Vol. 7, n. 1, aprile 2021

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TEORIE E MODELLI DIDATTICI

L’impianto di un curricolo di educazione etico-sociale

Massimo Baldacci1

Sommario

L’articolo presenta una prospettiva generale per un curricolo di educazione morale. Dapprima, vengono descritti gli scopi dell’educazione morale. Poi viene discussa la tipologia del curricolo pertinente a questa forma di educazione. Infine, vengono presentati i criteri-guida per la pratica educativa.

Parole chiave

Curricolo, educazione, morale, scopi, criteri-guida.

DIDACTIC THEORIES AND MODELS

The implementation of an ethical-social curriculum

Massimo Baldacci2

Abstract

The paper presents a general perspective for a moral education curriculum. First, the aims of moral education are described. Then the type of curriculum relevant to this form of education is discussed. Finally, guidelines for educational practice are presented.

Keywords

Curriculum, Education, Morals, Aims, Guidelines.

Premessa

Questo saggio intende offrire un’introduzione generale al presente numero della Rivista, dedicato all’educazione etico-sociale scolastica concepita secondo una prospettiva curricolare.3

Scegliamo di usare l’espressione «etico-sociale» — rispetto a quella più comune di «morale» — per evidenziare la peculiarità del compito della scuola rispetto a questa dimensione formativa. Tale peculiarità mostra due aspetti: il versante sociale della vita morale, e quindi l’accento sul confronto interpersonale (il dialogo, la discussione), rispetto alla sfera privata individuale (l’esame di coscienza); l’orizzonte della democrazia e l’ottica della cittadinanza al cui interno trova espressione la dimensione etica nell’educazione scolastica.

Il motivo che ci porta a impostare in termini curricolari l’educazione etico-sociale scolastica è duplice. In primo luogo, vi è l’esigenza di rendere pienamente consapevole questa dimensione educativa, portandola al livello esplicito (nella misura del possibile) del lavoro scolastico. In secondo luogo, riteniamo che sia necessario conferire sistematicità all’educazione etico-sociale, allo scopo di dare incisività all’opera della scuola rispetto ad essa.

Per trattare tale questione, attraverseremo tre punti: dapprima cercheremo di stabilire le direzioni fondamentali dell’educazione etico-sociale scolastica; poi passeremo a individuare la forma di curricolo appropriata per questa dimensione educativa; infine, indicheremo alcuni orientamenti per guidare la pratica educativa.

Le direzioni dell’educazione etico-sociale

Secondo il razionalismo critico (Banfi, 1934, pp.499-570), per comprendere la problematica della vita etica, non si deve tanto dare una definizione della morale, bensì individuare il principio immanente all’esperienza morale. Tale principio può essere ravvisato nell’antinomia tra le esigenze dell’io e le istanze degli altri (o del mondo). La problematica dell’esperienza morale nasce cioè dalla tensione tra questi opposti poli, e il suo criterio regolativo è quello del superamento di tale opposizione verso una qualche forma di conciliazione. Quest’ultima, però, non può mai essere assoluta: rimane sempre relativa, cosicché la soluzione dell’antinomia appare un compito aperto e senza fine.

Per rendere meno astratto il principio enunciato, lo si può riformulare nei termini dell’antinomia tra la sfera dell’eticità (l’ethos di una comunità, i suoi costumi) e quella della moralità (la coscienza morale personale) (Hegel, 2000; Banfi, 1934, pp. 516-17; Preti, 1968, pp. 205-09).

L’eticità rappresenta una morale particolare, incarnata nei costumi di una determinata comunità; la moralità è invece espressione dell’esigenza di una morale ideale, valida universalmente. Eticità e moralità si presentano dunque come istanze in potenziale tensione, ma inseparabili. Infatti, l’eticità senza moralità diventerebbe puro conformismo (se convinta) o mera ipocrisia (se insincera); ma la moralità senza eticità rischierebbe di risultare astratta e incline a un vieto moralismo.

Dalla struttura della problematica morale possono derivare alcune direzioni fondamentali dell’educazione morale, poiché i suoi poli antinomici trovano espressione in processi formativi differenti. L’eticità è legata alla formazione di abiti caratteriali nei quali si esprimono le virtù del buon membro della comunità; la moralità è invece connessa al giudizio riflessivo, e dunque al ragionamento morale. Le due direzioni generali dell’educazione morale corrispondono perciò alla formazione di abiti virtuosi da un lato, e nella coltivazione delle capacità di ragionamento morale dall’altro (nella attuale pedagogia americana si parla di Character Education e Moral Reasoning, ma qui prescindiamo da questo riferimento) (Mortari e Mazzoni, 2014).

Veniamo adesso a dare qualche delucidazione su queste due diverse direzioni.

a) La formazione degli abiti. Il concetto di abito (hexis) risale ad Aristotele (1993), che nella Metafisica lo definisce come una disposizione durevole,4 ossia la tendenza ad agire in un certo modo in presenza di determinate circostanze. Un complesso di abiti costituisce il carattere di una persona,5 il suo modo di essere e di fare, i suoi modi di pensare e di vedere le cose. In quanto connessa all’eticità, l’educazione morale esige la formazione di abiti virtuosi, legati alla tendenza ad agire bene o a realizzare ciò che è bene. Si tratta cioè delle qualità del carattere che sono moralmente apprezzabili, o di fatto apprezzate in una certa comunità.

Per quanto riguarda il processo di acquisizione degli abiti, un buon riferimento teorico è rappresentato dalla dottrina dei livelli logici dell’apprendimento di Bateson (1997).

Questo studioso indica tre diversi livelli dell’apprendimento, che sono contraddistinti dal genere di cambiamento che si verifica: l’apprendimento 1 (o proto-apprendimento) consiste in una modificazione del comportamento e della struttura cognitiva del soggetto; corrisponde all’apprendimento comunemente inteso, che si esprime nell’acquisizione di conoscenze o abilità specifiche; l’apprendimento 2 (o deutero-apprendimento) è, invece, rappresentato da un cambiamento dell’apprendimento 1 che ne modifica il successivo decorso: rendendolo più rapido, per esempio; fanno parte di questa tipologia di acquisizioni: l’imparare ad apprendere, il transfer dell’apprendimento, e — ciò che ci interessa — l’acquisizione di abiti mentali (di formae mentis, di stili cognitivi, di tratti caratteriali, ecc.); infine, l’apprendimento 3 consiste in una modificazione dell’apprendimento 2, ossia in un processo di cambiamento di abiti precedentemente acquisiti.

A questa articolazione si deve aggiungere che l’apprendimento 1 è diretto e manifesto, mentre l’apprendimento 2 ha carattere collaterale (si struttura parallelamente all’apprendimento 1 e solo in connessione con esso) e risulta, perciò, poco evidente. Inoltre, si deve considerare che l’apprendimento 1 produce risultati a breve-medio termine, mentre l’apprendimento 2 dà i suoi frutti solo a medio-lungo termine.

Pertanto, l’acquisizione degli abiti è l’esito di un processo di deutero-apprendimento, che avviene collateralmente all’esperienza a lungo andare di/in un certo contesto.6 Di questo si dovrà tenere conto quando arriveremo a indicare gli orientamenti curricolari pertinenti a questa direzione.

b) Il ragionamento morale e la discussione. Il possesso di un corredo di abiti permette di agire in modo naturale nella vita quotidiana. Tuttavia, l’abito non determina meccanicamente l’azione, bensì genera l’impulso a comportarsi in un certo modo. L’essere umano è capace di inibire l’impulso e agire diversamente. In generale, la riflessione morale compare quando — invece di comportarsi impulsivamente — il soggetto si domanda «come devo agire?», «quale è la cosa giusta da fare?» (Nagel, 1999). E talvolta non è semplice rispondere a questa domanda, perché la situazione che l’ha suscitata può essere problematica o conflittuale.

Tale riflessione prende la forma del ragionamento7 e del giudizio morale, che si caratterizza per la sua prescrittività e argomentabilità (Hare, 2006). Circa l’aspetto prescrittivo, il giudizio morale non è una valutazione inerte, bensì impegna ad agire in modo conforme ad esso. Inoltre, il giudizio morale ha un aspetto argomentativo, in quanto spesso è necessario giustificarlo, dandone, cioè, le ragioni a sé stessi o agli altri (Larmore, 2008). Pertanto, tale giudizio è spesso accompagnato dal ragionamento morale, sia che si svolga nella sfera intima della persona, sia nello spazio dei rapporti sociali. In quest’ultimo caso il ragionamento assume la forma della discussione, nel corso della quale si confrontano posizioni differenti e le loro relative giustificazioni.

Questa rilevanza del ragionamento ai fini morali chiama in causa vari presupposti. Uno dei principali è quello della logica del ragionamento morale, in relazione al quale la logica classica non fornisce una base sufficiente, poiché in esso entrano in gioco gli schemi della logica modale (che usano i termini «possibile» e «necessario») e della logica deontica (che è un settore della prima, e adotta termini come «obbligatorio», «proibito», «permesso», «facoltativo»).8

Ciò rende rilevante lo sviluppo morale e cognitivo dei soggetti da educare. Secondo Kohlberg (1981), parallelamente allo sviluppo mentale e in funzione di questo, lo sviluppo morale attraversa tre stadi, che però non tutti i soggetti riescono a percorrere interamente. Per caratterizzarli sommariamente, si può dire che il primo stadio è quello di una morale di tipo pre-convenzionale, di natura meramente opportunistica; il secondo è inerente alla morale convenzionale, approssimativamente coincidente con la conformità all’eticità di una certa società; infine, il terzo stadio concerne una morale post-convenzionale, che tende a identificarsi con la moralità concepita in senso universalista. Questa teoria — nonostante il suo interesse — collocandosi nel solco delle ricerche di Piaget, mostra però il limite di un certo individualismo, dal momento che lo sviluppo morale viene visto come dipendente dallo sviluppo cognitivo individuale. Pertanto, è necessario bilanciarla con l’attenzione a impostazioni socio-costruttiviste, come quella di Vygotskij (1974). Per caratterizzare in modo più concreto l’universalità dei principi etici, si può invocare la posizione di Hare (2006), secondo il quale un’altra caratteristica fondamentale del giudizio morale risiede nella sua universalizzabilità. In questo senso, un giudizio è veramente morale se e solo se è possibile universalizzarlo, e ciò vuol dire che chi lo proferisce lo deve ritenere valido per tutte le situazioni simili, indipendentemente dalla posizione particolare che egli vi occuperebbe (ossia, a ruoli scambiati).

Queste direzioni generali devono essere però essere constestualizzate in rapporto alla specificità dell’istituzione scolastica. E, come si è accennato, il carattere comunitario della scuola ci porta a non limitare l’educazione morale al suo aspetto meramente individuale (chiuso nella coscienza privata), ma ad estenderla alla sfera sociale, fatta di un tessuto relazionale. C’è da aggiungere che, in linea con la posizione deweyana (Dewey, 2000), riteniamo che la scuola debba essere pensata e organizzata come una comunità democratica. Per caratterizzare il progetto di formazione morale che abbiamo in mente, useremo quindi l’espressione: curricolo di educazione etico-sociale.

Questa opzione implica che alle due direzioni già individuate se ne aggiunga una terza:

c) l’educazione alla discussione. Infatti, entro una comunità il ragionamento morale non rimane puramente individuale, ma assume la forma sociale della discussione. Quest’ultima, pertanto, rappresenta un importante momento dell’educazione al ragionamento, e secondo il socio-costruttivismo vigotskijano la pratica sociale della discussione favorisce (attraverso l’interiorizzazione della sua logica) la capacità di pensiero personale. Tuttavia, affinché l’educazione attraverso la discussione sia pienamente feconda, occorre accompagnarla con una educazione alla discussione, in quanto pratica fondamentale di una comunità democratica. Questo implica che quest’ultima direzione assuma la forma di un’educazione all’etica democratica della discussione.

La forma curricolare dell’educazione etico-sociale

Il curricolo costituisce un dispositivo teorico e metodologico che consente di concepire la formazione scolastica nella sua interezza, a trecentosessanta gradi. A parte questo, in concreto, il curricolo corrisponde al percorso formativo della scuola (Frabboni, 2000). La sua struttura è espressa dalla relazione tra il soggetto da formare e l’oggetto culturale da apprendere, cosicché l’insegnamento deve sempre cercare di conciliare le esigenze di entrambi questi poli.

Per stabilire quale forma curricolare deve assumere l’educazione etico-sociale, occorre chiarirne le tipologie e le logiche.

a) Le tipologie di curricolo. Una distinzione ormai canonica nella letteratura curricolare è quella tra curricolo esplicito e curricolo implicito.

Il curricolo esplicito concerne i fini che la scuola promuove intenzionalmente, per lo più relativi ai diversi saperi (lingua, matematica, storia, ecc.). Il curricolo implicito è relativo agli effetti collaterali dell’insegnamento, che non sono direttamente ricercati, sebbene possano essere in parte consapevoli. In genere, l’educazione morale viene situata all’interno di questo secondo tipo di curricolo. In questa sede, invece, ipotizziamo di ricollocarla in buona misura in una dimensione esplicita.

Per esprimere la peculiarità curricolare dell’educazione etico-sociale ricorreremo perciò a una differente distinzione (Baldacci, 2006), connessa ai livelli dell’apprendimento di Bateson. In questo senso, se si trasporta la ripartizione tra proto-apprendimento (livello 1) e deutero-apprendimento (livello 2) sul curricolo, ne risultano due diversi livelli curricolari (che si strutturano parallelamente). Il curricolo di primo livello è legato al proto-apprendimento, all’acquisizione di conoscenze e abilità inerenti ai saperi scolastici. Il curricolo di secondo livello, invece, corrisponde al deutero-apprendimento, ossia alla formazione di abiti mentali che si svolge collateralmente al proto-apprendimento, ma in tempi più lunghi.

Ciò premesso, possiamo assegnare l’educazione etico-sociale al curricolo di secondo livello. Infatti, questo genere di educazione consiste nella strutturazione di abiti che riguardano l’ethos della comunità, il ragionamento morale e la discussione civile.

Da ciò discende che a scuola l’educazione etico-sociale si dispone collateralmente all’istruzione. Pertanto, sarebbe errato concepirla come una ulteriore materia del curricolo, destinandole un orario ad hoc. L’educazione etico-sociale si struttura continuamente per tutto il lavoro scolastico, sebbene il docente possa non esserne sempre cosciente. Pertanto, l’insegnante deve adottare una visione binoculare dei processi formativi: con un occhio deve guardare agli esiti immediati dell’attività; con l’altro deve spingere lo sguardo sugli effetti a lungo andare del lavoro scolastico, sia di tipo cognitivo che di tipo etico-sociali. Soltanto una visione complessiva di questo genere permette un’adeguata guida di tali processi.

b) Le logiche curricolari. A questo proposito, muoveremo dalla distinzione tra curricolo per obiettivi e curricolo per principi procedurali (Stenhouse, 1977).

Il curricolo per obiettivi si fonda sulla definizione delle mete formative che gli scolari devono raggiungere. In relazione a ciò, sono state elaborate tassonomie degli obiettivi per orientare la determinazione delle procedure didattiche e valutative (per il campo cognitivo: Bloom, 1983; per quello affettivo-morale: Bloom, Krathwohl e Masia, 1990).9

Un curricolo per obiettivi implica l’apprendimento di comportamenti, ma questo vuol dire metterlo in relazione al proto-apprendimento. Detto in altri termini, il modello degli obiettivi è adeguato per un curricolo di primo livello. Tuttavia, l’educazione etico-sociale inerisce al curricolo di secondo livello, che concerne il deutero-apprendimento, e quindi riguarda la formazione di abiti e non di specifici comportamenti. Infatti, la strutturazione di un abito democratico non consiste nell’acquisizione di una serie di comportamenti specifici, bensì in quella di un atteggiamento mentale trasferibile alle più diverse situazioni. Fondare un curricolo di educazione etico-sociale sulla metodologia degli obiettivi sarebbe perciò un errore di tipologia logica.

Pertanto, è necessario un modello coerente con un curricolo di secondo ordine, quale quello inerente all’educazione etico-sociale. A questo scopo, ipotizziamo che tale modello possa essere quello fondato sui principi procedurali (Stenhouse, 1977). Tali principi non riguardano i traguardi di apprendimento dell’alunno, bensì l’attività educativa dell’insegnante (e insieme del discente), della quale definiscono alcune modalità coerenti con la finalità verso cui tendere (Stenhouse, 1977, p. 112).

Visto che nel nostro caso è in gioco il deutero-apprendimento, occorre però una modifica del modello di Stenhouse. A questo proposito, il deutero-apprendimento può essere visto anche come apprendimento di un contesto (Bateson, 1997). Tra abito e contesto corre un’implicazione reciproca: l’abito da monaco si forma in convento, quello da militare in caserma. Pertanto, per formare un dato abito è necessaria una certa strutturazione del contesto. Strutturare un contesto non significa però soltanto organizzare materialmente un certo ambiente, quanto definire i significati di una situazione e/o di un’attività attraverso opportuni segnali: regole esplicite e implicite, esempi di condotta, pratiche di approvazione e di biasimo, ecc. Per formare un dato abito, il valore che lo innerva deve quindi costituire il principio di strutturazione del contesto. Si dovrebbe perciò parlare di principi di strutturazione contestuale.

Un’ultima annotazione, l’equazione curricolare tra soggetto e oggetto richiede che siano prese in considerazione anche le caratteristiche psico-sociali dei destinatari dell’azione educativa. Su questo ci limitiamo però a rinviare ad un altro saggio.10

Orientamenti curricolari per l’educazione etico-sociale

Adesso intendiamo dare struttura alle linee curricolari evidenziate nel primo paragrafo (abiti morali democratici, ragionamento morale, etica della discussione) secondo la forma di un curricolo di secondo ordine, legato al deutero-apprendimento e basato su principi di strutturazione contestuale.

In altre parole, si tratta di ipotizzare alcuni di tali principi11 (talvolta anche di tipo procedurale) inerenti a ciascuna delle tre direzioni curricolari già individuate.12

a) Orientamenti curricolari per la formazione di abiti morali democratici. Per definire i principi contestuali relativi a questa direzione, sarebbe necessario chiarire il concetto dell’ethos democratico.13 In questa sede, ci limiteremo però a indicare alcuni punti che ne sono espressione e che possono essere visti come approssimativi principi contestuali. La realizzazione di un contesto ispirato a questi principi determina anche la creazione di un certo clima scolastico, di tipo democratico (Carugati e Selleri, 2001, pp. 13-14).

a.1 Il principio dello sviluppo personale. In un contesto democratico si cura lo sviluppo personale di tutti i membri della comunità. Secondo Dewey (2000), il nucleo di una cultura democratica è costituito dall’attenzione alla crescita intellettuale e morale di tutti. Pertanto, tutta la comunità scolastica deve cooperare per promuovere lo sviluppo di ciascuno, e non devono essere tollerate condotte che limitano o impediscono tale crescita.

a.2 Il principio dell’uguaglianza. Un contesto democratico è strutturato sull’uguaglianza di diritti e di rispetto per tutti i membri della comunità. In altre parole, vi è parità di diritti e doveri, nessuno gode di privilegi per nessuno, e tutti meritano il medesimo rispetto (Veca, 1989).

a.3 Il principio della solidarietà. Un contesto democratico ammette un trattamento differenziato solo se va a vantaggio dei soggetti più sfavoriti (Rawls, 1989). Secondo il principio di uguaglianza occorre un uguale trattamento per tutti, ma fa eccezione il trattamento differenziato che vada a vantaggio dei membri più deboli o sfavoriti. In altre parole, una scuola democratica deve dare di più a chi ha di meno.

a.4 Il principio di inclusione. Un contesto democratico ha un carattere aperto e inclusivo verso tutte le differenti identità (Zagrebelsky, 2005). Nessuna differenza di identità (etnica, culturale o sociale) deve tradursi in una diseguaglianza o in una discriminazione rispetto alla vita scolastica. Tutti i membri della comunità hanno pari diritti.

a.5 Il principio del dialogo. In un contesto democratico vige un confronto libero e argomentato delle opinioni. Tutte le opinioni devono poter essere liberamente espresse e prese sul serio (a meno che non ledano i diritti degli altri). Inoltre, le opinioni devono poter essere discusse e argomentate rispetto alla loro fondatezza.

a.6 Il principio sperimentale. In un contesto democratico vige un atteggiamento sperimentale verso le decisioni (Dewey, 2000). In democrazia, le decisioni hanno un carattere provvisorio, e sono aperte al libero esame delle loro conseguenze, e quindi ad eventuali correzioni. Una cultura democratica, cioè, è una cultura pubblicamente verificabile (Preti, 1975).

a.7 Il principio dell’autonomia e della responsabilità. Un contesto democratico è caratterizzato dalla promozione dell’autonomia e della responsabilità dei membri della comunità. Entro i limiti delle regole della comunità, ognuno gode di autonomia ma è responsabile delle proprie idee e della propria condotta. Autonomia e responsabilità, quindi, si bilanciano reciprocamente (Bertin, 1975).

b) Orientamenti curricolari per il ragionamento morale. La formazione delle capacità di ragionamento morale dà l’accesso a una moralità critica, che — liberandosi dai pregiudizi — consente di affrontare i concreti problemi morali della vita sociale attraverso la ragione (nel suo legame umano col sentimento).

Questo esame riflessivo sopravviene quando si percepisce l’inadeguatezza del nostro impulso immediato. In una comunità democratica, tale riflessione tende a diventare dialogo o discussione, diretta a giustificare i nostri giudizi e le nostre condotte, e a cercare di comporre l’eventuale disaccordo morale. Gli orientamenti curricolari per la formazione del ragionamento morale si basano, perciò, su pratiche quali: la riflessione personale; il dialogo interpersonale; la discussione di gruppo.14 Infatti, le capacità di ragionamento morale progrediscono non solo con lo sviluppo mentale degli scolari (secondo la teoria piagetiana), ma anche attraverso le pratiche di comunicazione sociale e la loro graduale interiorizzazione a livello personale (secondo il paradigma vygotskijano). Vediamo adesso alcuni principi per l’educazione al ragionamento morale.

b.1 Principio della riflessione personale: sollecitare la riflessione personale degli scolari su questioni di rilevanza etico-sociale.

b.2 Principio della disponibilità dialogica: stimolare lo scolaro al dialogo, mostrando attenzione e ascolto attivo per le sue idee, nonché accettazione e contenimento per i suoi sentimenti.

b.3 Principio maieutico: stimolare, guidare e sostenere i tentativi di ragionamento dello scolaro con domande e interventi di rispecchiamento.

b.4 Principio della cooperazione discorsiva: la discussione è diretta all’intesa reciproca, perciò occorre collaborare cercando di far capire le proprie ragioni e sforzandosi di comprendere quelle degli altri.

b.5 Principio dell’argomentazione ad rem: nel discutere, l’oggetto di eventuali critiche deve essere la tesi o gli argomenti dell’interlocutore, non la sua persona.

b.6 Principio della validità argomentativa: curare che le ragioni addotte per giustificare una tesi siano fondate e logicamente connesse a tale tesi.

c) Orientamenti per l’educazione all’etica della discussione. La comunicazione sociale ha un ruolo costitutivo della vita di una comunità, la quale si fonda sul mettere in comune significati e valori (Dewey, 2000). In particolare, in una comunità democratica, è rilevante la comunicazione basata sulla discussione pubblica dei problemi collettivi, e diretta alla determinazione del bene comune. Pertanto, la discussione secondo l’atteggiamento sperimentale è consustanziale a un’etica democratica (perciò, compare nei principi della formazione democratica, punto a.6).

Abbiamo visto, nel paragrafo precedente, la direzione dell’educazione etico-sociale attraverso la discussione. Tuttavia, se la discussione assume forme degradate, i suoi effetti possono essere diseducativi. La condizione di possibilità di un’educazione attraverso la discussione risiede perciò in un’educazione alla discussione. In altre parole, l’educazione alla discussione rappresenta una condizione affinché la discussione possa essere veramente educativa, e quindi sia possibile un’educazione attraverso la discussione.

Pertanto, occorre dedicare una specifica attenzione alla questione di un’educazione all’etica della discussione. Non occorre però formulare orientamenti per una ulteriore pratica, bensì individuare a quali vincoli additivi sia opportuno assoggettare la pratica della discussione, ossia quali principi supplementari siano da seguire per educare a un’etica della discussione stessa. Vediamo in sintesi alcuni di tali principi.

c.1 Principio fondamentale: la discussione deve sempre svolgersi secondo modalità tali da favorire la crescita intellettuale e morale dei suoi partecipanti, e mai in forme tale da ostacolare tale crescita; ciò implica i seguenti ulteriori principi:

c.2 Principio del diritto alla discussione: la discussione rispetta il Principio fondamentale soltanto se è assicurato a tutti il diritto di partecipare e di esprimere liberamente le proprie opinioni, con l’unico vincolo di fornirne le giustificazioni e di rispondere ad rem (principio b.5) alle eventuali critiche; inoltre, è un dovere per tutti rispettare tale diritto.

c.3 Principio della capacitazione discorsiva:15 la discussione rispetta il Principio fondamentale soltanto se, oltre ad assicurare il diritto alla partecipazione, l’insegnante favorisce le capacità e gli atteggiamenti etici necessari per avvalersi di tale diritto, e in particolare il coraggio di intervenire nella discussione, di manifestare apertamente le proprie idee e dissentire da quelle altrui se non le si ritiene giustificate (senza assentire per conformismo o opportunismo).

c.4 Principio della comunità discutente: la comunità democratica scolastica deve essere concepita come una comunità di discussione: questa pratica deve essere valorizzata entro l’intera attività scolastica (e nell’insegnamento di tutti i saperi); e all’interno di tale comunità la discussione civile va proposta come un valore etico e culturale al tempo stesso.

Conclusioni

Per terminare, dobbiamo compiere alcune annotazioni sui principi di strutturazione contestuale esposti.16

In primo luogo, non abbiamo inteso tracciare una tavola esaustiva di tali principi, ma semplicemente individuarne alcuni che ci sembrano basilari; il loro elenco è perciò integrabile da altri principi.

In secondo luogo, i principi esposti non devono essere considerati come regole meccaniche, bensì come massime generali dell’agire educativo, e come tali vanno applicate in modo intelligente e flessibile nelle diverse situazioni scolastiche.

Infine, tali principi non rappresentano dogmi pedagogici ma pure ipotesi di lavoro, quindi la loro validità è meramente congetturale e provvisoria. Si tratta di metterli alla prova per un tempo convenientemente esteso e in situazioni diversificate per maturare riflessioni sulla loro effettiva validità e procedere così alla loro eventuale rettifica o integrazione. La ricerca teorica, cioè, deve essere completata da quella empirica, intesa nella forma larga della ricerca-azione (Baldacci, 2013).

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1 Professore Ordinario, Pedagogia Generale e Sociale, Università degli Studi Di Urbino «Carlo Bo».

2 Full professor, General and Social Pedagogy, University of Urbino «Carlo Bo».

3 Il presenta saggio rappresenta una ripresa schematica del volume di Baldacci (2020; 2021) inerente alla Ricerca Prin 2017, ed è pubblicato in questo numero della Rivista soltanto per offrire una veduta del quadro d’insieme entro cui si collocano i saggi di approfondimento degli altri membri del Gruppo di ricerca dell’Università di Urbino.

4 Per il concetto di «abito» si veda anche Dewey (1968), Bateson (1997), Bourdieu (2003). Per una sintesi sull’abito rinviamo a Baldacci (2012).

5 In questo quadro, consideriamo il concetto di «abito» come il costrutto fondamentale. Useremo invece l’espressione «carattere» come un termine di comodo per designare un complesso di abiti personali, senza conferire ad esso uno statuto teorico.

6 Per «contesto» Bateson (1997) non intende semplicemente una situazione oggettiva, ma il modo di darsi di tale situazione a un certo soggetto, il significato che questi attribuisce ad essa.

7 Sulla logica del ragionamento morale vedi il saggio di Berta Martini e Monica Tombolato in questo numero della Rivista.

8 Sulle caratteristiche del ragionamento morale si veda Hare (2006); sulle logiche modali e deontiche D’Agostini (2012).

9 Sull’uso delle tassonomie vedi il saggio di Silvia Fioretti in questo numero della Rivista.

10 Si veda il saggio di Mario Rizzardi e Barbara Tognazzi in questo numero della Rivista.

11 In questa sede, nell’esposizione di tali principi dovremo essere necessariamente sintetici, per una loro spiegazione e giustificazione più articolata rinviamo a Baldacci (2020; 2021).

12 A rigore, le fonti per un curricolo di educazione etico-sociale, oltre che di tipo teorico, sono anche di natura istituzionale (le normative scolastiche). A questo proposito, rinviamo al saggio di Maria Chiara Michelini in questo numero della Rivista.

13 Per il rapporto tra educazione e democrazia rinviamo al saggio di Teodora Pezzano in questo numero della Rivista.

14 Per l’uso educativo di alcune di queste pratiche (e in particolare della riflessione) rinviamo al saggio di Paola D’Ignazi in questo numero della Rivista.

15 Per «capacitazione» (capability) la Nussbaum (2012) intende la combinazione tra una opportunità esterna (nel nostro caso, il diritto di partecipare alla discussione) e una o più capacità interne (par quello che ci riguarda, la capacità argomentativa e l’atteggiamento di coraggio etico-intellettuale).

16 In una logica curricolare è essenziale anche il momento della valutazione, che qui non possiamo però trattare. A questo proposito rinviamo al saggio di Rossella D’Ugo in questo numero della Rivista, e a Baldacci (2020).

Vol. 7, Issue 1, April 2021

 

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