Test Book

Educazione degli adulti / Adult Education

Bilancio delle competenze e progetto di vita: una lettura educativo-formativa
Competences assessment and life project: a formative educational reading

Immacolata Messuri

Ricercatore a tempo determinato di Pedagogia generale e sociale presso IUL



Sommario

Il testo esamina il tema dell’orientamento dal punto di vista dell’educazione e del counseling. Oggi il concetto di orientamento ha assunto i tratti di una vera e propria categoria esistenziale. L’articolo riflette sulla peculiarità del progetto di vita in un clima di flessibilità e incertezza e sull’importanza delle competenze professionali. Obiettivo dell’articolo è immaginare le competenze trasversali come una strategia per proteggere le persone dai ruoli imposti dalla crisi professionale degli adulti. La ricerca bibliografica mostra l’importanza, per il futuro, dell’imparare a imparare. Le competenze rappresentano la forma di conoscenza più sicura nella nostra società. Il bilancio delle competenze rappresenta un campo di ricerca in pedagogia che può fornire strumenti per la buona pratica educativa. L’intento è quello di riflettere sulle dinamiche in atto e di facilitare efficaci azioni di orientamento e supporto nei confronti delle persone.

Parole chiave

Progetto di vita, imparare a imparare, competenze trasversali.


Abstract

The text deals with the theme of guidance from the point of view of training and counseling. Today the concept of guidance has become an existential category. The paper reflects on the nature of life project in flexibility and insecurity and on the importance of professional skills. The aim of this article is use soft skills as the commitment to protect to the rules imposed by professional crisis of adults. Evidence shows the importance of competence to learn for the future. Skills are the most certain knowledge in our society. Soft skills constitute a pedagogical field of research that provides instructions for the good educational practice. The intent is to reflect on dynamics involved and to facilitate effective actions of guidance and people support.

Keywords

Life project, competence to learn, soft skills.


 

Introduzione

La consapevolezza secondo la quale nell’individuo c’è un potenziale e questo potenziale risulta dalla formazione, dalle esperienze professionali (Mortari, 2010), dalle esperienze sociali e dalle esperienze personali apre uno spiraglio sull’utilizzo di uno strumento che possa valorizzare tutte queste dimensioni della persona. Lo strumento in questione è il bilancio delle competenze. In Italia non esiste una legge che attribuisce valore legale al bilancio delle competenze ma lo strumento viene tuttavia percepito come un aiuto concreto alla ricerca di lavoro, all’inserimento sociale e professionale nella prospettiva di individuare e valorizzare attitudini, motivazioni e capacità (Serreri, 2012). In questo contributo si proporranno una lettura educativo-formativa del bilancio delle competenze (De Sanctis e D’Ambrosio, 2011) e un approccio integrato, che tenga contemporaneamente in considerazione quattro coordinate: la centralità del soggetto, l’oggettivazione delle sue prerogative, il potenziamento delle competenze possedute e una specifica progettualità personale. Il bilancio delle competenze rappresenta un percorso di valutazione della situazione attuale e potenziale del lavoratore e lavora sia sui bisogni che sulle aspettative professionali.
Così inteso il bilancio delle competenze è collegato al progetto professionale, che rappresenta una componente del progetto di vita (Cambi, 2007), e consiste in un’analisi sistematica delle caratteristiche personali, che viene condotta con l’utilizzo di strumenti strutturati, quali test e schede di autoanalisi (De Carlo, 2011).
Il progetto professionale va realizzato mediando tra gli obiettivi della persona e la realtà oggettiva, progettando e riprogettando il proprio futuro senza sottovalutare il passato ma con un’attenzione specifica al futuro e gestendo il presente nella maniera più funzionale possibile. Tale progetto avrà maggiore possibilità di concretizzarsi se l’individuo imparerà a elaborare tecniche e strategie di fronteggiamento. Conoscere la verità sulle proprie capacità e sui propri limiti permette una realistica programmazione scolastica e professionale della vita. Qui la programmazione va intesa come il tentativo di razionalizzare l’azione pedagogica. La programmazione dell’azione educativa va espressa in termini operativi e si esplicita nella programmazione degli interventi didattici. Quando già a livello scolastico si rinforzano le capacità di scelta e di cambiamento si acquisiscono strategie che possono utilmente essere applicate per gestire le difficoltà relative ai processi evolutivi, alle fasi di transizione, agli stati di crisi (Serreri, 2010). Le difficoltà, lette in una prospettiva costruttiva, diventano il presupposto senza il quale è difficile uscire da una condizione stagnante perché sono proprio i motivi di insoddisfazione che spingono le persone a intraprendere un percorso per superarle. La formazione permanente, letta in quest’ottica, dovrebbe educare al cambiamento, alla crisi, alla scelta come sinonimo di condizione di libertà e di felicità. Si tratta, in altri termini, di promuovere una nuova mentalità, un approccio diverso all’intero sistema educativo e formativo, che prepara a un accesso al mondo del lavoro ispirato da altri principi e da altri valori.
Il progetto professionale comprende non solo l’obiettivo professionale ma anche un piano d’azione, vale a dire le azioni necessarie, in senso logico e cronologico, per raggiungere l’obiettivo professionale. L’obiettivo professionale chiarisce ciò che si sa fare, ovvero le competenze maturate, e il ruolo professionale in cui tali competenze possono essere adeguatamente impiegate.
Il progetto professionale è volto a facilitare la ricerca del lavoro. Il bilancio delle competenze è uno strumento indispensabile per rispondere alle esigenze del mercato del lavoro di oggi, che richiede una sempre più forte flessibilità e specializzazione. In una società in cui non esiste più solo il lavoro a tempo indeterminato e immutato nel tempo e nello spazio ci sono molti modi diversi di lavorare e molte tipologie di contratti di lavoro. La modalità di lavoro consiste nel tipo di rapporto di lavoro e nell’orario che si vuole avere. Ha a che fare con le dimensioni del tempo, dell’appartenenza, dell’autonomia. Si può scegliere un lavoro part-time, per stare con la famiglia o avere tempo per fare altre cose, oppure scegliere un lavoro che occupi molte ore e riempia di responsabilità (Dato, 2009).
Affinché un obiettivo professionale sia adeguato dovrebbe essere specifico, comunicabile, collegato a un locus of control interno, fattibile, positivo, reale e concreto. Inoltre, collegato all’obiettivo professionale c’è il concetto di motivazione, la giusta energia necessaria a trovare un’occupazione e a crescere professionalmente. Quando l’utente non ha un obiettivo professionale o ha un obiettivo professionale poco realistico è possibile proporre un bilancio delle competenze. Attraverso una consulenza non strutturata, infatti, si mira alla definizione dell’obiettivo professionale (Murgatroyd, 2008).
È compito dell’Università coniugare in maniera più funzionale il mondo della formazione con il mondo del lavoro (Felisatti e Mazzucco, 2010): molte indagini sul campo registrano che il mondo accademico, nella sua proposta formativa, è ancora troppo concentrato sulla dimensione del sapere, che invece andrebbe più adeguatamente collegata al saper fare e al saper essere. Per questo motivo, da più parti, si avverte l’esigenza pressante di collegare il mondo della conoscenza a quello delle competenze. A complicare ulteriormente la situazione resta la consapevolezza che con la globalizzazione c’è una radicale ristrutturazione della formazione professionale (Alessandrini, 2012). Una possibile soluzione sta nell’integrare la formazione continua con il sistema scolastico e universitario e con le strategie di sviluppo economico e di politica del lavoro a livello locale. In particolare si potrebbe lavorare su offerte di formazione per gli adulti che prevedono politiche integrate tra i diversi soggetti politici e istituzionali, comprese le parti sociali, e la pluralità degli attori operanti nel sistema della formazione, tra cui le Università. Questo ruolo di raccordo può essere efficacemente svolto dall’orientamento (Nota e Soresi, 2010).
Dal momento che il progetto professionale si basa sulle risorse di cui la persona dispone deve essere considerato come un processo dinamico, che si organizza in funzione dei risultati che man mano si raggiungono.

Educazione, formazione, progetto di vita

Il progetto di vita è un progetto più generale che, attraverso la visione realistica di sé e del proprio ambiente sociale, permette di affrontare meglio le scelte relative alla professione, al matrimonio, alla propria realizzazione personale, alla gestione dei rapporti interpersonali. È stato studiato e analizzato dalle scienze dell’orientamento dal momento che, nel corso della sua evoluzione, l’orientamento ha beneficiato di contributi importanti di differenti discipline come la psicologia, la pedagogia e la sociologia, che hanno fatto in modo che si configurasse come una pratica professionale che utilizza approcci multidisciplinari. Da quando il mercato è assunto come principale regolatore sociale e l’istruzione da bene collettivo diventa bene privato è necessario leggere l’orientamento come uno strumento in grado di contribuire al progresso della società (Orefice, 2011). Si tratta di un orientamento che diventa realtà complessa e sistemica, come si addice a una società in cui il cambiamento è permanente. Tale approccio, nella pratica orientativa, risponde all’esigenza di considerare la globalità della persona in termini di interessi, bisogni, attitudini, fattori sociali. Nella prospettiva educativo-formativa l’orientamento diventa un’attività di formazione permanente, volta alla piena attuazione della persona, che deve collocarsi nel suo ambiente di riferimento e deve farlo nel migliore dei modi, vale a dire in una maniera che gli è funzionale (Batini e Giusti, 2008). Se in età evolutiva non si è lavorato sull’imparare a imparare e non si è adeguatamente riflettuto sui saperi accumulati per saper imparare autonomamente difficilmente, da adulti, si possono individuare i propri bisogni e ricollegarsi all’apprendimento formale (Alberici, 2008).
In questa fase è importante creare legami e connessioni con il mondo che ci circonda. Nel coinvolgimento degli Enti territoriali bisogna tenere in debita considerazione la natura organizzativa dell’impresa italiana, prevalentemente di carattere piccolo e medio, e la caratterizzazione mediamente bassa della qualificazione dell’imprenditoria italiana. L’impresa può trarre beneficio dalla formazione, perché può arrivare a disporre di personale qualificato, adattabile a diverse esigenze e in grado di contribuire attivamente alla soluzione dei problemi (Rubenson, 2011).
A proposito del progetto di vita va puntualizzato che per non perdere di vista i punti di riferimento centrali nella progettazione vanno considerati sia il presente che il futuro, sia l’essere della persona che il suo fare (Favorini, 2016). In questa prospettiva la conoscenza perde il suo carattere di assolutezza e si colloca a metà strada tra l’organizzazione teorica del sapere e i limiti morali dell’azione (Loiodice, 2012).
Le schede di autoanalisi puntano soprattutto al racconto della propria storia formativa e professionale (De Carlo, 2012). La persona, raccontandosi, fa emergere le proprie caratteristiche personali, a volte anche senza esserne del tutto consapevole. È pertanto compito di chi la ascolta mettere l’accento sulle informazioni emerse più utili affinché si abbia un quadro chiaro. A volte, peraltro, le persone hanno bisogno di essere sostenute e supportate per aprirsi completamente al racconto di se stesse. In questo caso si può intervenire con delle domande stimolo (Milani e Pegoraro, 2015), piuttosto generiche, che hanno proprio il compito di facilitare l’apertura dell’altro. A titolo di esempio si riportano alcune di queste domande: quali sono i tuoi/suoi punti di forza e quelli di debolezza, quali sono le cose più importanti del tuo/suo lavoro, cosa ricordi/ricorda con più piacere delle esperienze di vita. L’uso del tu o del lei dipende dal livello più o meno formale della conversazione e dalla capacità, da parte dell’operatore, di individuare i casi in cui la comunicazione informale mette più a proprio agio l’interlocutore, senza che questa scelta svilisca l’importanza del lavoro che si sta facendo e la qualità della relazione (Messuri, 2012).
Le metodologie riflessivo-biografiche possono essere utilizzate anche con un fine educativo quando si riflette sull’educazione al cambiamento: il cambiamento, infatti, non va inteso come una meta da raggiungere ma come un processo da gestire. A questo processo bisogna essere educati. La riflessione e la successiva narrazione di sé diventano formazione quando si impara a scegliere partendo dalle vicende raccontate dagli altri e dalla maniera che i nostri interlocutori hanno scelto per realizzare i passaggi da una fase di vita a un’altra.
La fase esplorativa della persona può essere realizzata anche attraverso l’uso di test di interessi, test di personalità e test attitudinali, ma le teorie più recenti, che hanno spesso messo l’accento sulla volubilità e sulla contingenza della nascita e dello sviluppo degli interessi personali e professionali, hanno di fatto dimostrato la necessità di puntare su altri strumenti di autoanalisi. L’autoconoscenza di se stessi permette la consapevolezza e lo sviluppo ottimale delle risorse personali, per migliorare il proprio stile di vita e renderlo più soddisfacente e creativo. La capacità di guardare dentro di sé, per rileggere in prima persona il proprio vissuto, dà luogo a una elaborazione intrapersonale, nel senso che la persona mette in atto un processo di auto-apprendimento per esplorare le esperienze umane traendo vantaggio, in termini di conoscenza, da tutte le situazioni che si vivono. Nell’essere umano è naturalmente presente il desiderio di trasformare la realtà mediante la volontà. Il processo appena descritto permette di focalizzarsi sugli obiettivi che si intendono raggiungere ed agire seguendo degli specifici programmi finalizzati al loro raggiungimento. La visione realistica di sé e dell’ambiente sociale con cui si interagisce permette di affrontare meglio le scelte professionali e i rapporti interpersonali, cercando di ridurre al minimo la conflittualità dovuta a fattori soggettivi. Il percorso di auto-analisi, delle proprie esperienze e delle proprie potenzialità permette di giungere all’individuazione dei propri interessi e valori, in modo da potersi creare un progetto professionale realistico, che scaturisce da una visione critica del proprio percorso personale e professionale.

Alla scoperta delle competenze

Al bilancio vero e proprio segue una fase di accompagnamento del cliente legata alla messa in opera del suo progetto. Durante questa fase, infatti, sono previste anche attività che il cliente può svolgere in maniera autonoma. Questo accompagnamento sarà realizzato attraverso una consulenza educativa (Simeone, 2011). La specifica tipologia di relazione che si crea tra il cliente e il consulente prende il nome di relazione d’aiuto. Si tratta di un particolare tipo di relazione che ogni educatore cerca di costruire quando intende promuovere un cambiamento nella persona con la quale si relaziona. La relazione d’aiuto è alla base degli interventi di orientamento pedagogico (Messuri, 2009) e di bilancio delle competenze, nella consapevolezza che i cambiamenti richiedono un adattamento da parte di chi li vive.
Ogni operatore che intende mettere in piedi una buona relazione d’aiuto ha il compito di lavorare su se stesso per migliorare le sue competenze comunicative e relazionali (Boffo, 2011). Nel percorso di formazione sono da considerare temi cruciali per l’orientamento la didattica orientativa e per competenze; la formazione professionale dei docenti e degli operatori che a vario titolo utilizzano la strategia dell’orientamento; la continuità tra scuola, Università, formazione professionale, lavoro.
Il progetto finale consente lo sviluppo professionale della persona, nella consapevolezza che nell’età adulta sono possibili inaugurazioni di nuove carriere. Le competenze hanno una forte interazione con l’ambiente in cui ci si trova a lavorare e giocano un ruolo fondamentale nella realizzazione professionale perché l’ambiente di lavoro ha caratteristiche fisiche e umane che cambiando da posto a posto possono rendere molto diverso, nella realtà, un identico profilo professionale.
Le competenze che vanno indagate con l’obiettivo di arrivare a stilare un progetto professionale sono le competenze trasversali (Frasson, 2011), che vanno sollecitate già a partire dai percorsi formativi, perché l’acquisizione di tali abilità facilita la transizione verso la vita attiva e l’inserimento occupazionale. Le competenze trasversali dovrebbero diventare oggetto di formazione in forma esplicita e programmata (Simmons e Smyth, 2016). In una società in cui contano aspetti come la creatività, l’immagine autentica di sé, le attitudini e i valori, infatti, è necessaria una riflessione su dinamiche educative che hanno spinto verso percorsi più formali e su quanto questa impostazione sia risultata efficace per la società attuale (De Nicolò, 2012). Alle teorie che sottolineano la necessità, per l’uomo, di sfidare sempre se stesso, di potersi realizzare come professionista e come cittadino solo se è in grado di andare costantemente oltre i suoi limiti e solo quando è capace di guardarsi dentro e di capire realmente chi davvero è, eliminando quanto non è funzionale e potenziando oltre misura quello che è già presente, si profila un approccio alla vita altro, che va oltre la pedagogia del condizionamento e la pedagogia eroica, che con la giustificazione della sfida, della conquista e della realizzazione di fatto ha mirato al totale controllo del comportamento dell’uomo. Scoprire – e riscoprire – la competenza rappresenta la base per muoversi in questa nuova direzione – nuova solo nell’interpretazione perché, di fatto, è connaturata all’essere umano, è archetipica (Mottana, 2013).
Tra le possibili competenze trasversali che possono essere prese in considerazione in questo contributo ci si concentrerà sulle competenze sociali, quelle cognitive, quelle realizzative, quelle gestionali, perché sono ritenute meglio collegate al taglio di ricerca dato a questo contributo.
Le competenze sociali favoriscono lo sviluppo dell’identità perché il comunicare diventa un gioco di relazioni, in cui ognuno mette in atto se stesso e il proprio modo di essere con l’altro: sulla base di come interagiamo e sui messaggi e le definizioni che altre persone – per noi significative – ci inviano si costruisce il senso di identità. Queste competenze, inoltre, rispondono a bisogni di tipo sociale, quali il senso di appartenenza e la vita di gruppo.
Le competenze cognitive sono quelle abilità che coordinano le nostre conoscenze con l’obiettivo di favorire l’acquisizione di capacità adattive attraverso l’utilizzo di strumenti educativi finalizzati al potenziamento delle abilità mentali.
Le competenze realizzative, utili nei contesti formativi e professionali, caratterizzano la qualità della persona nella realtà organizzativa e la sua capacità di organizzare, eseguire e portare a termine i propri compiti con successo.
Le competenze gestionali hanno a che fare con la gestione del lavoro e sono fondamentali per svolgere mestieri di responsabilità; queste competenze possono essere innate o acquisite attraverso l’esperienza (Rossi, 2011).
Tra le competenze sociali individuiamo la competenza comunicativa, la competenza relazionale, il lavoro di gruppo. Per competenza comunicativa si intende non solo la capacità di saper parlare una lingua ma anche la competenza a saper usare gli enunciati in maniera funzionale al contesto comunicativo di riferimento. Le competenze relazionali indicano la capacità di gestire i rapporti con gli altri: più si è in grado di comprendere le esigenze dei nostri interlocutori e di adeguarsi alle loro caratteristiche e ai loro ruoli e più gli scambi relazionali sono efficaci e portano risultato a livello personale e professionale (Cusinato, 2013). Il lavoro di gruppo incide positivamente sulla collaborazione efficace e sullo spirito di squadra: quando i membri del gruppo devono condividere informazioni, strumenti e risorse è necessario costruire fiducia e collaborazione tra le persone.
Tra le competenze cognitive individuiamo le competenze di analisi e di sintesi, la flessibilità mentale, il problem solving, la creatività e l’innovazione. L’analisi ha a che fare con la capacità di saper scomporre un sistema complesso in elementi più semplici, con l’obiettivo di analizzarli meglio; la competenza di sintesi, al contrario, ha a che fare con la visione d’insieme, con la capacità di arrivare, a livello intuitivo, alla gestione di una situazione complessa, pur senza conoscere perfettamente tutti gli elementi che compongono quella situazione. La flessibilità mentale è quella qualità che permette al cervello di adattare il comportamento e il pensiero a situazioni nuove, inaspettate, o anche a smettere un dato comportamento quando questo risulta essere non funzionale, per sostituirlo con una strategia più adeguata (Sansone, 2013). Il problem solving è caratterizzato dalla necessità di risolvere un problema nuovo, che non si era mai presentato prima; la soluzione richiede uno sforzo creativo e la necessità di procedere per prove ed errori. La competenza creativa incide sul cambiamento ed è data dalla capacità di utilizzare elementi noti dando loro un significato nuovo, inaspettato, creativo. L’innovazione ha a che fare con la capacità di saper affrontare in maniera creativa una situazione personale o professionale.
Tra le competenze realizzative individuiamo le competenze di pianificazione e di organizzazione, l’autocontrollo, la sicurezza, il decision making e la capacità commerciale. La pianificazione è una competenza che permette, a chi la possiede, di definire gli scopi che si intendono perseguire e nel sistematizzare le idee in modo da poter concretizzare quanto previsto. La competenza organizzativa ha a che fare con la capacità di strutturare e organizzare le proprie attività con l’obiettivo di ottenere il risultato sperato e con un utilizzo di energie misurato, non dispendioso. L’autocontrollo permette di conservare un atteggiamento efficace anche quando ci si trova in contesti poco facilitanti, caratterizzati da tensioni, conflitti ed elementi stressanti. La sicurezza è quella competenza che permette di riconoscere e valutare il rischio e di muoversi rispettando criteri base di salute per se stessi e per gli altri, agendo responsabilmente e con un intento di protezione. Il processo di decision making è associato alla competenza della presa di decisione, vale a dire il processo che si mette in atto per arrivare a prendere una decisione importante: quanto più una decisione è intuitiva e creativa tanto più riesce ad essere efficace nelle situazioni particolarmente problematiche. La capacità commerciale ha a che fare con il know how collegato alla qualità di saper gestire le relazioni con il proprio interlocutore, con l’obiettivo di persuaderlo all’acquisto di quanto gli si sta proponendo (un acquisto che può essere anche non materiale, come nel caso di un servizio) (Dezza e Narrante, 2010).
Tra le competenze gestionali individuiamo la leadership, la negoziazione, l’organizzazione (già precedentemente illustrata), la gestione del tempo. La leadership ha a che fare con l’intelligenza emotiva e con la capacità di identificare e monitorare le informazioni con l’obiettivo di gestire in maniera efficace le relazioni interpersonali (Goleman, 2012). La negoziazione consiste nella capacità di affrontare e gestire le situazioni di conflitto, con la conseguenza strategica di soddisfare i bisogni e le esigenze di tutti. La gestione del tempo è una competenza che permette di utilizzare con efficacia il tempo che si ha a disposizione per il raggiungimento di un determinato obiettivo. È collegata alla capacità di saper mantenere la concentrazione e l’attenzione su determinate attività legate all’obiettivo che si intende raggiungere, senza disperdere le proprie energie (Blanchard, Oncken e Burrows, 2015).

Considerazioni conclusive e questioni aperte

Nel bilancio delle competenze è necessaria la personalizzazione del percorso di consulenza, l’attivazione del soggetto, un approccio fondato sull’autovalutazione, la centralità della relazione tra consulente e utente. La fase dell’autovalutazione impone una riflessione: è possibile conoscere le proprie capacità e i propri limiti, senza una richiesta di prestazione e senza un giudizio sulle medesime? È una riflessione che introduce al tema dell’esame delle competenze (Margiotta, 2012).
Il riconoscimento e la certificazione delle competenze sono collegati soprattutto al bisogno di apprendere lungo il corso della vita. Con il DM n. 742 del 3/10/2017 il MIUR ha adottato i nuovi modelli nazionali per la certificazione delle competenze che le singole istituzioni scolastiche devono rilasciare al termine della scuola primaria e al termine del primo ciclo di istruzione. Questa presa di posizione, tuttavia, dà pochissime informazioni su come realizzare l’esame delle competenze, che diventa uno degli aspetti più delicati – e più interessanti – della lettura educativo-formativa del bilancio delle competenze.
Nella certificazione delle competenze, così come richiesto dalla normativa, il tentativo delle scuole mira a realizzare una valutazione complessiva rispetto alla capacità di saper utilizzare i saperi acquisiti per affrontare compiti e problemi, con una sorta di coincidenza con la competenza del problem solving. Le più importanti strategie per l’acquisizione di conoscenze legate ai contenuti sono l’attenzione, l’elaborazione di mappe cognitive, la costruzione di nuove informazioni. Le difficoltà nascono dalla consapevolezza che la scuola italiana è chiamata a valutare non solo conoscenze e abilità (che hanno a che fare con il sapere e la sua applicazione) ma anche le competenze dei discenti, vale a dire la capacità di orientarsi autonomamente per individuare strategie funzionali alla soluzione dei problemi. L’errore più grande che si possa commettere a questo proposito è far coincidere la certificazione delle competenze con la valutazione delle conoscenze (Castoldi, 2016).
Da questo punto di vista la strada da percorrere per arrivare ad una risposta operativa efficace sembra essere ancora tanta, tuttavia una possibile risposta – e una sorta di misura – può essere rappresentata da quanto le competenze migliorino i processi di auto-orientamento. Gli strumenti per auto-orientarsi vanno messi a punto nelle differenti fasi della propria vita (Margottini e Pavoni, 2012). Infatti, è ormai del tutto superata l’idea che il bisogno di orientamento coincida con un particolare momento dell’esistenza perché, piuttosto, interessa un periodo lungo, che comincia nell’infanzia e si protrae anche nell’età adulta (Loiodice, 2009). Dal punto di vista di chi accompagna, quindi, l’orientamento è aiuto e sostegno affinché il soggetto sappia fronteggiare gli aspetti connessi ai compiti di sviluppo propri delle situazioni di transizione che si verificano nell’esperienza formativa e lavorativa. Un adeguato possesso di competenze – soprattutto delle competenze trasversali precedentemente individuate – aiuta la persona a rispondere in maniera efficace alla vita, alle transizioni, ai cambiamenti, alle crisi.
Alla luce delle considerazioni esposte si può concludere che l’orientamento, con il suo tentativo di fornire strategie e strumenti per muoversi in maniera autonoma e consapevole nella realtà personale e professionale; il progetto professionale, con l’obiettivo di creare una connessione veritiera e sostenibile tra le richieste del mondo che ci circonda e quello che naturalmente sentiamo di voler essere; il bilancio delle competenze, con la possibilità di riconoscere l’utilità e il valore di quanto nella vita si è appreso, non solo in termini formali ma – soprattutto – grazie alle esperienze informali, sono saldamente uniti dal tema delle competenze.
Il riconoscimento delle competenze trasversali precedentemente illustrate, il loro trasferimento con modelli di trasmissione adeguatamente teorizzati e sperimentati nelle scuole e la loro successiva certificazione potrebbe rappresentare una risposta alternativa alla gestione della complessità del presente.

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Autore per la corrispondenza

Immacolata Messuri
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