Editoriale / Editorial
Il vero senso della Buona Scuola
The true sense of "Buona Scuola"
Massimo Baldacci
Professore Ordinario
La cosiddetta Buona scuola continua a far discutere. Sostenitori e detrattori dibattono vivacemente sul senso e sul valore di questa legge. Si tratta di un dibattito salutare, perché — al di là del fatto che la legge, ovviamente, vada applicata — interrogarsi sullo spirito della Buona scuola può portarne a un’applicazione «sperimentale» (come dovrebbe avvenire per ogni legge), attenta alle sue implicazioni e ai suoi esiti, così da ricavarne lumi per la legislazione successiva (Dewey considerava l’atteggiamento sperimentale come connaturato alla democrazia, e come principio per il miglioramento continuo delle sue normative).
In questo editoriale cercheremo, perciò, di gettare un po’ di luce critica sul senso della Buona scuola, senza indulgere in celebrazioni retoriche delle sue innovazioni. A questo proposito, riteniamo fondamentale non fermarci a una valutazione astratta: occorre, invece, contestualizzare storicamente questa legge per cogliere la tendenza storico-sociale entro cui si colloca.
Con la caduta dell’Unione Sovietica, fu annunciata la «fine della storia» (Fukuyama, 1992), che si vedeva terminata col trionfo planetario della democrazia liberale. Un quarto di secolo dopo, appare evidente che a vincere è stato invece il neoliberismo, l’ideologia del capitalismo globalizzato. La democrazia, al contrario, sta conoscendo una compressione dei propri spazi, che prefigura una deriva post-democratica (Salvadori, 2011) entro la quale è il «mercato» a conquistare il trono.
I postulati dell’ideologia neoliberista sono riassumibili nella competizione, assunta come base di tutta la vita sociale, e nell’impresa come paradigma di qualsiasi organizzazione umana (Dardot e Laval, 2013). Secondo il neoliberismo, cioè, la realtà sociale è fatta di imprese in competizione tra loro, e tutte le altre realtà umane sono ridotte sotto il concetto d’impresa, siano essi Stati (l’azienda-Italia), istituzioni (l’azienda sanitaria, la scuola-azienda) o singoli soggetti (ogni individuo deve essere l’imprenditore di se stesso).
Il neoliberismo tende a plasmare tutti gli ambiti sociali e istituzionali secondo il proprio canone, perciò sta esercitando una pressione su tutti i sistemi scolastici europei per una conformazione alle esigenze del capitalismo globalizzato e un allineamento alla sua ideologia (Nussbaum, 2011). In questo quadro, la funzione della scuola è legata alla formazione del capitale umano (Cipollone e Sestito, 2010), in termini di stock di conoscenze e di competenze necessarie per assicurare la competitività delle imprese e del sistema-Paese. L’educazione dell’uomo viene così ridotta alla formazione del produttore. Inoltre, poiché la stessa scuola viene vista come un’azienda, si ritiene che la competizione sia il motore della sua produttività formativa, e che occorra perciò mettere in concorrenza tra loro gli istituti scolastici, gli insegnanti e gli studenti.
La cosiddetta Buona scuola, varata dall’attuale governo, appare pienamente omologata a questa linea. E questo, riteniamo, è il vero senso della legge: allineare il nostro sistema scolastico alla lettura neoliberista della formazione.
Rispetto a questa linea, però, è necessario un atteggiamento critico, perché — sebbene la formazione dei futuri produttori sia una delle funzioni della scuola — il modello della scuola azienda appare unilaterale e inadeguato. La sua unilateralità va riferita al suo scopo: anziché mirare alla formazione dell’uomo completo — produttore, cittadino e persona capace di autonomia morale e intellettuale —, la scuola azienda riduce l’individuo alla sola dimensione del produttore. La sua inadeguatezza va invece riferita al suo metodo, perché basare la vita scolastica su una costante e pervasiva competizione porta a nevrotizzare il clima di un ambiente la cui serenità costituisce una condizione per la crescita equilibrata degli studenti (e per l’efficacia professionale dei docenti).
La critica deve però essere accompagnata dall’indicazione di una soluzione alternativa. A questo proposito, riteniamo un riferimento ancora vitale e attuale il modello della scuola come comunità democratica (Dewey, 2000), ossia come ambiente volto ad assicurare la piena crescita umana di tutti i suoi membri, e quindi la formazione dell’uomo completo: produttore, cittadino e persona autonoma. In questa direzione, comunità democratica significa mettere in comune un insieme di valori democratici (quelli della nostra Costituzione). Vuol dire proporre come motivo fondamentale di questa non la competizione, la volontà di prevalere sugli altri, ma la tensione verso il superamento di se stessi, verso la propria autorealizzazione in uno spirito di cooperazione e solidarietà. E, infine, scuola democratica significa scuola che, al di là delle inclinazioni personali di ognuno, suscettibili di tradursi in differenti vocazioni professionali, tende a formare tutti come cittadini dotati di pari dignità (Gramsci, 2007), in grado di partecipare attivamente e criticamente alla vita politica e sociale. Questa sarebbe una scuola veramente buona.
Bibliografia
Baldacci M., Brocca B., Frabboni F. e Salatin A. (2015), La Buona scuola. Sguardi critici dal documento alla legge, Milano, FrancoAngeli.
Bertin G.M. (1975), Educazione alla ragione, Roma, Armando.
Cipollone P. e Sestito P. (2010), Il capitale umano, Bologna, il Mulino.
Dardot P. e Laval C. (2013), La nuova ragione del mondo. Critica della razionalità neoliberista, Roma, DeriveApprodi.
Dewey J. (2000), Democrazia e educazione, Firenze, La Nuova Italia.
Fukuyama F. (1992), La fine della storia e l’ultimo uomo, Milano, Rizzoli.
Gramsci A. (2007), Quaderni del carcere, Torino, Einaudi.
Nussbaum M.C. (2011), Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica, Bologna, il Mulino.
Salvadori M.L. (2011), Democrazie senza democrazia, Roma-Bari, Laterza.
Autore per la corrispondenza
Massimo Baldacci
Indirizzo e-mail: massimo.baldacci@uniurb.it
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