Vol. 7, n. 1, aprile 2021

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TEORIE E MODELLI DIDATTICI

Analisi critica delle tassonomie nella progettazione curricolare

Silvia Fioretti1

Sommario

L’articolo intende indagare, in modo critico, gli apporti dell’approccio tassonomico alla teoria e alla pratica educativa al fine di contribuire alla definizione di un curricolo di educazione etica, affettiva e sociale. L’analisi è condotta sulla proposta tassonomica del dominio cognitivo e affettivo di Benjamin Bloom e dei suoi collaboratori. Queste tassonomie, in particolare la tassonomia cognitiva, hanno avuto, sin dalla loro teorizzazione negli anni Sessanta, grande diffusione a livello internazionale. Negli anni si sono succedute revisioni e adeguamenti ma questo dibattito critico sembra assente nel panorama nazionale. Il contributo approfondisce questa analisi allo scopo di individuare gli elementi di validità e le criticità delle tassonomie in vista di un loro possibile uso nei contesti di progettazione curricolare, sia di tipo cognitivo sia di tipo socioaffettivo, attuali.

Parole chiave

Tassonomia cognitiva, Tassonomia affettiva, Educazione etica, Educazione affettiva, Progettazione curricolare.

DIDACTIC THEORIES AND MODELS

The use of cognitive and affective taxonomies in curricular design

Silvia Fioretti2

Abstract

The paper intends to critically investigate the contributions of the taxonomic approach to educational theory and practice in order to contribute to the definition of an ethical, emotional and social education curriculum. The analysis is conducted on the taxonomic proposal of the cognitive and affective domain of Benjamin Bloom and his collaborators. These taxonomies, in particular the cognitive one, have had, since their theorization in the 1960s, widespread internationally. Over the years there have been revisions and adjustments, but this critical debate seems absent in the Italian panorama. The paper explores this analysis in detail to identify the elements of validity and criticalities of taxonomies given their possible use in current curricular planning contexts, both cognitive and socio-affective.

Keywords

Cognitive Taxonomy, Affective Taxonomy, Ethical Education, Affective Education, Curricular design.

Un contesto di riferimento problematico

In un recente volume dal titolo emblematico, Stati nervosi, viene evidenziato il «declino della ragione» e si parla di un governo della «democrazia delle emozioni» (Davis, 2019). L’autore, muovendo da un cosiddetto «episodio fantasma», verificatosi a Londra nel 2017, racconta il propagarsi, realizzato attraverso centinaia di tweet diffusi in rete, di un allarme terroristico. I messaggi riportavano colpi di pistola, grida, fuga di persone e i video pubblicati riprendevano persone in cerca dell’uscita da un grande e famoso centro commerciale o nel tentativo di mettersi al riparo all’interno dei negozi. La polizia, sopraggiunta sul posto, aveva organizzato la completa evacuazione del centro e dell’adiacente stazione metropolitana. L’allarme si era rivelato, dopo poche ore, totalmente immotivato. L’unica forma di violenza effettivamente testimoniata identificava una rissa fra due persone che si trovavano a camminare lungo la strada, piuttosto affollata, di fronte all’edificio. Questo episodio fornisce all’autore del volume lo spunto per evidenziare un problema piuttosto importante. Le notizie false, con una forte valenza emotiva, a volte viaggiano molto più velocemente dei fatti e le informazioni sono maggiormente apprezzate per la rapidità e l’effetto che causano e non per la loro neutra oggettività. In questo spazio di incertezza, in questo tempo dominato dalle emozioni, si insinuano gli «stati nervosi», cioè individui (e governi) che vivono in un’allerta costante ed esasperata, confidando più sull’emotività che sui fatti.

Una riflessione di questo tipo mette in evidenza come, a volte, anche nei contesti educativi e formativi siano le emozioni a dettare i nostri comportamenti. L’emotività sembra assumere un ruolo fondamentale e si sostituisce ad un punto di vista equilibrato e razionale sulla realtà soprattutto quando gli eventi si sviluppano rapidamente e chiamano in causa una complessità di questioni. Le problematiche connesse al controllo emotivo ed emozionale rappresentano, insieme ad altre componenti, delle questioni centrali dell’educazione etica, affettiva e sociale.

La dimensione educativa etica, affettiva e sociale è stata diversamente considerata ed ha avuto diverse articolazioni nel corso del tempo. Lickona (1996) sostiene che la filosofia del positivismo logico a metà del XX secolo ha eroso l’attenzione destinata a questa dimensione e ha favorito l’indebolimento della cosiddetta character education. L’attenzione principale della progettazione curricolare è stata quindi rivolta alle discipline in generale e soprattutto alle materie scientifiche. Nei decenni successivi alcune componenti dell’educazione etica, affettiva, sociale sono riemerse. Sono stati fondamentali, ad esempio, gli studi sull’apprendimento centrato sullo studente di Rogers (1989), l’approccio di Kohlberg (1986) finalizzato a promuovere l’educazione morale e lo sviluppo dell’autonomia e del ragionamento morale, le riflessioni sull’intelligenza emotiva di Goleman (1996). Sebbene questi studi fossero molto diversi ognuno di essi ha contribuito a tenere viva l’attenzione su aspetti che possiamo riferire alla dimensione etica, affettiva e sociale.

Oggi la dimensione etica, affettiva e sociale sembra essere di nuovo sommersa nei contesti educativi e formativi. La solidarietà è messa in discussione e l’intolleranza diventa, giorno dopo giorno, sempre più presente. La violenza, privata o pubblica, invade le notizie di cronaca e i media. L’individualismo sembra liberare dalle costrizioni etiche e morali ma, nello stesso tempo, genera un senso di inquietudine profonda. La diversità dei valori, se riconosciuta e discussa, può diventare una ricchezza preziosa per la formazione etico-sociale. Una vera formazione etico-sociale non consiste nell’affermare senza discutere valori particolari, legati a situazioni particolari. La tolleranza positiva si basa sul riconoscere all’umanità nel suo complesso la responsabilità e la libertà di scegliere fra le contraddizioni dell’oggi e la considerazione sulle prospettive delle generazioni future (Jonas, 1990). Il rispetto per questa responsabilità e libertà è il principio fondamentale di un possibile e desiderabile curricolo di educazione etica, affettiva e sociale nella scuola odierna ma quali caratteristiche dovrebbe possedere.

In primo luogo, la scuola ha la responsabilità di mettere al centro della proposta formativa alcuni argomenti e contenuti critici: diritti umani, discriminazione, violenza, sessualità, rispetto della vita, solidarietà, sostenibilità in riferimento, ovviamente, all’età dei destinatari e nella prospettiva della conoscenza e della comprensione anche di scelte etiche divergenti.

In secondo luogo, la questione metodologica e strategica è, da questo punto di vista, fondamentale. L’elemento della conoscenza si collega strettamente ad una «vita della scuola» che si fonda su atteggiamenti affettivi ed emozionali, legati alla tolleranza positiva, al rispetto per gli altri nelle loro differenze. Occorre operare in gruppo e in modo collaborativo, ricercare attivamente, comparare, discutere, realizzare sintesi, formulare idee e ipotesi, presentare progetti. In questo senso, le prospettive legate alla didattica a distanza e alla didattica digitale integrata imposte dalla situazione sanitaria mostrano tutta la loro problematicità e complessità.

La scuola degli ultimi venti anni ha, purtroppo, interpretato l’approccio per competenze esclusivamente come un mezzo per conseguire il successo professionale e sta rischiando una deriva aziendalistica. La formazione multilaterale e l’educazione etico-sociale non sembrano essere avvertite come problemi. Le proposte formative, anche quelle connesse alle situazioni di orientamento, sono dominate dalle tensioni selettive di buona riuscita, di ricerca di prestazioni competenti e produttive, legate alle possibilità di successo futuro e connesse ad un’impostazione competitiva e individualista (Baldacci, 2019). In particolare, le componenti dello sviluppo mirate a cambiamenti, a processi interni o a comportamenti, sono percepite come isolate e separate dai programmi educativi di matrice cognitiva centrati sui saperi e sulle discipline. Gli insegnanti ritengono giustamente improprio assegnare valutazioni in riferimento ad interessi, ad atteggiamenti e alle intenzioni degli studenti. Sono disponibili ad applicare sanzioni rispetto ad una condotta inopportuna ma la più ampia ed articolata dimensione affettiva ed emozionale sembra sfuggire a dei tentativi di sviluppo e progettazione di percorsi curricolari specificamente dedicati. Gli insegnanti sono ben disposti alla progettazione delle discipline curricolari ma dimostrano scarso interesse, o denunciano lacune nella loro preparazione, per quanto riguarda la strutturazione di un curricolo che riguardi la più ampia dimensione etico-sociale.

L’ipotesi di lavoro avanzata in questo contributo intende esplorare, in modo critico, la possibilità di attingere ad esperienze classiche e, in qualche modo, consolidate per promuovere e sostenere una progettazione curricolare relativa alla dimensione etica, affettiva e sociale. Le tassonomie relative all’ambito cognitivo e alla dimensione affettiva, proposte da Benjamin Bloom (1956) e dai suoi collaboratori (Bloom, Krathwohl e Masia, 1964), verranno indagate, evidenziando gli elementi di validità e le criticità, allo scopo di saggiare un loro possibile uso nei contesti di progettazione attuali.

La tassonomia del dominio cognitivo

Nella progettazione curricolare è importante definire gli obiettivi, di ambito cognitivo, comuni agli specifici contenuti di insegnamento. Questa azione chiama in causa l’individuazione delle operazioni cognitive che ad essi si riferiscono e delle categorie di comportamenti che possono essere indicative della loro presenza. Stabilire come un obiettivo cognitivo possa appartenere ad un particolare livello di apprendimento potrebbe consentire di stabilire le condizioni da mettere in atto al fine di realizzare quel tipo di apprendimento e considerare raggiunto l’obiettivo relativo. A questo scopo, fra le diverse impostazioni teoriche e metodologiche, richiamiamo l’approccio tassonomico degli obiettivi educativi riferiti al dominio cognitivo proposto da Bloom e dai suoi collaboratori nel 1956.

La tassonomia degli obiettivi educativi è una struttura per classificare l’elenco delle aspettative degli insegnanti, in merito agli apprendimenti degli studenti, come esiti dell’istruzione. Nella proposta tassonomica originaria troviamo sei ampie articolazioni di obiettivi che si collocano in un ordine gerarchico di complessità progressiva che procede dal concreto all’astratto. Inoltre, la tassonomia originale rappresenta una gerarchia di tipo cumulativo in cui il livello superiore si fonda e comprende quello inferiore. In altre parole, la padronanza di ogni categoria più semplice è un prerequisito per la padronanza della successiva più complessa. In particolare, in quanto tassonomia e non semplice classificazione, si riferisce al presunto ordine «reale» tra i fenomeni rappresentati da quei termini (Bloom, 1956, p. 29).

Le definizioni per ciascuna delle sei principali categorie rappresentative del dominio cognitivo sono: Knowledge, Comprehension, Application, Analysis, Synthesis, and Evaluation (Conoscenza, Comprensione, Applicazione, Analisi, Sintesi e Valutazione). Ad eccezione dell’Applicazione ognuna di queste è scomposta in sottocategorie. La tassonomia ha avuto una grande diffusione ed è stata ampiamente utilizzata nei contesti formativi diventando un punto di riferimento, per la sua chiarezza e semplicità d’uso, nelle articolazioni progettuali e curricolari dei diversi ordini e gradi scolastici a livello internazionale. La struttura completa della tassonomia originale è presentata nella Fig. 1.

Figura 1

  1. Conoscenza

    1.1 Conoscenza di contenuti specifici

    1.1.1 Conoscenza di termini

    1.1.2 Conoscenza di fatti specifici

    1.2 Conoscenza dei modi e dei mezzi di trattare contenuti specifici

    1.2.1 Conoscenza di convenzioni

    1.2.2 Conoscenza di tendenze e sequenze

    1.2.3 Conoscenza di classificazioni e categorie

    1.2.4 Conoscenza di criteri

    1.2.5 Conoscenza di metodologie

    1.3 Conoscenza di universali e di astrazioni in un determinato campo

    1.3.1 Conoscenza di principi e generalizzazioni

    1.3.2 Conoscenza di teorie e strutture

  2. Comprensione

    2.1 Traduzione

    2.2 Interpretazione

    2.3 Estrapolazione

  3. Applicazione
  4. Analisi

    4.1 Analisi di elementi

    4.2 Analisi di relazioni

    4.3 Analisi di principi organizzativi

  5. Sintesi

    5.1 Produzione di una comunicazione unica

    5.2 Produzione di un piano o di una sequenza di operazioni

    5.3 Derivazione di una serie di relazioni astratte

  6. Valutazione

    6.1 Giudizi in termini di criteri interni

    6.2 Giudizi in termini di criteri esterni

La struttura tassonomica del dominio cognitivo

Secondo Krathwohl (2002) Benjamin Bloom teorizzò la tassonomia perché intendeva disporre di un mezzo per facilitare lo scambio di prove di accertamento tra i docenti di varie università allo scopo di creare archivi di verifiche, auspicava la riduzione del lavoro di preparazione annuale degli esami e vedeva la tassonomia come qualcosa di più di uno strumento di misurazione. Bloom riteneva che potesse servire come:

  • Un linguaggio comune sugli obiettivi di apprendimento (per facilitare la comunicazione tra persone, argomenti e livelli scolastici).
  • Una base per determinare, per un corso particolare o per un intero curricolo, il significato specifico dei diversi obiettivi educativi.
  • Uno strumento per individuare la congruenza di obiettivi, attività e valutazioni educative in un’unità, un corso o un curricolo di studi.
  • Un panorama della gamma di possibilità educative attraverso le quali contrastare l’ampiezza e la generalità del corso o del programma di studi particolare.

Nel corso degli anni la tassonomia è stata utilizzata per classificare gli obiettivi curriculari e gli strumenti di accertamento al fine di mostrare l’estensione, o la mancanza di estensione, degli obiettivi e delle voci che attraversavano l’ampia gamma delle categorie. Queste analisi hanno mostrato, fin troppo frequentemente, una forte prevalenza di obiettivi che richiedevano soltanto il riconoscimento, o il richiamo mnemonico, delle informazioni. Questi obiettivi rientravano pressoché esclusivamente nella categoria Conoscenza evidenziando come le proposte progettuali fossero prevalentemente schiacciate al perseguimento degli obiettivi basilari. Gli obiettivi rilevanti per l’educazione comprendono quelli basilari ed anche quelli che implicano la comprensione e l’uso della conoscenza (classificati nelle categorie della tassonomia che vanno dalla Comprensione alla Sintesi). Le analisi condotte sull’uso della tassonomia, quindi, hanno ripetutamente fornito una base di riflessione per adeguare e adattare i programmi e le prove di verifica verso obiettivi che sono collocati nelle categorie più complesse e che risultavano essere i meno utilizzati.

Nel 1994 il gruppo di collaboratori di Bloom organizza un convegno e pubblica un volume di riflessione complessiva sull’esperienza e sullo sviluppo dell’approccio tassonomico dal titolo Bloom’s Taxonomy. A Forty-year Retrospective (Anderson e Sosniak, 1994).

Lo stesso Benjamin Bloom accenna una risposta alle molteplici e diverse critiche che sono state rivolte all’approccio sottolineando come la tassonomia non imponga un set di procedure di insegnamento, né proponga degli obiettivi così dettagliati e restrittivi da imporre un unico metodo di insegnamento. L’insegnante ha a disposizione, al contrario, una vasta gamma di scelte nell’assumere decisioni didattiche relative agli obiettivi associati a ciascun livello della tassonomia. Ribadisce come la tassonomia intenda sostenere la necessità degli insegnanti di aiutare gli studenti nell’apprendere ad applicare le loro conoscenze ai problemi che sorgono nelle loro esperienze e ad essere in grado di affrontare efficacemente problemi che non sono loro familiari. Questo aspetto potrebbe, da solo, proteggere la tassonomia dall’accusa di favorire un apprendimento meccanico di soluzioni già pronte. «It is obvious, at least to me, that many of the criticism directed toward the Taxonomy have resulted from very narrow interpretations of both the Taxonomy and its proper application»3 (Anderson e Sosniak, 1994, p. 7).

In modo simile anche Sosniak risponde ad una certa preoccupazione emersa rispetto al fatto che la tassonomia potesse tendere ad annullare le intenzioni degli insegnanti relative alla progettazione del curricolo. Tale preoccupazione si rivolgeva in particolare ad una constatazione. Gli insegnanti sembrano limitarsi semplicemente alla selezione di alcuni obiettivi considerati desiderabili scegliendoli fra quelli forniti dalla tassonomia. Al contrario, il processo di pensare gli obiettivi educativi, definirli e metterli in relazione con le prassi, con le strategie di insegnamento e verifica deve essere considerato un passaggio ineludibile da realizzarsi da parte degli insegnanti. Sosniak chiarisce che la tassonomia è uno strumento utile per l’analisi di un curricolo esistente e non per la sua formulazione. In altre parole, la tassonomia non dovrebbe essere utilizzata, in modo automatico e poco riflessivo, nel momento della ideazione e progettazione curricolare (Anderson e Sosniak, 1994, pp. 103-125). Il potenziale della tassonomia consiste proprio nell’aiutare gli ideatori del curricolo a specificare e classificare le loro intenzioni educative in modo sistematico e tale da sostenere la condivisione del loro progetto attraverso contesti diversi ed ambiti differenti. Così come indica che il maggior potenziale dello strumento è racchiuso nella possibilità di esaminare, a posteriori e sistematicamente, la misura con cui i programmi curricolari formulati affrontano aspetti di livello «inferiore» e «superiore». Sosniak evidenzia il limite segnalato da Stenhouse (1975) il quale, insieme ad altri, solleva domande sull’assenza di considerazioni sul contenuto, sulla disattenzione in merito agli scopi educativi diversi da quelli che possono essere formulati in forma comportamentale e il posto da assegnare ai valori nello schema concettuale della tassonomia. Per Stenhouse (1975) la natura analitica degli obiettivi è talmente lontana dalla definizione delle differenze di valori/principi da nasconderla.

Sosniak, in questo volume di riflessione critica, mette in evidenza come la direzione di lavoro che è seguita alla pubblicazione della tassonomia del 1956 ha comportato una crescente specificità nella definizione degli obiettivi. Gli iniziali «obiettivi educativi» sono stati sostituiti da quelli «didattici» e, successivamente, trasformati in obiettivi «comportamentali». Anche il grande sviluppo e l’enorme utilizzo della tassonomia ha consentito di focalizzare la centralità della progettazione curricolare. Progettare un curricolo significa pensare sia alle intenzioni sia alle attività (che includono i contenuti, i materiali e le strategie didattiche) e, soprattutto, alle loro relazioni. Così come progettare un curricolo significa operare scelte ed assumere decisioni considerando studenti particolari e contesti specifici. Questo interessante volume di riflessione sull’approccio tassonomico non ha, purtroppo, avuto diffusione nel contesto italiano (non è presente nei principali cataloghi delle biblioteche italiane) e non ha interessato il dibattito pedagogico e didattico nazionale.

In ambito statunitense e anglosassone un rilievo all’approccio tassonomico particolarmente stimolante sembra essere quello di Bereiter (Bereiter e Scardamalia, 1998) in quanto mette in evidenza come le forme tradizionali della conoscenza siano inadeguate perché basate su «schedari di archiviazione mentale» (mental filing cabinets). I livelli più elevati della tassonomia di Bloom — Comprensione, Applicazione, Analisi, Sintesi e Valutazione — concepiti come «capacità e abilità intellettuali» costituiscono la capacità della persona di operare sui contenuti mentali dello schedario. Bereiter sottolinea come la ricerca cognitiva in ambito costruttivista sulla natura delle competenze presenti nuove concezioni che consentono agli studenti di costruire conoscenze attingendo a una serie di informazioni, ottenendo una maggiore profondità di comprensione e possibilità di applicarle a nuove situazioni. In questo senso gli esperti si distinguono dai non esperti principalmente per l’estensione e la profondità della loro conoscenza, non per le loro capacità mentali o per le loro strategie cognitive generiche. Gli esperti, generalmente, non apprendono i modelli direttamente ma soltanto come un sottoprodotto dell’impegno profuso nel raggiungere gli obiettivi nei loro domini. La loro conoscenza del modello è ottenuta principalmente dai tentativi messi in atto per cercare di arrivare alla risoluzione del problema, riflettendo sui propri errori, facendo uso di principi per capire le forme e i fenomeni che incontrano (Bereiter e Scardamalia, 2002). La «profondità» sembra essere il tema unificante nella maggior parte degli studi sulle competenze. Consente di entrare sotto la superficie, entrare in contatto con i modelli sottostanti e con i principi che danno significato e supportano l’azione intelligente.

La comprensione nel senso ordinario, contrassegnata dalla capacità di spiegare, può farne parte. La conoscenza profonda, però, va oltre e comprende modelli che comunicano l’azione ma non sono disponibili alla coscienza. La tassonomia di Bloom ruota intorno all’idea di profondità ma non la afferra mai veramente secondo Bereiter. Molti degli elementi di verifica posti come esemplificativi dei livelli più alti della tassonomia sembrano richiedere una conoscenza approfondita. Ad esempio, gli studenti potrebbero comprendere la gravità, l’accelerazione e l’attrito ad un livello nel quale questi concetti sono normalmente presentati nei libri di testo e, tuttavia, gli stessi studenti potrebbero non essere in grado di spiegare la logica dell’esperimento di Galileo sulla caduta dei gravi o potrebbero non riuscire ad identificare i presupposti non dichiarati. Bereiter si chiede quale possa essere un’alternativa pratica al fallimento della tassonomia ed individua due idee di base per affrontare in modo più adeguato gli obiettivi di conoscenza. Queste idee sono, da un lato, la visione connessionista della mente come mente sapiente che non contiene la conoscenza degli oggetti e, d’altra parte, l’oggettivazione della conoscenza come un’astrazione che le persone creano, modificano e usano. Le due idee si uniscono nella seguente proposizione: «La mente istruita ha varie capacità e disposizioni. Tra queste ci sono la capacità e la disposizione a creare e lavorare con oggetti di conoscenza astratti» (Bereiter e Scardamalia, 1988, p. 685).

Il limite principale della tassonomia bloomiana è, secondo Bereiter, l’aver incoraggiato le scuole a continuare a porre l’accento sulla conoscenza fattuale di livello inferiore come unico tipo di conoscenza che è stata chiaramente identificata, integrando l’istruzione fattuale con varie attività ritenute utili alla promozione di abilità di livello superiore.

L’analisi critica condotta da Bereiter è stata considerata, almeno in parte, nella revisione della tassonomia operata dai principali collaboratori di Bloom edita nel 2001 (Anderson e Krathwohl, 2001). Questa revisione della tassonomia originale integra diversi elementi di criticità presentando un passaggio ad una duplice dimensione ottenuta dall’incrocio della Conoscenza (suddivisa in Factual Knowledge, Conceptual Knowledge, Procedural Knowledge, Metacognitive Knowledge) con il Processo cognitivo (a sua volta suddiviso in Remember, Understand, Apply, Analyze, Evaluate, Create) tentando di conferire così una prospettiva evolutiva e di maggior ampiezza rispetto alle categorie originariamente individuate.

In estrema sintesi, e a fronte di una grande complessità, i limiti di questa proposta tassonomica sono stati individuati nel rischio di un eccesso di formalismo, di sostanziale direttività, di non utilizzabilità per i processi cognitivi di tipo superiore. I vantaggi possono essere ravvisati nell’aver enfatizzato e stimolato la ricerca e la produzione di indicatori di qualità dell’istruzione.

La tassonomia affettiva

Nel rapporto insegnamento/apprendimento la questione affettiva è estremamente rilevante ed è importante mantenere un contatto significativo con gli allievi. In questo senso, le relazioni fra le emozioni (e le preoccupazioni) che gli allievi vivono e le proprie esperienze di apprendimento rivestono un ruolo centrale. Le preoccupazioni fondamentali si raggruppano attorno a tre punti: la consapevolezza della propria identità (conoscenza del sé); le relazioni stabilite dall’allievo con coloro che lo circondano (pari, genitori, insegnanti); la percezione della propria competenza (il desiderio di riuscita) che corrisponde alla sensazione di avere una certa influenza su quello che accade e di poter influenzare o no il contesto nel quale si trova (Elliot e Dweck, 2005).

Oggi come ieri, anche nella progettazione di un curricolo etico, affettivo e sociale, è importante tentare di definire meglio che cosa vogliamo che gli studenti conoscano e siano capaci di realizzare al termine di un corso. Il contributo di Bloom e Krathwohl (1964) in merito al tentativo di indagare la questione affettiva e di proporre una sua articolazione tassonomica è interessante e rappresenta, ancora oggi, uno dei pochissimi tentativi effettuati in questo senso. Come abbiamo visto gli obiettivi cognitivi variano dalla memorizzazione dei fatti all’apprendimento dei processi mentali, più o meno complessi, impegnati nella soluzione dei problemi in cui lo studente deve raggruppare e riorganizzare i dati in modo originale, combinare le idee diverse ed elaborare una sintesi personale. Bloom e Krathwohl individuano degli obiettivi concernenti il dominio affettivo che riescono a mettere l’accento su di una tonalità affettiva, su di un’emozione o su un certo grado di accettazione o di rifiuto. Nel dominio cognitivo gli obiettivi si ordinano secondo un principio di complessità crescente, nel dominio affettivo troviamo un principio di interiorizzazione progressiva che permette di classificare gli obiettivi. Questi obiettivi cambiano dalla semplice attenzione portata a dei fenomeni dati alle caratteristiche complesse ma integrate della personalità. Così, nel dominio affettivo possono essere compresi una gran parte di obiettivi in cui i docenti portano «attenzione» agli interessi degli studenti, alle loro attitudini, ai loro valori, alle loro disposizioni emotive personali, alle loro preferenze o alle loro avversioni naturali nei confronti di fenomeni dati. In realtà non sembra possibile separare artificialmente gli aspetti cognitivi e affettivi dell’apprendimento. Entrambi gli aspetti si intrecciano sempre gli uni con gli altri. La formulazione degli obiettivi del dominio affettivo ha però il pregio di tentare di prendere in considerazione e mettere in rilievo, in modo consapevole e sistematico, con una certa precisione, alcuni aspetti che sembrano rimanere troppo spesso nascosti e non considerati nel modo adeguato. Allo stesso modo, il tentativo di mettere ordine in questi aspetti permette di ricercare i mezzi e gli strumenti per favorire ulteriori ricerche e indagini in questo ambito.

Per maggior chiarezza tenteremo di esaminare rapidamente i cinque livelli della tassonomia affettiva così come ci viene presentata da Bloom e Krathwohl (1964).

Figura 2

  1. Ricezione

    1.1 Consapevolezza

    1.2 Disponibilità a ricevere

    1.3 Attenzione controllata o selezionata

    1.2 Conoscenza dei modi e dei mezzi di trattare contenuti specifici

  2. Risposta

    2.1 Acquiescenza nella risposta

    2.2 Disponibilità a rispondere

    2.3 Soddisfazione della risposta

  3. Valutazione

    3.1 Accettazione di un valore

    3.2 Preferenza di un valore

    3.3 Impegno (convinzione)

  4. Organizzazione

    4.1 Concettualizzazione di un valore

    4.2 Organizzazione di un sistema di valori

  5. Caratterizzazione per mezzo di un valore o complesso di valori

    5.1 Tendenza/Caratterizzazione generalizzata

    5.2 Caratterizzazione

La struttura tassonomica del dominio affettivo

  1. Ricezione

    1.1 Consapevolezza

    1.2 Disponibilità a ricevere

    1.3 Attenzione controllata o selezionata

    A questo livello la ricezione o l’attenzione è rivolta a diversi fenomeni o agli stimoli riferibili ai contenuti proposti. Gli obiettivi potrebbero essere riferiti, ad esempio, a situazioni nelle quali lo studente è condotto a: sviluppare una consapevolezza personale in riferimento ad esperienze educative (artistiche, teatrali, scientifiche); accettare o scegliere liberamente di leggere un romanzo; prestare attenzione all’utilizzo di immagini.

  2. Risposta

    2.1 Acquiescenza nella risposta

    2.2 Disponibilità a rispondere

    2.3 Soddisfazione della risposta

    A questo livello la risposta è consapevole, attiva e deliberata nei confronti di un fenomeno. In questo stadio lo studente supera la semplice percezione per impegnarsi direttamente nell’attività proposta, presta attenzione in modo attivo e, a poco a poco, può provare una soddisfazione personale nel farlo. Gli obiettivi potrebbero essere riferiti, ad esempio, a situazioni nelle quali lo studente è condotto a: provare soddisfazione nel completare un compito assegnato; cercare autonomamente di portare a termine delle attività che lo interessano; contribuire attivamente alle discussioni attorno a degli argomenti ponendo delle questioni che stimolino la riflessione e portando contributi o idee pertinenti; accettare che partecipare attivamente ad un progetto, individuale o comune, implica un impegno necessario e duraturo nel tempo.

  3. Valutazione

    3.1 Accettazione di un valore

    3.2 Preferenza di un valore

    3.3 Impegno (convinzione)

    In questo terzo livello troviamo la valorizzazione di qualche cosa (di un fenomeno o di un comportamento). A questo livello lo studente dimostra di aver interiorizzato sufficientemente quello che, al momento di partenza, arrivava dall’esterno. Lo ha poi accordato, a questo punto, come un valore personale. Ora può iniziare a sviluppare delle attitudini stabili di fronte a certi fenomeni e, a poco a poco, può impegnarsi a difendere e a promuovere quello che è diventato un valore. Nel caso dell’accettazione di un valore si fa riferimento ad una credenza (o a un atteggiamento) espresso in modo coerente nelle situazioni appropriate. Nel momento in cui uno studente agisce e manifesta la propria preferenza rispetto ad un valore specifico viene percepito dagli insegnanti come portatore di questo stesso valore a questo livello ormai integrato. Nella manifestazione dell’impegno (o della convinzione dimostrata nel perseguire un’attività) si può individuare, secondo la matrice comportamentista che ispira la formulazione tassonomica, il valore di base come assimilato e fatto proprio. Gli obiettivi potrebbero essere riferiti, ad esempio, a situazioni nelle quali lo studente è condotto a: sviluppare una forte volontà di aumentare le proprie abilità (nel comunicare in modo corretto, chiaro ed efficace, ecc.); sviluppare le proprie preferenze; scegliere e praticare liberamente i propri ambiti di interesse.

    In riferimento a questo livello si può porre la questione in merito alla possibilità o alla desiderabilità della relazione fra esiti cognitivi e affettivi. Implicitamente, la maggior parte dei docenti, ritiene e agisce come se il raggiungimento di importanti obiettivi cognitivi di tipo disciplinare comportasse il corrispondente raggiungimento degli obiettivi affettivi di livello simile. È piuttosto difficile fornire una risposta coerente e, soprattutto, individuare i mezzi e gli strumenti che consentiranno di stimolare il raggiungimento di tale comparabilità fra gli obiettivi di tipo cognitivo e affettivo. L’osservazione delle pratiche mette in evidenza come, in certi casi, il perseguire degli obiettivi cognitivi precisi produca una reazione affettiva di avversione.

  4. Organizzazione

    4.1 Concettualizzazione di un valore

    4.2 Organizzazione di un sistema di valori

    L’organizzazione dei valori interiorizzati dallo studente. Nella misura in cui lo studente assume certi valori al centro del suo apprendimento, diventa necessario situare gli stessi valori gli uni in rapporto agli altri all’interno di una visione del mondo e di un sistema personale che si elabora a poco a poco. In un primo momento si dà il caso che siano pertinenti più valori e questi vengono internalizzati e, in seguito, l’organizzazione di un sistema di valori origina fenomeni di interrelazione e dominanza varie che diventano anche molto rigide con l’aumentare dell’età. Gli obiettivi potrebbero essere riferiti, ad esempio, a situazioni nelle quali lo studente è condotto a: mettersi alla ricerca di ipotesi sulle quali sono fondate le credenze o il sistema di valori; comparare l’orientamento di diverse questioni (opinioni, correnti, ecc.) e cominciare a farsi un’idea personale di quelle che gli sembrano più promettenti; cercare di individuare le caratteristiche costitutive di una situazione, un’opera, un contesto che ammira. È necessario notare che nella misura in cui si progredisce verso i livelli superiori della tassonomia degli obiettivi affettivi questi diventano meno specifici nei confronti dei contenuti di apprendimento disciplinari. Lo studente manifesta un rispetto crescente dei propri valori, gli obiettivi che si possono formulare cercano di sviluppare una «maturità globale» grazie ad una consapevolezza chiara dei fatti e alla coerenza interna del sistema di valori personali. In questi livelli gli obiettivi affettivi citati sembrano far riferimento ai processi cognitivi complessi di analisi, di sintesi e di valutazione (i livelli superiori della tassonomia cognitiva). Krathwohl sottolinea, a questo proposito, che i livelli superiori dei domini cognitivi e affettivi sono estremamente intrecciati al punto da diventare difficilmente separabili.

  5. Caratterizzazione per mezzo di un valore o complesso di valori

5.1 Tendenza generalizzata

5.2 Caratterizzazione

In quest’ultimo livello, l’individuo ha talmente ben integrato un certo numero di valori che quegli stessi valori diventano per lui caratterizzanti. Giunge a delle attitudini, a dei comportamenti, ad un orientamento generale così stabile che essi definiscono la sua personalità e si integrano fornendo una visione coerente del mondo. Questo livello definisce un sistema intimamente correlato in cui l’individuo si è ormai adattato e viene sottolineato come non manifesti più emozioni o affettività in senso formale ma reagisca soltanto in occasioni sfidanti o di difesa. Gli obiettivi potrebbero essere riferiti, ad esempio, a situazioni nelle quali lo studente è condotto a: esser pronto a rivedere la propria opinione su punti controversi; prendere l’abitudine ad affrontare un problema con obiettività; aver fiducia nella propria capacità di riuscire; sviluppare un sistema etico-sociale personale.

È molto raro che degli obiettivi pedagogici raggiungano questo livello in un contesto di apprendimento abituale e, allo stesso modo, questi obiettivi non costituiscono l’esito di un corso di breve o media durata. Questi esiti saranno piuttosto il frutto di tutto un lungo percorso formativo. «Il tempo e l’esperienza debbono interagire con l’apprendimento cognitivo e affettivo, prima che l’individuo possa rispondere alle domande cruciali “Chi sono io?” e “Che cosa rappresento?”» (Bloom e Krathwohl, 1964, p. 164).

Quale idea scaturisce dalla tassonomia affettiva di ispirazione bloomiana? Quale validità intrinseca racchiude nella prospettiva di una prima definizione di un curricolo etico, affettivo e sociale?

La tassonomia degli obiettivi educativi riferiti al dominio affettivo intende porre il docente di fronte ad un aspetto dell’apprendimento che troppo spesso è rimasto molto implicito. Nell’intenzione dichiarata dagli autori si tratta di un tentativo di formulazione che ha il notevole vantaggio di consentire all’insegnante di prendere chiaramente consapevolezza di questo aspetto solitamente nascosto. La tassonomia, quindi, potrebbe consentire di determinare un contenuto, una metodologia di lavoro, delle situazioni di apprendimento e dei compiti che aiuteranno i destinatari nel raggiungimento degli obiettivi individuati. Inoltre, poiché la valutazione consiste nella misurazione, attraverso degli strumenti, del grado di successo nel perseguimento degli stessi obiettivi, se l’insegnante si è chiesto quali aspetti affettivi ed emotivi intende promuovere e cerca di formularli in modo esplicito, sarà sicuramente meno probabile, per lui, dimenticare questi aspetti. Indubbiamente, la tassonomia del dominio affettivo si situa all’interno di una concezione comportamentista dell’insegnamento e dell’apprendimento, suscettibile di influenzare, anche in modo dogmatico, il destinatario in una direzione precisa. Scorrendo i cinque livelli di avanzamento possibile all’interno del dominio affettivo si evidenzia il rispetto che gli autori dimostrano nei confronti degli studenti e la concretezza degli atti che tentano di individuare per facilitarne la crescita verso uno stadio di maturazione via via più elevato. Bloom e Krathwhol (1964) sono ben consapevoli della complessità della questione che affrontano e sottolineano i timori affrontati dai docenti di fronte al semplice riferimento a questioni affettive ed emotive. Questi timori si esplicano in gran parte nel voler rispettare le caratteristiche individuali e personali degli allievi e il desiderio di allontanarsi dal rischio di «influenzare», di «manipolare» e di «indottrinare» gli studenti. Indubbiamente tutta la questione è complessa e molto delicata ma contiene anche degli elementi suscettibili di mettere in atto un rinnovamento delle pratiche curriculari importanti.

È importante sottolineare che gli autori riconoscono che lo studente può anche avere degli obiettivi educativi di tipo cognitivo ma essi precisano, in questo senso, che «il nostro interesse è rivolto alla scelta dei contenuti e comportamenti che formano la struttura del curricolo programmato e costituiscono una base per valutare il successo di un dato programma educativo» (Bloom e Krathwohl, 1964, p. 21). In questa prospettiva la conoscenza dei contenuti, dedotta dalla manifestazione di comportamenti adeguati, potrebbe servire da criterio di valutazione del successo. Il punto di vista adottato da Krathwohl e dal suo gruppo è quindi legittimato ma consapevolmente limitato a certi ambiti e, evidentemente, direttivo. Il docente è responsabile del doppio compito: far apprendere qualcosa allo studente e determinare quello che deve essere appreso. Questa concezione degli obiettivi del domino affettivo cerca dei mezzi, degli strumenti e delle strategie per conquistare gli studenti, per sviluppare delle attitudini e dei sentimenti positivi in riferimento alla questione affrontata. In questo senso è il docente a stabilire ciò che lo studente dovrebbe amare, fare e cercare. Questa procedura potrebbe provocare una motivazione artificiale e un coinvolgimento momentaneo senza considerare ciò che lo studente rappresenta. Gli elenchi tassonomici sono accusati di promuovere tratti «moralistici» e «direttivi», sono criticati per il loro intento di fornire preventivamente ai docenti alcuni modelli affettivi, sociali ed etici da apprezzare o condannare nell’allievo. In altre parole, le tassonomiche affettive sono condannate per la loro «alta carica» ideologica e dogmatica nello stabilire e graduare dei traguardi valoriali impossibili da controllare attraverso gli strumenti abituali di misurazione. La valutazione critica sollevata, fra gli altri, da Franco Frabboni in merito alla possibilità di organizzare delle scale tassonomiche imperniate sui valori, come la tassonomia educazionale di Bloom e Krathwohl (1964), è chiara e diretta. «Le finalità educazionali (educazione aggettiva, sociale, etica) esprimono competenze/abilità che non dovrebbero essere rinchiuse in griglie tassonomiche (la tassonomia è una sorta di dizionario delle finalità/obiettivi distribuiti in sala gerarchica) per via delle loro discutibilissime graduatorie “valoriali”, ricoperte di diffuse ipoteche “ideologiche”» (Frabboni, 1978, p. 140).

Come afferma Baldacci il limite evidenziato dalla tassonomia del dominio affettivo teorizzata nel 1964 è di tipo logico, il contesto dell’area affettiva è di secondo livello.4 Progettare l’educazione etica, affettiva e sociale attiene ad un secondo livello del curricolo, relativo alla strutturazione di abiti di pensiero, di ragionamento morale e di discussione civile. Non si tratta di prevedere una materia o un’ulteriore disciplina di insegnamento, il contesto affettivo di secondo livello si dispone collateralmente all’istruzione, ha esiti di lungo periodo e si struttura anche attraverso la metodologia che viene utilizzata. È un livello perseguibile, forse, attraverso l’ipotesi dei «principi procedurali» di Stenhouse e non dagli obiettivi educativi del dominio affettivo di Bloom (Baldacci, 2020).

Nel contesto attuale lo studente è portatore di bisogni, di potenzialità e di esperienze che gli consentono di cambiare ed evolvere, assieme al contesto in cui è inserito, e di svilupparsi sul piano cognitivo, affettivo e sociale. Così educare non significa produrre dei comportamenti predeterminati ma, grazie ad una interazione attiva, sostenere gli studenti a realizzarsi nel rispetto di sé e degli altri e questo in un clima che favorisca il pensiero critico e l’autonomia cognitiva e affettiva. Il tentativo di tassonomizzazione messo in atto da Krathwohl e Bloom mette in luce aspetti che hanno il merito di aver aperto la strada a ricerche in questo dominio affettivo attirando per primi l’attenzione su aspetti fondamentali dell’apprendimento lasciati, sino allora, in ombra.

Prospettive per un curricolo di educazione etica, affettiva e sociale

Il contributo ha esplorato gli apporti dell’approccio tassonomico alla teoria e alla pratica educativa al fine di contribuire ad una prima definizione di un curricolo di educazione etica, affettiva e sociale. A partire dai problemi concreti, dall’insuccesso dell’insegnamento nei contesti meno favoriti, considerando i lavori originali di Bloom e dei suoi collaboratori, per osservare più lontano e aprire delle nuove prospettive valorizzando il punto di vista dell’allievo, di quello che vive, delle risorse che porta con lui, che sono da rispettare e da sviluppare. L’impegno che Bloom i suoi collaboratori hanno profuso per sviluppare un modello suscettibile, ancora oggi, d’integrare obiettivi affettivi e cognitivi riguarda un terreno ancora scarsamente esplorato. Occorre cercare una definizione più ampia di obiettivi affettivi ma, alla luce delle considerazioni effettuate in merito al contesto di secondo livello dell’area affettiva, occorre anche chiedersi se sia pertinente continuare ad utilizzare il termine obiettivo per riferirsi al campo dell’affettività. Non si tratta di escludere gli obiettivi cognitivi ma di tentare di connettere organicamente i domini affettivi e cognitivi per favorire un apprendimento reale e significativo. Un insegnamento adeguato e rilevante deve permettere allo studente di operare delle distinzioni fra gli aspetti affettivi che vive e che prova e gli aspetti cognitivi che apprende. Alcune ricerche recenti interrogano le possibili influenze del dominio affettivo — The Effect of Affect — (Nelson et al., 2020) su quello cognitivo anche attraverso l’integrazione di alcuni aspetti di validità della logica tassonomica originale con le prospettive e le esigenze attuali e future.

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1 Professoressa associata di Didattica e Pedagogia speciale, Dipartimento di Studi Umanistici, Università di Urbino «Carlo Bo».

2 Associate Professor of Didactics and Special Pedagogy, Department of Humanistic Studies, University of Urbino «Carlo Bo».

3 «È ovvio, almeno per me, che molte delle critiche rivolte alla tassonomia sono il risultato di interpretazioni molto limitate sia della tassonomia sia della sua corretta applicazione» (Bloom, 1994, p. 7).

4 Si rinvia al saggio di apertura di Massimo Baldacci presente in questo numero della Rivista.

Vol. 7, Issue 1, April 2021

 

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