Vol. 7, n. 1, aprile 2021

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Modelli educativi

L’educazione etico-sociale nei documenti programmatici della scuola secondaria di primo grado

Maria-Chiara Michelini1

Sommario

Il presente saggio affronta il tema del curricolo etico-sociale inquadrandolo nel contesto dei fondamentali documenti programmatici che riguardano il segmento scolastico della scuola secondaria di primo grado, dalla sua istituzione ai nostri giorni. A tal fine, mette a confronto i diversi scenari e i diversi approcci che da essi promanano, evidenziandone criticamente le contraddizioni e le fragilità. Operando una decisa scelta a favore di un approccio globale, all’opposto di un approccio settoriale/disciplinare, ne sviluppa alcune linee di indirizzo, che le Indicazioni Nazionali del 2012 e il Documento reinterpretativo delle medesime, elaborato nel 2018 a cura del Comitato Scientifico Nazionale per le Indicazioni Nazionali, affidano alle scuole come criteri orientativi per l’elaborazione di un curricolo etico-sociale, nell’ambito del loro mandato. Particolare attenzione viene riservata alla dimensione metodologica dell’insegnamento, che intrinsecamente innerva e traduce gli scopi educativi considerati.

Parole chiave

Curricolo scolastico, insegnamento, Indicazioni Nazionali, Saperi e metodologie.

Educational models

Ethical-social education in secondary school curriculum policy documents

Maria-Chiara Michelini2

Abstract

This essay will focus on the ethical-social curriculum, placing it in the context of the fundamental policy documents that concern the scholastic segment of lower secondary school, from its institution to the present day. To this end, it compares different scenarios and approaches, critically highlighting their contradictions and fragilities. In the light of a global approach, as opposed to a sectorial/disciplinary approach, it develops a series of guidelines, which the 2012 National Guidelines and the Reinterpreted Document, developed in 2018 by the National Scientific Committee for National Guidelines, entrust to schools as guiding criteria for the development of an ethical and social curriculum, within their mandate. Particular attention is directed to teaching methods, which translate and carry out educational purposes.

Keywords

School curriculum, Teaching, National Guidelines, Knowledge and Methods.

Un cammino difficile e insidioso

La questione dell’educazione etico-sociale all’interno del curricolo nella storia scolastica recente può essere definita nei termini di un cammino difficile e insidioso per una serie articolata di ragioni, storicamente, ancor prima che pedagogicamente, determinate. La radice di ciò può essere essenzialmente ricondotta in gran parte alle visioni politiche differenti e contrastanti in ordine all’idea di scuola e, conseguentemente, alle sue finalità e alla sua organizzazione interna, non sempre risolte attraverso sintesi adeguate, anche in virtù del carattere in prevalenza ideologico del dibattito. Tali visioni, infatti, hanno spesso prodotto soluzioni/compromesso intrinsecamente fragili e scarsamente sostenute da concezioni pedagogiche coerenti, dal punto di vista dei programmi, oltre che degli ordinamenti. Il caso della scuola media unica rappresenta l’emblema di questa tendenza. Non a caso Tristano Codignola (1986) ne paragonò l’istituzione del 1962 alla Guerra dei trent’anni, combattuta tra una visione tendenzialmente selettiva e, conseguentemente, orientativa, nel contesto di una distinzione gerarchica di opportunità, ed una concezione democratica, tesa all’integrazione di tutti, dando di più a coloro che partono da condizioni svantaggiate sul piano sociale e/o personale. Sul piano politico la discussione si concentrò su due disegni di legge di proposta comunista e democristiana, orientati in direzioni tra loro divergenti. La legge del 31 dicembre 1962, n. 1859, istitutiva della scuola media unica, pur costituendo una sorta di miracolo, risente dell’inconciliabilità di tali visioni, per certi versi ancora irrisolte. Nonostante i limiti e le contraddizioni, la creazione della scuola media unica rappresenta una vera e propria rivoluzione che si riverbera anche nei programmi emanati nel 1963, rivelando un consistente svecchiamento dei contenuti, pur non sciogliendo le ambiguità della legge n. 1859 e palesando, quindi le funzioni anfibie ad essa attribuite, di formazione di base a chi avrebbe e a chi non avrebbe proseguito gli studi. In questo senso è emblematica la questione del latino, che la norma rendeva obbligatorio per tutti in seconda media e facoltativo in terza, per chi fosse orientato ai percorsi liceali più elevati.3 La lettera a una professoressa di don Lorenzo Milani rappresenta in tal senso, la denuncia più significativa delle contraddizioni di una scuola che non aveva superato nei fatti quei caratteri di selettività classista che segnavano la distanza più evidente con la scuola ad impronta autenticamente democratica ed inclusiva. Avremo modo più avanti di tornare a parlare della scuola media unica e dei suoi programmi, al momento ci limitiamo a queste considerazione che intendono sottolinearne il carattere esemplare per il ragionamento che stiamo facendo. L’idea di scuola, le finalità formative perseguite, la tipologia di uomo e di cittadino cui si guarda, infatti, incidono fortemente sul curricolo di educazione etico-sociale sotteso, per sua natura intrinsecamente correlato. Le eventuali ambiguità delle concezioni di riferimento si riverberano in maniera significativa su questo piano, rendendo spesso oscuro il disegno complessivo e il mandato sociale di un determinato ordinamento o programma scolastico rispetto all’educazione etico-sociale. A ciò si aggiunga il fatto che sovente nella scuola italiana gli ordinamenti e i testi programmatici hanno genesi differenti, a loro volta espressione di visioni diverse. Ciò produce ulteriore oscurità e difficoltà per la progettazione e l’implementazione curricolari.

Approcci per un curricolo di educazione etico-sociale

Abbiamo già avuto modo di riflettere su questo aspetto (Michelini, 2020a) riguardo il tema dell’educazione alla cittadinanza, con particolare riferimento al radicale divario tra le concezioni sottese alla recente L 92/2019 relativa all’Introduzione dell’insegnamento scolastico dell’educazione civica, in riferimento alle Indicazioni Nazionali del 2012, oltre che del Documento reinterpretativo delle medesime, elaborato nel 2018 a cura del Comitato Scientifico Nazionale per le Indicazioni Nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione.4 In quella sede abbiamo avuto modo di constatare come tali documenti, anziché costituire un quadro coerente e organico, offrendo alle scuole autonome la cornice unitaria entro la quale elaborare le proprie scelte e le proprie progettualità, in realtà rispondono a visioni educative differenti e scarsamente integrabili, tanto da indurre il Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione ad esprimere parere negativo alla sperimentazione, per una serie di ragioni non solo tecnico-giuridiche.

I due testi normativi rappresentano l’antitesi principale delle concezioni relative a un curricolo di educazione etico-sociale: globale o settoriale/disciplinare. Detto in estrema sintesi, nel primo caso, si privilegia il carattere trasversale a tutte le discipline e a tutte le attività curriculari, nel secondo, si identifica uno spazio disciplinare e temporale specifico, al quale si affida il raggiungimento della formazione morale degli allievi. La nostra posizione, già espressa nel saggio a cui abbiamo fatto riferimento (Michelini, 2020), considera l’approccio globale senza dubbio da preferire a quello settoriale disciplinare, pur considerando opportuni spazi curriculari dedicati specificamente alla conoscenza e all’approfondimento di aspetti peculiari, quali, ad esempio, lo studio della Costituzione italiana. Riteniamo, infatti, che sia del tutto velleitario immaginare che processi educativi che incidano profondamente nella formazione etica delle persone possano essere risolti con percorsi settoriali e limitati, volti all’insegnamento/apprendimento di principi, regole e norme. In tal senso riteniamo dirimente il riferimento all’antinomia, anche richiamata da Baldacci (2020), tra moralità ed eticità, le quali si presentano come istanze in potenziale tensione, ma nel contempo inseparabili, costantemente alla ricerca di una conciliazione, senza escludere la possibilità di complementarità. L’eticità è riconducibile all’ethos di una comunità, ai suoi costumi e alle sue regole, ai suoi valori. La moralità chiama in causa la coscienza personale di ciascuno rispetto a norme e a valori nel rapporto col mondo (con gli altri esseri umani, con gli animali, con l’ambiente) e con sé stessi. L’eticità, dunque, fissa anche le virtù etico-sociali che caratterizzano il buon membro della comunità, gli abiti che lo contraddistinguono e ne costituiscono il carattere tipico. La coscienza morale interviene nelle situazioni particolari e determinate, che pongono ai soggetti il problema di come sia giusto agire, di cosa sia bene e di cosa sia male fare. In tal senso nelle situazioni determinate i soggetti riflettono in una prospettiva che muove verso l’idealità cui ciascuno anela, non di rado in direzione problematica e critica rispetto alle norme socialmente date.

La distinzione, pur ripresa nei suoi tratti essenziali, incide fortemente sull’idea di educazione in senso etico-sociale: se per la formazione etica potremmo considerare sufficienti l’integrazione sociale e la conseguente interiorizzazione di norme e costumi, la formazione di una coscienza morale presuppone la capacità di ragionare, di formulare giudizi riflessivi, di argomentare le proprie ragioni e di discuterle dialogicamente. In ogni caso, educare in senso etico-sociale, ponendo le basi per l’esercizio della cittadinanza attiva, non è riducibile alla trasmissione di contenuti di conoscenza, pur importanti e necessari, ma avviene «attraverso esperienze significative che consentano di apprendere il concreto prendersi cura di sé stessi, degli altri e dell’ambiente e che favoriscano forme di cooperazione e di solidarietà» (IN, p. 33). Anche dal punto di vista linguistico è indicativo l’uso dell’espressione aspetti contenutisti nell’intitolazione dell’allegato A (Linee guida) della L 92/2019, mentre, appunto, le IN ripetutamente utilizzano per questo ambito il termine esperienza, con evidenti richiami alla migliore concezione di tale espressione in ambito pedagogico. Siamo di fronte a due diverse idee di educazione in senso etico-sociale e, conseguentemente, a due distinti modelli pedagogici. Da un lato si profila un orizzonte ampio in cui obiettivi irrinunciabili sono la costruzione del senso di legalità e lo sviluppo di un’etica della responsabilità. L’ampiezza di tale orizzonte si traduce in modelli educativi e curriculari al centro dei quali gli allievi sono coinvolti in prima persona in esperienze che richiedono loro di scegliere e agire in modo consapevole, che implicano l’impegno a elaborare idee e a promuovere azioni finalizzate al miglioramento continuo del proprio contesto di vita, a partire dalla quotidianità scolastica. Dall’altro lato si sottolinea la dimensione dell’insegnamento diretto di contenuti specifici rispetto ai quali le scuole vengono espressamente invitate ad «aggiornare i curricoli di istituto e l’attività di programmazione didattica nel primo e nel secondo ciclo di istruzione» (Allegato A, p. 1) al fine di «sviluppare la conoscenza e la comprensione delle strutture e dei profili sociali, economici, giuridici, civici e ambientali della società» (articolo 2, comma 1, L. 92/2019).

Il primo scenario, evidentemente, fa eco all’ampiezza del mandato della Costituzione italiana alla scuola, nella direzione della promozione del pieno sviluppo della persona umana, garantendo e promuovendo la dignità e l’uguaglianza di tutti gli studenti e impegnandosi a rimuovere gli ostacoli di qualsiasi natura che possano impedirlo. L’ampiezza e la globalità di questo mandato vengono fortemente richiamate dal documento del 2018 INNS, cui abbiamo già fatto riferimento. Questo testo, infatti, più che riferire degli esiti del primo quinquennio di vita delle Indicazioni, sembra voler enfatizzare il senso delle medesime nella direzione di una concezione globale dell’educazione, richiamando «le comunità professionali delle scuole a organizzare il curricolo e le proposte didattiche in modo da inquadrarle nella cornice di senso e significato della cittadinanza» (INNS, p. 8). A sostegno del proprio invito il testo coglie anche le sollecitazioni presenti nei documenti dell’UE, del Consiglio d’Europa, dell’ONU sul tema, con particolare riguardo agli obiettivi e alle competenze da essi proposti come traguardi per la formazione delle giovani generazioni. In tal senso specifica il carattere non solo cognitivo, pratico, metacognitivo, ma anche e soprattutto etico delle competenze che, nella descrizione della Raccomandazione del 23 aprile 2008, sul Quadro Europeo delle Qualifiche fanno leva sull’agire autonomo e responsabile delle persone. Come abbiamo già avuto modo di dire, ciò conferisce al concetto di competenza un significato non solo cognitivo, pratico, metacognitivo, ma anche e soprattutto etico, in quanto il loro esercizio lega inscindibilmente le conoscenze, le abilità, con l’autonomia di pensiero e la responsabilità delle persone. Ci sembra particolarmente significativo, ai fini del nostro ragionamento, il richiamo forte degli estensori del testo del 2018 a questo scenario di riferimento, esprimendo un’intenzionalità marcata, quasi a voler stigmatizzare il rischio dell’emergere di una concezione opposta. Questa come abbiamo già avuto modo di dire, troverà una traduzione nella L. 92 del 2019, oltre che, ad esempio, nel nuovo testo relativo alle competenze chiave per l’apprendimento permanente dell’UE del 2018, che esprimono complessivamente un senso molto più riconducibile alla prospettiva dell’economia della conoscenza, ad impronta estremamente competitiva e finalizzata allo sviluppo del mercato dell’UE, rilanciata da programmi di lavoro quali «Istruzione e formazione 2010» (ET, 2010), prima e «Istruzione e formazione 2020» (ET, 2020), oltre che Horizon 2020, che declina la Strategia di Lisbona per l’innovazione e la ricerca.5

Una scuola democratica per una società democratica

Al centro, come nella fase storica che portò alla nascita della scuola media unica, quella che Codignola (1960) definì una questione politica di fondo, da lui sintetizzata nel titolo di un articolo che ebbe un ruolo centrale in quel frangente: una scuola democratica per una società democratica. Il rapporto stretto che intercorre tra scuola e società, inteso, come lo intese Codignola in senso attivo dalla prima verso la seconda, comporta la definizione dei grandi scopi dell’educazione scolastica: se essa deve fungere da volano all’economia e, quindi, potremmo dire con le sue parole, essere specchio della società contemporanea, o se essa debba essere strumento politico per «assicurare a tutti indistintamente i cittadini quel livello di base che consenta loro di essere uomini liberi, ed un costume di autogoverno che consenta loro di essere uomini democratici.» (Codignola, 1960, p. 126-127). Il senso della globalità dell’educazione e, in essa, del ruolo della formazione etico-sociale risiede in questo intreccio, che Dewey aveva spiegato in modo supremo e che qui ribadiamo con le parole di Codignola, in riferimento alla genesi della scuola media unica, nel suo significato non solo contingente storicamente, ma anche emblematico a sostegno delle ragioni della nostra ipotesi. La scuola è strumento di trasformazione della società in senso democratico, per esserlo occorre una formazione che. nell’espressione di Visalberghi (1986), eviti lo spreco dei talenti, assicurando una formazione integrale di tutti. Per questo è necessario insistere sulla: «globalità della scuola, nel senso che essa ha da investire nella sua pienezza la personalità dell’adolescente, e, quindi […] estensione dell’orario alle prime ore pomeridiane sia al fine di sostituire i compiti a casa, sia a quello di consentire alle attività opzionali modo e tempo adeguato di attuazione, programmazione solo di massima non minuta, né autoritariamente stabilita…» (Codignola, 1960, p. 125). In questo passaggio rintracciamo alcuni aspetti interessanti per il nostro ragionamento: per valorizzare ogni talento e assicurare, quindi, una società più democratica, la scuola è chiamata alla globalità, vale a dire ad un investimento pieno sulla personalità dell’allievo, in tutte le sue dimensioni cognitiva, emotiva, sociale, affettiva, etica…le misure che traducono tale globalità, diremmo oggi il curricolo nel suo complesso, sono volte appunto ad assicurare questo scopo, in una logica di coerenza tra i fini e i mezzi utilizzati. Se l’educazione è volta a formare persone libere e democratiche, cioè eticamente orientate, i percorsi educativi dovranno investire la personalità degli allievi nel suo complesso, non solo nella pur necessaria dimensione conoscitiva delle regole del vivere civile.

I programmi della scuola media del 1979 si inseriscono in questo solco sottolineandone, nell’ambito dei principi e dei fini generali, il carattere formativo «in quanto si preoccupa di offrire occasioni di sviluppo della personalità in tutte le direzioni (etiche, religiose, sociali, intellettive, affettive, operative, creative, ecc.)» ed il carattere orientativo in quanto «favorisce l’iniziativa del soggetto per il proprio sviluppo e lo pone in condizioni di conquistare la propria identità di fronte al contesto sociale tramite un processo formativo continuo cui debbono concorrere unitariamente le varie strutture scolastiche e i vari aspetti dell’educazione.» Ancora più significativo, in tal senso, è il capo 1 della parte Quarta, intitolato L’unità dell’educazione, nel quale vengono introdotte, espressamente, le discipline come educazione — metodologie dell’insegnamento, con un preambolo che sottolinea il modo in cui tutti gli interventi disciplinari concorrano in una prospettiva unitaria all’educazione della persona. In particolare, aggiungono che, se correttamente interpretate, tutte le discipline, «nella loro differenziata specificità sono, strumento e occasione per uno sviluppo unitario, ma articolato e ricco, di funzioni, conoscenze, capacità e orientamenti indispensabili alla maturazione di persone responsabili e in grado di compiere scelte.» In tal senso si sottolinea il ruolo del progetto educativo unitario del consiglio di classe, chiamato ad armonizzare tutti gli interventi e gli insegnamenti. In questa cornice i programmi del 1979 inseriscono la responsabilità peculiare dell’educazione civica che consente in modo più preciso di prendere conoscenza e coscienza degli ordinamenti e delle strutture civiche e politiche.

In linea con tale orientamento complessivo, oltre che con quello dei programmi del ’79, si pongono espressamente le IN, ispirate a questa idea globale, anche tradotta nel deciso richiamo all’aspetto trasversale dell’insegnamento, in quanto lo sviluppo etico e sociale coinvolge i comportamenti quotidiani delle persone in ogni ambito della vita, nelle relazioni con gli altri e con l’ambiente e pertanto impegna tutti i docenti a perseguirlo nell’ambito delle proprie ordinarie attività.

Particolarmente indicativo per le IN, come già sottolineato per i programmi del ’79, il fatto che tale richiamo si collochi nel passaggio che suggerisce la necessità di prestare particolare attenzione a «Cittadinanza e Costituzione» e alla conseguente introduzione della conoscenza della Carta Costituzionale, in particolare della prima parte e degli articoli riguardanti l’organizzazione dello Stato, affidando opportunamente al docente di storia e al curricolo corrispondente tale compito.

Linee di indirizzo

Nelle IN e nelle INNS, l’affermazione di tale concezione di formazione etico-sociale e alla cittadinanza, viene anche declinata in alcune linee di indirizzo, non programmatiche, nello spirito delle Indicazioni, ma espresse nei termini di criteri orientativi per l’elaborazione curriculare, con particolare riguardo alla dimensione metodologica. Ne proponiamo ora una rapida analisi.

La presenza di comunità scolastiche, impegnate nel proprio compito, rappresenta un presidio per la vita democratica e civile (IN, p. 20). L’idea che emerge è quella dell’essere la scuola avamposto della democrazia, istituzione organicamente impegnata a costruire una società democratica in quanto luogo aperto alle famiglie e ad ogni componente della società, in un processo allargato e dinamico di elaborazione e costruzione del curricolo, attraverso la partecipazione e l’apprendimento continuo di tutti. Da questo punto di vista le IN guardano espressamente alla tenuta etica e alla coesione sociale del paese, rispetto al quale il ruolo della scuola va ben oltre i propri allievi, coinvolgendo la più vasta comunità educativa nella promozione della riflessione sulle sfide educative del nostro tempo e, rispetto ad esse, sulla funzione adulta, sul ruolo decisivo della conoscenza per lo sviluppo economico, sui contenuti e sui modi dell’apprendimento. L’obiettivo della formazione etico-sociale e dell’educazione alla cittadinanza riguarda il nesso inscindibile tra democrazia ed educazione, deweyanamente inteso, ben prima e oltre il lavoro in aula, richiamando al senso più autentico della funzione della scuola come istituzione. Ripartire da questo primo criterio significa riposizionare l’intera dimensione progettuale curriculare, con particolare riguardo al suo profilo etico-sociale e di educazione alla cittadinanza. La sua riduzione alla trasmissione di conoscenze relative alle regole del vivere civile, in tal senso, appare operazione del tutto inadeguata, la quale rimanda a scenari completamente estranei che configurano la scuola come mera agenzia di erogazione di servizi.

Tutto ciò comporta, tra l’altro, l’esigenza della non dogmaticità dell’insegnamento, vale a dire, l’assunzione di un metodo ispirato alle forme della conoscenza scientifica, sempre fondata sull’osservazione dei fatti, sull’apertura alla problematizzazione, alle interpretazioni differenti, a modelli sempre suscettibili di revisioni e riformulazioni. Un insegnamento, dunque, che è esso stesso ricerca capace di ispirare e coinvolgere direttamente, docenti e allievi, questi ultimi incoraggiati a porre domande, a sperimentare, a esplorare, a ipotizzare. Ad esempio, riguardo alle Scienze, la IN per la scuola primaria, affermano «la gradualità e non dogmaticità dell’insegnamento favorirà negli alunni la fiducia nelle loro possibilità di capire sempre quello che si studia, con i propri mezzi e al proprio livello.» (IN, p. 66). Il medesimo passaggio apre ad altre due linee di indirizzo (si vedano i successivi 3 e 4) rintracciabili in molti altri punti del testo delle IN. Ci riferiamo alla dimensione metodologica e al protagonismo degli allievi, inteso come «Valorizzazione del Pensiero Spontaneo dei ragazzi, nella costruzione di formalizzazioni in modo convincente per ciascuno, nel tempo» (IN, p. 66). Di questi tratteremo a breve.

Valenza formativa delle discipline

In che modo la scuola potrà svolgere questo compito, a partire da quello che è il suo specifico ruolo? La risposta delle INNS appare netta, indicando la necessità di porre al centro delle Prospettive future della scuola «il tema della cittadinanza vero sfondo integratore e punto di riferimento di tutte le discipline che concorrono a definire il curricolo» (INNS, p. 19). Sono cioè chiamate in causa tutte le grandi aree del sapere, sia per il contributo offerto da ciascuna, sia, e ancora di più, per le molteplici connessioni che le discipline hanno tra di loro. Da questo punto di vista occorre valorizzare il potenziale intrinseco in ogni sapere, come esplicitamente suggerito dai documenti esaminati in molti passaggi A titolo esemplificativo, si rileva come l’ambito scientifico, che richiede lo sviluppo negli alunni della capacità di porre domande, costruire ipotesi, osservare, raccogliere dati, rilevare fenomeni, formulare e verificare conclusioni, imparare dai propri errori, offra per sua natura la possibilità di costruire lo spirito logico e critico, nella lettura razionale della realtà, offrendo la condizione per l’emancipazione degli allievi da dogmatismi, false credenze, interpretazioni pregiudiziali (INNS, p 13). Lo stesso avviene riguardo l’educazione fisica in cui si sottolinea come le attività motorie e sportive creino occasione per riflettere sui cambiamenti del proprio corpo, oltre che per vivere esperienze cognitive, sociali, culturali e affettive intrinsecamente capaci, da un lato, di conoscere se stessi, esplorando lo spazio e, dall’altro di sperimentare concretamente i valori etici che sono alla base della convivenza civile. In tal senso, pertanto, le IN e le INNS invitano espressamente i docenti a promuovere esperienze motorie in cui i ragazzi possano verificare il successo delle proprie azioni, incentivando in essi l’autostima e l’ampliamento progressivo della propria conoscenza. In questo modo si valorizza il potenziale di questa disciplina nello sviluppo dell’autonomia personale, della partecipazione attiva e, al tempo stesso, della crescita di una cultura sportiva improntata ai valori del rispetto di sé e degli altri anche se avversari, di lealtà, di senso di appartenenza e di responsabilità, di controllo dell’aggressività, di rifiuto di qualunque forma di violenza. (INNS, p. 14-15).

Naturalmente la storia viene posta in primo piano in questa direzione, sin dalla premessa delle IN a p. 11, quando si focalizza l’essere la coltivazione della memoria e della condivisione delle radici storiche, a partire dalle tradizioni, una via privilegiata per la costruzione della cittadinanza unitaria e plurale alla quale la scuola è chiamata a contribuire.

Quelli delle discipline menzionate sono solo accenni esemplificativi di come il criterio della valorizzazione del potenziale formativo dei saperi sia una trama che innerva nel suo complesso i documenti programmatici attualmente in vigore nella scuola italiana. La loro menzione intende soltanto indicarne il senso e la portata, non esaurendone il richiamo e la trattazione.

Un cenno a parte merita l’inquadramento del concetto di competenza inteso come «comprovata capacità di utilizzare conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e personale. Le competenze sono descritte in termini di responsabilità e autonomia», con riferimento, come abbiamo già detto, alla Raccomandazione del 23 aprile 2008, sul Quadro Europeo delle Qualifiche che, illustrando il significato di competenza nel contesto europeo, ne precisa la finalità per la convivenza democratica. La loro descrizione in termini di responsabilità e autonomia degli allievi, implica la necessità della valorizzazione di tali dimensioni nelle proposte educative dei docenti (INNS, p.3). Come abbiamo già avuto modo di dire, ciò conferisce al concetto di competenza un significato non solo cognitivo, pratico, metacognitivo, ma anche e soprattutto etico, in quanto il loro esercizio lega inscindibilmente le conoscenze, le abilità, con l’autonomia di pensiero e la responsabilità delle persone. Anche questo aspetto conferma la coerenza della concezione che promana dalle IN, nella direzione di una formazione globale della persona mediante una proposta educativa unitaria ed integrata che interpreta e valorizza le proprie finalità, i propri percorsi e i propri strumenti in maniera sinergica. La sottolineatura appena fatta rispetto al costrutto delle competenze, che, anche in virtù dell’origine nel mondo del lavoro, sono spesso interpretate in senso meramente imprenditoriale, come ciò a cui la scuola deve guardare in quanto richiesto e spendibile nel mercato, rafforza il senso della scelta delle IN. Ancora più significativa appare la forza del richiamo a tale dimensione nelle INNS del febbraio 2018, alla vigilia della Raccomandazione relativa alle competenze chiave per l’apprendimento permanente e l’Allegato Quadro di riferimento europeo, emanata dal Consiglio europeo il 22 maggio 2018, in sostituzione di quella del 2006 e relativo Allegato, documento che inscrive le nuove competenze in una logica molto più vicina a quella del mercato del lavoro e dell’economia della conoscenza, rispetto al precedente del 2006. Evidentemente il comitato scientifico per le IN, a fronte di una crescente orientamento nella direzione opposta, intendeva rimarcare il senso di una certa concezione di competenze e, in esse, di educazione e di scuola.

In sintesi, porre al centro la valenza formativa delle discipline, significa che: «i docenti sono chiamati non a insegnare cose diverse e straordinarie, ma a selezionare le informazioni essenziali che devono divenire conoscenze durevoli, a predisporre percorsi e ambienti di apprendimento affinché le conoscenze alimentino abilità e competenze culturali, metacognitive, metodologiche e sociali per nutrire la cittadinanza attiva» (INNS, p. 6).

Non si tratta, quindi, di aggiungere nuovi insegnamenti, semmai di mettere a fuoco il potenziale di quelli esistenti, ricalibrandoli nella direzione di un orizzonte globale che supera e include i saperi, chiamati a costruire una nuova alleanza tra scienze, storia, discipline umanistiche, arti e tecnologia, in quella prospettiva intitolata al nuovo umanesimo già dalle IN 2012. Evidentemente ciò richiede, propedeuticamente e necessariamente, il dialogo tra la scuola e la comunità scientifica, con gli esperti di diversi ambiti e associazioni professionali, in vista di un’operazione culturale di carattere fondativo.

Opzioni metodologiche

Già i programmi della scuola media del ’79 invitavano le scuole a scegliere metodologie che educassero al vivere democratico, al dibattito, fondato sulla tolleranza e sul rispetto reciproci anche favorendo esperienze di cooperazione, a partire dal «procedimento didattico del lavoro di gruppo di cui, al di là di errate mitizzazioni, si deve utilizzare la funzione di stimolo all’operare insieme nel rispetto reciproco, avviando un utile tirocinio del comportamento democratico. Evidentemente il lavoro di gruppo dovrà essere attuato in modo da valorizzare il contributo di ciascuno e non sopprimere il momento della riflessione e dello studio personale.» Questo passaggio della Parte quarta, dedicata alla socializzazione, esprime in maniera chiara e concreta la necessità di legare gli scopi educativi della scuola con le opzioni metodologico-didattiche, in modo che la proposta di prospettive culturali, offerta da tutte le sue discipline e da tutte le sue attività, avvenga secondo modalità capaci di valorizzare il contributo di ciascuno in una prospettiva di formazione globale e collettiva.

Le IN, a loro volta, offrono suggerimenti ricorrenti ed espressi con forza in ordine a tutte quelle opzioni metodologiche che favoriscono il ragionamento critico, nell’ambito delle opportunità offerte dallo specifico di ciascuna disciplina. A titolo di esempio, riguardo alla storia e ai suoi metodi didattici, fin dalla scuola primaria si afferma la necessità di opzioni metodologiche che promuovano la padronanza dei dispositivi critici che permettono di evitare che la storia venga usata strumentalmente, in modo improprio (IN, p. 51). Ciò viene affermato a fronte di come il discorso pubblico e i media affrontano spesso i temi della memoria, delle radici, dei fatti e dell’identità del nostro tempo, soprattutto di fronte alle trasformazioni in senso multietnico e multiculturale, che non di rado tendono a far emergere la tendenza a «trasformare la storia da disciplina di studio a strumento di rappresentanza delle diverse identità, con il rischio di comprometterne il carattere scientifico e, conseguentemente, di diminuire la stessa efficacia formativa del curricolo». Al contrario, le IN sottolineano come proprio la ricerca storica e il ragionamento critico sui fatti della storia italiana ed europea offrano una base per la riflessione articolata e argomentata sulle diversità del genere umano. Ancora una volta, dunque, l’indicazione di tipo metodologico sottolinea la valenza formativa di una disciplina nella direzione del possibile contributo intrinseco alla formazione etica e morale delle giovani generazioni. Anche in questo caso, procediamo per esempi, indicativi, come per la matematica, di cui si evidenzia il contributo alla formazione culturale delle persone e delle comunità, sviluppando la capacità di mettere in stretto rapporto il «pensare» e il «fare», così da offrire strumenti adatti per la descrizione scientifica del mondo e per affrontare problemi utili nella vita quotidiana. In tal senso, in ordine alle forme della didattica, le Indicazioni sottolineano come: «In matematica, come nelle altre discipline scientifiche, è elemento fondamentale il laboratorio, inteso sia come luogo fisico sia come momento in cui l’alunno è attivo, formula le proprie ipotesi e ne controlla le conseguenze, progetta e sperimenta, discute e argomenta le proprie scelte, impara a raccogliere dati, negozia e costruisce significati, porta a conclusioni temporanee e a nuove aperture la costruzione delle conoscenze personali e collettive.» (IN, p. 60). Questa specifica indicazione richiama la necessità di scelte metodologiche che, a prescindere dalle discipline e dai contenuti cui vengono applicate, sono strategicamente capaci di sviluppare la capacità di comunicare e discutere, di argomentare in modo corretto, di comprendere i punti di vista e le argomentazioni degli altri. Il punto specifico verrà ripreso nelle IINS (p. 12), le quali sottolineano il fatto che il laboratorio rappresenta un contesto naturale per stimolare la capacità di argomentazione e di confronto tra pari. Potremmo dire che il laboratorio viene suggerito come contesto naturale per lo sviluppo delle capacità di interazione, di conoscenza e di rispetto delle regole collettive, oltre che di ragionamento personale e critico, di partecipazione attiva e di autonomia di scelta.

Protagonismo degli allievi

Ne abbiamo già parlato ripetutamente come tratto essenziale e intrinseco delle linee tracciate sin qui. Tutta l’educazione e, in essa quella etico-sociale, secondo l’approccio considerato, si fonda sul protagonismo degli allievi, nel senso più pregnante del termine. Non intendiamo riferirci, infatti, alla sola dimensione attiva dell’insegnamento/apprendimento, quanto alla partecipazione personale, autonoma e responsabile di ciascun allievo ad ogni proposta. Questo indirizzo, per dirla con le parole dei programmi della scuola media del ’79, «costituisce un criterio direttivo costante dell’azione educativa e didattica dei docenti e della scuola, affinché possano realizzarsi, da parte degli alunni, proficui processi di apprendimento e di auto-orientamento.». La scuola, cioè, deve creare le condizioni perché ogni allievo, in relazione alle caratteristiche della sua fase evolutiva, sia messo nelle condizioni di sviluppare la sua autonomia responsabile e conseguentemente l’organizzazione della sua personalità.

Sottolineiamo, a questo punto, il richiamo delle IN all’avvio precoce di questo approccio, fin dalla scuola dell’infanzia. Indicativamente richiamiamo quanto affermato nella sezione dedicata al campo d’esperienza il sé e l’altro: «Negli anni della scuola dell’infanzia il bambino raccoglie discorsi circa gli orientamenti morali, il cosa è giusto e cosa è sbagliato, il valore attribuito alle pratiche religiose. Si chiede dov’era prima di nascere e se e dove finirà la sua esistenza. Pone domande sull’esistenza di Dio, la vita e la morte, la gioia e il dolore. Le domande dei bambini richiedono un atteggiamento di ascolto costruttivo da parte degli adulti, di rasserenamento, comprensione ed esplicitazione delle diverse posizioni» (IN, p. 25). Uno sviluppo sereno e armonico anche in senso morale, parte dall’ascolto costruttivo delle domande dei più piccoli e dalla valorizzazione del loro interesse spontaneo a capire cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, le ragioni delle consuetudini della loro comunità di appartenenza, delle esperienze umane più universali. Creare le condizioni per l’espressione di tali domande, significa sostenere il protagonismo degli allievi, perché da queste domande progressivamente prenda le mosse la ricerca dei propri orientamenti etici, delle proprie scelte, dei propri valori, all’interno del confronto con la comunità di appartenenza.

Il curricolo implicito

Che lo sviluppo morale sia legato alla cura del curricolo implicito rappresenta un portato del nostro discorso complessivo sull’approccio globale, che valorizza la scuola come presidio democratico, le discipline, le metodologie d’insegnamento, il protagonismo degli allievi come contesto in cui cresce la persona nel suo complesso e nella sua dimensione etico-sociale. Le INNS (p. 15-16) espressamente sintetizzano la necessità della cura del curricolo implicito che informa le scelte didattiche e che può, in quanto tale, andare, ad esempio, nella direzione della promozione dell’autonomia, della costruzione di rapporti sociali solidali nel gruppo classe, oppure può concorrere a stimolare passività e competizione, può favorire lo sviluppo del pensiero critico, oppure appiattire gli allievi su un apprendimento esecutivo/inconsapevole/acritico.

Come abbiamo visto tutto ciò che contribuisce a creare ambienti di apprendimento centrati sulla discussione, sulla comunicazione, sul pensiero critico, sulla problematizzazione della realtà e delle conoscenze, sull’esercizio attivo della responsabilità personale e del confronto aperto, va nella direzione dello sviluppo etico-sociale.

In questo senso, come sottolineano le INNS, occorre richiamare la responsabilità specifica dei docenti e della scuola nel suo complesso riguardo alla coerenza delle modalità comunicative e di gestione delle relazioni in classe, delle scelte didattiche, rispetto a quanto viene chiesto agli allievi. Non è possibile indicare il confronto aperto e costruttivo come stile desiderato per un cittadino di una comunità democratica e proporre un insegnamento dogmatico, un’organizzazione che non preveda l’espressione delle proprie idee e proposte da parte degli allievi, un sapere disancorato dalla vita reale. Da queste discrasie derivano implicitamente intralci non trascurabili allo sviluppo morale degli allievi. Al contrario, curare esplicitamente e intenzionalmente il curricolo implicito, non limitandosi a declinare il curricolo esclusivamente nei suoi aspetti disciplinari, significa porre al centro delle scelte della scuola il nesso di coerenza tra il dichiarato e l’agito, tra le intenzioni e le azioni, creando la possibilità di rendere possibile l’esercizio della cittadinanza ed alimentare le competenze sociali e civiche.

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1 Professore Associato di Pedagogia Generale e Sociale (M-Ped/01), Università degli Studi di Urbino «Carlo Bo».

2 Associate Professor of General and Social Pedagogy (M-Ped/01), University of Urbino «Carlo Bo».

3 Non rientra negli scopi di questo lavoro approfondire in maniera più dettagliata la storia della scuola media italiana, ampiamente sviluppata, in testi quali: Galfrè M. (2017), Tutti a scuola. L’Istruzione nell’Italia del Novecento, Roma, Carocci; Santamaita S. (2010), Storia della scuola, Milano-Torino, Bruno Mondadori.

4 D’ora in poi IN, per le Indicazioni del 2012 e INNS per il documento del 2018 Indicazioni Nazionali e Nuovi Scenari. I numeri di pagina si riferiranno rispettivamente, per le IN, al numero speciale degli Annali della Pubblica Istruzione, Le Monnier, Milano (2012) e, per le INNS, alla versione PDF scaricabile dal sito del MIUR.

5 Da più parti viene segnalato il rischio che l’incremento di interesse delle istituzioni intergovernative ed economiche sull’educazione e sulla formazione, comporti un nuovo ordine educativo mondiale finalizzato non allo sviluppo umano ma, all’economia della conoscenza, in ottica squisitamente iper-liberista, in vista di mercati sempre più aperti e concorrenziali. Si vedano in particolare: J. Field e M. Leicester (a cura di) (2000), Lifelong learning. Education Across the Lifespan, London, Routledge; Pavan A. (2008), Nelle società della conoscenza. Il progetto politico dell’apprendimento continuo, Roma, Armando Editore; FSU (Fédération Syndicale Unitarie) (2002), Le nouvel ordre éducatif mondial, Paris.

Vol. 7, Issue 1, April 2021

 

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