Vol. 9, n. 2, ottobre 2023 — pp. 136-144
RECENSIONE/REVIEW
Corsini C. (2023)
La valutazione che educa
Milano, FrancoAngeli
Durante i compiti in classe lei passava tra i banchi, mi vedeva in difficoltà o sbagliare e non diceva nulla. Io in quelle condizioni sono anche a casa. Nessuno cui rivolgermi per chilometri intorno. […]
Ora invece siamo a scuola. Sono venuto apposta, di lontano. […] C’è silenzio, una bella luce, un banco tutto per me. E lì, ritta, a due passi da me, c’è lei. Sa le cose. È pagata per aiutarmi. E invece perde tempo a sorvegliarmi come un ladro. […]
Che le interrogazioni non son scuola me l’ha dichiarato lei stessa: «Quando ci sono io nella prima ora prendi pure l’altro treno, tanto nella prima mezz’ora interrogo…» (Lettera a una professoressa, 1982, pp. 127-128)
Che ruolo gioca, o dovrebbe giocare, la valutazione nella scuola? La valutazione è «scuola», o rappresenta un mondo a parte, un’appendice, anche un po’ fastidiosa, di quella che è l’attività principale in qualsiasi contesto educativo e formativo, ossia quella dell’insegnare e del promuovere apprendimento, educando e formando le persone?
Penso che ognuna, e tutte, le 120 pagine del libro di Cristiano Corsini si giochino innanzitutto e principalmente su questa faccenda.
Trattando di valutazione a scuola e nei contesti educativi, l’autore offre senza dubbio un puntuale quadro docimologico delle diverse questioni, dedicando gran parte del saggio ai vari elementi che dovrebbero caratterizzare i processi, le pratiche, le tecniche valutative. Ciò che, tuttavia, sostanzia ogni argomentazione, e fonda lo snodarsi della trattazione, riguarda lo scopo della valutazione, il senso educativo della stessa quando messa in atto nella scuola e nell’università. Dunque, Corsini lo dice chiaro, lo ripete e lo dimostra: «le interrogazioni son scuola», nel momento in cui la valutazione si realizza come un mezzo educativo e non come fine dell’azione didattica.
È attraverso questo fil rouge che Corsini costruisce — con il suo tipico approccio, di studioso che sa muoversi agilmente fra diversi contesti, da quello politico a quello tecnico-scientifico, dall’attualità e la cinefilia, alla riflessione accademica — e facendo uso di diversificati approcci comunicativi, di stile più critico e serio o più giocoso e divertente — un interessante ed equilibrato libro di pedagogia.
La valutazione rappresenta il focus del testo, ma anche un’occasione per suggerire importanti spunti di riflessione, che gli addetti ai lavori potrebbero far risalire agli ambiti della pedagogia generale e della didattica.
L’azione di Corsini, in questo senso, è innanzitutto quella di riportare la valutazione al centro del processo educativo e formativo, come luogo in cui può trovare realizzazione il necessario collegamento fra l’azione di colui che insegna e quella di colui che apprende.
Essa dovrebbe inserirsi — afferma l’autore nel primo capitolo — «all’interno di una relazione educativa e di un’esperienza condivisa, dando valore nel presente a quanto svolto nel passato per orientare attività future» (Corsini, 2023, p. 27). E ancora, facendo leva su una prospettiva profondamente deweyana, e rendendo omaggio anche a maestri italiani quali Visalberghi e Vertecchi, ribadisce: «se insegniamo per liberare, valutiamo per trasformare» (Corsini, 2023, p. 28).
Attraverso questo suo procedere nell’ambito di un discorso finemente pedagogico, l’autore propone, d’altro canto, un intelligente saggio specificamente docimologico che, pur non tralasciando questioni fondanti della disciplina — lo sviluppo storico degli studi sulla valutazione e l’emergere delle diverse prospettive di ricerca sulla stessa –, propone anche elementi direttamente spendibili nelle pratiche d’insegnamento/apprendimento, rappresentando in tal modo un utile e snello compendio per insegnanti e dirigenti, studentesse, studenti e genitori.
A questo scopo Corsini, a partire da un affondo, nel secondo capitolo, su quanto successo riguardo alle pratiche valutative messe in atto nel periodo della cosiddetta DaD (Didattica a Distanza) del 2020-21, mette in guardia sul fatto che «non tutte le valutazioni che avvengono in campo educativo, scolastico o universitario, sono educative» (Corsini, 2023, p. 32) e di conseguenza chiarisce ed esemplifica in modo chiaro e facilmente collocabile nei contesti d’aula, i possibili «inciampi valutativi» cui un docente può incorrere: gli errori valutativi «meno infrequenti di quanto si creda» (Corsini, 2023, p. 40). In questo secondo capitolo, poi, l’autore suggerisce alcuni principi per mettere in atto «buoni» processi valutativi. È così che vengono presentate le questioni legate alla conduzione di misurazioni valide e attendibili, oltre che equilibrate e sostenibili; quelle legate al feedback come elemento costitutivo di una valutazione di senso nella scuola, ossia quella diretta a supportare l’insegnamento e l’apprendimento e orientata al futuro.
Non poteva mancare, in un libro di Corsini, un accenno al problema del vanverismo pedagogico, che coinvolge anche le faccende valutative. Trattando il «cosa» e il «come» valutare, l’autore discute del concetto di competenza, rimarcando tristemente la poca chiarezza con cui se ne parli nell’ambito delle opinioni più popolari. La trattazione qui si allarga alla «valutazione di sistema», ossia all’evaluation, già inizialmente distinta dall’assessment. È in questo contesto che Corsini offre al lettore una serie di considerazioni utili a capire quali siano le logiche, gli strumenti, le dinamiche più comuni dei processi valutativi di sistema, proponendo una analisi critica delle indagini valutative come quelle INVALSI, IEA e OCSE.
Questo spazio — ritengo — caratterizza il libro come una risorsa quasi unica nel panorama nazionale: l’ampiezza prospettica dell’analisi e la sua raffinatezza, seppure articolata in modo snello e veloce, non disturbano la chiarezza del discorso, la cui complessità è resa immediatamente comprensibile anche a coloro che — insegnanti, educatori, studentesse e studenti, famiglie — sperimentano solo l’esito finale di queste indagini. Il merito è quello di permettere la diffusione di una visione equilibrata della questione, frequentemente trattata in modo scorretto e poco informato dai mass media e presso l’opinione pubblica, favorendo consapevolezze su rischi e criticità delle indagini, ma anche rispetto a meriti e potenzialità.
Un ulteriore pregio della pubblicazione riguarda, a mio parere, la trattazione di un tema, non a caso proposto sia in apertura che in chiusura del libro, oggi particolarmente dibattuto nelle scuole: la questione del «voto», come termine sussumente quasi totalmente il complesso significato della valutazione.
Ciò che ne risulta è di annullare il potere strategico della valutazione in ambito didattico e renderla solo un luogo oscuro dai contorni negativi, che va a innescare pensieri e sensazioni legati all’ansia di essere valutati e «sia fatta per forza, senza un seguito, senza una finalità di crescita e riflessione» (Grion, Serbati e Cecchinato, 2022, p. 21).
Nell’ambito di queste tesi, l’autore non dimentica di proporre alcune considerazioni immediatamente spendibili, da parte di chi sta oggi impiegando le proprie energie nelle scuole e nelle università, per «costruire comunità in grado di concepire la valutazione come mezzo, e soprattutto, lo sviluppo umano come fine» (Grion, Serbati e Cecchinato, 2022, p. 120).
Tutto sommato, con Corsini, concludiamo asserendo che (ri)considerare in questo modo la valutazione valga veramente la pena!
Valentina Grion
Riferimenti bibliografici
Grion V., Serbati A. e Cecchinato G. (2022), Dal voto alla valutazione per l’apprendimento. Strumenti e tecnologie per la scuola secondaria, Roma, Carocci.
Scuola di Barbiana (1982), Lettera a una professoressa, Firenze, Libreria Editrice Fiorentina.
Ferreiro R.F. y Vizoso E. (2022)
Didáctica en Tiempo de Neurociencia: Aprendizaje, Enseñanza, Currículo, Didáctica, Cognición y Afectividad
Miami, Alexandra Library Publishing House
La publicación literaria de temas científico-educativos ha proliferado de forma considerable en los últimos años, especialmente aquellos que intentan explicar la aplicación de los resultados científicos de las neurociencias en el contexto educativo.
El libro Didáctica en Tiempo de Neurociencia: Aprendizaje, Enseñanza, Currículo, Didáctica, Cognición y Afectividad, resulta necesario, loable y original, en tanto profundiza y propone una visión desde la didáctica (ciencia del proceso de enseñanza-aprendizaje), de gran interés e importancia para la comunidad educativa.
El profesor Ramón Ferreiro Gravié es un reconocido investigador de las ciencias pedagógicas con una amplia y destacada trayectoria profesional, en la cual sobresalen textos de alto impacto para la educación, especialmente en el ámbito de la didáctica, ciencia que le ha ocupado largos años de estudios y fecundos aportes investigativos. En esta ocasión se une a la no menos reconocida profesora Elisabet Vizoso, para entregarnos una obra muy necesaria y de gran originalidad.
De esta forma, en la obra se nos presentan estudios, comparaciones y análisis teóricos apoyados en terminologías y conceptos propios de las ciencias pedagógicas, sin renunciar a una redacción amena y de fácil lectura, lo cual sin dudas permite una conexión cercana con los lectores a quienes va dirigida.
Los investigadores destacan en el texto dos grandes núcleos de contenidos, que se estructuran en nueve apartados.
El primero se dedica a presentar una derivación gradual que inicia con el currículo, transita por su evolución histórica y culmina con la didáctica.
El segundo, se enfoca en exponer el modelo ELI de Diseño y Desarrollo Formativo del profesor Ferreiro, así como aquello que los autores han denominado: «lo imprescindible»: las estrategias de enseñanza, y «el rigor de la formación»: las secuencias didácticas.
Finalmente se presenta un imprescindible apéndice que contiene el glosario de términos y contribuye a una mejor comprensión de los planteamientos realizados.
En la primera parte del texto los autores abordan críticamente el concepto de Currículo y enfatizan su carácter práctico y de disciplina científica.
Asimismo, además de hacer referencia a las distinciones entre el currículo como ciencia y el currículo como práctica social educativa, presentan una derivación gradual como un recurso metodológico que permite entender el currículo escolar en acción, desde los niveles mega, meso y micro.
Se insiste en el currículo como guía, portador de un paso a paso que facilita la ruta, el camino a transitar por la didáctica para llegar a los propósitos previamente concebidos.
En tal sentido se nos presenta la evolución «predecible» del currículo escolar mediante un breve recorrido histórico que destaca las corrientes curriculares, la Escuela Nueva, los factores que influyeron en su desarrollo, las diferentes visiones desde las obras de los reconocidos representantes de la teoría curricular como J.F. Bobitt (1876-1956), W. Wallace (1875-1952), R. Tyler (1902-1994), H. Taba (1902-1967), L. Stenhouse (1926-1982), H. Giroux (1943), A. Díaz Barriga (1949) y M. Zabalza (1949), la fundamentación psicológica del currículo y su fundamentación conductista, cognitiva, humanista, sociocultural y constructivista.
En este apartado Ferreiro y Vizoso reconocen los cambios curriculares en línea con las demandas del contexto social, pero señalan la necesidad de un currículo portador de novedosas formas y prácticas didácticas, que promueva el crecimiento personal.
Mas adelante, los autores se adentran en la didáctica y sus principales promotores, así como su justificación como ciencia social encargada del estudio del proceso de enseñanza formativa.
En sección, también se abordan los componentes del proceso de enseñanza y las funciones didácticas. Aquí resulta oportuno señalar el valor teórico y práctico de las precisiones que realizan los autores en cuanto a la relación y particularidades de la didáctica general y la didáctica específica.
Emergen como muy valiosas, estas consideraciones que se nos presentan, en tanto reafirman sus diferencias, pero realzan lo que constituye una relación mutuamente enriquecedora.
En este sentido, lo fundamental radica en que ambas tienen el propósito de generar aprendizajes que permitan operar el «conocimiento». Ferreiro y Vizoso consiguen solventar una confusión, bastante frecuente en los maestros, concerniente a la relación entre currículo y didáctica, al puntualizar que estamos en presencia de una unidad funcional.
Eso significa que, no existe nivel jerárquico y ponderar uno de ellos, solo trae consigo limitaciones para la comprensión integral del proceso y resultados poco cercanos a las expectativas del maestro.
En la segunda parte del texto, se revela mayor novedad y creatividad, pues los autores exponen el Modelo ELI de Diseño y Desarrollo Formativo, fruto de más de 25 años de investigaciones fundamentadas en el legado vigotskiano, del cual el profesor Ferreiro es una de las figuras de mayor reconocimiento internacional.
Este modelo que concibe la docencia desde la planificación, el desarrollo y la valoración crítica de lo realizado, nos muestra las competencias que los maestros deben implementar en cada etapa del proceso de enseñanza formativa, lo cual le confiere al texto una evidente utilidad práctica para el mejoramiento del desempeño profesional pedagógico de los docentes.
En esta misma lógica de análisis, se describen las estrategias de enseñanza que pueden ser utilizadas en la implementación de las competencias ELI, para el desarrollo de la lección: activación neuropsicológica, recapitulación de lo que se aprende, procesamiento de la información, interacciones sociales, metacognición, orientación de la atención y evaluación para, cómo y de los aprendizajes.
Los autores defienden que las estrategias de enseñanza son herramientas de mediación para el cumplimiento de las funciones didácticas del proceso de enseñanza desarrolladora y de esta forma facilitar el aprovechamiento de los resultados científicos de las neurociencias.
Otro contenido fundamental expuesto en el libro, son las secuencias didácticas donde los autores declaran los núcleos fundamentales para su construcción, detallando el orden, las funciones didácticas y su justificación y beneficios, así como las estrategias y recursos para el desarrollo de cada actividad.
A manera de conclusión se brindan un epílogo que por su contenido será de obligada consulta para todo aquel maestro que pretenda fundamentar su práctica didáctica en las neurociencias.
Sin demeritar lo importante de los contenidos abordados en cada apartado del texto, pareciera que Ferreiro y Vizoso dejaron lo más trascendental para el final. Sin dudas las veintisiete razones que exponen los investigadores para sustentar un proceder didáctico en los resultados de las neurociencias son de gran valor científico.
La presente obra, posee dos grandes aportes. Realza la importancia de la profesionalización de los docentes y la utilidad de la pedagogía y la didáctica dentro de un contexto educativo, donde por momentos puede parecer que los avances científicos de las neurociencias intentan sustituir las prácticas y saberes que durante años se han consolidado alrededor del proceso de enseñanza-aprendizaje.
También el libro de Ferreiro y Vizoso ofrece una valiosa concepción metodológica que permite diseñar el proceso de enseñanza-aprendizaje al incorporar los aportes de las neurociencias.
Desde esta perspectiva, se contribuye al crecimiento personal, desde el desarrollo del pensamiento crítico, la afectividad, la capacidad creativa y las competencias transformadoras de la sociedad.
En consecuencia, con estos aportes, vistos desde una pluralidad epistemológica y de aplicación a los diferentes procesos que se desarrollan en la práctica educativa, los autores alertan del reduccionismo que puede representar, limitar la enseñanza al conocimiento y aplicación de las neurociencias.
Destacan con claridad, en este orden e ideas que, que no solo aprende el cerebro humano, sino la persona como una integridad, lo que ratifica que las neurociencias son imprescindibles, pero no suficientes para alcanzar la excelencia en el desempeño profesional pedagógico y consecuentemente, contribuir a la formación y crecimiento personal de los ciudadanos que demanda la sociedad contemporánea.
Concretamente, este libro, presenta una propuesta coherente y necesaria para comprender la relación entre neurociencias y didáctica, donde el currículo, la enseñanza, el aprendizaje y la afectividad desempeñan un papel determinante.
Es un texto que apuesta por enaltecer la labor de los maestros y reconocer su valía dentro de un contexto cada vez más necesitado de su profesionalidad y compromiso social.
Con este nuevo libro Ferreiro Gravié y Elisabet Vizoso nos entregan una obra de alto valor y trascendencia para el desarrollo de la didáctica, desde una mirada precisa, especializada, transdisciplinar, científica y humanista. Bienvenida la reflexión participativa, el diálogo fecundo y la transformación didáctica en tiempo de neurociencia.
Emilio Ariel Hernández Chang
Sani R. (2022)
La storia dell’arte come disciplina scolastica. Dal primo Novecento al secondo dopoguerra
Macerata, EUM
Il volume La storia dell’arte come disciplina scolastica ha l’indubbio merito di collocarsi in un terreno di ricerca — quello dello studio delle singole discipline scolastiche — decisamente interessante e fecondo.
Se questo è vero per molti settori come l’insegnamento della storia e della geografia, non si può dire lo stesso per la Storia dell’Arte, che rappresenta ancora un campo quasi inesplorato.
L’intento dell’autore, attraverso un approccio interdisciplinare, è quello di «fornire una ricostruzione contestualizzata e organica delle caratteristiche storicamente assunte e del ruolo esercitato dalla disciplina» (p. 8).
Lo studio si sviluppa su tre angolature differenti, come emerge anche dal ricco apparato documentario presente nell’opera.
Un primo livello di analisi riguarda lo statuto vero e proprio della materia da insegnare, con i suoi contenuti specifici, i suoi metodi e i suoi fini.
Il secondo livello invece riguarda i regolamenti, le normative, il reclutamento docente e tutto quanto attiene l’inserimento effettivo della disciplina nelle scuole.
Il terzo livello, l’orizzonte più ampio e culturale della disciplina che, a partire dalla riforma Gentile attraverserà, negli anni, diversi cambiamenti.
Il testo si snoda in un’analisi che parte dal «Dibattito sulla riforma della scuola media in età giolittiana e la questione dell’insegnamento della Storia dell’Arte» (p. 13), in cui l’autore mostra in modo puntuale e riccamente documentato il retroterra culturale e il percorso che ha portato all’inserimento della disciplina della Storia dell’Arte.
Difatti «la scelta operata da Gentile di inserire stabilmente la Storia dell’Arte tra le discipline impartite nel liceo classico non rappresentava il frutto di una decisione improvvisa […] Essa, infatti, era stata preceduta, fin dai primissimi anni del Novecento, da una serie di prese di posizione dello stesso Gentile a favore della disciplina e, più in generale, recepiva e dava concreta attuazione alle discussioni e proposte che, in ordine all’insegnamento scolastico della Storia dell’Arte, erano state formulate nel corso dei dibattiti sul riordinamento della scuola media sviluppatisi in età giolittiana e nell’immediato dopoguerra» (pp. 14-15).
Un’attenzione particolare viene riservata, in questo senso, anche alla ricezione delle Circolari ministeriali e ai riscontri da parte degli insegnanti e dei collegi dei docenti.
L’analisi prosegue con «La riforma Gentile e l’introduzione della Storia dell’Arte nei Licei classici: caratteristiche e primi sviluppi della “Cenerentola” delle discipline scolastiche» (p. 37).
In uno studio solido e ben documentato l’autore non manca di evidenziare non soltanto gli elementi normativi che hanno condotto a quest’esito, ma anche «l’organica e incisiva riforma dell’istruzione artistica, destinata a suscitare ampi consensi tra gli studiosi e gli operatori del settore e a ridefinire gli ordinamenti, le specializzazioni, i programmi d’insegnamento e gli sbocchi professionali e culturali delle scuole e delle istituzioni formative ad essa afferenti» (pp. 38-39).
Il percorso di questa disciplina si approfondisce con il capitolo «“Si voglion sempre far le nozze con i fichi secchi”. L’insegnamento della Storia dell’Arte nei Licei classici negli anni del totalitarismo fascista» (p. 53), in cui si mostrano le alterne vicende della disciplina nella gestione del Ministero della Pubblica Istruzione dopo Gentile.
Dall’articolazione oraria alle normative per concorsi a cattedra e alle abilitazioni all’insegnamento, fino ad arrivare ai programmi d’insegnamento, ai materiali didattici, alle aule e alla manualistica, l’autore non tralascia nessun aspetto mostrando le alterne fortune dell’insegnamento di questa materia tanto che stigmatizza: «pur a fronte della relativa stabilità acquisita nel corso degli anni Trenta, infatti, diverse erano le questioni irrisolte che ancora caratterizzavano la Storia dell’Arte nei Licei e ne rendevano precario e non del tutto soddisfacente l’insegnamento» (p. 85).
Lo studio continua a seguire il percorso della disciplina dalla prima fase della ricostruzione post-bellica fino ad arrivare alla svolta del ’68. Per quanto riguarda la prima fase, l’autore ben specifica come «le difficoltà e i disagi che caratterizzavano la scuola italiana non erano, tuttavia, riferibili solo alle condizioni materiali e alle carenze organizzative e finanziarie. Per il ricostituito Ministero della Pubblica Istruzione, infatti, si poneva l’esigenza di proseguire e portare a termine l’opera di defascistizzazione della scuola» (p. 89) e questo anche nel campo della Storia dell’Arte.
Si evince, dunque, come nel secondo dopoguerra l’insegnamento della materia riscontrasse problemi non solo tecnico-organizzativi o di organico, ma anche di carattere più generale legati ai tentativi di riforma della scuola italiana operati dal ministro Gonella.
Le speranza riformatrici rimasero tali e probabilmente proprio questo clima di incertezza, come sottolinea l’autore, condusse gli insegnanti alla costituzione di un organismo di rappresentanza che fosse in grado di perorare al meglio le esigenze dell’insegnamento della disciplina, e proprio per questo vide la luce, il 30 ottobre 1950 l’Associazione Nazionale Insegnanti Medi di Storia dell’Arte.
Oltre all’operato dell’ANIMSA l’autore non manca di riportare e documentare gli esiti di due inchieste sull’insegnamento della Storia dell’Arte promosse da due prestigiose riviste del settore.
Ne emerge un quadro decisamente variegato che segnala il persistere di impronte autoritarie nella scuola italiana, oltre a problemi riguardanti proposte di riforma dell’ordinamento con la necessità di modificare orari e programmi e reclutamento, oltre che di formazione iniziale e aggiornamento in servizio dei docenti, manifestando esigenze che «delineavano un’impostazione radicalmente nuova e originale dell’insegnamento scolastico della Storia dell’Arte, maggiormente in sintonia con le nuove istanze culturali e artistiche che, proprio a partire dagli anni Sessanta, si sarebbero affermate in Italia e all’estero» (p. 128).
L’autore analizza così interventi, tentativi di riforma e di svolta culturale che significano una stagione di rinnovato impegno non solo per il tentativo di riforma della scuola ma anche per la valorizzazione del patrimonio artistico italiano e la formazione culturale e artistica delle nuove generazioni. In buona sostanza un «rinnovato concetto di Storia dell’Arte» (p. 150) che vede nei fermenti e nelle trasformazioni del ’68 un vero spartiacque.
Oltre a ripercorrere e studiare quest’evoluzione, il volume è corredato da una ricca e interessante appendice documentaria in cui vengono ripercorsi tutti gli interventi legislativi e normativi che hanno riguardato la Storia dell’Arte come disciplina scolastica.
Vi si trovano, infatti, dai testi di circolari ministeriali ai regi decreti contenenti regolamenti, istruzioni per la storia dell’arte nei licei, proposte complementari di corsi di Storia dell’Arte, proposte di commissione per l’insegnamento della materia nei licei, orari e programmi per la scuola media, disposizioni per gli esami di Stato, regolamenti dei concorsi a cattedra e documentazione sullo sviluppo della figura dell’insegnante di questa disciplina.
Non manca, inoltre, materiale riguardante indicazioni circa i locali, gli arredi e i mezzi didattici da mettere a disposizione per le scuole medie. Anche lo statuto dell’associazione Nazionale Insegnanti Medi di Storia dell’Arte contribuisce a fornire un quadro documentale esaustivo, insieme al resoconto conclusivo di una tavola rotonda su «La storia dell’arte nei licei», sullo stato dell’arte di questa disciplina.
L’autore specifica come questo interessante e documentato studio costituisca un work in progress, auspicando che il lavoro «incontri l’interesse di quanti, nell’ambito degli studi di storia della scuola e dei processi formativi e sul versante storico-artistico, sono persuasi della vera e propria centralità che un insegnamento come quello della Storia dell’Arte riveste nella formazione scolastica delle giovani generazioni per la crescita non solamente culturale, ma anche civile del nostro paese» (p. 11).
Facendo nostro questo auspicio invitiamo volentieri alla lettura del volume nella speranza che possa essere foriero di un rinnovato interesse e stimolo di approfondimento per molti studiosi.
Luca Odini