Teorie e pratiche dell’inclusione / Theories and practices of inclusion
Didattica Speciale per le Disabilità Comunicative. Il Potere della Comunicazione secondo Janice Light
Special Education for the Communicative Disabilities. The Power of the Communication in Janice Light
Saverio Fontani
Dottorando di ricerca in pedagogia speciale III anno - Università di Firenze
Sommario
La Comunicazione Aumentativa e Alternativa (CAA) è una tecnologia assistiva in grado di compensare i deficit comunicativi associati a varie disabilità evolutive. In questo articolo vengono presentati i riferimenti teorici dell’approccio, a partire dai prototipici contributi di J. Light, e sono discusse le opportunità presentate per l’educazione speciale degli allievi con bisogni comunicativi complessi.
Parole chiave
Disabilità comunicative, comunicazione aumentativa alternativa, educazione speciale.
Abstract
The Augmentative and Alternative Communication (AAC) is an assistive technology which can compensate the communication deficits associated with various developmental disabilities. In this paper the theoretical background of the approach is presented, with emphasis on the prototypical contributions of J. Light, and the opportunities for the Special Education of students with complex communicative needs are discussed.
Keywords
Communicative disabilities, augmentative alternative, communication, special education.
La Comunicazione Aumentativa e Alternativa: Aspetti introduttivi
La Comunicazione Aumentativa e Alternativa (Augmentative and Alternative Communication, AAC) rappresenta un sistema integrato di tecnologia assistiva teso alla compensazione delle difficoltà di comunicazione dei soggetti con disabilità comunicative di varia eziologia, accomunate dai deficit di produzione e comprensione del linguaggio verbale (Beukelman e Mirenda, 2013; Light e McNaughton, 2014).
I Sistemi di CAA potrebbero essere considerati come un approccio in grado di compensare i deficit comunemente associati alle disabilità comunicative complesse; varie tipologie di disabilità evolutive risultano infatti associate a consistenti difficoltà comunicative (AAIDD, 2010; Cockerill et al., 2014). La recente introduzione della categoria dei Disturbi della Comunicazione nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali-DSM 5 (APA, 2013) testimonia la rilevanza del deficit comunicativo nelle disabilità evolutive. Un simile dato dovrebbe evidenziare la necessità di risposte educative adeguate, da parte dei sistemi formativi, alle esigenze degli allievi con bisogni comunicativi complessi.
Le competenze comunicative risultano infatti determinanti per la Qualità della Vita di ogni individuo, poiché forniscono i mezzi per il conseguimento di obiettivi educativi, sociali e di autonomia personale (Calculator, 2009; Lund e Light, 2007; Light e McNaughton, 2014). La necessità di focalizzare l’intervento educativo rivolto a tali allievi sulla comunicazione funzionale e sulla partecipazione alla vita comunitaria è inoltre riconosciuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nell’International Classification of Functioning, Disability, and Health-ICF (WHO, 2001; Calculator, 2009; Simeonsson, Björck-Åkesson e Lollar, 2012).
L’approccio funzionale sotteso alla prospettiva ICF enfatizza i risultati della comunicazione nel mondo reale dell’allievo e dei suoi partner comunicativi, allo scopo di sviluppare le competenze di espressione dei propri bisogni e desideri, di scambiare informazioni e, più in generale, di partecipare agli eventi sociali della vita della comunità. Un simile approccio risulta in linea con la stessa Carta dei Diritti alla Comunicazione, che delinea i diritti dei soggetti con disabilità comunicative complesse (Simeonsson, Björck-Åkesson e Lollar, 2012; Enderby, 2013; Light e McNaughton, 2014).
Queste concezioni dei processi comunicativi risultano comparabili a quelle originariamente espresse da Janice Light, i cui contributi da un lato rappresentano indicazioni prototipiche per lo sviluppo dell’approccio di CAA, mentre dall’altro possono essere considerati come pietre miliari (Light, 1988; 1989; 1997; Light, Beukelman e Reichle, 2003) della sua evoluzione storica.
Secondo Light, il Potere della Comunicazione (Power of Communication) rappresenta un concetto in grado di evidenziare il ruolo determinante della competenza comunicativa per la reale partecipazione alla vita della società (Light, 1989). Il diritto alla partecipazione si configura come un’esigenza fondamentale per ogni individuo, a prescindere dalla presenza di disabilità. I processi comunicativi, in altri termini, si configurano come processi in grado di rispondere alle esigenze di partecipazione tipiche di ogni soggetto, e il loro potenziamento può rappresentare un fattore facilitante per l'apprendimento e per l'inclusione sociale (Light, 1988; 1989; Lund e Light, 2007). Una simile concezione dei processi comunicativi rappresentava un'anticipazione delle linee guida della stessa prospettiva della ICF (WHO, 2001), secondo la quale i fattori contestuali che ostacolano o facilitano l'apprendimento si configurano determinanti per la limitazione o per l'incremento della Qualità della Vita della persona con disabilità.
Da questa prospettiva deriva anche la nozione di Responsabilizzazione Ambientale, secondo la quale il contesto ambientale, attraverso i sistemi formativi, deve essere considerato responsabile dell’erogazione di adeguate risposte educative ai bisogni educativi specifici di ogni soggetto con disabilità (WHO, 2001; Calculator, 2009; Kennedy, 2010; Simeonsson, Björck-Åkesson e Lollar, 2012). In base alla prospettiva ICF i bisogni comunicativi sono quindi considerati come un bisogno fondamentale, rispetto al quale la persona con disabilità presenta gli stessi diritti alla soddisfazione delle persone a sviluppo tipico (Calculator, 2009; Simeonsson, Björck-Åkesson e Lollar, 2012; Light e McNaughton, 2014).
Il concetto di Potere della Comunicazione, originariamente introdotto da Light (1988; 1989), risulta centrale per i soggetti con bisogni comunicativi complessi, dato che la comprensione della possibilità di effettuare richieste agli interlocutori per esprimere i propri bisogni o desideri esercita effetti positivi sulla diminuzione dei comportamenti disadattivi anche nelle disabilità evolutive più gravi (Light, 1989; 1997; Light, Beukelman e Reichle, 2003; Reichle, Beukelman e Light, 2003; Beukelman e Mirenda, 2013).
I Sistemi di CAA, secondo questa prospettiva, possono rappresentare un fattore in grado di facilitare la partecipazione dell'individuo alla vita comunitaria, poiché la moltiplicazione delle opportunità comunicative da essi offerta favorisce il superamento dei deficit comunicativi rilevabili in varie disabilità evolutive (Calculator, 2009; Kennedy, 2010; Enderby, 2013; Light e McNaughton, 2014).
Nelle Disabilità Intellettive, infatti, il deficit comunicativo risulta un fattore frequentemente rilevabile nel profilo cognitivo, particolarmente nelle forme caratterizzate dai maggiori livelli di compromissione (Trisciuzzi, 2003; Trisciuzzi, Fratini e Galanti, 2003; AAIDD, 2010; Enderby, 2013; Light e McNaughton, 2014).
Nei Disturbi dello Spettro Autistico i deficit della comunicazione sociale risultano così pervasivi da rappresentare un’intera classe di indicatori diagnostici (APA, 2013). La stima dei soggetti con alterazioni dello Spettro Autistico che non raggiungono le competenze comunicative indispensabili per il raggiungimento dell’autonomia di base è attualmente stimata attorno al 50% dei casi (Flynn e Healy, 2012; Fein et al., 2013).
La massiccia comorbidità tra le disabilità comunicative e le Paralisi Cerebrali Infantili testimonia infine la diffusione delle esigenze comunicative anche nelle disabilità di ordine motorio (Trisciuzzi, 2003; Trisciuzzi, Fratini, e Galanti, 2003; Zappaterra, 2010; Cockerill et al., 2014). Uno dei primi ambiti di applicazione dei Sistemi di CAA era infatti rappresentato dalle Paralisi Cerebrali Infantili, dato che le prime esperienze documentate risalgono alle tabelle comunicative utilizzate nell'ospedale di Jowa City (1964) per la facilitazione della comprensione delle attività da parte dei pazienti con disabilità motorie (Beukelman e Mirenda, 2013).
Varie tipologie di disabilità sono quindi associate a deficit comunicativi in grado di ostacolare l’acquisizione delle competenze di autonomia personale da parte del soggetto (Kennedy, 2010; Enderby, 2013; Light e McNaughton, 2014). Una delle principali necessità educative tipiche delle disabilità evolutive è così rappresentata dal superamento o dalla compensazione dei deficit della sfera comunicativa (Calculator, 2009; AAIDD, 2010; Enderby, 2013).
I Sistemi di CAA rappresentano una tra le risposte più articolate che l'ambiente, e in particolare quello educativo, può sviluppare per la risposta ai bisogni degli allievi con disabilità comunicative complesse (Calculator, 2009; Simeonsson, Björck-Åkesson e Lollar, 2012; Light e McNaughton, 2014). Le opportunità presentate dall’approccio di CAA permettono infatti il supporto dell'allievo con disabilità nell’apprendimento di codici comunicativi semplificati, moltiplicando le occasioni di stimolazioni comunicative presentate dall’ambiente (Beukelman e Mirenda, 2013; Light e McNaughton, 2014).
La considerazione dei diritti comunicativi dell'allievo con disabilità e la responsabilizzazione dell'ambiente educativo rappresentano una prospettiva in crescente affermazione nei sistemi formativi statunitensi ed europei. In base a questa motivazione, tra le competenze dell'insegnante di sostegno impegnato nella relazione educativa rivolta ad allievi con disabilità comunicative complesse potrebbe risultare opportuna la presenza di conoscenze sugli aspetti fondamentali dell'approccio e sulle opportunità educative da esso presentate (Zappaterra, 2010; Cottini, 2011).
Nel presente contributo, dopo la presentazione dei fondamenti storici dell’approccio, sono considerate le opportunità educative per la sua implementazione nell’intervento educativo.
Evoluzione storica dell'approccio
Le origini dei sistemi di CAA sono riconducibili al contesto statunitense dei primi anni Sessanta quando, durante la presidenza di Kennedy, nell’opinione pubblica, iniziò a delinearsi una crescente consapevolezza verso i diritti delle minoranze con disabilità. L'aumento dei bambini che sopravvivevano agli interventi chirurgici, attribuibile alla maggiore efficacia delle tecniche chemioterapeutiche e chirurgiche, determinò la genesi di una maggiore sensibilità verso i diritti educativi e comunicativi di questa parte della popolazione. Nel 1961 fu costituito il Panel on Mental Retardation, allo scopo di analizzare i bisogni di integrazione sociale dei soggetti con disabilità cognitive (Zangari, Lloyd e Vicker, 1994; Hourcade et al., 2004). Il processo di sensibilizzazione maturò sino agli anni Settanta con l'emissione dell’Education for All Handicapped Children Act (1975), che garantiva l’accesso alla scuola pubblica a tutti gli allievi con disabilità intellettive o motorie. Divenne così evidente la necessità dell’adattamento dei contesti didattici alle esigenze educative dei bambini con disabilità: le prime esperienze relative all’introduzione dei sistemi di CAA nei sistemi educativi possono essere rintracciate in questo periodo (Hourcade et al., 2004; Beukelman e Mirenda, 2013).
Le opportunità comunicative presentate dalle prime applicazioni furono responsabili del clima di entusiasmo che influenzò l’applicazione dei sistemi ad altre disabilità comunicative; i primi progetti di ricerca orientati alle applicazioni dei sistemi di CAA furono realizzati a Toronto negli anni Settanta (Zangari, Lloyd e Vicker, 1994; Hourcade et al., 2004).
L'approccio inizialmente dominante era il Modello dei Prerequisiti, secondo il quale gli interventi di CAA erano fruibili solo da allievi che possedevano le competenze cognitive di comprensione e imitazione dei suoni linguistici; dovevano essere assenti anche i deficit di controllo del comportamento (Hourcade et al., 2004). Solo in tempi più recenti si è affermato il Modello Universale di CAA, approccio che ha esteso la gamma dei potenziali fruitori degli interventi a tutti gli allievi con disabilità comunicative.
Secondo le linee guida del Modello Universale non esistono prerequisiti per l'intervento di CAA, che deve essere adattato alle esigenze di ogni allievo, prescindendo dalle limitazioni cognitive. La diminuzione dei comportamenti disadattivi negli allievi che sviluppano minime competenze di comprensione del linguaggio simbolico rappresenta un dato sotteso al concetto di Potere dalle Comunicazione (Light, 1989), confermato dagli interventi condotti su allievi con gravi Disturbi dello Spettro Autistico (Mirenda e Iacono, 2009; Kennedy, 2010; Beukelman e Mirenda, 2013).
La comprensione della possibilità di modificare l'ambiente attraverso l'espressione dei propri bisogni o desideri esercita effetti positivi sulla diminuzione dei comportamenti problematici poiché essi divengono marginali ai fini della segnalazione di un disagio o di una necessità nei bambini privi delle competenze linguistiche (Beukelman e Mirenda, 2013, Light e McNaughton, 2014).
Secondo il Modello Universale, la scoperta del potere comunicativo viene resa possibile a tutti gli allievi con disabilità comunicative complesse, e tale dato riflette le attuali concezioni dell'Education for All (WHO, 2001; Calculator, 2009; Light e McNaughton, 2014). Dovrebbe essere notato il ruolo decisivo rivestito dai contributi di Light (1988; 1989; 1997) per l'avvento del Modello Universale di CAA, dato che in essi veniva ripetutamente enfatizzata la necessità dell'abolizione dei prerequisiti cognitivi per la fruizione dell'intervento, allo scopo di renderlo fruibile anche ad allievi con gravi disabilità comunicative.
Mentre il Modello dei Prerequisiti prevedeva l'adattamento dell'individuo all'intervento, sulla base della presenza/assenza dei prerequisiti cognitivi, l'approccio universale ha indicato la necessità di adattamento del modello di intervento alle esigenze educative specifiche di ogni allievo, attraverso la generazione di linee di ricerca basate sull'adozione di codici comunicativi sempre più trasparenti e di immediata accessibilità (Zangari, Lloyd e Vicker, 1994; Mirenda e Iacono, 2009; Beukelman e Mirenda, 2013).
Il passaggio dal Modello dei Prerequisiti a quello Universale è stato infatti favorito dalla transizione verso codici caratterizzati da alti livelli di trasparenza e da bassi livelli di complessità (Mirenda e Iacono, 2009). Il sistema simbolico originariamente utilizzato per gli interventi di CAA era rappresentato dal Codice Bliss, le cui finalità originarie del codice non erano orientate all’educazione speciale, ma allo sviluppo di un linguaggio universale per il superamento delle barriere linguistiche tra i popoli.
Il Codice Bliss era in grado di rappresentare concetti di elevata complessità, e risulta comprensibile come esso potesse essere utilizzato con profitto solo da allievi con competenze cognitive conservate. Esso si componeva di 100 unità di base, combinabili secondo norme semantiche di complessità decisamente elevata per allievi con gravi disabilità cognitive. La presenza di numerosi elementi astratti, rappresentati da frecce, cerchi e croci, rivela le finalità originarie del codice, sviluppato per favorire la costruzione di un linguaggio internazionale e non per favorire la risposta ai bisogni comunicativi complessi (Hourcade et al., 2004). La scarsa aderenza dei simboli ai concetti rappresentati caratterizzava i loro bassi livelli di trasparenza, e solo il passaggio a codici più trasparenti ha reso possibile l'ampliamento dei potenziali fruitori dei sistemi di CAA.
È questo il caso del Codice PCS (Picture Communication System) della Mayer e Johnson che, in virtù della sua elevata aderenza ai concetti rappresentati, rappresenta attualmente il codice più utilizzato nel mondo per la realizzazione di sistemi di CAA ad alta o bassa tecnologia rivolti a tutti gli allievi con disabilità comunicative (Beukelman e Mirenda, 2013).
Il ruolo rivestito dal codice Bliss in questa transizione non deve comunque essere sottovalutato, poiché la procedura per la generazione delle sequenze comunicative di base ha rappresentato il copione per tutti i successivi sistemi di CAA (Hourcade et al., 2004; Mirenda e Iacono, 2009).
Alla presentazione ripetuta dell’associazione tra il simbolo Bliss e il concetto rappresentato su una tabella comunicativa di cartoncino seguiva infatti la composizione della sequenza di base Io + Voglio + Oggetto desiderato, sulla quale possono innestarsi sequenze comunicative più articolate. Tale sequenza di base, comprensibile anche nei casi di disabilità comunicative complesse, è ancora oggi alla base di tutti i sistemi di CAA e della Comunicazione per Scambio di Immagini, rappresentata dal sistema PECS (Bondy e Frost, 2002).
Tabelle comunicative
Le tabelle comunicative rappresentano il fulcro dell’intervento di CAA. L’uso delle tabelle nella versione a bassa tecnologia prevede l’applicazione di simboli plastificati di dimensione standard su una tabella di cartoncino rivestita di velcro, materiale che permette l’applicazione e il riposizionamento dei simboli. Essi possono essere conservati in un album raccoglitore con pagine a tasche trasparenti, in analogia alla metodologia PECS (Bondy e Frost, 2002). L’album rappresenta il repertorio dei simboli conosciuti dall’allievo, che risulta suscettibile di arricchimenti e di integrazioni in base allo sviluppo delle sue competenze di vocabolario (Beukelman e Mirenda, 2013).
La tabella comunicativa di base è costituita dalla presentazione dei simboli delle attività quotidiane dell’allievo, e può essere utilizzata per la composizione di un’agenda visiva in grado di favorire la sua comprensione della scansione delle attività svolte (ad esempio attività di studio, di gioco, di refezione). Nel tipico intervento iniziale di CAA l’allievo viene sollecitato ad avanzare richieste all’ambiente attraverso la presentazione di simboli all’insegnante o ai compagni, oppure a descrivere eventi che compongono parte integrante delle sue routine quotidiane. Già nelle fasi iniziali dell’intervento è quindi presente il riferimento a forme di comunicazione funzionale in grado di orientare l’allievo verso la comprensione della possibilità di influenzare l’ambiente con la presentazione di richieste ai partner comunicativi (Light, 1989; 1997; Kennedy, 2010; Enderby, 2013; Light e McNaughton, 2014).
Nella sua versione di base la sequenza comunicativa prototipica è costituita da 2 o 3 simboli, che permettono la realizzazione del primo copione comunicativo, denominatore comune di ogni intervento di CAA. Il copione è composto dalla sequenza Io + Voglio + Oggetto desiderato, che a sua volta viene realizzata usando il simbolo dell’allievo (la sua fotografia o il suo nome, se possiede le competenze per la sua lettura) accoppiato al simbolo Voglio (nel sistema PCS rappresentato da due mani tese) e dal simbolo dell’oggetto o dell’attività desiderata (ad esempio il simbolo del giocattolo preferito, il simbolo di uscita dalla classe o quello del bagno).
Alla presentazione della richiesta da parte dell’allievo deve seguire la sua immediata soddisfazione, allo scopo di favorire lo sviluppo della comprensione della possibilità di influenzamento ambientale attraverso l’indicazione dei simboli corrispondenti.
Attraverso la presentazione ripetute delle sequenze, seguite immediatamente dalla soddisfazione delle richieste dell’allievo, è possibile la progressiva comprensione del Potere della Comunicazione (Light, 1989; 1997; Reichle, Beukelman e Light, 2002), che rappresenta una conquista evolutiva determinante per ogni allievo con disabilità comunicative complesse. La scoperta delle potenzialità insite nei simboli comunicativi incrementa la consapevolezza di influenzamento dell’ambiente con richieste simboliche semplificate, basate sull’indicazione del simbolo sulla tabella comunicativa (Mirenda e Iacono, 2009; Beukelman e Mirenda, 2013; Light e McNaughton, 2014).
La mediazione operata dai simboli permette quindi lo sviluppo del processo conseguente alla scoperta del potere comunicativo. Il processo è rappresentato dal progressivo ampliamento dell’Ambiente di Vita dell’allievo, che compone una linea guida retrostante agli interventi di CAA; l’ampliamento sottende l’estensione dell’influenzamento a porzioni del contesto ambientale che in precedenza sfuggivano al controllo da parte dell’allievo (Mirenda e Iacono, 2009; Beukelman e Mirenda, 2013).
L’ampliamento dell’Ambiente di Vita risulta proporzionale all’incremento dei simboli conosciuti e utilizzati dall’allievo; la possibilità di influenzamento ambientale attraverso nuovi simboli presentati dall’insegnante lo motiva allo sviluppo di nuove sequenze comunicative attraverso le quali può esprimere le proprie emozioni e i propri desideri in forma sempre più articolata (Mirenda e Iacono, 2009). La motivazione all’apprendimento di nuovi simboli comunicativi è conseguente alla scoperta del potere comunicativo, e determina significative diminuzioni dei comportamenti disadattivi associati alle Disabilità Intellettive e ai Disturbi dello Spettro Autistico (Reichle, Beukelman e Light, 2002; Prizant et al., 2006; Mirenda e Iacono, 2009; Calculator, 2009; Fein et al., 2013).
La scoperta della possibilità di influenzare l’ambiente mediante l’utilizzo di simboli indicati o presentati ai partner comunicativi permette all’allievo di utilizzare questa modalità, e il ricorso al comportamento disadattivo per segnalare le proprie necessità diviene secondario. La diminuzione dei comportamenti disadattivi, rappresentati da stereotipie, grida, tentativi di fuga da una situazione di disagio, potrebbe essere considerata come una conseguenza della scoperta del Potere della Comunicazione (Light, 1989; 1997). L’uso dei simboli, in altri termini, sostituisce il comportamento disadattivo poiché esso non risulta più necessario per l’espressione dei propri desideri; il dato risulta particolarmente interessante se considerato in relazione alla prevalenza dei comportamenti disadattivi presenti, talvolta in forma massiccia, negli allievi con Disturbi dello Spettro Autistico (Trisciuzzi, 2003; Trisciuzzi, Fratini e Galanti, 2003; Zappaterra, 2010), che rappresentano una consistente platea dei potenziali fruitori della CAA (Mirenda e Iacono, 2009; Kennedy, 2010).
Lo sviluppo del repertorio simbolico conosciuto dall’allievo può essere facilitato dai processi di arricchimento guidato, che rappresentano una componente fondamentale di ogni intervento di CAA. (Mirenda e Iacono, 2009; Beukelman e Mirenda, 2013). Essi prevedono la progressiva introduzione di nuovi simboli per la descrizione dei contesti didattici e dell’ambiente sociale, permettendo l’identificazione delle proprie emozioni e di quelle degli interlocutori. Analogamente, l’allievo potrebbe essere invitato alla descrizione delle caratteristiche sociali o fisiche dei compagni i quali, a loro volta, potrebbero apprendere le elementari forme di CAA per sviluppare interazioni con il loro compagno che presenta complessi bisogni comunicativi.
Un simile processo permette la moltiplicazione delle occasioni comunicative offerte all’allievo, consentendo la comunicazione delle proprie esigenze ed emozioni anche al gruppo dei compagni (Calculator, 2009; Simeonsson, Björck-Åkesson e Lollar, 2012; Beukelman e Mirenda, 2013). Tali processi incrementano la comprensione delle opportunità comunicative, e possono aumentare la motivazione dell’allievo alla ricerca di nuovi simboli in grado di descrivere altre emozioni o bisogni. Lo sviluppo della motivazione alla ricerca di nuovi simboli compone un positivo effetto conseguente alla scoperta del Potere della Comunicazione (Light, 1988; 1989; Reichle, Beukelman e Light, 2002), e può determinare l’aumento dell’autostima dell’allievo.
La scoperta delle opportunità fornite dal canale comunicativo facilitato, rappresentato dai sistemi di CAA, può infatti diminuire la sensazione di disagio dell’allievo con disabilità comunicativa, dato che una consistente quota del disagio è correlata alla impossibilità di espressione dei propri desideri o necessità (Mirenda e Iacono, 2009; Beukelman e Mirenda, 2013).
Un valore analogo è rivestito dai processi di riassunto simbolico, che rappresentano una ulteriore componente degli interventi di CAA. Tali processi implicano la selezione degli elementi costitutivi di una fiaba, di una storia o di un evento e la loro traduzione in simboli, per permettere all’allievo la descrizione e la comprensione di elementi derivati dai libri di testo o dalle lezioni. I processi di riassunto permettono infatti la semplificazione del testo attraverso la sua scomposizione in simboli, risultando determinanti per la comprensione del programma svolto dall’insegnante e, conseguentemente, per lo sviluppo delle competenze cognitive dell’allievo (Calculator, 2009; Zappaterra, 2010; Beukelman e Mirenda, 2013).
Il ruolo delle agende visive
Nelle prime applicazioni dei Sistemi di CAA condotte a Jowa City (1964) erano presenti agende simboliche che favorivano la comprensione dello svolgimento delle attività quotidiane, attraverso l’uso di simboli ricavati da fotografie o da disegni stilizzati che rappresentavano diversi ambienti dell’ospedale (Hourcade et al., 2004). I bambini con disabilità motoria, privi delle competenze verbali, riuscivano a comprendere e a comporre sequenze comunicative di crescente complessità attraverso l’indicazione o la collocazione dei simboli su una tabella comunicativa di cartone. Attraverso questa semplice metodologia, ancora oggi utilizzata negli interventi di CAA a bassa tecnologia, i piccoli pazienti risultavano in grado di esprimere concetti relativi a emozioni o desideri di elevata complessità, e a sviluppare competenze di comunicazione funzionale.
La fruizione di agende fondate sullo schema visivo rappresenta ancora oggi uno dei principi di base dell’approccio di CAA, poiché l’indicazione semplificata delle attività che devono essere svolte favorisce la comprensione delle istanze dell’ambiente educativo, anche negli allievi con gravi disabilità comunicative. La comprensione delle esigenze ambientali, a sua volta, presenta effetti positivi sulle capacità di adattamento dell’allievo al contesto didattico (Trisciuzzi, 2003; Trisciuzzi, Fratini e Galanti, 2003).
Le agende basate sui simboli della CAA rappresentano un valido fattore di ancoraggio cognitivo per tutti gli allievi con disabilità comunicative complesse, come quelle comunemente associate alle Disabilità Intellettive o ai Disturbi dello Spettro Autistico. In entrambi i casi le competenze di programmazione e di svolgimento dei compiti in sequenza risultano frequentemente compromesse, e la possibilità di comprensione della routine quotidiana, come quella rappresentata dalla successione delle attività di una mattina a scuola, esercitano effetti positivi sulle competenze di programmazione delle attività da parte dell’allievo (Kennedy, 2010; Simeonsson, Björck-Åkesson e Lollar, 2012; Beukelman e Mirenda, 2013).
Un dato ulteriore, che risulta di particolare rilevo per allievi con Disturbi dello Spettro Autistico, è rappresentato dalla possibilità di utilizzo delle agende per segnalare la presenza del cambiamento, conferendo prevedibilità al contesto educativo. L’esigenza di prevedibilità del contesto didattico rappresenta infatti un’istanza educativa caratteristica dell’allievo con alterazioni dello Spettro Autistico, che può essere facilmente disorientato da comuni eventi della vita scolastica, quali quelli rappresentati dalla necessità di cambiamento dell’aula o dal cambiamento dell’insegnante (Mirenda e Iacono, 2009; Cottini, 2011; Fontani, 2014).
L’utilizzo dell’agenda permette l’anticipazione dell’evento attraverso l’indicazione dei corrispondenti simboli sull’agenda simbolica preparata dall’insegnante di sostegno, nella quale possono essere compresi simboli che indicano il cambiamento dell’aula o dell’insegnante (Cottini, 2011).
Le agende visive permettono anche la comprensione dei concetti temporali, che frequentemente risultano di difficile apprendimento per allievi con Disturbi dello Spettro Autistico o con gravi disabilità cognitive. Appare proficuo, in questo caso, il riferimento alle agende basate sulla comprensione dei concetti prima-dopo, nelle quali l’allievo può essere invitato alla discriminazione tra le attività già svolte e quelle che devono essere ancora sviluppate. La discriminazione tra i due termini presenta effetti positivi sullo sviluppo dei concetti temporali, la cui mancata comprensione risulta frequentemente alla base dei comportamenti disadattivi dell’allievo con Disturbi dello Spettro Autistico (Reichle, Beukelman e Light, 2002; Light, Beukelman e Reichle, 2003; Mirenda e Iacono, 2009; Beukelman e Mirenda, 2013).
Un ruolo analogo è quello rivestito dalle agende basate sul conto alla rovescia; la progressiva eliminazione dei simboli delle attività svolte permette la comprensione dello stato di avanzamento delle attività svolte, favorendo la percezione del tempo mancante al termine dell’attività. Anche in questo caso possono registrarsi significative diminuzioni dei comportamenti disadattivi dell’allievo, in particolare se esso presenta Disturbi dello Spettro Autistico. Nel disturbo è infatti comune la sensazione che le attività proposte non abbiano mai termine, e questo dato risulta frequentemente correlato all’emissione di comportamenti disadattivi (Mirenda e Iacono, 2009).
La comprensione del tempo mancante per il termine dell’attività attraverso l’indicazione del simbolo corrispondente sull’agenda da parte dell’insegnante attenua la sensazione di disagio dell’allievo, rendendolo maggiormente disponibile al coinvolgimento in ulteriori attività di apprendimento. Dovrebbe essere considerato, in questo contesto, anche il rinforzo derivante dall’immediata visualizzazione delle attività già svolte, che possono essere simbolicamente eliminate dall’insegnante con un segno di spunta o direttamente eliminate dalla tabella dell’agenda. Una simile metodologia, che presenta evidenti punti di contatto con quella utilizzata nel Sistema TEACCH (Mesibov, 2007), risulta in grado di migliorare significativamente la disponibilità dell’allievo all’apprendimento, con evidenti influenze positive sulla diminuzione dei comportamenti disadattivi (Light, Beukelman e Reichle, 2003; Mirenda e Iacono, 2009).
Considerazioni conclusive
La descrizione delle opportunità presentate dai sistemi di CAA dovrebbe essere in grado di chiarire le potenzialità presentate dal loro coinvolgimento negli interventi di Didattica Speciale rivolti ad allievi con disabilità comunicative complesse. La ripetizione costante delle esperienze di soddisfacimento dei propri bisogni e desideri attraverso la comunicazione basata sui simboli semplificati tipici dei sistemi di CAA permette la progressiva scoperta del Potere della Comunicazione originariamente introdotto da Light (1988; 1989). Il concetto risulta ancora oggi di estrema attualità, dato che il riferimento ad esso può risultare retrostante a tutti gli interventi derivati dall’approccio, sia nelle forme a bassa tecnologia, sia in quelle ad alta tecnologia (Beukelman e Mirenda, 2013; Light e McNaughton, 2014).
Il riferimento al ruolo del potere comunicativo nella diminuzione dei comportamenti non adattivi dell’allievo, che frequentemente costituiscono un ostacolo per il suo processo di inclusione nell’ambiente educativo, rappresenta un dato che non dovrebbe essere sottovalutato. Il riferimento agli effetti del potere comunicativo potrebbe così favorire l’inclusione degli interventi basati sulla CAA tra le tecniche di Didattica Speciale sviluppate per le risposte adeguate ai bisogni educativi presentati dagli allievi con disabilità comunicative complesse.
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Autore per la corrispondenza
Saverio Fontani
Indirizzo e-mail: saverio.fontani@unifi.it
Dipartimento di Scienze della Formazione e Psicologia, Via Laura, 48 Firenze
© 2017 Edizioni Centro Studi Erickson S.p.A.
ISSN 2421-2946. Pedagogia PIU' didattica.
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