Il Dirigente Scolastico: autonomia e leadership

Nell’ultimo ventennio, il sistema formativo italiano è stato oggetto di profondi cambiamenti che hanno riguardato, in particolare, il processo di autonomia delle istituzioni scolastiche e il miglioramento dell’offerta formativa secondo una prospettiva di lifelong learning. Questo processo di ristrutturazione, ancora in atto, ha portato necessariamente a una ridefinizione di funzioni e competenze del Dirigente Scolastico.

Il processo di autonomia scolastica, espressione della policy, è finalizzato a ottenere buoni risultati in ambito educativo ed è fondato sui principi del decentramento delle competenze e della sussidiarietà verticale e orizzontale. Una vera autonomia genera un forte spostamento verso le singole unità scolastiche di effettivi spazi di decisionalità, sia in campo organizzativo sia in campo didattico, di capacità progettuali, di procedure di valutazione e autovalutazione e, dunque, una sostanziale redistribuzione dei compiti e responsabilità (Spinosi, 2012).

A seguito della legge sull’autonomia scolastica (Legge n. 59 del 15 marzo 1997) e dell’attribuzione della qualifica dirigenziale, la figura del Capo di Istituto, precedentemente articolata nei ruoli di Preside e Direttore didattico, è stata sostituta dalla figura del Dirigente Scolastico. Nell’ottica della scuola intesa come struttura sussidiaria a disposizione dell’utenza, capace di dialogare con famiglie e istituzioni per la realizzazione di un servizio educativo a misura degli alunni e dei loro bisogni, così come proposta dalla legge, il Dirigente deve essere capace di promuovere la scuola come centro culturale e polivalente del territorio.

Da un punto di vista normativo, il D. lgs. 165/2001 all’art. 25 sancisce che “il Dirigente Scolastico è responsabile delle risorse finanziarie e strumentali e dei risultati del servizio. Spettano al Dirigente Scolastico autonomi poteri di direzione, di coordinamento e di valorizzazione delle risorse umane. In particolare, il Dirigente Scolastico organizza l’attività scolastica secondo criteri di efficienza ed efficacia formativa”: il Dirigente Scolastico assume così un nuovo profilo dirigenziale, non più semplicemente direttivo.

La scuola, rispetto al passato, non può più essere considerata l’unica agenzia formativa, poiché concorre insieme alle altre istituzioni a formare cittadini capaci di svolgere un ruolo attivo nella società e di continuare ad apprendere per tutta la vita. Lo stesso decreto (165/2001) sottolinea come il Dirigente Scolastico debba promuovere interventi che assicurino la qualità dei processi formativi e la collaborazione delle risorse culturali, professionali, sociali ed economiche del territorio, con particolare attenzione al rispetto della libertà educativa delle famiglie e al diritto di apprendimento degli studenti. Nella scuola dell’autonomia, il rapporto con il territorio assume dunque un’importanza particolare che non si limita alla mera erogazione di reciproci servizi: l’unione funzionale tra scuola e territorio si configura come una reale sinergia formativa nella quale entrambe le parti sono impegnate nella “programmazione congiunta e coerente dei servizi formativi del territorio” (Avon, 2012, p. 225).

In questa prospettiva, tutte le agenzie del territorio, siano esse pubbliche o private, rappresentano delle preziose risorse e dei validi interlocutori per tutti gli interventi formativi elaborati a livello globale. Di conseguenza il compito del Dirigente Scolastico non è solo quello di assicurare il rispetto delle norme, come era per il Capo di Istituto, ma quello di promuovere un’azione formativa che tenga conto dei fabbisogni del territorio e della comunità scolastica e, in generale, della società civile. Il Dirigente Scolastico diventa, dunque, responsabile della gestione pedagogica, didattica e organizzativa della scuola che gli viene affidata. Si tratta di una nuova figura professionale che dovrebbe saper coniugare, senza far nascere conflitti, leadership e managerialità (Campione, 2011).

In sostanza, il decreto individua nel Dirigente scolastico l’unico responsabile legale e gestionale dell’istituzione scolastica. Pertanto egli deve: rappresentare legalmente l’istituzione scolastica a ogni effetto di legge, assumendo ogni responsabilità gestionale della stessa; assicurare il funzionamento dell’istituzione assegnata secondo criteri di efficienza ed efficacia; promuovere lo sviluppo dell’autonomia didattica, organizzativa, di ricerca e sperimentazione; assicurare il pieno esercizio dei diritti costituzionalmente tutelati; promuovere iniziative e interventi tesi a favorire il successo formativo; assicurare il raccordo e l’interazione tra le componenti scolastiche; promuovere la collaborazione tra le risorse culturali, professionali sociali ed economiche del territorio interagendo con gli Enti Locali.

Il suo ruolo è, quindi, estremamente multiforme e complesso trattandosi di un ruolo di impulso, di coordinamento e di indirizzo. Il suo operato deve essere trasparente e verificabile, sia dagli organismi superiori sia dagli “utenti” della scuola. Nella scuola dell’autonomia, difatti, la trasparenza e la verificabilità dei risultati diventano uno strumento prezioso per una buona governance, in quanto permettono all’istituzione di riflettere su se stessa e sul contesto di appartenenza per poter intraprendere un’azione formativa adeguata agli studenti e al territorio.

Che tipo di leadership? 

Il processo di decentralizzazione delle istituzioni scolastiche ha determinato cambiamenti significativi e di rilievo tali da richiedere lo sviluppo di nuove strategie, di nuovi modi di pensare e di apprendere all’interno della comunità scolastica. L’autonomia segna il passaggio da un modello di scuola come apparato funzionale all’esecuzione di scelte dettate dall’autorità centrale a un modello di scuola come sistema orientato al raggiungimento di alcuni obiettivi e con un proprio potere decisionale: il capo di istituto perde il ruolo di organo periferico della gerarchia della pubblica amministrazione per assumere nuove funzioni e responsabilità (Carlini, 2012).

Il carico di lavoro e le nuove competenze richieste al Dirigente Scolastico hanno messo in discussione i tradizionali modelli di esercizio della leadership. Il Dirigente Scolastico non solo deve avere le competenze di un manager, in quanto deve gestire al meglio le risorse finanziarie, umane e strumentali che ha a disposizione e dare conto pubblicamente dei risultati, ma deve essere anche in grado di motivare e coordinare i diversi protagonisti dell’azione formativa. La dirigenza scolastica rappresenta pertanto un sistema complesso, formato da molteplici dimensioni indipendenti tra loro ma fortemente interrelate: la dimensione educativa, la dimensione organizzativa, la dimensione relazionale e la dimensione amministrativa (Carlini, 2012). Il Dirigente è, dunque, un leader educativo perché depositario di compiti di coordinamento, gestione e potenziamento del contesto educativo (Barzanò, 2011); organizzativo perché deve saper lavorare in un'entità organizzativa complessa e caratterizzata da legami sistemici come la scuola; relazionale perché deve gestire gli ambiti delle relazioni interpersonali, dei rapporti interistituzionali, della comunicazione informale e formale; amministrativo perché esercita a tutti gli effetti funzioni pubbliche.

La recente letteratura sulla leadership scolastica individua nella leadership “condivisa e distribuita” uno degli elementi più significativi nella promozione dell’efficienza e dell’efficacia delle istituzioni scolastiche (Treelle, 2013). Si tratta di un modello di leadership basato sulla promozione di un clima scolastico collaborativo, che va al di là della semplice delega delle azioni, da intendere come una redistribuzione delle responsabilità, capace di generare uno sviluppo orizzontale del potere, di far partecipare tutti i soggetti alle scelte, alle decisioni, alla vita della scuola, in modo che sentano di “governarne” il futuro.

Il passaggio a una leadership “condivisa e distribuita” può essere realmente difficile poiché tale cambiamento comporta, innanzitutto, la sostituzione di radicati modelli di comportamento, basati esclusivamente su approcci direttivi e richiede, da parte di tutti gli attori dell’istituzione scolastica, un atteggiamento collaborativo, con la conseguente definizione di nuovi ruoli, pattern relazionali, modalità didattiche; non è quindi ovvio che tutti siano disponibili a mettersi in discussione. I nuovi leader, infatti, dovrebbero essere formati per riuscire a condividere azioni e principi, piuttosto che imporre le loro idee e le loro norme. Un altro fattore che può rendere difficile questo passaggio riguarda la titolarità, ovvero la reale motivazione dei Dirigenti a gestire la scuola attraverso uno stile collaborativo (Bezzina e Bufalino, 2013).

Nonostante la portata riformistica introdotta dall’autonomia scolastica, la ricerca scientifica sul ruolo del Dirigente Scolastico si è sviluppata soprattutto nei Paesi di cultura anglosassone, mentre in Paesi come l’Italia e la Francia, ma anche in Germania e in Spagna, dove lo Stato è considerato come l’unico attore nelle scelte cruciali, spesso il dibattito scientifico si è arenato sul cosiddetto concetto del “preside manager”, mal tollerato soprattutto da quei Dirigenti che legittimamente non vedono di buon occhio una gestione della scuola improntata su un management di tipo aziendale. In questo modo non si è conferita la dovuta importanza allo studio del ruolo del Dirigente, come soggetto in grado di orientare le scelte della scuola (Petrolino, 2012).

In Italia le ricerche empiriche sul ruolo del Dirigente Scolastico sono ancora poche, nonostante nel rapporto TALIS (Teaching and Learning International Survey) si evidenzi la diffusione della convinzione che “la leadership scolastica influisca direttamente sull’efficacia dei docenti e sugli esiti scolastici degli studenti” (OECD, 2009, p. 191). L’indagine OCSE TALIS, attuata tra il 2007 e il 2008, limitatamente al settore delle scuole secondarie superiori, ha riproposto alcuni temi relativi al ruolo del Dirigente Scolastico e ha evidenziato che, nelle scuole in cui il Dirigente Scolastico ricalca il modello dell’instructional leadership, c’è una maggiore attenzione all’innovazione delle pratiche didattiche e la collaborazione tra docenti è più diffusa e consolidata (Zanolla, 2013).

Anche le evidenze empiriche emerse da uno studio condotto dall’INVALSI, utilizzando i dati relativi agli apprendimenti degli studenti e quelli sul funzionamento delle scuole italiane, entrambi desunti dai questionari INVALSI 2006/2007, confermano che la scuola “può fare la differenza” nel gestire e progettare variabili di efficienza ed efficacia e promuovere azioni di miglioramento. Ciò richiede che il Dirigente Scolastico e i suoi collaboratori identifichino il modello di management della propria scuola e lo osservino in modo sistemico, in quanto l’analisi di una singola variabile (formazione, lavori di gruppo, autovalutazione, ecc.) può non essere sufficiente se non si conoscono i diversi legami sistemici che caratterizzano un’organizzazione complessa come la scuola (Paletta, 2007).

Alcuni risultati interessanti emergono anche dal progetto The role of school leadership on student achievement (Vidoni et al., 2008), avviato nel 2006 con lo scopo di individuare quali modelli di leadership fossero più adatti per favorire i processi di apprendimento degli studenti. I dati utilizzati erano quelli rilevati da un questionario sulla leadership scolastica somministrato ai Dirigenti che hanno partecipato alle rivelazioni TIMSS (Trends in International Mathematics and Science Study) 2003. Il questionario indagava aspetti collegati sia all’instructional leadership sia al management. Secondo gli autori, un’attività dirigenziale basata sull’instructional leadership è correlata a risultati positivi per studenti con status socio-economico e culturale (ESCS) basso, mentre un approccio basato sul management è correlato a risultati positivi per studenti con status socio-economico e culturale alto.

Di recente, a seguito soprattutto delle ricerche di Hallinger (2003), Marks e Printy (2003), Leithwood (2006), si è cercato di sintetizzare le principali dimensioni della componente instructional e di quella transformational in un modello integrato di leadership for learning, dove si fa esplicito riferimento agli apprendimenti. I due modelli sono riconducibili rispettivamente al filone di studi sulla School Effectiveness e sulla School Improvement. All’interno del modello dell’instructional leadership si enfatizzano l’importanza della comunicazione ai docenti di una mission per la scuola, il coordinamento del curricolo e la promozione di un clima scolastico favorevole all’apprendimento. Nel modello della transformational leadership si dà risalto, invece, alla capacità del leader di stimolare percorsi di miglioramento all’interno della propria organizzazione.

I due modelli di leadership differiscono principalmente per due aspetti: nel modello trasformazionale la leadership diviene condivisa in quanto non è riconducibile esclusivamente al Dirigente, ma coinvolge anche gli insegnanti; i leader trasformazionali puntano a creare un clima in cui gli insegnanti siano stimolati a migliorarsi e, di conseguenza, a elevare il livello di rendimento degli alunni, mentre nell’instructional leadership si cerca di influenzare le condizioni che incidono direttamente sulla qualità del curriculum e delle attività in classe. La leadership, pertanto, dovrebbe essere sia trasformazionale sia pedagogica: la prima crea le condizioni che sostengono il miglioramento della scuola e la seconda si dedica alle questioni che sono effettivamente importanti per migliorare i risultati degli studenti (Scheerens, 2011).

Nell’ambito delle ricerche sull'instructional leadership e in linea con alcune ricerche internazionali che sottolineano come i Dirigenti delle scuole primarie interagiscano di più nel processo educativo dei presidi delle scuole secondarie (The Wallace Foundation, 2010), il presente lavoro intende evidenziare le similitudini e le differenze nello stile di leadership educativa del Dirigente Scolastico fra I e II ciclo di istruzione. In Italia vi sono ancora poche ricerche su questa tematica, che rappresenta però un elemento indicativo per comprendere come lo stile dirigenziale possa migliorare il processo educativo; l’importanza crescente che la leadership sta assumendo nella scuola italiana necessita di prove empiriche che consentano di conoscerla e studiarla più approfonditamente.

Il metodo

Per raggiungere l’obiettivo che ci si è prefissati con il presente contributo, sono stati utilizzati i dati raccolti dall’INVALSI nell’ambito dell’indagine Questionario Scuola relativa all’anno scolastico 2013/2014. L’indagine, condotta tramite un questionario autosomministrato on line, era rivolta ai Dirigesti Scolastici delle 3.042 scuole campionate per le Rilevazioni Nazionali 2013-2014: a loro sono state somministrate alcune batterie di domande finalizzate a conoscere le opinioni dei Dirigenti sulle prove INVALSI, il coinvolgimento delle famiglie e degli altri soggetti implicati nel processo scolastico e alcune informazioni inerenti i modi di dirigere la scuola. L'adesione all'indagine è avvenuta su base volontaria e il tasso di risposta è stato del 54,6% (1.661 questionari compilati). La tabella 1 mostra la percentuale di compilazione nei due cicli di istruzione: è stato ottenuto un buon tasso di rispondenza nel I ciclo di istruzione (60,1%), mentre la percentuale scende al di sotto del 50% nel II ciclo (44,9%).

Tabella 1

Percentuale di rispondenti per ciclo di istruzione

Campione

Frequenza

%

I ciclo di istruzione

1.940

1.166

60,1

II ciclo di istruzione

1.102

495

44,9

Totale

3.042

1.661

54,6

 

Il tasso di risposta si distribuisce piuttosto omogeneamente nelle diverse aree del Paese, come mostra la tabella 2.

Tabella 2

Percentuale di rispondenti per area geografica

Numerosità

%

Nord ovest

351

21,1

Nord est

350

21,1

Centro

314

18,9

Sud

345

20,8

Sud e isole

301

18,1

Totale

1.661

100,0

 

Un aspetto rilevante relativo ai rispondenti concerne la componente di genere in quanto la presenza femminile è molto più alta di quella maschile (tabella 3). In particolare, si può notare che la componente maschile è molto più forte nel II ciclo di istruzione dove rappresenta quasi la metà dei rispondenti (45,6%).

Tabella 3

Rispondenti per genere e ciclo scolastico

I ciclo

II ciclo

Totale

Numerosità

%

Numerosità

%

Numerosità

%

Maschio

366

31,3

226

45,6

592

35,6

Femmina

800

68,7

269

54,4

1.069

64,4

Totale

1.166

100,0

495

100,0

1.661

100,0

 

Un altro dato significativo riguarda l’età anagrafica dei Dirigenti Scolastici che hanno partecipato all'indagine (tabella 4). Emerge chiaramente che i rispondenti hanno un'età media elevata (56-57 anni) e che, se analizziamo il dato per classi di età, meno del 22% dei rispondenti ha un'età pari o inferiore ai 50 anni. Questa percentuale si abbassa ulteriormente nel II ciclo di istruzione dove gli under 50 costituiscono meno del 15% dei rispondenti. La fascia d'età nella quale si addensano i Dirigenti Scolastici è quella compresa fra i 51 e i 60 anni, ma significativa è anche la presenza di Dirigenti che hanno un'età superiore ai 60 anni: la percentuale supera il 30% in entrambi i cicli di istruzione.

Tabella 4

Rispondenti per età e ciclo di istruzione

Età

I ciclo di istruzione

II ciclo di istruzione

Totale

Frequenza

%

% Cumulata

Frequenza

%

% Cumulata

Frequenza

%

% Cumulata

Meno di 40 anni

37

3,2

3,2

7

1,4

1,4

44

2,6

2,6

41-50 anni

255

21,9

25,1

63

12,7

14,1

318

19,1

21,7

51-60 anni

517

44,3

69,4

253

51,1

65,2

770

46,4

68,1

Più di 61 anni

357

30,6

100,0

172

34,8

100,0

529

31,9

100,0

Totale

1.166

100,0

100,0

495

100,0

100,0

1661

100,0

100,0

 

Per indagare la specifica tematica oggetto del presente contributo, sono state utilizzate le risposte fornite dai Dirigenti Scolastici a una batteria sulla Leadership educativa composta da14 item e presente nel Questionario Scuola. Questa batteria era stata utilizzata in precedenza nel Questionario rivolto ai Dirigenti Scolastici nell'indagine internazionale OCSE TALIS 2008.

Analisi dei dati

Sulla batteria di item relativa alla leadership educativa è stata eseguita un’Analisi Fattoriale con il metodo delle Componenti Principali e rotazione Varimax. Il confronto tra lo stile di direzione dei Dirigenti Scolastici del I ciclo di istruzione (scuola primaria e secondaria di I grado) e quello dei Dirigenti scolastici del II ciclo di istruzione (Licei, Istituti tecnici e Professionali) è stato condotto eseguendo una MANOVA con un fattore Between subject (“tipo scuola” con due livelli: Istruzione I ciclo e istruzione di II ciclo) e considerando come variabili dipendenti i punteggi ottenuti nei fattori emersi dall’analisi fattoriale.

I risultati

Analisi delle Componenti Principali

In base al criterio dell’autovalore maggiore di 1 e alla tecnica dello scree test (figura 1), si è deciso di estrarre 3 fattori, che spiegano il 57,0% della varianza totale. Dopo la rotazione Varimax, i fattori sono stati interpretati considerando, come livello minimo, un valore di saturazione fattoriale superiore a + o – 0,50 (tabella 5).

Figura 1

Scree-plot - grafico decrescente autovalori

 Schermata 2015-10-09 alle 16.30.19

 

Tabella 5

Rotazione Varimax - saturazioni fattoriali

Componente

1

2

3

D11_b Mi assicuro che i docenti lavorino in conformità agli obiettivi educativi della scuola

,728

,170

,143

D11_a Mi assicuro che le attività di sviluppo professionale dei docenti concordino con gli obiettivi di insegnamento della scuola

,725

,065

,044

D11_k Mi assicuro che le responsabilità di coordinamento del curriculum scolastico siano chiaramente definite

,701

,105

,265

D11_d Uso i risultati degli studenti per rivedere gli obiettivi educativi della scuola

,629

,378

,098

D11_j Tengo conto dei risultati degli esami per le decisioni che riguardano lo sviluppo del curriculum scolastico

,605

,300

,170

D11_i Controllo che le attività in classe concordino con i nostri obiettivi educativi

,600

,404

,179

D11_h Informo i docenti sulle opportunità di aggiornamento disciplinare e didattico

,516

-,111

,475

D11_e Fornisco suggerimenti ai docenti su come migliorare il loro insegnamento

,353

,534

,165

D11_c Osservo le attività educative nelle classi

,321

,721

,073

D11_f Controllo il lavoro degli studenti

,281

,776

,098

D11_l Se un docente solleva un problema della classe, lo risolviamo insieme

,251

,119

,777

D11_g Quando un docente ha problemi nella sua classe, prendo l’iniziativa di discuterne con lei/lui

,176

,135

,767

D11_m Mi occupo dei comportamenti di disturbo in classe

,038

,371

,720

D11_n Sostituisco in classe i docenti assenti in modo imprevisto

-,071

,661

,185

 

Il primo fattore spiega il 37,8% della varianza totale e presenta item con saturazioni solo positive. Nello specifico gli item che contribuiscono al significato del fattore riguardano gli aspetti della leadership educativa teoricamente definiti “Impostazione degli obiettivi della scuola e sviluppo curricolare”. Il secondo fattore (9,6% di varianza spiegata) presenta saturazioni positive per gli item della batteria riconducibili da un punto di vista teorico alla “Supervisione della didattica”. Il terzo fattore (9,5% di varianza spiegata), infine, presenta anch’esso solo saturazioni positive per gli item della batteria che riguardano la "Collaborazione in classe".

MANOVA: differenze tra I e II ciclo di istruzione

Al fine di esplorare le differenze nello stile di leadership educativa ascrivibile al tipo di scuola diretta (Istruzione I ciclo/Istruzione II ciclo), è stata eseguita una MANOVA in cui è stata inserita come variabile indipendente il “tipo di scuola” e come variabile dipendente i punteggi ottenuti nei tre fattori emersi dall’analisi fattoriale. Prima di eseguire la MANOVA è stato verificato che le matrici di varianza/covarianza dei gruppi risultassero omogenee (Box’M3,9; F 0,6; p 0,6) e che la varianza delle tre variabili dipendenti prese una alla volta fosse omogenea (test di Levene per il primo fattore: F 0,6; p 0,4; per il secondo fattore: F 0,05; p 0,9; per il terzo fattore: F 3,4; p 0,07).

Dalla MANOVA emerge un effetto multivariato significativo della variabile “tipo scuola” (Istruzione I ciclo/Istruzione II ciclo): lambda di Wilks = 0.98, p < 0.05. Verificata la presenza di un effetto multivariato significativo si procede ad analizzare gli effetti univariati sulle singole variabili dipendenti.

Tabella 6

Statistiche descrittive delle variabili dipendenti

N

Media

Deviazione std.

Errore std.

Impostazione degli obiettivi della scuola e sviluppo curricolare

I ciclo di istruzione

1166

,0737417

,97951413

,02868543

II ciclo di istruzione

495

-,1737026

1,02693208

,04615716

Totale

1661

,0000000

1,00000000

,02453665

Supervisione della didattica

I ciclo di istruzione

1166

-,0294901

,99615332

,02917272

II ciclo di istruzione

495

,0694657

1,00660056

,04524333

Totale

1661

,0000000

1,00000000

,02453665

Collaborazione in classe

I ciclo di istruzione

1166

,0504426

,98444765

,02882991

II ciclo di istruzione

495

-,1188204

1,02696419

,04615861

Totale

1661

,0000000

1,00000000

,02453665

 

Somma dei quadrati

df

Media dei quadrati

F

Sig.

Impostazione degli obiettivi della scuola e sviluppo curricolare

Fra gruppi

21,276

1

21,276

21,539

,000

Entro gruppi

1638,724

1659

,988

Totale

1660,000

1660

Supervisione della didattica

Fra gruppi

3,403

1

3,403

3,408

,065

Entro gruppi

1656,597

1659

,999

Totale

1660,000

1660

Collaborazione in classe

Fra gruppi

9,955

1

9,955

10,009

,002

Entro gruppi

1650,045

1659

,995

Totale

1660,000

1660

 

Dall’analisi dei test univariati emerge un effetto significativo della variabile indipendente “tipo scuola” con due livelli — istruzione I ciclo e istruzione di II ciclo — sulle variabili dipendenti “Impostazione degli obiettivi della scuola e sviluppo curricolare” (F(1, 1660) = 21,5 p < 0,05) e “Collaborazione in classe” (F(1, 1660) = 10,0 p < 0,05). Non emerge un effetto significativo, invece, sulla variabile “Supervisione della didattica” (F(1, 1660) = 3,4, p = n.s.).

Le differenze tra I e II ciclo per i primi due fattori possono essere riconducibili a un esercizio della leadership non fine a se stesso ma consapevole dei differenti contesti scolastici: i Dirigenti assumono un ruolo attivo e sono in grado di modularsi sugli effettivi bisogni educativi dello specifico contesto di apprendimento. Non appare pertanto inatteso che non ci siano differenze significative per quando riguarda il fattore "Supervisione della didattica" che attiene ad attività trasversali ai due cicli di istruzione e che riguarda aspetti tipici di chi ricopre funzioni di tipo dirigenziale. Altri aspetti che influenzano lo stile dirigenziale, non indagati dal presento lavoro ma che potrebbero caratterizzare i diversi livelli scolastici, coinvolgono direttamente le abilità personali e relazionali dei singoli: le prime attengono alla sfera della consapevolezza delle convinzioni, delle credenze, delle emozioni che influenzano il proprio comportamento; le seconde si articolano principalmente nella capacità di motivare, comunicare e comprendere (Luisi, 2012).

Conclusioni

Nel loro complesso i risultati, in accordo con alcune ricerche internazionali, hanno confermato una differenza statisticamente significativa nella leadership educativa tra Dirigenti di I e II ciclo di istruzione. Le differenze riguardano l’interazione nelle attività didattiche e la gestione di problematiche interne alla classe. Nello specifico, i Dirigenti Scolastici del I ciclo di istruzione esprimono una maggiore necessità di definire e chiarire gli obiettivi della scuola (la media sulla variabile “Impostazione degli obiettivi della scuola e sviluppo curricolare” è più elevata per il I ciclo di istruzione rispetto a quello del II ciclo) e una maggiore attenzione per ciò che riguarda la condivisione di problematiche all'interno della classe, compresi i comportamenti di disturbo da parte degli alunni (la media sulla variabile “Collaborazione in classe” anche in questo caso è più elevata per il I ciclo di istruzione). Per il fattore “Supervisione della didattica”, ovvero per quelle attività che riguardano il controllo delle attività svolte in classe e il lavoro degli alunni, non si sono rilevate differenze statisticamente significative. Se a questo risultato aggiungiamo il fatto che la maggior parte dei Dirigenti ha più di 51 anni, dato in linea con quanto emerso anche dalla ricerca TALIS 2013 (l’indagine OCSE TALIS 2013 ha evidenziato come in Italia si diventi dirigenti a un'età lavorativa più avanzata e come l’86% dei dirigenti abbia più di 50 anni), è presumibile che i Dirigenti Scolastici abbiano ancora una visione direttiva della funzione dirigenziale indipendentemente dal ciclo scolastico considerato.

Il fatto che la leadership educativa abbia un peso maggiore nella scuola di I ciclo non è un risultato del tutto inatteso, sia perché il contesto in cui si è sviluppata è rappresentato dalle scuole primarie che operano in condizioni svantaggiate per le quali un approccio direttivo è spesso necessario per ridurre tali svantaggi (Paletta, 2013), sia perché le scuole di secondo grado hanno dei curricoli maggiormente differenziati. Senza entrare nel merito delle polemiche sollevate da alcuni autori (Cuban, 1998), che hanno messo in discussione il fatto che i Dirigenti Scolastici delle scuole del II ciclo di istruzione e, in generale, delle scuole di dimensioni più grandi non abbiano le competenze e il tempo per entrare in maniera approfondita nei processi di insegnamento-apprendimento, di fatto questi Dirigenti per poter entrare nel dettaglio nelle attività didattiche dovrebbe avere delle competenze specifiche per ciascuna disciplina. La maggiore attenzione dichiarata dai Dirigenti Scolastici per la definizione di obiettivi e sviluppo curricolare potrebbe trovare una spiegazione nel fatto che negli Istituti Comprensivi, ma in generale nel I ciclo di istruzione, si sta andando sempre più verso la definizione di un curricolo verticale per competenze e, quindi, la necessità di una valutazione in entrata, in itinere e in uscita, che chiaramente richiede chiarezza e condivisione degli obiettivi e una maggiore padronanza degli aspetti educativi. Come sottolinea Cerini (2009), la definizione di standard di apprendimento in progressione verticale potrebbe aiutare a superare gli stereotipi che vedono la scuola di base centrata sull’alunno, sullo sviluppo e sulla promozione della persona e la scuola secondaria di II grado centrata su discipline che non dialogano tra di loro.

Bibliografia

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