Test Book

Teorie pedagogiche / Educational Theories

Tradizione pedagogica nell’Italia del secondo dopoguerra
Pedagogical tradition in post-Second World War Italy

Edi Puka

Università Europea di Tirana



Sommario

Il dibattito pedagogico italiano del secondo dopoguerra presenta spunti di sicuro interesse per la definizione della dimensione politica dell’educazione in quanto si delineano modelli formativi tra loro antitetici, influenzati da visioni politiche, confessionali, ideologiche e da storie diverse. Eppure la contrapposizione tra queste correnti ha giovato al sapere pedagogico, consentendogli di strutturarsi come ambito culturale plurale, aperto ad apporti differenti, superando così il blocco granitico della pedagogia filosofica gentiliana; nell’ambito della guerra fredda lo scontro-confronto tra posizioni diverse si è riversato positivamente sulla scuola pubblica della nascente democrazia, contribuendo non poco a fare di questa un’istituzione aperta al contributo di diverse correnti culturali e ideologiche, senza preclusioni; il confronto dialettico delle idee ha permesso un arricchimento in termini di esercizio della democrazia, educando al rispetto reciproco, e consentendo a ciascuno di comprendere limiti e contraddizioni delle proprie posizioni e di riflettere sulle ragioni dell’altro, aprendosi all’analisi di punti di vista prima non esplorati.

Parole chiave

Pedagogia, dibattito, ideologia.


Abstract

The Italian pedagogical debate after the Second World War presents some interesting points for the definition of the political dimension of education insofar as it outlines antithetical formative models, influenced by political, confessional, ideological visions, as well as by different histories. Yet the contrast between these currents has been useful to pedagogical knowledge, allowing it to be structured as a plural cultural area, open to different contributions, overcoming thus the granite block of the Gentile philosophical pedagogy; in context of the Cold War, the clash-confrontation between different positions has positively shifted to the public school of the nascent democracy, seriously contributing to transforming this into an open institution to the contribution of different cultural and ideological currents, without any preclusions; the dialectical confrontation of ideas has allowed an enrichment in terms of exercise of democracy, educating to mutual respect, and allowing everyone to understand the limits and contradictions of their own positions and to reflect on the reasons of the other, opening themselves to the analysis of earlier unexplored point of views.

Keywords

Pedagogy, debate, ideology.


Introduzione

Prima di analizzare le posizioni delle principali scuole di pensiero, che si svilupparono nell’immediato dopoguerra, nel nuovo contesto storico neoidealistico, dobbiamo evidenziare le condizioni socio-politiche ed economiche in cui Italia si viene a trovare.

La necessità di ricostruire e riprendere la normale vita era un’esigenza fortemente sentita in tutti gli ambienti socio-politici e culturali. La cultura pedagogica italiana è caratterizzata da numerose scuole di pensiero costituite da studiosi dell’area cattolica, marxista, laica, tutti impegnati nel rinnovamento democratico del nostro Paese attraverso la riforma delle istituzioni educative. Gli argomenti che caratterizzano l’impegno di questi studiosi sono; il rapporto tra l’istruzione e educazione, l’individualizzazione dell’insegnamento, la valorizzazione dell’alunno nell’ambito scolastico, l’interazione tra scuola ed extrascuola, il rapporto tra il sapere e il fare e tra scuola e Società.

Nel corso della seconda metà del secolo si attenua peraltro, come abbiamo detto, l’influenza del neoidealismo prima dominante per l’eredità di Croce, Gentile e Lombardo Radice. Molti di questi studiosi riprendono l’attivismo, per ripensarlo in una prospettiva più avanzata ove la difesa della libertà infantile, intesa come condizione ineliminabile dell’educazione, si sostanzia ora nel quadro di una visione cristiana della vita, ora nella prospettiva per rinnovamento democratico e sociale del Paese, sempre comunque, secondo Radice (1958), nell’ottica della riforma della scuola dell’obbligo per assicurare a tutti una robusta formazione di base. In tutti gli autori, sotto diversi profili, si rintraccia sempre un’apprezzabile ispirazione umanistica, che fa considerare comunque le personalità dell’alunno come centrale nel processo educativo.

Le principali tendenze della pedagogia italiana dopo Gentile, come abbiamo detto, possono riassumersi, pertanto in tre indirizzi: cattolici, marxisti e laico-democratici.

I pedagogisti d’ispirazione spiritualista e personalista hanno in comune la concezione dell’uomo come persona, unità d’intelligenza e carattere, spirituale e libera vocata a un destino di salvezza che si realizzerà oltre la vita. Essi contestano sia la concezione laica e umanistica dell’uomo come individualità, sia quella marxista del soggetto come sistema di bisogni. Contro gli idealisti i personalisti rivendicano la pluralità delle persone nella loro irriducibilità dello spirito immanente nel mondo. Le posizioni si diversificano poi a seconda del prevalere di motivi della tradizione agostiniana e platonica, per cui l’accento viene posto sulla spiritualità della vita interiore, o del sopravvenire dei richiami alla linea di S. Tommaso, e quindi con un recupero del realismo della concezione e educazione della persona.

 

Storia dei modelli pedagogici e delle istituzioni educative

Dall’Ottocento al Novecento vengono a delinearsi i modelli più orga­nici di tipo di sapere pedagogico. «Hegel e Marx, Comte e Dewey [...] vengono a scandire e articolare la crescita del paradigma socio-politico della pedagogia» (Cambi, 1986, p. 121).

In questo clima culturale rinnovato e stimolante, la pedagogia assume finalità sociali e politiche, volte alla realizzazione di un individuo pienamente inserito nel contesto del suo tempo. La tradizione metafisico-retorica ha dominato incontrasta­ta i saperi dell’educazione per un arco di tempo lunghissimo, forte di una doppia struttura, teorico-normativa e insieme pragmatico-deontologica, perfettamente rispondente alle esigenze di una società gerarchizzata, con rapporti di forze tra le classi sociali cristallizzati. Mutano quindi le coordinate culturali e i punti di riferimento, aprendo la strada all’affermazione di un nuovo paradigma del sapere, di tipo socio-politico, un nuovo modo di organizzare le conoscenze, un diverso schema interpretativo della realtà.

La pedagogia, in quanto disciplina che codifica e trasmette i comportamenti richiesti dal modello socio-culturale di riferimento, è investita in pieno dall’onda di cambiamento e si spinge a teorizzare un modello formativo centrato su di un uomo capace di partecipare attivamente e cosciente­mente alla vita sociale e politica (Cambi, 1986); ciò contribuirà quindi a dare vita a un paradigma socio-politico che viene declinato dai singoli autori con accenti diversi in relazione alla sensibilità e alla collocazione ideologica di ciascuno, ma presenta dei caratteri peculiari che ne definiscono la tipologia.

A fondamento del paradigma è posta la concezione di una pedagogia strettamente legata a una filosofia politica che indica i fini da perseguire e traccia il percorso da compiere. Una pedagogia politica è individuabile nel pensiero di autori come Durkheim, Marx e Dewey, ma anche, volendo far riferimento all’Italia, Labriola, Gentile, Gramsci, secondo Sirignano (2007), che provarono a costruire una scuola nuova attenta alle relazioni centrata sulla comunicazione intesa come crescita e integrazione sociale. Karl Marx (1818-1883), che di questa scuola di pensiero è il precursore, individua in questo progetto sociale la libertà, in cui il libero sviluppo di ciascuno è la condizione per il libero sviluppo di tutti. L’educazione, dunque, rientra tra i primi provvedimenti del proletariato per fondare la società senza classi. Marx propone nelle linee essenziali alcune direttive sulla concezione dell’istruzione del popolo, che possono essere così riassunte:

  • il fine generale dell’istruzione e la formazione polivalente;
  • il lavoro è la strategia didattica primaria dell’educazione;
  • lo sviluppo totale e omnilaterale dell’individuo.

Marx non andrà oltre l’approfondimento dei problemi pedagogici, ma questi capisaldi saranno ripresi nelle proposte educative di Antonio Gramsci. Antonio Labriola (1843-1904), fondatore della pedagogia marxista in Italia, non che principale teorico, assertore di un miglioramento e di una scientificizzazione della didattica, individua, anch’egli come Marx, nell’educazione lo strumento d’emancipazione dei ceti più poveri. Egli mette in risalto come l’educazione è condizione indispensabile per la realizzazione di una nuova società. Per quanto riguarda la didattica egli collega la propria concezione marxista alla filosofia della realtà come prassi come azione che modifica e costruisce il mondo a una visione socratica dell’insegnamento.

 

La riflessione pedagogica in Italia

Il pensiero di Karl Marx ebbe influenti riscontri e riflessi sia nella sociologia, sia nella pedagogia. La ricerca, tra le cause di un fenomeno in una data società non può prescindere dal dato economico relativo a quale classe è dominante e quali sono i valori dominanti che essa propone.

Così nella pedagogia vista in ottica marxiana è affermato come il bambino stesso sia un esempio di forza lavoro e tenda a essere plasmato a immagine e somiglianza della realtà in cui vive. Infatti, gli schemi che la società propone si riproducono in maniere inconscia e vengono assoggettati a se stessi dai singoli che li assimilano in maniera inconscia. Spezzare questa catena e insegnare nuovi schemi alla classe operaia, secondo Maranzana e Avalle (2004), è uno dei principali aspetti della pedagogia socialista.

Attraverso l'insegnamento le classi subalterne possono emanciparsi, secondo Cassola e Avalle (1994), dando vita a modelli di collaborazione collettiva in grado di rafforzare l'elemento di classe comune velocizzando, così, il percorso storico e dialettico di affermazione del proletariato.
La scuola diventa, quindi, un momento importante ed è per questo che essa deve essere popolare e gratuita in quanto permette l'accesso a tutti e insegnare a tutti un corretto modo di vita. Corretto modo di vita che vuole dire, secondo Jovine (1977), lavorare collettivamente alla costruzione di un mondo liberato e privo di sfruttamento e di subordinazione. Sono questi gli aspetti principali della pedagogia marxista. Tutto il marxismo è intrinsecamente pedagogico perché ha come compito l'elevare l'uomo-proletario dandogli gli strumenti per capire la propria situazione e il proprio ruolo storico emancipatore mettendo così in moto l'azione della storia.
In tutto questa assume grande importanza la figura dell'intellettuale, cioè colui che, conformemente alle discipline filosofiche, ha gli strumenti e le capacità per condurre una serrata critica alla società capitalistica esistente proiettando la via e gli strumenti per l'affermazione della classe operaia.

Rispetto al marxismo classico si ebbe così un’inversione di tendenza. La cultura non era più un'inutile sovrastruttura frutto delle dinamiche economiche, secondo Desideri e Themelly (1999), ma diventava essa stessa struttura sottoponendo a sé tutto il resto, compresa l'economia.

Nel pensiero di Marx, invece, è presente tutta la complessità del rapporto edu­cazione-politica, che significa non solo educere ma anche emancipare l’uomo, però può anche configurarsi come indottrinamento. Secondo Broccoli (1978), l’educa­zione, quindi, può trasmettere modelli (valori) e nello stesso tempo determinare l’emancipazione dell’uomo.

Nel primo ventennio del Novecento in Italia il rapporto pedagogia-politica emer­ge, con accenti e posizioni diverse, nel dibattito che accompagna la riforma della scuola quando pensatori come Ernesto Codignola, Giuseppe Lombardo Radice, Giovanni Gentile e Antonio Gramsci contribuiscono con la loro riflessione a porre in rilievo l’importanza che l’istituzione scolastica assume nell’ambito della società. In particolare, Giovanni Gentile ed Antonio Gramsci appaiono, secondo Engels (1888), i protagonisti di uno scontro pedagogico-politico a tutto campo sul ruolo della scuola e dell’edu­cazione. Gentile assegna alla scuola il compito di elaborare un progetto di educazione nazionale in grado di determinare una svolta per l’Italia e di contribuire all’edifi­cazione di uno Stato etico: «lo Stato non si restaura se non si restaurano le forze morali che nello Stato trovano la loro forma concreta, organizzata, perfetta. Lo Stato non si restaura se non si restaura la famiglia, e nella famiglia l’uomo, che è la sostanza della famiglia, della scuola, dello Stato» (Ricuperati e Canestri, 1977, p. 221).

Gentile (1916), inoltre, definisce lo Stato come volontà di un popolo, che si sente Nazione. Per lui la volontà nazionale, però, non va intesa come somma delle volontà individuali, ma come quel volere unico che ciascuno individuo attua come volere che valga come volere di tutti. Lo Stato è perciò potenzialmente in ogni individuo e attua se stesso nella politica come volere in atto. La concezione filosofica che Gentile esprime con queste parole consentirà, in nome della libertà, secondo Guglielmino e Grosser (1995), di giustificare il predominio totale dell’apparato di potere dello Stato sull’individuo e di intendere la volontà di un singolo imposta autoritariamente come volontà collettiva.

Certamente Gentile contribuisce con le sue idee e con la sua azione politica alla legittimazione culturale del regime fascista. Gramsci, dal carcere in cui fu a lungo recluso, detta invece le coordinate pe­dagogiche per una scuola più attenta ai bisogni di acculturazione delle masse (Manacorda, 2012), individuando nel nesso educazione-politica la chiave di volta per la comprensione dei problemi della società italiana. Si batte contro la divisione, emersa dalla riforma gentiliana, tra una formazione liceale libera e disinteressata e una formazione tecnica e professionale lontana dalla cultura, proprio perché ritiene che il tecnico non debba essere un mezzo uomo, bensì un uomo completo, un uomo dotato di competenze e conoscenze unite a una cultura generale di base. Nella scuola attua­le, per la crisi profonda della tradizione culturale e della concezione della vita e dell’uo­mo, si verifica un processo di progressiva degenerazione: le scuole di tipo professionale, cioè preoccupate di soddisfare interessi pratici immediati, prendono il sopravvento sulla scuola formativa, immediatamente disinteressata. Gramsci, ritenendo che la trasformazione della società debba necessariamente partire dalla sovrastruttura, rappresentata dalla cultura e dalle istituzioni educative come la scuola, assegna un ruolo centrale all’educazione per l’azione di coscientiz­zazione e acculturazione che, sola, potrà consentire la creazione di un blocco storico finalizzato alla trasformazione della società italiana.

 

Ripensare all’educazione

La pedagogia, prendendo atto della crisi della politica come crisi dell’educazione, secondo Bertolini (2003) e Mantegazza (2007), è quindi chiamata a rinsaldare il suo secolare legame con la politica – intesa come scienza e non come prassi, secondo Refrigeri (2003) e Cambi (1982) –, in quanto oggi più che mai emerge la necessità di avviare un dibattito serrato sul rapporto pedagogia-politica, ipotizzando anche nuove forme di educazione alla politica, intesa soprattutto come educazione alla democrazia: il disinteresse e l’apatia che pervadono il corpo sociale mettono a serio rischio la tenuta del sistema democratico che, per sua natura, si regge sul consenso dei cittadini e sulla condivisione delle scelte strategiche che riguardano la vita di tutti.

La scuola italiana è una risorsa fondamentale su cui il Paese può contare per riavvicinare i cittadini alle istituzioni dando nuova linfa alla democrazia; essa rap­presenta il cuore pulsante da cui può e deve partire un progetto educativo di ampio respiro teso a riattivare la partecipazione e la condivisione delle responsabilità, per riflettere sulla politica intesa come servizio e come impegno sociale per la colletti­vità.

Da queste considerazioni si ritiene che possa partire un impegno pedagogico-politico per la società, anche perché, come sostiene Raffaele Mantegazza (2007: 14), questo «significa tornare a mostrare a tutti, ma soprattutto ai giovani, che “fare politica” può e deve essere qualcosa che riguarda ciò che più è prossimo, che tocca e cambia le abitu­dini quotidiane, che concerne lo stare insieme, la morte e l’amore, il sesso e il gioco, il lavoro e il riposo; e che l’esercizio del voto è solo la punta preziosa di un iceberg che ha alla sua base concetti come partecipazione, collettività, senso delle istituzioni, impegno quotidiano per il cambiamento».

 Essenziali, nella formazione di insegnanti consapevoli sono, i saggi con cui Bor­ghi, Santoni e Tomasi effettuano una precisa ricostruzione dell’antistoria d’Italia, fornendo a chi legge gli strumenti per acquisire una conoscenza critica delle condi­zioni storiche in cui sono maturate determinate scelte politiche, e una conseguente strategia pedagogica.

Per Gentile (2003, p. 211), come si è già detto, la scuola è il luogo della formazione dello spiri­to, ma nel già citato saggio: L’unità della scuola media e la libertà degli studi chiarisce che solo la scuola elementare e il ginnasio-liceo concorrono a: «formare lo spirito preso nella sua integrità, la prima per una formazione iniziale, la seconda per una formazione compiuta». Tutti gli altri tipi di scuola sono scuole speciali che tendono a sviluppare «una parte, un momento singolo dello spirito» (Gentile, 2003, p. 216).

La scuola unitaria pensata da Gramsci dovrebbe quindi assolvere il compito di fornire ai giovani una certa autonomia di pensiero e di azione, e dovrebbe coprire un periodo di tempo pari a quello attualmente occupato dalle elementari e dalle medie, «riorganizzate non solo per il contenuto e il metodo di insegnamento, ma an­che per la disposizione dei vari gradi» (Manacorda, 2012, p. 192).

 

Conclusioni

Anche grazie ai contributi di un dibattito pedagogico così ricco, la scuola italia­na per oltre sessant’anni è stata una palestra per la democrazia, riuscendo anche a ri­spondere in maniera adeguata alla contestazione studentesca del ’68 e alla connessa domanda politica di conoscenza e partecipazione, accogliendo le istanze finalizzate a garantire il diritto allo studio e una maggiore partecipazione degli studenti e degli insegnanti alla vita politica della scuola e dell’università.

Oggi si constata con una certa amarezza che la stagione dell’impegno pedago­gico-politico si presenta come un ricordo sbiadito: la crisi seguita a Tangentopoli e la conseguente delegittimazione dei tradizionali partiti politici hanno rappresentato l’ultima pagina di un lento processo, iniziato a partire dagli anni Ottanta, che ha pro­gressivamente aumentato il divario tra i cittadini e lo Stato, tra i cittadini e la poli­tica, determinando un atteggiamento di totale indifferenza ed apatia nei confronti della res-pubblica.

 

Bibliografia

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Autore per la corrispondenza

Edi Puka
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