abilità costitutive la competenza promossa e contribuire alla sua piena e significativa acquisizione.

Parole chiave

Competenze, Situazioni problematiche, Contesti di apprendimento, Teorie e modelli didattici.


Abstract

The article aims to investigate a perspective in the development of competences for education, within a school environment, by setting up genuine and functional problematic learning situations. These situations develop in various recursion phases, from those that are more complex and articulated, requiring a combination of various procedures, to the ones that are more disconnected in their basic constituent elements and have explicit assignments. We maintain that exposing students to situations that are initially complex and varied, becoming then disconnected in their constituent elements, also through recursion proposals, can favour a progressive and complete appropriation of knowledge and abilities comprising the recommended competence, and can contribute to the full and meaningful acquisition thereof.

Keywords

Contexts for Learning, Competences, Problem areas, Theories and teaching models


 

Il concetto di competenza

Il concetto di competenza sembra essere pervasivo nel mondo dell’educazione e della formazione. Diversi documenti normativi formulano in questi termini gli impegni degli allievi nei diversi momenti di scolarità e i «bilanci di competenze» contrassegnano la formazione professionale non solo degli insegnanti. Questa presenza molto diffusa del concetto di competenza non ha garantito ancora un consenso reale e condiviso da parte dei protagonisti dell’insegnamento e della formazione. È possibile, in termini generali e come prima approssimazione, individuare due schieramenti, quello dei sostenitori all’approccio per competenze e quello degli oppositori.

I sostenitori ritengono che i percorsi formativi non possono disinteressarsi di quello che un individuo, o futuro cittadino, deve essere capace di fare nella società odierna: essere in grado di difendere i propri diritti, saper assumere decisioni, saper utilizzare le tecnologie informatiche, essere capace di prendere posizione nei confronti dei grandi problemi della contemporaneità, essere capace di interpretare criticamente i messaggi comunicativi, individuando così delle competenze da acquisire necessariamente, e in modo complementare, alle discipline scolastiche.

Gli oppositori sostengono che organizzando gli apprendimenti scolastici secondo delle competenze utili per la vita inevitabilmente e drasticamente si riduca lo spazio dei saperi formativi e delle conoscenze disciplinari rischiando di far acquisire delle ricette per la vita, in una prospettiva esclusivamente utilitarista, e di privare gli allievi di quello che permette di accedere veramente al mondo della conoscenza.

Nell’ambito della formazione professionale la questione diventa ancora più articolata. I difensori del concetto di competenza insistono sul fatto che l’acquisizione delle conoscenze disciplinari non possa garantire una buona competenza professionale e che si abbia uno scarto incolmabile fra teoria (i saperi disciplinari astratti) e pratica (le competenze in azione). Ritengono quindi sia necessario costruire dei curricola di formazione fondati non sulle discipline ma attorno a delle competenze che siano effettivamente professionali e che si possano osservare e acquisire mentre sono in azione. Ad esempio, i percorsi di alternanza scuola lavoro si organizzano in questa direzione. Gli oppositori evidenziano la non opportunità di organizzare la formazione professionale sulla base delle competenze richieste dal mondo imprenditoriale, destinate a rapidi cambiamenti e sostituzioni. Ritengono che il futuro professionale debba essere sostenuto da conoscenze disciplinari, adottando un sguardo critico sulle pratiche imprenditoriali e sulle tradizioni professionali, non dimenticando di prendere in carico le dimensioni politiche, etiche, sociali.

Le due posizioni si confrontano anche con altre questioni, ad esempio, quella dei cosiddetti «saperi inerti» (Crahay, 2006). Tanti studenti dimostrano la conoscenza di contenuti disciplinari nel momento in cui sono sottoposti a compiti scolastici tradizionali, dove viene loro direttamente chiesto di impiegare nozioni e procedure specifiche, ma incontrano difficoltà quando si trovano di fronte a problemi anche di vita quotidiana, o di compiti scolastici per i quali è richiesta un’elaborazione autonoma o un impiego diverso e nuovo delle conoscenze e abilità apprese. Osserviamo frequentemente allievi che sono capaci di ripetere enunciati e compiere azioni in risposta ad una domanda ma hanno delle difficoltà nel momento in cui chiediamo loro, di propria iniziativa, di usare gli elementi appresi in compiti più ampi (risolvere dei problemi, scrivere testi, ecc.). Consegne e indicazioni dirette sui compiti e sulle attività da svolgere conducono, in larga maggioranza, al successo mentre, se la situazione presentata è complessa e la consegna di lavoro aperta o indiretta aumentano le difficoltà nel riconoscere le operazioni da attivare. Ed è purtroppo rilevante anche il numero di giovani e di adulti che presenta difficoltà di fronte alla risoluzione di compiti anche apparentemente semplici ma presentati in modo diverso rispetto alle modalità scolastiche più tradizionali.

Da questo punto di vista sembra che la ricerca educativa debba affrontare il problema del progressivo allontanamento tra la scuola, con le sue proposte puntuali e le sue conoscenze disciplinari e specifiche, e le esperienze di vita dove le conoscenze vanno impiegate in modo consapevole e finalizzato, attribuendo loro un significato e un’efficacia risolutiva per le situazioni problematiche.

Il concetto di competenza è, in questo senso, interessante in quanto invita a superare il registro della sola enunciazione delle conoscenze e delle procedure basilari a favore di un loro utilizzo più ampio e complesso. Meirieu e Develay (1992), sostengono che i docenti devono far conoscere agli allievi i campi di possibile applicazione del percorso o della procedura insegnato, perché una competenza comporta non soltanto una conoscenza e un’abilità ma anche, intrinsecamente, la determinazione delle possibili situazioni nelle quali potrà essere messa in campo. Ogni volta che un docente presenta agli allievi degli elementi di conoscenza che possono tradursi in percorsi deve indicare loro l’ambito, o la famiglia di situazioni, in cui questo percorso è efficace. Far conoscere agli studenti i diversi campi di applicazione nei quali questi elementi potrebbero trovare il loro spazio sembra essere essenziale alla costruzione e allo sviluppo della competenza. Non è chiaro, però, se sia sufficiente il confronto diretto con delle situazioni concrete e complesse per garantire la costruzione di un agire competente.

Approcci situazionali e complessi vs. approcci cognitivi ed espliciti

Il dibattito fra sostenitori e oppositori al concetto di competenza e la questione dei «saperi inerti” può appoggiarsi sul confronto fra due posizioni classiche della pedagogia, quella che contrappone l’approccio socio-costruttivista all’approccio cognitivo di matrice neo-comportamentista contemporaneo.

L’approccio socio-costruttivista, in estrema sintesi, spiega l’apprendimento a partire dall’esperienza contestuale, ai compiti complessi e alle situazioni scarsamente strutturate, dove gli allievi si confrontano con il contesto, riconoscono problemi, si scontrano con ostacoli epistemici, riflettono sulle risorse cognitive di cui dispongono, possono riorganizzarle, integrarle e ampliarle. In questo caso è compito dell’insegnante allestire ambienti e situazioni di apprendimento caratterizzate da compiti complessi e sfidanti, in grado di stimolare la curiosità e l’interesse dei discenti, organizzando le risorse oggettive e apprenditive necessarie. Secondo questo approccio, grazie all’esperienza diretta e all’azione in situazione, l’allievo può appropriarsi di apprendimenti specifici, in modo significativo, stabili nel tempo proprio perché acquisiti attraverso la sperimentazione diretta.

L’approccio cognitivo di matrice neo-comportamentista, con grande approssimazione, vede gli apprendimenti scolastici caratterizzati da una struttura gerarchica e progressiva, che procede dall’acquisizione consolidata di apprendimenti di base verso elementi più complessi. Le carenze sono imputabili a lacune degli apprendimenti precedenti. I traguardi formativi sono scomposti in conoscenze e abilità e i percorsi formativi seguono la logica della pianificazione dal semplice al complesso. L’insegnante guida la progressione degli apprendimenti, organizza la strutturazione adeguata dei compiti, modella e sostiene l’apprendimento in modo graduale e organizzato di conoscenze, abilità e processi attraverso la memorizzazione e il transfer sia orizzontale (fra situazioni diverse di complessità simile) sia verticale (fra abilità e conoscenze dalle più semplici alle più complesse come il problem solving o il pensiero divergente).

Quindi, si sviluppano competenze attraverso il coinvolgimento in situazioni autentiche e complesse oppure avvicinando le conoscenze per mezzo di elementi preventivamente illustrati e chiariti, strutturati dall’insegnante?

La risposta non può essere, evidentemente, univoca e deve confrontarsi con la problematicità del costrutto di competenza.

Le competenze si appoggiano a delle risorse (conoscenze e abilità) per rispondere a dei compiti o a delle situazioni e, tramite queste, si fa riferimento al sapere (le conoscenze), al saper fare (le abilità) e al saper pensare (le disposizioni, le attitudini, la riflessività, ecc.). Una constatazione, forse ovvia, mostra che non si diventa competenti per sola accumulazione di conoscenze e abilità. Si mostra competenza quando si risponde, in modo efficace cioè risolutivo, ad una situazione problematica, anche inedita, attraverso la mobilitazione consapevole e intenzionale delle conoscenze e della abilità possedute. È la mobilitazione, consapevole e intenzionale, delle conoscenze e delle abilità possedute a caratterizzare la competenza e il suo sviluppo (Baldacci, 2010).

L’azione competente efficace non può prescindere dalla padronanza delle conoscenze e dalle abilità ma il solo possesso non è sufficiente per passare alla risoluzione delle situazioni problematiche complesse. In questi casi non si tratta di individuare una risposta univoca ma si tratta di determinare quali elementi utilizzare in una situazione data con possibilità risolutive infinitamente diverse. Gli oggetti e le situazioni sono irriducibili ad un modello definito e non è possibile identificare un algoritmo di risoluzione. Nella prospettiva di sviluppo delle competenze si tratta di selezionare le procedure automatizzate più convenienti e di utilizzarle per combinarle in un compito originale. All’interno dell’esecuzione, in risposta ad una domanda implicita, è la scelta della procedura adeguata fra le tante possibili a far compiere il salto qualitativo. Una competenza autentica non richiede la messa in atto di una risposta automatizzata come risposta ad un segnale ma la «mobilitazione” delle differenti «risorse” per rispondere a una situazione che è allo stesso tempo complessa e inedita. La situazione è inedita in quanto le operazioni da effettuare non sono mai le stesse ed è complessa in quanto richiede la messa in atto di diverse procedure e di differenti elementi di conoscenza. Un individuo competente, all’interno di un ambito, non deve essere solo capace di effettuare delle operazioni elementari nell’ambito del proprio dominio ma è necessario che sia capace di decidere da solo quali operazioni mettere in campo per rispondere ad un’operazione non consueta.

Acquisire delle competenze richiede innegabilmente la messa in atto di attività. Queste attività hanno delle caratteristiche particolari, non si tratta soltanto di mettere un principiante a confronto con delle situazioni di esercizio ma, affinché sia riconosciuto come competente, o possa avanzare nella conquista progressiva della competenza, è necessario che investa la situazione di altre cose che non si trovano nell’esperienza individuale. La competenza non è una somma di conoscenze e abilità. Come afferma Le Boterf (2008, p. 17): “Esiste una dinamica interattiva fra gli elementi che la costituiscono”. Assemblare gli elementi in un ordine via via sempre più complesso, attraverso degli aggiustamenti progressivi delle conoscenze e delle abilità di cui si dispone e delle caratteristiche della situazione contribuisce a costruire la situazione come un problema aperto. L’assemblaggio degli elementi costitutivi non risponde soltanto ad un’esigenza di sintesi cognitiva, cioè in una ricerca di legami tra differenti contenuti come fatti, concetti, regole, ecc... Si tratta piuttosto di rielaborare, in un’attività di integrazione, elementi che erano inizialmente separati cercando una loro interdipendenza attraverso la coordinazione e il funzionamento articolato, in funzione di un dato obiettivo come avviene nell’agire esperto (Roegiers, 2004).

Per permettere agli allievi di giungere alla comprensione e all’identificazione dei legami razionali e logici esistenti fra gli elementi della situazione sembrano essere necessarie diverse componenti. Fra queste: creare l’abitudine a confrontarsi con modalità pratiche e attive, complesse e aperte per favorire la problematizzazione nell’azione competente e la ricerca di percorsi originali e nuovi di soluzione; rendere progressivamente sempre più chiaro ed evidente il percorso di formulazione di ipotesi risolutive ed esplicative dei dati empirici; esplorare le condizioni di possibilità delle soluzioni, attraverso il confronto, anche critico e guidato, delle ipotesi o degli itinerari di soluzione; interpretare correttamente la situazione, cioè isolare gli elementi pertinenti e trascurare gli altri.

Due momenti formativi sembrano essenziali per giungere allo sviluppo della competenza: innanzi tutto per attivare la competenza è necessario il possesso, stabile e consolidato, potenzialmente mobilitabile, degli elementi che la costituiscono, quindi di nozioni, schemi logico-operativi, disposizioni personali, conoscenze e abilità; in seguito è necessario abituare gli allievi a delle pratiche di confronto e di attività operativa di aggiustamento fra tutti questi elementi e le situazioni. Nel contesto scolastico si tratta, attraverso delle simulazioni, di far confrontare gli studenti con dei compiti complessi e aperti, guidarli con richieste opportune a interrogarsi su quali conoscenze a abilità far affidamento per trovare una soluzione.

La proposta operativa che costituisce l’obiettivo del contributo vede quindi, in seguito alla iniziale e necessaria acquisizione delle conoscenze e delle abilità, secondo un processo che va dal semplice al complesso, l’attivazione della situazione problematica complessa e aperta seguita dalla progressiva scomposizione degli elementi costitutivi nei compiti specifici. Si intende combinare attività di carattere complesso, basate sulla proposta di situazioni problema aperte, autentiche, funzionali, contestualizzate con attività più strutturate finalizzate a garantire le acquisizioni di base necessarie allo sviluppo di una certa competenza o meglio ad affrontare la mobilitazione delle conoscenze e delle abilità acquisite per risolvere una situazione problematica. Lo scopo è far emergere la struttura logica, il legame causale e fattivo che collega gli elementi della questione problematica connettendoli con le conoscenze e le abilità elementari possedute.

Una proposta operativa in tre fasi

Un’indagine piuttosto interessante, curata da Rey e collaboratori (Rey et ali, 2006), prende in esame la costruzione di prove di valutazione delle competenze, destinate a studenti di circa otto e dodici anni, per controllare l’acquisizione di alcune delle competenze previste dal curricolo di istruzione e per sperimentare un valido modello di valutazione congruente con la promozione delle competenze in ambito educativo. In questa indagine la nozione di competenza evidenzia un carattere processuale, costruisce risposte di fronte a compiti complessi e si sviluppa per gradi, partendo dall’acquisizione di apprendimenti più semplici. Le prove di valutazione, giungendo al termine del percorso di acquisizione che va dal semplice al complesso, prevedono una prova che pone a confronto gli allievi con un compito complesso, articolato e autentico. Lo scopo dichiarato non è soltanto la verifica delle competenze finali quanto, piuttosto, quello di individuare il grado di acquisizione delle competenze soprattutto nel caso di difficoltà e problemi di apprendimento. Non si tratta soltanto di un controllo sulla buona riuscita in un compito complesso. La proposta valutativa si struttura in tre fasi, seguendo la logica che va dal complesso al progressivamente scomposto negli elementi costituenti.

Fase 1 Si chiede agli allievi di risolvere un compito complesso e globale, che impone la scelta e la combinazione di un numero significativo di conoscenze che si ritiene gli studenti debbano possedere alla fine di un percorso scolastico. In questa fase la competenza è intesa in senso «forte”, come capacità di mobilitare le proprie risorse, combinandole anche in modo originale, per risolvere efficacemente situazioni problematiche e inedite. È utile che il compito sia pluridisciplinare e funzionale, si riferisca cioè a situazioni reali. In questa prima fase viene interessata una competenza articolata, ad esempio la soluzione di un problema reale per fare emergere l’attitudine a scegliere, in una situazione nuova e complessa, i tratti pertinenti che indicano che si sono scelte e si sono combinate in modo originale delle procedure conosciute.

Fase 2 Trattandosi di un percorso sperimentale che non intende soltanto valutare il successo o l’insuccesso degli allievi ma soprattutto acquisire informazioni sulle difficoltà incontrate nello sviluppo delle competenze vengono nuovamente proposti gli stessi compiti, in una seconda fase, agli allievi. Questa volta i compiti complessi sono scomposti in compiti basilari in cui le consegne sono esplicite e sono presentate nell’ordine in cui devono essere risolte per giungere alla realizzazione del compito complesso globale della prima fase. È compito dell’allievo, in ogni compito elementare, determinare le procedure e mettere in atto prima quelle che pensa di possedere e che riconosce come adatte allo scopo. Si tratta di una competenza elementare attuata in un contesto specifico, corrisponde all’attitudine a scegliere la procedura corretta che corrisponde a un compito semplice, richiama apprendimenti specifici. La seconda fase è presentata all’allievo in modo scomposto, sotto forma di un compito con un insieme di indicazioni supplementari che sono fornite e che richiede di organizzare la procedura di base. L’allievo viene così liberato dalla difficoltà di analizzare da solo la situazione complessa di partenza e dal problema di costruire autonomamente l’ordine delle operazioni. Per ogni compito parziale lo studente resta però ancora autonomo nel determinare la procedura più utile.

Fase 3 In ultima fase si propongono agli allievi una serie di compiti semplici e decontestualizzati, in cui le consegne sono quelle che sono utilizzate ordinariamente nell’apprendimento delle procedure elementari che vengono proposte tradizionalmente a scuola e che hanno la caratteristica di esercizi scolastici (scrivere delle parole, effettuare operazioni matematiche, accordare il verbo al soggetto, ecc.). Questi compiti permettono di valutare le procedure e l’automatismo raggiunto dagli allievi, di discriminare se eventuali difficoltà ancora riscontrate nella seconda fase siano da ricondurre all’incapacità di interpretare un nuovo compito riferendolo ad una procedura conosciuta o, forse, sino da imputare ad una lacuna o ad una pessima padronanza delle operazioni basilari richieste. Questi compiti corrispondono alle procedure elementari (conoscenze e abilità) che devono essere mobilitate per risolvere i compiti complessi della prima fase.

Gli esiti della sperimentazione, dichiarati da Rey e collaboratori (2006), mettono in evidenza alcune considerazioni fondamentali.

In primo luogo, e si tratta di una evidente constatazione, la maggior parte degli allievi, indipendentemente dall’età, incontra difficoltà nell’affrontare compiti complessi mentre il tasso di successo aumenta con il passaggio alle fasi successive caratterizzate da progressiva scomposizione. Chiaramente gli allievi riescono meglio nella seconda fase dove si propone loro di affrontare compiti scomposti e si chiede di scegliere la procedura che corrisponde ad un compito semplice ma inedito rispetto alla prima fase in cui si chiede loro, per gli stessi compiti, di scegliere in una situazione inedita i tratti pertinenti che possono combinare in modo originale diverse procedure conosciute.

In secondo luogo la successione delle tre fasi consente agli insegnanti di comparare ciò che un allievo riesce a fare nella prima fase (affrontare il compito complesso) con quello che fa nella seconda fase (affrontare i compiti scomposti). In questo modo l’insegnante potrà osservare le difficoltà incontrate dagli allievi (nella costruzione di un compito, nell’analisi della complessità, ecc.) e, soprattutto, osservare se le difficoltà incontrate nella seconda fase sono dovute all’incapacità di interpretare una situazione nuova per riferirla a una procedura conosciuta o se sono dovute alla non conoscenza della procedura richiesta o da una mancanza di padronanza della stessa.

In terzo luogo, osservando le risposte degli studenti alla proposta di sviluppo delle competenze articolata in tre fasi, si nota che la padronanza delle procedure e degli automatismi è una condizione necessaria per la riuscita nelle fasi e che la capacità di scelta, cioè la capacità di inquadrare la situazione, è ugualmente necessaria per la risoluzione dei compiti complessi. Nel momento in cui ci si confronta con un compito complesso, che richiede un inquadramento complessivo della situazione e l’organizzazione di un insieme di procedure, se le procedure non sono padroneggiate completamente ci si ritrova con un sovraccarico cognitivo che impedisce di vedere la complessità e le relazioni sottese.

Acquisire e sviluppare la competenza richiede, infatti, che l’allievo superi la riproduzione delle conoscenze e implica che sia in grado di intervenire per meglio precisare e estendere il significato di ciò che ha appreso, per sviluppare disposizioni attive, per assumere atteggiamenti risolutivi, per compiere operazioni anche di carattere produttivo e generativo, che richiedano un intervento sulle conoscenze che si padroneggiano per perseguire nuovi traguardi conoscitivi. Acquisire competenza comporta sicuramente una crescita nella quantità e nella qualità delle conoscenze e del sapere che uno studente possiede ma comporta anche acquisizioni di apprendimenti che trasformano la struttura personale di chi apprende, che modificano in profondità le modalità dell’apprendere e gli atteggiamenti nei confronti della conoscenza. Le competenze maggiormente valorizzate a scuola sono quelle che si appoggiano su una traduzione testuale della realtà, con riferimenti continui e costanti ai testi dei saperi disciplinari (Rey, 2014). Le situazioni/problema aperte e complesse portano gli allievi a problematizzare la realtà, ad adottare lo «sguardo istruito” per superare la dimensione della concretezza a favore di un’interpretazione logica più corretta e «colta» (Fabre, Vellas, 2006).

Per queste ragioni, per l’interesse e per l’originalità che scaturisce da questa sperimentazione sono state proposte attività in tre fasi, cioè percorsi che muovono dalle situazioni complesse e aperte e procedono verso l’attività cognitiva sempre più esplicita e progressivamente scomposta, relative alla progettazione e allo sviluppo delle competenze, nell’ambito di percorsi di formazione per insegnanti, in alcuni istituti comprensivi marchigiani. Le prime riflessioni rispetto all’uso della proposta in tre fasi nell’ambito dello sviluppo delle competenze e non della valutazione delle stesse, raccolte in modo non sistematico e parziale, sottolineano l’interesse per la proposta per diverse ragioni.

Gli insegnanti coinvolti riferiscono che la proposta in tre fasi, procedendo dal complesso al semplice è coerente con la loro proposta formativa. Tale proposta si confronta, quotidianamente e necessariamente, con la grande eterogeneità della classe rispetto alla quale la predisposizione di un compito esclusivamente complesso e articolato (come nella prima fase), senza fornire la possibilità di tornare a riflettere e rivedere le questioni affrontate risulterebbe adeguata soltanto per un numero esiguo di allievi e difficoltosa, se non proibitiva, per il resto della classe.

L’iniziale progettazione del compito complesso e la successiva e progressiva scomposizione nei suoi elementi costitutivi permette di raggiungere una rara chiarezza e completezza della proposta formativa. Tale forma di progettualità, scandita in fasi, fa sì che gli elementi progettuali diventino chiari, ben strutturati e bilanciati. Le situazioni problematiche, i compiti attivati, i materiali, le modalità del coinvolgimento degli studenti, strutturati in tre fasi, sono logicamente collegati e predisposti in modo estremamente funzionale.

Osservare le reazioni degli studenti di fronte alla proposta formativa permette di notare un’ottima accoglienza della proposta complessa, recepita come nuova, originale e diversa dai consueti compiti. Così come, nel procedere verso la seconda fase, si osservano gli allievi che hanno modo di tornare sui compiti non risolti, o affrontati in modo parziale, e di scoprire l’itinerario logicamente coerente, avendo la possibilità di tornare a riflettere sul percorso cognitivo messo in campo per operare gli aggiustamenti e le opportune revisioni.

Le prospettive di sviluppo del processo educativo, probabilmente, continueranno a oscillare fra approcci situazionali, complessi e aperti, fondati sulle competenze, e approcci cognitivi, espliciti e sequenziali, basati sui saperi e sulle conoscenze disciplinari, perché entrambi possono offrire contributi importanti su diversi aspetti ed entrambi devono essere perseguiti (Anderson, Greeno et ali, 2000). È auspicabile che la proposta operativa avanzata nel presente contributo, come prospettiva di integrazione fra i due approcci, possa appoggiarsi su di una più ampia base scientifica e possa essere valutata e analizzata con più rigorosi metodi di ricerca.

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Autore per la corrispondenza

Silvia Fioretti
Indirizzo e-mail: silvia.fioretti@uniurb.it
Università degli studi Carlo Bo Dipartimento di Studi Umanistici, via Bramante, 17 61029 Urbino


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ISSN 2421-2946. Pedagogia PIU' didattica.
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