Modelli educativi / Educational models
Agire didattico inclusivo: una questione di stile?
Inclusive didactic action: a matter of style?
Diana Carmela Di Gennaro
Ph.D. in “Metodologia della ricerca educativa e della ricerca formativa” presso il Dipartimento di Scienze Umane, Filosofiche e della Formazione dell’Università degli Studi di Salerno, è autrice del lavoro.
Paola Aiello
professore associato di “Didattica e pedagogia speciale” presso il Dipartimento di Scienze Umane, Filosofiche e della Formazione dell’Università degli Studi di Salerno, è coautrice del lavoro.
Iolanda Zollo
Ph.D. in “Corporeità didattiche, tecnologie e inclusione” presso il Dipartimento di Scienze Umane, Filosofiche e della Formazione dell’Università degli Studi di Salerno, è coautrice del lavoro e ha curato, nello specifico, la revisione della letteratura scientifica sugli stili di apprendimento e di insegnamento.
Maurizio Sibilio
professore ordinario di “Didattica e pedagogia speciale” presso il Dipartimento di Scienze Umane, Filosofiche e della Formazione dell’Università degli Studi di Salerno, è coordinatore scientifico del lavoro.
Sommario
Il presente lavoro offre una riflessione teorica ed una panoramica della letteratura scientifica sul tema degli stili di insegnamento e di apprendimento alla luce della sfida posta dalla full inclusion e partendo dal presupposto che la specificità e unicità di ogni individuo rappresenta una risorsa per i processi formativi. In questa prospettiva, il concetto di vicarianza sembra suggerire un’originale chiave di lettura dell’esperienza didattica, configurandosi come possibile strumento di adattamento che consente al docente e al discente, a fronte di inclinazioni e di disposizioni naturali, di mobilitare le proprie risorse in maniera flessibile e divergente. Tale visione si inserisce in un filone di studi che indaga l’agire didattico in vista di una possibile interconnessione tra scienze dure e scienze umane, prefigurando nuovi scenari di ricerca transdisciplinare.
Parole chiave
Inclusione, stili cognitivi, vicarianza, differenze individuali, processo di insegnamento-apprendimento.
Abstract
The present work aims to offer a theoretical reflection and an overview of the scientific literature on teaching and learning styles, in the light of the challenge posed by full inclusion and starting from the assumption that the specificity and uniqueness of each individual represents a resource for the educational processes. In this perspective, the concept of vicariance seems to suggest an original interpretation of the didactic experience as it could represent a possible adaptive tool allowing teachers and learners to mobilize their resources in a flexible and divergent way, according to their inclinations and natural dispositions. This vision is part of a series of studies that investigate the didactic action considering the possible interconnection between hard and soft sciences and foreshadowing new transdisciplinary research scenarios.
Keywords
Inclusion, cognitive styles, vicariance, individual differences, teaching-learning process.
Introduzione
L'educazione inclusiva richiama l'attenzione sull'importanza, nell'insegnamento, di tener conto e, dunque, di incontrare le differenze soggettive che sono alla base del processo di apprendimento e che si configurano come punti di forza su cui l'insegnante può modellare il proprio agire didattico.
In particolare, la logica della full inclusion invita i docenti ad assumere il concetto di differenza come principio guida per un agire didattico inclusivo, riconoscendo l'importanza di un approccio sistemico e complesso che solleciti la responsabilità degli insegnanti «verso una conoscenza profonda ed una comprensione delle configurazioni soggettive dei propri alunni, emergenti dal modo in cui interagiscono punti di forza e di debolezza, considerando nel contempo i loro livelli di maturità emotiva, sociale e fisica, gli effetti di eventuali patologie o disturbi e l'influenza del proprio contesto di vita» (Aiello, 2015, p. 23).
In tale prospettiva, le differenze individuali rappresentano l'irriducibile specificità evolutiva di ciascuno, l'affermazione dell'identità del singolo che si configura come atto creativo (Deleuze, 1976) in potenza.
Questa visione sembra trovare un naturale ancoraggio nel concetto di vicarianza così come proposto da Alain Berthoz, fisiologo della percezione e dell'azione presso il Collège de France, il quale, nel suo saggio dedicato a questo tema (2013), rivendica la centralità dell'individuo nella società contemporanea. L'elemento su cui si sofferma lo studioso francese è proprio la capacità dell'essere umano di creare mondi possibili, ovvero di fronteggiare in maniera flessibile la complessità del reale attraverso il ricorso a strategie cognitive vicarianti che consentono l'adattamento di ciascun individuo nel corso del processo evolutivo.
Declinato in ambito didattico, il concetto di vicarianza offre interessanti spunti di riflessione sulle differenti modalità di adattamento dei soggetti coinvolti nelle dinamiche di insegnamento-apprendimento, configurando l'esperienza didattica come «spazio di azione interindividuale in cui si intrecciano le variabili intraindividuali» (Sibilio, 2016, p. 19).
Conseguentemente, il docente è chiamato ad esplorare non soltanto le differenti modalità apprenditive dei propri studenti ma anche ad assumere consapevolezza dei propri meccanismi cognitivi e delle proprie disposizioni ad agire (Aiello et al., 2016) in quanto elementi regolatori del fenomeno didattico.
In tal senso, il processo di insegnamento-apprendimento si realizza, infatti, in uno spazio di interazione in cui si incontrano gli stili cognitivi di docenti e di discenti, per cui l'efficacia dell'azione didattica dipende dall'allineamento (Sibilio, 2016) tra stili di insegnamento e stili di apprendimento, ovvero dall'armonizzazione dei differenti profili che interagiscono in ambito didattico.
Nell'ottica di realizzare una didattica che possa rivelarsi realmente inclusiva, pertanto, appare necessario approfondire il tema delle differenze individuali che caratterizzano insegnanti e studenti in termini di strategie cognitive specifiche con l'obiettivo di «découvrir celle qui convient à chaque cerveau» (Berthoz, 2013, p. 167) nella molteplicità dei percorsi possibili.
Con tale finalità, il presente lavoro offre una riflessione teorica e una panoramica della letteratura scientifica sul tema degli stili di insegnamento e di apprendimento, inserendosi in un filone di studi che indaga l'agire didattico in vista di una possibile interconnessione tra soft sciences e hard sciences, tra didattica e neuroscienze, prefigurando nuovi scenari di ricerca transdisciplinare.
Una questione di stile?
La letteratura scientifica evidenzia che l'apprendimento degli studenti è fortemente influenzato dalle modalità di insegnamento del docente (Timperley, 2008), per cui a quest'ultimo è richiesta la capacità di modellare la propria azione didattica sulla base dei differenti stili di apprendimento dei propri discenti in una dimensione di costante interazione orientata al raggiungimento di obiettivi didattici specifici.
Tale esigenza ha indotto la ricerca in ambito educativo a riflettere sul come l'insegnante agisce in situazione, ovvero sulle modalità di insegnamento individuali che riflettono, in termini di progettazione e trasposizione didattica (Chevallard, 1985), la dimensione soggettiva di ciascun docente, conducendo allo sviluppo di uno specifico filone di studi volto ad indagare l'implicito delle pratiche di insegnamento (Perla, 2010), l'insieme degli elementi taciti, non visibili che rappresentano l'impalcatura dell'hidden curriculum attraverso il quale si esprimono in maniera inconsapevole atteggiamenti, saperi, condotte, valori nel corso dell'azione didattica (Jerald, 2006).
Tali elementi, infatti, influenzano ed orientano l'azione didattica del docente, traducendosi in determinati approcci e modalità di insegnamento riconducibili a stili cognitivi specifici.
Il concetto di stile cognitivo, sviluppatosi a partire dagli anni '50 in ambito psicologico, si inserisce nel più ampio panorama degli studi relativi all'identificazione e all'analisi delle differenze qualitative nell'elaborazione cognitiva (Zanchin, 2002) che hanno messo in evidenza i limiti di una concezione dell'intelligenza basata su approcci riduttivamente quantitativi per aprire la strada ad una prospettiva fondata sull'esplorazione delle differenti potenzialità cognitive di ciascun individuo (Gardner, 1983).
Questi studi hanno offerto un contributo fondamentale alla ricerca in campo educativo in quanto hanno stimolato la riflessione sulle strategie metacognitive e operative che vengono attivate dagli individui nel processo di apprendimento (Cornoldi e De Beni, 1993) e contribuito all'affermazione di un modello pedagogico e didattico basato sulla valorizzazione delle differenze e delle potenzialità individuali.
Operando una sintesi delle definizioni che hanno interpretato i diversi approcci allo studio degli stili, è possibile affermare che per stile cognitivo si intende la modalità di elaborazione dell'informazione che un individuo adotta in modo prevalente, che permane nel tempo e che si generalizza a compiti diversi (Boscolo, 1981). Tale costrutto si riferisce, pertanto, alle inclinazioni e alle disposizioni individuali che si manifestano non solo nel funzionamento cognitivo ma anche negli atteggiamenti, negli approcci relazionali, nella percezione e nell'elaborazione delle informazioni nonché nella risoluzione di situazioni problematiche, sostanziandosi poi in specifici comportamenti (Messick, 1984).
All'ambito della ricerca sugli stili cognitivi e sulle differenze qualitative nel funzionamento cognitivo sono ascrivibili anche gli studi sugli stili di apprendimento e di insegnamento, che focalizzano l'attenzione sui meccanismi e sulle modalità preferenziali adottate da studenti e da insegnanti all'interno dei processi educativo-didattici.
Per quanto concerne il concetto di stile di apprendimento, nel corso del tempo sono state prodotte innumerevoli definizioni sulla base degli aspetti oggetto d'indagine.
In sintesi, tali definizioni sembrano rinviare principalmente a tre dimensioni fondamentali:
-
modalità caratteristiche di agire, predisposizioni o preferenze che riguardano i contesti di insegnamento-apprendimento;
-
processi di elaborazione delle informazioni;
-
caratteristiche e tratti della personalità (Chevrier et al., 2000).
Per alcuni autori, lo stile di apprendimento designa una modalità caratteristica, ovvero personale e distinta, di agire e di comportarsi in un contesto di apprendimento, configurandosi, dunque, come la risposta sistematica dell'allievo agli stimoli emergenti nei processi apprenditivi (Claxton e Ralston, 1978).
Gli stili di apprendimento sono stati definiti anche come caratteristici comportamenti cognitivi, affettivi e psicologici che servono come indicatori relativamente stabili delle modalità in cui gli individui percepiscono, interagiscono e rispondono all'interno di un contesto di apprendimento (Keefe, 1979).
Altri autori identificano tale costrutto nei tratti fisiologici derivanti da caratteristiche individuali (genere, stato di salute, percezione del contesto di apprendimento) che determinano la modalità attraverso la quale ciascuno studente si concentra, elabora e ritiene le informazioni (Dunn e Dunn, 1978; 1992; 1993) avvalorando una visione dello stile di apprendimento come sorta di programma interiore assolutamente soggettivo e generativo del comportamento (Curry, 1990).
Negli ultimi decenni, diversi autori hanno posto l'attenzione sulla natura dinamica ed esperienziale degli stili di apprendimento in quanto sintesi di fattori genetici, abitudini percettive e cognitive, credenze e valori culturalmente condizionati, ma anche dimensioni soggettive emergenti dall'interazione con l'ambiente (Mariani, 2006).
Il concetto di stile di apprendimento si colloca, in tal senso, al centro dell'articolata relazione tra individuo e ambiente nei processi di apprendimento (Rossini, 2016) per cui la predisposizione verso determinate modalità di apprendimento non può configurarsi come innata o fissa, ma si sviluppa attraverso l'esperienza, modificandosi nel tempo e in relazione alle situazioni e ai contesti (BECTA, 2005).
Un importante contributo teorico allo studio qualitativo delle differenze individuali nell'apprendimento è rintracciabile nella teoria della vicarianza tra processi proposta da Reuchlin (1978) secondo la quale ogni individuo disporrebbe di una molteplicità di processi vicarianti per adattarsi alla situazione in cui si trova ed alcuni di questi processi sono più facilmente evocabili di altri (Reuchelin, 1978) . Tale approccio ha posto le basi per gli studi sulla variabilità inter e intra-individuale, riconoscendo nella pluralità di processi cognitivi in grado di rimpiazzare una data funzione con un'altra, in ragione di un compito o di un obiettivo specifico, il potenziale soggettivo di variabilità. In questa prospettiva, il funzionamento cognitivo individuale si configura come il prodotto delle mutue influenze tra fattori personali e contestuali (Lautrey, 2003) , evidenziando l'interconnessione profonda tra modificabilità biologica e variabilità ambientale nei processi apprenditivi (Frauenfelder, 2011).
Negli ultimi decenni, il tema degli stili di apprendimento ha assunto un ruolo centrale nell'ambito del dibattito pedagogico e didattico sulla valorizzazione delle differenze e delle potenzialità individuali, generando posizioni contrastanti.
Se, da un lato, la ricerca ha sottolineato l'importanza di individuare ed incontrare, sul piano didattico, le diverse forme di funzionamento cognitivo degli studenti, favorendone l'esercizio metacognitivo e la personalizzazione degli apprendimenti (Cadamuro, 2004; Moè e De Beni, 2003; Saracho, 2003; Cornoldi et al., 2002), dall'altro, le innumerevoli definizioni e teorie sugli stili di apprendimento hanno evidenziato i limiti del costrutto e la sua apparente irrilevanza nel processo di insegnamento-apprendimento. In tal senso, gli stili di apprendimento rappresentano, soprattutto nell'ambito della Evidence Based Education, una mitologia educativa a cui non corrispondono evidenze empiriche in termini di efficacia (Howard-Jones, 2014; Calvani, 2011; Gruber, 2011; Riener e Willingham, 2010; Hattie, 2009).
Ad esempio, i risultati della meta-analisi condotta da Hattie, confluiti nel testo Visible Learning. A synthesis of over 800 meta-analyses relating to achievement (2009), mostrano che la corrispondenza tra l'approccio didattico del docente e gli stili di apprendimento degli studenti non si rivela un fattore determinante nel favorire i processi apprenditivi di questi ultimi, sebbene costituisca comunque un elemento rilevante.
Tra le false credenze maggiormente diffuse tra gli insegnanti al fine di evidenziare alcuni punti di incongruenza tra le pratiche didattiche e i risultati provenienti dalla ricerca, Calvani (2011) annovera la convinzione che sia necessario assecondare gli stili di apprendimento dei discenti sottolineando quanto tale presupposto abbia contribuito a creare aspettative negli insegnanti piuttosto che suggerire percorsi effettivamente percorribili.
Nel testo Evidence-Based Training Methods, Clark (2015) mira ad avvalorare la sua visione degli stili di apprendimento come «the more wasteful and misleading pervasive learning myths of the past 25 years» (p. 5). Tale costrutto, secondo l'autrice, avrebbe infatti generato strategie e approcci didattici improduttivi poiché in contrasto con le attuali evidenze scientifiche (Riener e Willingham, 2010; Cook et al., 2009; Pashler et al., 2008; Kratzig e Arbuthnott, 2006).
A tal proposito, è importante sottolineare che la ricerca evidence-based mette in discussione il concetto di stili di apprendimento intesi come preferenze sensoriali che gli individui adottano in maniera prevalente quando apprendono, riconoscendo invece l'importanza delle strategie cognitive e meta cognitive di apprendimento il cui campo di studi è ben consolidato (Calvani, 2013).
La ricerca sugli stili di insegnamento e la vicarianza
Se la letteratura scientifica relativa all'indagine sulle modalità di apprendimento individuali risulta corposa e variegata, pochi sono, invece, gli studi volti ad indagare gli stili di insegnamento (Cadamuro, 2004) sebbene sia ampiamente riconosciuta l'importanza che riveste la consapevolezza, da parte del docente, dei propri stili cognitivi e di apprendimento sia perché questi contribuiscono a determinare lo stile di insegnamento, sia perché gli apprendimenti più significativi si realizzano quando vi è corrispondenza tra lo stile del discente e le modalità di insegnamento adottate dal docente (Aiello et al., 2013; Stella e Grandi, 2011; Zannoni, 2009; Rose, 1998).
In realtà, le prime ricerche sugli stili di insegnamento si sono sviluppate già a partire dagli anni Settanta del Novecento (Biggs, 2001) quando il concetto di stile ha iniziato ad essere oggetto di studio e di indagine anche in ambito educativo e didattico.
Gli stili di insegnamento indicano una modalità preferenziale di risolvere situazioni problematiche, di portare a termine un compito e di prendere decisioni nell'ambito del processo di insegnamento (Sternberg, 1999; Sternberg e Grigorenko, 1997).
È possibile individuare un importante contributo agli studi sugli stili di insegnamento nella teoria di Henson e Borthwick (1984), i quali identificano sei diversi stili di insegnamento, riferibili a differenti approcci alla didattica:
-
l'approccio orientato al compito, che prevede una forte strutturazione dei materiali;
-
l'approccio di progettazione cooperativa, che implica la collaborazione di insegnanti e di studenti in attività di gruppo;
-
l'approccio centrato sul bambino, che consente allo studente di scegliere tra le varie opzioni del compito fornito dal docente, sulla base del proprio interesse;
-
l'approccio centrato sulla disciplina, in cui il contenuto dell'insegnamento è totalmente strutturato dal docente;
-
l'approccio centrato sull'apprendimento, in cui si concentra l'attenzione sia sullo studente che sulla disciplina;
-
l'approccio emotivamente stimolante, orientato a promuovere la partecipazione e la motivazione dello studente (Cadamuro, 2004).
Nell'ambito delle ricerche sugli stili di insegnamento, appare utile richiamare anche il lavoro di Sternberg (1999) che, sulla base della sua teoria dell'autogoverno della mente, secondo la quale gli individui, in situazioni problematiche, si pongono secondo particolari modalità che sono strettamente legate a strategie operative, propone un modello costituito da sette stili di insegnamento, operazionalizzati nel Thinking Styles in Teaching Inventory (TSTI).
I sette stili individuati da Sternberg (1999) sono:
-
lo stile legislativo, caratteristico di chi è incline a stabilire regole proprie, esercitando la creatività;
-
lo stile esecutivo, proprio di coloro che tendono ad applicare volentieri le regole e a risolvere problemi altamente strutturati;
-
lo stile giudiziario, che esprime l'inclinazione ad analizzare e a valutare situazioni, persone, problemi;
-
lo stile analitico, tipico delle persone orientate agli aspetti pragmatici delle situazioni e alla focalizzazione sui dettagli;
-
lo stile globale, che caratterizza chi si concentra sul pensiero astratto o su questioni vaste e generiche;
-
lo stile radicale, proprio di coloro i quali preferiscono sperimentare situazioni nuove e tendono a ricercare il cambiamento;
-
lo stile conservativo, che traduce la tendenza a conformarsi alle regole, privilegiando situazioni familiari e relativamente prevedibili (Fan e Ye, 2007).
Nella visione di Sternberg, dunque, gli stili si configurano come elemento di mediazione tra intelligenza e personalità, determinando il successo o il fallimento in uno specifico compito. Essi sarebbero, inoltre, influenzati, nel loro sviluppo, dalla dimensione sociale e culturale in cui si inscrive la storia dell'individuo, per cui, sebbene riconducibili ad una predisposizione individuale di base, secondo l'autore gli stili sono modificabili in ragione dell'adattamento a contesti e stimoli differenti (Zanchin, 2002).
Nel panorama degli studi sugli stili di insegnamento, interessanti suggestioni provengono anche dallo Spectrum of teaching styles (Mosston e Ashworth, 1990; 2002) che si configura come un «continuum of teaching styles categorized according to the decisions made by the teacher and/or learner in the planning (pre-impact), teaching (impact) and evaluation (post-impact) phases of the lesson» (Morgan et al., 2005, p. 4). Tale modello è ancorato ad una visione dell'insegnamento inteso quale attività regolata da un unico processo di presa di decisione in cui ogni azione didattica è la conseguenza dell'attivazione di meccanismi decisionali pregressi.
Assumendo un'ottica più ampia, è possibile affermare che la conoscenza da parte del docente del proprio stile di insegnamento richiama la necessità per quest'ultimo di attivare pratiche riflessive utili a favorire il controllo dell'azione e di sé in azione (Schön,1993) al fine di «cogliere lo svolgimento e l'esecuzione delle pratiche (…) per poterne poi ricavare stili che categorizzino i comportamenti espressi nell'azione professionale e di precisare condotte didattiche evidenti divenendone un loro utile descrittore» (Nuzzaci, 2014, p. 62).
Ciò non vuol dire che gli stili di insegnamento costituiscono elementi fissi che orientano azioni didattiche routinarie, al contrario, essi si configurano come filtri che preparano l'azione del docente; un'azione che può essere definita vicariante assumendo il concetto di vicarianza proposto da Alain Berthoz. Tale costrutto, nella sua accezione più ampia, offre interessanti spunti di riflessione relativamente alla capacità del cervello di «creare, innovare e interagire con gli altri in modo flessibile, tollerante e generoso» (Berthoz, 2013, p. VII), consentendo a ciascuno di attingere ad un ventaglio di soluzioni possibili e di esplorare il proprio potenziale creativo. In tal senso, la vicarianza si configura come strumento di creazione di mondi possibili «qui nous permet de simuler le monde sans l'exécuter (à partir de modalités internes du monde) afin de trouver des solutions nouvelles» (Berthoz, 2014).
In questa prospettiva, ciascun docente, a partire dalle risorse personali e contestuali, dalle proprie strategie cognitive e dalle proprie inclinazioni naturali, può ampliare il proprio potenziale di adattamento e quello dei propri studenti all'interno del processo di insegnamento-apprendimento, avvalorando una visione dell'azione didattica intesa come pluralità in potenza delle forme traspositive del docente (Sibilio, 2016).
In ambito didattico, dunque, la vicarianza si configura come possibile strategia adattiva che permette al docente e al discente di mobilitare le proprie risorse in maniera flessibile e non lineare, favorendo il passaggio da uno stile spontaneo ad una gamma di stili che risultano maggiormente efficaci in una specifica situazione (Chartier, 2003).
Partendo dal presupposto che il fenomeno didattico si configura come processo nel quale interagiscono e co-evolvono fattori biologici, culturali e contestuali, il costrutto di stile non rappresenta soltanto la cifra interpretativa dell'insegnamento e dell'apprendimento, ma rimanda anche alle possibili forme di adattamento dei soggetti coinvolti nell'esperienza didattica.
L'azione del docente, in tal senso, si realizza in quell'area di interazione che si definisce in ragione del vincolo biologico e della possibilità culturale di ciascun soggetto (Ceruti, 2009) con l'obiettivo di far emergere il potenziale di educabilità individuale.
In questa visione, la vicarianza rappresenta la possibilità, per l'insegnante, di allineare nella trasposizione didattica le proprie modalità di insegnamento agli stili apprenditivi degli studenti attraverso il ricorso ad azioni alternative e spesso complementari che consentono il raggiungimento del medesimo risultato adattivo, rispondendo in maniera funzionale ai differenti bisogni emergenti nel processo di insegnamento-apprendimento (Sibilio, 2016).
Conclusioni
Il paradigma della full inclusion riconosce ai docenti un ruolo centrale nella trasformazione delle politiche, delle culture e delle pratiche educative (Booth e Ainscow, 2011) e nel garantire il successo scolastico di tutti gli studenti, partendo dal presupposto che la specificità ed unicità di ogni individuo rappresenta una risorsa per i processi formativi.
In tale prospettiva, le differenze individuali costituiscono l'elemento basilare per la differenziazione didattica intesa come cultura educativa (Gregory e Chapman, 2002). Tale visione dell'insegnamento interpreta l'eterogeneità che caratterizza il contesto classe (Gentile, 2008), ponendosi l'obiettivo di garantire a tutti gli alunni il diritto all'apprendimento, riconoscendo e valorizzando le differenze soggettive per offrire a ciascuno la possibilità di procedere in modo consapevole nella crescita culturale ed umana, valorizzando senza mai omologare, rispettando gli stili individuali di apprendimento, affinché tutti gli studenti possano raggiungere il successo formativo (Tomlinson e Imbeau, 2010).
La letteratura scientifica su questo tema (Cabrero, 2006; Clark et al., 2002; Zull, 2002; Rose, 1998) suggerisce, peraltro, che l'azione didattica dovrebbe essere finalizzata alla realizzazione di attività e di percorsi che partano dalle predisposizioni e dalle potenzialità degli studenti.
In tal senso, differenziare il processo di insegnamento-apprendimento significa essenzialmente organizzare in modi differenti il lavoro in classe (in riferimento all'articolazione di tempi e di spazi, alla definizione di nuclei tematici disciplinari, all'individuazione di strategie e di strumenti didattici adeguati) sulla base di un'attività di micro-progettazione che tenga conto della specificità dei contesti e delle situazioni in cui si opera. In questa prospettiva, «l'organizzazione di percorsi flessibili e inclusivi, l'attenzione alla personalizzazione e alla creazione di risposte coerenti con il contesto, l'uso saggio del tempo-scuola spostano, come detto, il focus sulla professionalità docente» (Rossi e Giaconi, 2016, p. 17).
All'insegnante è richiesto, dunque, di decifrare e di fronteggiare la complessità del fenomeno didattico (Sibilio, 2014), mobilitando tutte le risorse di cui dispone e ricorrendo a un'organizzazione delle attività di insegnamento che sia flessibile e non lineare, ovvero in grado di prendere in considerazione tutte le potenzialità traspositive e di interazione proprie del processo di insegnamento-apprendimento in relazione ai bisogni di tutti gli studenti (Sibilio, 2016).
La ricerca in ambito didattico, infatti, ha recentemente riconosciuto l'esigenza di adottare approcci inter e trandisciplinari che, a partire dal dialogo costante con le altre scienze, potessero restituire all'esperienza didattica la sua complessità. Si è cercato, in questo senso, di rileggere il processo di insegnamento-apprendimento in un'ottica complessa e sistemica che recepisse, da un lato, gli studi condotti nell'ambito delle scienze dure, utili a comprendere le costanti naturali del fenomeno didattico, in cui la dimensione biologica dell'individuo costituisce uno spazio di possibilità, e dall'altro, le riflessioni riconducibili alle scienze umane, che tengono conto della specificità del fenomeno didattico, consentendo una moltiplicazione potenziale delle interazioni tra variabilità inter e intra-individuali.
In tale scenario, il concetto di vicarianza costituisce un nuovo sfondo teorico per la riflessione e per la ricerca sulle strategie cognitive e sugli stili di insegnamento e di apprendimento, avvalorando una visione semplessa del fenomeno didattico (Sibilio, 2014) in cui si rivela fondamentale l'uso di strategie e di regole in grado di valorizzare le differenze e di potenziare le risorse individuali per garantire il successo formativo di tutti e di ciascuno.
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Autore per la corrispondenza
Maurizio Sibilio
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ISSN 2421-2946. Pedagogia PIU' didattica.
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