Vol. 7, n. 1, aprile 2021

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CONTESTI SOCIALI DELL’EDUCAZIONE

Mente e corpo nello sviluppo morale del preadolescente1

Mario Rizzardi2 e Barbara Tognazzi2

Sommario

Nel tentativo di offrire ai contesti educativi e formativi immediatamente successivi all’età scolare una riflessione sulle caratteristiche dello sviluppo fisiologico e cognitivo del preadolescente in un’ottica psicopedagogica, in questo lavoro sono descritti i principali cambiamenti che avvengono nel corpo e nel pensiero negli anni della scuola media inferiore e i riflessi di queste modificazioni sullo sviluppo morale. Emerge che lo sviluppo cerebrale e corporeo nella pubertà insieme al pensiero operatorio formale forniscono al preadolescente temi, modalità e strumenti che, sebbene evoluti, necessitano per crescere di interventi formali e non formali e di esperienze appropriate per differenziazione rispetto ai domini in ambito scolastico, familiare e in, senso più lato, sociale, in quanto lo sviluppo morale nella preadolescenza non consiste nella ricezione passiva di norme e valori culturali da accettare o meno, ma in una progressiva costruzione attiva di forme di pensiero morale nel passaggio da uno stadio all’altro.

Parole chiave

Preadolescenza, sviluppo morale, sviluppo cognitivo.

EDUCATIONAL SOCIAL CONTEXTS

Mind and body in pre-adolescent moral development3

Mario Rizzardi4 and Barbara Tognazzi2

Abstract

IIn order to provide educational and training contexts immediately after school age with a reflection on the characteristics of the physiological and cognitive development of pre-adolescents from a psycho-pedagogical point of view, this article describes the main changes that occur in the body and in thought in the years of lower secondary school and the effects of these modifications on moral development. It emerges that brain and body development in puberty and formal operative thinking provide the pre-teen with themes, methods and tools, which, despite being evolved, require for their development formal and non-formal interventions and appropriate experiences regarding the domains of school, family and in a broader sense, social domains. This is because moral development in pre-adolescence does not consist in the passive reception of cultural norms and values to be accepted or not, but in an active development of forms of moral thought in the transition from one stage to the next.

Keywords

Early adolescence, Moral development, Cognitive development.

L’età dell’incertezza

La maggior parte delle persone ricorda come bella età gli anni della scuola primaria, anni in cui, come descrive Eugenio Montale in Fine dell’infanzia (1925), «al chiuso asilo / della nostra stupita fanciullezza / rapido rispondeva / a ogni moto dell’anima un consenso / esterno, si vestivano di nomi / le cose, il nostro mondo aveva un centro». Dopodiché improvvisamente «Volarono anni corti come giorni / sommerse ogni certezza un mare florido / … L’inganno ci fu palese. / Pesanti nubi sul torbato mare / che ci bolliva in faccia, tosto apparvero. / Era in aria l’attesa / di un procelloso evento. / … Giungeva anche per noi l’ora che indaga. / La fanciullezza era morta in un giro a tondo».

Questo fa pensare all’ingresso nella preadolescenza come a un periodo di profonda crisi, ben diverso dall’immagine gaia e spensierata dei giovani che viene quotidianamente diffusa, e piuttosto come l’inizio di una serie di momenti critici che si succedono nel corso di un prolungato e doloroso lavoro psichico operato nel corso di un processo trasformativo che informa, allo stesso tempo, un’età della vita, una realtà biologica, psicologica e un fenomeno sociale (Marcelli e Braconnier, 2005).

Infatti, con l’ingresso nella preadolescenza avviene in modo spontaneo la messa in crisi di ogni certezza dell’età scolare: la certezza sulla competenza e il potere degli adulti, la certezza sulla univocità della realtà esterna, la certezza sulla semplificazione della vita interiore e la certezza sull’esistenza di uno schema di riferimento esterno come guida stabile e sicura.

Con preadolescenza si indica un periodo dello sviluppo compreso tra la fanciullezza e l’adolescenza. Non è semplice attribuire questa fase evolutiva a una età specifica, non solo per le differenze semantiche nella letteratura di studiosi di nazionalità diversa, ma soprattutto per l’ampia variabilità di ritmi individuali di maturazione, per le trasformazioni culturali e sociali che si verificano da un decennio all’altro e per le differenze ecologiche e sociali. In questa sede si sceglierà di indicare con preadolescenza il periodo dello sviluppo che corrisponde grosso modo al periodo delle scuole medie inferiori. I termini pubertà e preadolescenza usati spesso indifferentemente per indicare questo stadio sono in realtà due concetti ben distinti. La pubertà si riferisce a un fatto biologico, mentre la preadolescenza è un fenomeno psicologico, tanto più che si può avere una pubertà senza adolescenza o viceversa: la preadolescenza segna una perdita di coerenza di significati e l’inizio di un processo di lavoro psichico in cui l’individuo deve reinterpretare se stesso. La preadolescenza è così nello stesso tempo un fenomeno fisico, la pubertà, e un fenomeno psico-sociale, le modalità di vissuto e di interpretazione dei cambiamenti fisiologici da parte del soggetto insieme all’espressione che ogni particolare cultura dà a tali cambiamenti fisiologici puberali. Uno dei principali compiti di sviluppo dell’adolescente (Havighurst, 1949) è quello di acquisire un sistema di valori e una coscienza etica come guida al proprio comportamento.

Posto che lo studio della morale in ambito psicopedagogico riguarda il modo in cui le persone pensano, sentono e agiscono in rapporto al benessere e la cura delle altre persone da un lato e la giustizia all’interno delle relazioni interpersonali dall’altro, una riflessione sullo sviluppo morale, per sua natura strettamente intrecciato con lo sviluppo corporeo, cognitivo, emotivo e sociale, in riferimento a un sistema di valori costitutivo dell’identità, richiede la considerazione della evoluzione e delle caratteristiche di ciascuna di queste dimensioni nella preadolescenza.

Le modificazioni fisiologiche innescano la preadolescenza e si manifestano a livello cerebrale, a livello dello sviluppo puberale in senso stretto con l’inizio della ovulazione e della spermatogenesi e a livello del soma attraverso le modificazioni dell’aspetto esterno del corpo.

Cosa passa per la testa del preadolescente

Laurence Steinberg (2014) e Daniel Siegel (2014) hanno sistematizzato gli studi neuropsicologici dove, superando la visione classica di un arresto della crescita del cervello alla fine della fanciullezza, si mostra che il cambiamento del comportamento e degli affetti è collegato alle modificazioni della struttura e del funzionamento cerebrale relativi alle regioni corticali e subcorticali che avvengono in tempi lunghi dopo la preadolescenza, secondo i quali il sistema di controllo socio-emotivo e il sistema di controllo cognitivo si sviluppano in tempi diversi: il primo è completo nella preadolescenza mentre il secondo solo dopo i venticinque anni. Nella corteccia prefrontale, che costituisce il sistema di controllo cognitivo, le aree cerebrali sono le ultime a formarsi e a completare la loro maturazione e il lobo frontale continua la propria crescita durante tutta l’adolescenza, incrementando progressivamente le connessioni con le altre aree cerebrali, con un processo che continua fino ai trent’anni. Le aree del cervello che si attivano per ultime sono quelle in cui ha luogo la regolazione delle emozioni.

Questa successione dello sviluppo delle aree del cervello ha ripercussioni sul comportamento morale, perché la corteccia prefrontale, che è l’ultima a svilupparsi ed è ancora immatura nella preadolescenza, è responsabile dell’autocontrollo e di funzioni esecutive, quali pianificazione, individuazione delle priorità, attesa, inibizione di reazioni inappropriate, autoconsapevolezza, interazione sociale, organizzazione del pensiero, soppressione degli impulsi, valutazione delle conseguenze delle proprie azioni (Baum et al., 2020). L’ultima parte del cervello a crescere è perciò la parte che presiede la capacità di decidere e la capacità di giudizio. Anche grazie all’incremento della materia bianca, la mielina, durante tutta l’adolescenza aumenta la rapidità di propagazione del messaggio nervoso, con una conseguente maggior efficienza cognitiva e della capacità di giudizio, e proliferano progressivamente le connessioni tra aree frontali e sistema limbico, tra area razionale e aree emotiva e mnestiche, con un conseguente miglioramento della regolazione emotiva. Ma nella preadolescenza le funzioni di autoregolazione emotiva, coordinazione motoria, capacità di resistere alle frustrazioni sono ancora molto immature in quanto lo sviluppo del sistema di controllo cognitivo è ancora incompleto mentre non è così per il cervello emotivo che esercita un’azione incontrollata. Tuttavia, grazie alla estrema plasticità cerebrale in questo periodo i cambiamenti nella capacità di autocontrollo in età adolescenziale sono in misura elevata influenzati dall’ambiente. In una prospettiva psicopedagogica si può pensare come un obiettivo dell’intervento educativo rimettere in contatto il cervello che sente con il cervello che pensa a fronte di comportamenti emotivamente sregolati e formare la capacità di elaborare strategie consapevoli per superare i momenti di difficoltà di questo tipo. In alcune scuole americane vengono adottati programmi specifici di diverso tipo per sviluppare nella preadolescenza autocontrollo e intelligenza sociale. I risultati di questi interventi non sono però costanti per quanto riguarda il comportamento socio-emotivo, mentre lo sono relativamente agli effetti indiretti sul miglioramento delle prestazioni scolastiche (Durlak et al., 2011).

Prendere corpo

Per quanto riguarda le trasformazioni dell’aspetto esteriore, del soma, anche l’appropriazione di una nuova immagine del corpo è uno dei compiti di sviluppo più importanti della preadolescenza. A partire dalle ricerche di Rodriguez Tomé (1983) in poi si è visto che l’attenzione al corpo e all’aspetto esteriore e le relative difficoltà sono molto forti dagli 11 ai 14 anni dopodiché tendono a diminuire. Se è vero che in ogni età i mutamenti dello stato morfologico e funzionale della persona hanno una certa ripercussione psicologica, nella preadolescenza tali trasformazioni corporee sono così rapide, così vistose e talmente variabili da soggetto a soggetto che non possono non essere fortemente risonanti nella coscienza e nel comportamento. In questo senso si può dire che la pubertà è in se stessa origine delle più svariate diseguaglianze tra gli adolescenti. Il punto di vista psicopedagogico, alla luce della consapevolezza della distinzione tra corpo come organismo naturale e corpo come vissuto (Husserl, 2002) e del fatto che la percezione del proprio corpo è diversa da quella degli altri corpi in quanto frequentemente irrealistica, è rivolto a cercare di comprendere come questi cambiamenti vengono vissuti, cioè percepiti e valutati e quali possono essere le conseguenze di tali interpretazioni anche rispetto al comportamento morale pensando al corpo come cornice di senso (Sacks, 1997).

Le modificazioni del corpo nella preadolescenza sono di due tipi: a livello dello sviluppo puberale in senso stretto, phisis, con l’inizio della ovulazione e della spermatogenesi, quando emergono delle funzioni che non erano nel repertorio degli anni precedenti (funzioni nuove, che caratterizzano l’essere adulto), e a livello del soma, con modificazioni dell’aspetto esteriore del corpo. Il corpo, diversamente dai mutamenti nell’età della scuola elementare, cambia non in senso quantitativo ma qualitativo (comparsa dei seni, comparsa dei peli pubici) e sono cambiamenti non lenti e graduali, ma rapidi e improvvisi. A questa età, differentemente rispetto a quelle precedenti, il preadolescente si accorge di avere un corpo, ha coscienza del proprio corpo e dei corpi degli altri e delle relazioni interpersonali come relazioni tra corpi, spazializzate, soprattutto sente che il proprio corpo è incontrollabile nei tempi e nelle forme che assume e percepisce che queste modificazioni hanno delle conseguenze. L’attenzione alle trasformazioni del corpo è massima nella preadolescenza e tende a diminuire negli anni della adolescenza successivi. C’è un periodo in cui nell’aspetto esterno del corpo c’è una mescolanza disarmonica di bambino e adulto. Compaiono frequentemente dei vissuti dismorfofobici: la preoccupazione per il corpo che sta cambiando può diventare angoscia di trovare modificazioni che rendono brutto. C’è un elemento realistico, in quanto il corpo effettivamente sta cambiando, ma l’elemento irrealistico è angosciarsi. Quanto sia importante l’identità corporea per l’identità personale per definirsi e per definirsi rispetto agli altri, per di più in una cultura dell’apparire come quella attuale, è testimoniato dalla profonda confusione generata da questa situazione e più in generale dalla crisi di identità. Il preadolescente non si riconosce più come un bambino e non si conosce ancora come un adulto. Lo stesso mondo degli adulti tratta il preadolescente a volte come un bambino («non puoi andare a scuola da solo in bicicletta, è pericoloso», «non ci interessa il tuo parere e quello che pensi in proposito») e talvolta come un ragazzo grande o un adulto («va’ a prendere tu la sorellina da scuola e accompagnala a danza»). Il corpo diventa il centro delle difficoltà del preadolescente e determina uno squilibrio della integrazione della personalità realmente coesa che era stata raggiunta nella età della scuola elementare. Nondimeno, nello sconvolgimento che caratterizza la preadolescenza, il corpo resta ugualmente un punto di riferimento concreto della continuità del soggetto, per cui paradossalmente il corpo nelle modificazioni puberali è il fattore principale della confusione del preadolescente, ma anche un punto di riferimento costante, garante di una continuità.

Il corpo viene a occupare un posto fondamentale nella questione morale. Molti preadolescenti non amano il proprio corpo e non se ne prendono cura, non accettandolo o addirittura odiandolo nella sua interezza o nelle sue parti, quali naso, orecchie, bocca, mani, piedi, seni, natiche, anche, acne. Si origina un legame tra corpo e felicità dove i preadolescenti che rifiutano tutto o in parte il proprio corpo hanno la sensazione che non potranno condurre una vita felice fin quando persisterà ciò che ai loro occhi sembra un’anomalia. Alcuni di essi lo maltrattano esibendo pettinature, accessori o abbigliamento tali da far nascere in chi li osserva un giudizio negativo sulla persona, in modo da condividerne il rifiuto. Virtuoso può significare per alcuni preadolescenti negare asceticamente, in virtù di più elevati ideali morali, i limiti e i bisogni che provengono dal corpo, come il freddo, la fame o il sonno, o il piacere o i desideri sessuali, non riconoscendoli o non soddisfacendoli, per altri, arrivare ad attaccare direttamente il corpo con condotte autolesive quali bruciature di sigarette, tentativi di suicidio, incidenti, tossicodipendenza, alcol, comportamenti a rischio.

Queste forme nella preadolescenza sono espressioni della tendenza più generale di passare all’atto impiegando il corpo in azioni concrete, vale a dire ad agire i conflitti interiori nel comportamento, con manifestazioni aggressive, impulsive, violente. Come ha sottolineato Françoise Dolto (2018), oggi molti giovani dagli undici anni in poi cadono in stati depressivi e stati paranoici che si manifestano con un’aggressività irragionevole. Durante queste crisi, il giovane va contro ogni legge perché è convinto che chi rappresenta la legge non gli permetta né di essere, né di vivere. L’agire rappresenta anche una strategia di interazione e comunicazione, un mezzo indiretto per acquisire, dissimulare o rivelare una informazione nel contesto relazionale nei confronti dell’adulto, per metterlo in difficoltà, «per attirarne l’attenzione, per realizzare ciò che all’adulto è consentito ma che è ancora vietato» al preadolescente (Marcelli e Braconnier, 1984).

Il corpo può essere anche oggetto di manifestazioni di condotte morali atipiche nelle relazioni interpersonali della preadolescenza quando, proprio per le preoccupazioni e le inquietudini che genera in tutti, diventa bersaglio di prepotenze fisiche e di offese verbali da parte di coetanei e compagni poco delicati, per non dire crudeli, che scelgono di attaccarlo negli altri.

La comparsa dei caratteri sessuali secondari nella pubertà accompagna il raggiungimento della maturità delle ghiandole sessuali e la produzione di ormoni diversi nel ragazzo e nella ragazza. Così il timbro di voce, l’aumento del volume del pene e dei testicoli, la comparsa dei seni, della peluria pubica e ascellare, la barba, il pomo d’Adamo, le prime mestruazioni, le prime eiaculazioni, sono tutti segni della acquisizione di capacità procreative, l’ovulazione e la spermatogenesi, che caratterizzano l’essere adulto. L’esplosione degli impulsi sessuali crea una nuova dimensione di interesse insieme a nuove problematiche circa la natura delle relazioni affettive con le persone dell’altro sesso, una complessità nuova di bisogni e di compiti di sviluppo nei confronti dei quali i diversi contesti famigliari, scolastici, sanitari, religiosi, istituzionali, sociali, mass-mediatici, culturali-normativi hanno visto verificarsi cambiamenti profondissimi rispetto alle generazioni passate nei modelli e negli atteggiamenti. Tutto ciò ha portato a una vera e propria confusione etica (López, 2015) per cui non è stata costruita un’etica di base delle relazioni amorose in sostituzione del codice morale repressivo precedente, nei confronti del quale si poteva o no peccare, ma con regole del gioco estremamente chiare, mentre «la caratteristica della situazione attuale non è che non si abbiano norme, ma che non si sa molto bene quali siano e, soprattutto, fin dove arrivino» (López, 2015). All’angoscia del peccato viene sostituito l’obbligo del piacere. Le ricerche condotte in questo secolo sono abbastanza concordi nel concludere che oggi il punto di vista morale di preadolescenti e adolescenti sul comportamento sessuale è più relativistico e meno valutativo e che questo ambito rappresenta per loro più un problema di morale privata che pubblica (Coleman e Handry, 2000; Seiffge-Krenke, 2015). In un’ottica psicopedagogica ciò solleciterebbe a pensare a un modello di intervento educativo dell’affettività e della sessualità emergente volto a responsabilizzare ciascun preadolescente rispetto alle proprie decisioni, favorendo alternative compatibili con il benessere personale, con quello della coppia in relazione e con quello della comunità.

Modi di pensare

La dimensione ritenuta per molto tempo più rilevante dello sviluppo morale preadolescenziale è la forma del pensiero tipica di questo periodo. Accanto alla crisi di identità corporea in questo periodo c’è la crisi di identità a livello cognitivo dello sviluppo intellettivo. Il bambino della scuola elementare si fa un’idea della realtà attraverso l’uso delle operazioni concrete mentre il preadolescente afferra e assimila la realtà anche in termini di eventi immaginati e inferiti. Ha una crescente capacità di pensare astrattamente, di valutare le ipotesi, di tracciare distinzioni sempre più sottili, di cogliere corrispondenze essenziali al di là delle differenze superficiali, di conservare salda in mente una catena di sequenze causa-effetto e di usare concetti come entità manipolabili (Piaget e Inhelder, 1971). Il preadolescente comincia a pensare in termini di proposizioni formali astratte indipendentemente dalle circostanze concrete. Le strutture del pensiero maturo permettono ragionamenti logici come, ad esempio, il ragionamento per assurdo. Il preadolescente può prendere in considerazione diversi fattori contemporaneamente, comincia a usare proposizioni astratte quali implicazioni (se-allora), disgiunzioni (o-o, entrambi), esclusioni (o-o) e incompatibilità (o-o, né-né). Diventano operativi schemi che prendono in considerazione le proporzioni, un doppio sistema di riferimento e determinate forme di probabilità. Progressivamente diventa più esperto nell’uso della logica simbolica e acquisisce la capacità di creare delle ipotesi proprie, arrivando a nuove idee e nuovi sistemi di valori. Ha la maturità intellettuale per formarsi delle utopie, una propria visione del mondo come critica dell’esistente, il cui corrispettivo però è anche l’incertezza e quindi l’inquietudine. Incomincia a impegnarsi su concetti quali la religione, l’etica, la verità. A differenza del bambino, come osserva Piaget, riflette sul proprio pensiero e costruisce teorie che gli permettono di inserirsi moralmente nella società degli adulti cominciando a pensare al futuro con progetti di vita e programmi di riforme. Ragiona in maniera più efficace e affronta con il nuovo modo di pensare ipotetico-deduttivo i contenuti dei compiti scolastici con cui viene a contatto nella scuola media, si confronta in maniera sempre più incisiva nelle discussioni e nelle liti con i genitori, con gli insegnanti e con le altre figure che rappresentano l’autorità. In assenza di norme certe condivise, alla rappresentazione di valori nel preadolescente si sostituisce quella della legge del più forte facendo apparire il vero volto del padre, quello di un adulto che lo vuole sopraffare. Mosso da un nuovo gusto per la disquisizione intellettuale e per generare ipotesi, il preadolescente coglie contraddizioni nelle idee morali, politiche e religiose che gli adulti trasmettono e incoerenze tra i valori insegnati e il comportamento, ma nello stesso tempo è in grado di avvertire con una maggior consapevolezza lo spessore e la ricchezza di quelli che accoglie e rielabora. La conseguenza sul piano della personalità è la perdita di quella sicurezza, di quella stabilità del mondo proprie dell’età della latenza. Se si parte da premesse diverse si hanno conclusioni diverse, ci sono delle possibilità alternative: la caratteristica di tutto il pensiero della preadolescenza secondo Piaget è il primato del possibile sul reale e il possibile impone al preadolescente un mondo di scelte che richiamano la responsabilità personale. Sentirsi sommersi dall’universo del possibile, oltre che essere fonte di ansia e di inquietudine, sul piano comportamentale può esprimersi nell’evitamento delle decisioni che può prendere anche la forma della adesione acritica alle norme o alle abitudini, della paralisi nel dubbio o del passaggio immediato e impulsivo all’agire (Elkind, 1994).

Altra conseguenza è che in virtù dell’accrescimento fisico ora lo sguardo degli adulti è visto non più da una posizione inferiore e subordinata bensì a pari altezza rispetto ai propri occhi e, essendo anche come funzionamento mentale un adulto, il preadolescente si accorge delle incongruenze nel ragionare degli adulti. Non sono più gli adulti onnipotenti e onniscienti dell’età della latenza, diventano dei giganti con i piedi di argilla, dei millantatori. Il preadolescente reagisce agli errori dei genitori con un atteggiamento deluso e contrariato verso il dio che ha fallito. La deidealizzazione dei genitori nella preadolescenza spesso porta a una disarmonia familiare. Ma rende anche possibile al preadolescente ristrutturare e includere nella propria personalità una maggior varietà di valori nuovi ed extrafamiliari.

Il preadolescente sente il bisogno di liberarsi dalle antiche identificazioni, ma sente anche il bisogno altrettanto intenso di introiettare nuovi oggetti di identificazione su cui depositare la fiducia nelle proprie capacità di amore e riparazione. Nel rifiuto della famiglia si appoggia a delle idee, a dei movimenti, in definitiva a dei leaders, che sono degli adulti idealizzati, con un’adesione totale all’oggetto scelto. È perciò facilmente plagiabile, ma anche particolarmente sensibile a interventi educativi trasmessi da modelli extrafamiliari. I teorici dell’apprendimento sociale hanno descritto in modo approfondito i meccanismi dell’apprendimento osservativo da modelli di comportamenti specifici o da modelli di giudizi morali generalizzati in standard di condotta (regole, obiettivi, aspettative). Tali standard sono particolarmente efficaci nel regolare il comportamento perché il preadolescente li generalizza a varie situazioni e vi fa ricorso anche quando non è presente una autorità esterna.

Elkind (1994), estendendo e approfondendo le analisi piagetiane, vede come caratteristica principale del funzionamento del pensiero formale in progressivo sviluppo nella preadolescenza l’egocentrismo intellettuale, per il quale il preadolescente, seppur in grado di riflettere sul proprio pensiero e su quello dell’altro, è però incapace di differenziare e di distinguere tra la propria percezione di ciò che gli altri pensano di lui e ciò che le persone pensano davvero nella realtà. Il preadolescente si convince che il resto del mondo concentri su di lui la stessa attenzione che egli rivolge a sé stesso e si crea così il vissuto di un pubblico immaginario costantemente impegnato a osservare e a giudicare le sue azioni.

È possibile vedere un legame stretto tra questa caratteristica cognitiva e la particolare suscettibilità mostrata dai preadolescenti alla vergogna morale. Infatti, la condizione necessaria perché si provi vergogna morale è la consapevolezza di sé esposto alla osservazione, allo sguardo dell’altro (Sartre, 1943) e al giudizio altrui insieme alla coscienza del fatto che l’azione illecita viene vista e scoperta. Nella vergogna morale l’attenzione non si rivolge all’azione riprovevole, al fare, il che genererebbe un senso di colpa responsabilizzante, ma viene messo a fuoco il , il mostrarsi, ove si evidenzia un’identità negativa nella trasgressione, una valutazione globale diminutiva e passivizzante della persona.

Una aumentata consapevolezza della propria autocoscienza rispetto alle età precedenti e di un controllo cosciente della esperienza di sé fa sentire il preadolescente capace di un nuovo modo di autocontrollo e di autovalutazione (Elfers et al., 2008) anche se si accorge che alcune esperienze mentali si sottraggono al suo controllo. Soprattutto diventa consapevole dell’effetto delle sue azioni sulle relazioni sociali e delle caratteristiche psichiche legate a queste azioni, sente il Sé come attivo nella esperienza e dotato di volontà (Damon e Hart, 1991).

Per quanto riguarda la cognizione morale, Piaget sostiene che ogni morale consiste in un sistema di regole e che l’essenza della moralità va ricercata nel rispetto che l’individuo ha per queste regole. Solo a partire dai nove anni accanto alla preesistente morale eteronoma si sviluppa una morale autonoma, nel senso che compare un relativismo morale per il quale le azioni non vengono più giudicate giuste o sbagliate indipendentemente dal contesto e dalle intenzioni, secondo principi rigidi, immutabili garantiti dalla autorità di genitori, insegnanti o sacerdoti, che li fanno rispettare. Grazie agli sviluppi delle capacità di ragionamento e l’aumento delle esperienze di relazione tra pari, i principi si basano ora sul consenso e sulla cooperazione e possono essere modificati in rapporto alle situazioni contestuali e a principi interiori quali le necessità, la comprensione e il benessere degli altri al fine di rispettarsi reciprocamente e di trattare gli altri come si vorrebbe essere trattati. All’idea di giustizia come uguaglianza della scuola elementare si sostituisce nella preadolescenza quella di giustizia come equità, dove sono tenute in considerazione le differenze individuali, e rispetto alla nozione di responsabilità le azioni non sono più giudicate dalle conseguenze ma dalle intenzioni.

Lawrence Kohlberg amplia e approfondisce le osservazioni di Piaget sui rapporti tra pensiero operatorio formale e giudizio morale. Nell’età della scuola elementare, analogamente alla fase del realismo morale e delle operazioni concrete di Piaget, le regole non sono state introiettate e rimangono esterne. I ragionamenti che guidano i comportamenti si collocano a un livello che Kohlberg definisce preconvenzionale e derivano da una prospettiva individualistica concreta in cui ciascuno possiede isolatamente propri interessi e una prospettiva propria e lascia che gli altri facciano lo stesso. Gli interessi individuali possono entrare in conflitto e la giustizia è un equo scambio reciproco. L’individuo è gentile con l’altro perché l’altro possa esserlo con lui. Si ubbidisce alle regole per evitare punizioni o ottenere vantaggi.

Con le operazioni formali nella preadolescenza il pensiero morale accede al livello successivo, quello convenzionale, grazie al quale si vive rispettando regole interiorizzate condivise con la propria famiglia, con il proprio gruppo di amici e, nella successiva adolescenza, anche con la propria comunità in modo da essere considerato un bravo figlio, un buon amico, un compagno leale, un cittadino rispettoso delle leggi. Lo studio longitudinale di Colby e collaboratori (1983) evidenzia che nel preadolescente permangono in misura elevata giudizi di tipo preconvenzionale e parallelamente si originano e si sviluppano, con una impennata nei tre anni della scuola media inferiore, giudizi di livello convenzionale basati sui principi di lealtà, fiducia e cura. Questo livello prepara al seguente, livello postconvenzionale, raggiunto solo da una minoranza di adulti, in cui si è guidati da valori e principi etici universali (come, ad esempio, il rispetto per la vita, la dignità), che trascendono i singoli individui e le singole culture, anche quando sono in contrasto con regole e norme sociali.

Kohlberg ritiene lo sviluppo delle operazioni logiche una condizione necessaria ma non sufficiente per lo sviluppo morale. Infatti «molti individui si trovano più avanti nello sviluppo intellettuale che in quello morale, mentre l’inverso non accade praticamente mai» (Kohlberg, 1976). Un’osservazione che mostra l’insufficienza del solo pensiero formale per l’acquisizione di una morale matura e giustifica la necessità di pensare a interventi educativi, famigliari e scolastici, volti a identificare ulteriori dimensioni evolutive coinvolte, possibili aree implicate e metodi e strategie adeguati. I risultati della ricerca di Colby e collaboratori (1983) indicano gli anni delle scuole medie inferiori come un periodo critico per lo sviluppo del pensiero dello stadio 3 del secondo livello di Kohlberg, cioè lo stadio delle aspettative interpersonali reciproche, relazioni e conformità interpersonale.

Il posto delle regole

Da una revisione condotta da Turiel (1983) e da Nucci (2002) dell’approccio cognitivo classico allo sviluppo morale, la cui debolezza viene additata nel confondere e sovrapporre norme e principi morali che appartengono ad ambiti diversi (morale, convenzionale, personale), viene proposta la Teoria degli ambiti (o dei domini), secondo la quale nelle esperienze sociali già a partire dall’infanzia si formano tre strutture distinte cognitive che riguardano tre domini (ambiti): la moralità, le convenzioni sociali, la sfera personale. L’ambito morale si riferisce ai concetti di benessere, giustizia, diritti umani, che dipendono dagli effetti intrinseci delle azioni (ad esempio, picchiare è sbagliato, picchiare fa male alla vittima), che sono valori prescrittivi e universali. L’ambito convenzionale comprende regole di comportamento sociale stabilite da qualche autorità o dal consenso sociale che non hanno effetti intrinseci sul benessere delle persone (per esempio non si mangia con le mani, non si spinge la palla con il piede quando si gioca a basket, ci si rivolge con il lei agli adulti con cui non si ha confidenza). L’ambito personale è il dominio di azioni che un individuo ritiene di propria esclusiva pertinenza e quindi al di fuori del campo di disciplinamento sociale giustificabile, le cui conseguenze riguardano l’individuo che le mette in atto. Non è questione di giusto o sbagliato, ma di preferenza (riguardano il proprio corpo, scelte di amici, il vestiario, le attività).

Ogni ambito prevede modalità di interventi educativi diversi e l’efficacia degli interventi dipende dalla adeguatezza rispetto all’ambito in cui si colloca la violazione. Una violazione di una norma morale può essere affrontata da insegnanti o genitori evidenziando che il comportamento è in sé dannoso e ingiusto (hai realmente offeso il tuo compagno) oppure inducendo lo scolaro ad assumere un punto di vista diverso dal proprio (come ti sentiresti tu se un compagno ti prendesse in giro per il timbro della tua voce?). In una situazione di violazione di una norma convenzionale si può ribadire la norma (non si mangia con le mani! non ci si alza da tavola!) oppure si può sottolineare l’inappropriatezza del comportamento (non si mangiano le patatine mentre l’insegnante fa lezione, è maleducazione e in questo modo si arreca disturbo a insegnante e compagni).

Capita che frequentemente l’intervento educativo di genitori e educatori ha scarsi risultati perché non corrisponde all’ambito e, come ulteriore discrepanza di ambiti, l’incongruenza viene alimentata dal fatto che spesso i figli danno valore convenzionale o personale a norme a cui i genitori attribuiscono valore morale. Il preadolescente riconosce ancora autorità ai genitori sulla morale, ma spesso vive regole morali come preferenze, come norme convenzionali o personali e pertanto fonte di liti o oggetto di discussioni (Smetana, 2010).

Lo sviluppo dell’intelligenza consente al preadolescente un comportamento morale più evoluto, ma gli offre anche possibilità più sofisticate di giustificare il proprio comportamento nelle trasgressioni pur nella consapevolezza di una contraddizione con i propri principi etici. Albert Bandura (1996) ha indicato i meccanismi di disimpegno morale e insieme a Caprara e Pastorelli (1995) ha messo a punto una scala per valutarne la presenza nella preadolescenza. I meccanismi evidenziati sono la giustificazione morale (è giusto venire alle mani per proteggere i propri amici), etichettamento eufemistico (prendere la bicicletta di qualcuno senza il permesso è soltanto un prestito), confronto vantaggioso (non è grave insultare un compagno, è peggio picchiarlo), diffusione della responsabilità (quando è un gruppo a fare qualcosa di dannoso, non è giusto dare la colpa a ciascuno individualmente), dislocamento della responsabilità (i ragazzi non possono essere rimproverati se dicono parolacce dal momento che la maggior parte di coetanei lo fa), distorsione delle conseguenze, (prendere in giro in realtà non fa male a nessuno), deumanizzazione della vittima (è bene maltrattare chi si comporta come un verme), attribuzione di colpa (non si possono incolpare i ragazzi che si ribellano ai loro genitori quando questi sono troppo oppressivi). Spesso meccanismi diversi di disimpegno morale operano contemporaneamente in sinergia e così il preadolescente riesce a erigere una barriera tra giudizi morali e comportamenti morali.

Bibliografia

Bandura A. (1996), Teoria socialcognitiva del pensiero e dell’azione morale, «Rassegna di Psicologia», vol. 13, pp. 32-92.

Caprara G.V., Pastorelli C. e Bandura A. (1995), La misura del disimpegno morale in età evolutiva, «Età evolutiva», vol. 51, pp. 18-29.

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1 Sebbene lo scritto sia frutto dell’opera congiunta degli autori Mario Rizzardi ha sviluppato i primi tre paragrafi e Barbara Tognazzi il quarto e il quinto.

2 Dipartimento di Studi Umanistici, Università degli Studi di Urbino «Carlo Bo».

3 Whilst the article is the joint work of both authors, Mario Rizzardi wrote the first three paragraphs and Barbara Tognazzi the fourth and the fifth.

4 Department of Humanistic Studies, University of Urbino «Carlo Bo».

Vol. 7, Issue 1, April 2021

 

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