L’educazione complessa. Riflessione critica a partire dalle problematiche di lettura del contesto
Enrico Bocciolesi
Professore invitato nel Máster Universitario en Estrategias y Tecnologías para la Función Docente en la Sociedad Multicultural - UNED (Madrid), Ricercatore del gruppo di ricerca 125 - Desarrollo profesional: formación e innovación educativa e intercultural y diseño de medios della UNED, diretto dal Prof. Antonio Medina Rivilla. Già docente per l’Universidad de Extremadura (Spagna), per la Universidad Internacional de Andalucia (Spagna), per la Universidade Federal da Grande Dourados (Brasile) e per la Universidad de Guadalajara (Messico) in cui è attualmente Valutatore esperto di area pedagogica. Università eCampus – Ce.R.I.S.U.S.
Sommario
Il contributo propone una lettura ragionata del contesto educativo, educante e di complessità. Dinanzi all’evidenza dell’uso diffuso degli oggetti elettronici, si producono contestualmente, in area internazionale, differenti habitus e fraintendimenti terminologici e di metodo. Queste necessità sollecitano al recupero della coscientizzazione in un contesto sempre più superficiale, ma allo stesso tempo caratterizzato da numerosi codici linguistici di difficile interpretazione. In questi spazi diviene fondamentale un’alfabetizzazione consapevole alla criticità, e alla profondità di senso dei luoghi di vita e dell’educare.
Parole chiave
Educazione, complessità, lettura.
Abstract
The contribution proposes a conscious reading of educational context, educating and complexity. Because of the widespread use of electronic items, they produce, in the international area, together with different habitus and misunderstandings of terminology and method. These needs call for the recovery of awareness in an increasingly shallow, but at the same time featuring numerous linguistic codes difficult to interpret. In this context becomes critical, conscious and fundamental literacy at the depth of the sense of life and places of education.
Keywords
Education, complexity, reading.
Introduzione
Nel 2000, il filosofo ginevrino Morin, pubblicò i sette saperi necessari per l'educazione del futuro, un’opera maestra e di profonda riflessione per tutte le persone coinvolte nell'area educativa. L'umanità, obiettivo di numerosi dibattiti educativi, risulta essere il soggetto del pensiero moriniano, e anche di autori come the Delors, Goleman, Robinson e Nussbaum. Tuttavia esistono differenti concezioni dello stesso termine, così in Morin (2000, pp. 34-35): “siamo contemporaneamente dentro e fuori la natura. Siamo esseri nello stesso tempo cosmici, fisici, biologici, culturali, cerebrali, spirituali [...] Siamo figli del cosmo, ma a causa della nostra stessa umanità, della nostra cultura, della nostra mente, della nostra coscienza, siamo divenuti stranieri a questo cosmo dal quale siamo nati e che, nello stesso tempo, resta per noi segretamente intimo”.
L'evidenza è appunto quella di un contesto smarrito, confuso dove è necessario rileggere, e reinterpretare le parole, i segni e simboli vincolanti per la persona stessa e il contesto educativo. Lo stesso Morin (2000), nella pubblicazione dal titolo La testa ben fatta. riforma dell'insegnamento e riforma del pensiero, sollecita i lettori alla continua ricerca di un valore intrinseco nella e della criticità soggettiva, e quindi personale.
Il contesto di cui parla il filosofo ginevrino è la rappresentazione di un luogo dove la condizione umana è minacciata dalla superficialità, dalla banalizzazione e dalla mediocrità (Carr, 2009; Morin, 2012; Deneault, 2015). Oltre a queste letture apparentemente negative, vi è una reale necessità di adempiere a quelle che vengono a essere riconosciute come sfide. Secondo il filosofo Morin è necessario parlare di quattro grandi variabili: culturale, sociologica, civica e delle sfide interdipendenti, che vincoleranno le riflessioni proposte.
Le richieste continue del panorama sociale ci impongono una lettura strutturale, complessa, ma soprattutto di significato e di senso, orientata a una lettura analitica.
Parlare di educazione, come proposto nel 2013 da Touriñán López, nella rivista interuniversitaria dell'Università di Salamanca, “Teoria de la educación”, richiede la rivalutazione delle buone pratiche, della comprensione ragionata delle differenze, degli orientamenti pedagogici, e della necessità stessa di comprendere determinati significati, a oggi fraintesi, quali “conocer, enseñar y educar” (Touriñán López, 2013, p. 25), ovvero conoscere, insegnare e educare.
Queste, volute, incomprensioni all’interno del contesto sociale sono oggetto dell’analisi, critica, proposta da Frabboni e Pinto Minerva, in La scuola sbagliata (2016), dove il declino del contesto educativo, associato alla riforma dell’educazione, è accompagnato da un tramonto della pedagogia, e da un’eclissi dell’azione educativa, finalizzata a un apprendimento complesso e profondo.
La società silente dell’oggetto
In educazione quando si ha a che fare con un oggetto che può offrire o meno un aiuto, un ausilio di tipo cognitivo, fisico, comunicativo, ci si interroga sulla modalità d’uso e sulla metodologia che possono permettere di adempiere allo scopo per cui viene, teoricamente, a essere proposto.
Dunque, è evidente che la confusione generata dall’uso indiscriminato di tecnologia elettronica come sinonimo di successo educativo ha prodotto e continua a sollevare numerosi dibattiti, ricerche e approfondimenti in merito.
Quando il pedagogista Freire chiamava in causa l’intera società, l'interesse dell’educatore era rivolto a un pericolo costante, qual è quello del mutismo educativo e del silenzio culturale.
La proposta di riflessione è rivolta tanto alla diffusione dell’omertà educativa e formativa, quanto alle concause che stanno portando a una deriva superficiale e di superficialità.
Quella necessità di poter rimanere a cavallo dell'onda dominata dalla rete, dal web e da quelle connessioni che ciclicamente vengono a essere fraintese. Ecco, proprio quella possibilità di connettere, di stabilire delle relazioni tra dei differenti nodi, secondo il ragionamento di tipo ipertestuale, ma ancor prima di tipo critico, ci richiede di procedere secondo quei livelli di senso e profondità esistenti (Morin, 2000).
La nostra attenzione alla complessità sistemica non è rivolta all’orientamento di tipo informatico, e delle scienze fisiche, ma alle variabili della persona, a quelle strutture non analizzabili dal punto di vista oggettivo, fisico, concreto, ma comunque esistenti e coltivabili.
Sono numerosi gli autori che in un contesto di difficoltà educativa e sociale, o per dirla con le parole del sociologo Bauman, in uno “stato di crisi” (2015), dove lo stesso concetto è contenuto del termine che racchiude in sé un insieme di strutture, le quali si intersecano senza stabilire tra di loro un dialogo, senza avere realmente un obiettivo comune. Crisi che non è altro che una barriera comunicativa, un agglomerato di difficoltà, un contenitore di negatività che oramai da quasi due decadi caratterizza e contraddistingue il contesto.
Lo stesso Dalai Lama, nel testo recentemente pubblicato in spagnolo e in inglese, assieme a Goleman (2015) torna a riscoprire la forza della compassione. Esiste una quotidiana e sempre più attuale necessità di riscoperta della persona come essere attivo, dialogante, positivo, e ancor prima empatico verso l'altro. Nel momento in cui decidiamo di disconoscere il nostro esistere in un contesto reale, e di ricrearci un profilo parallelo in uno spazio riconducibile al digitale, a ciò che rappresenta un luogo non veritiero e immateriale, decidiamo coscientemente di suddividerci su più livelli, nel caso del primo di tipo concreto, mentre nel caso del secondo, immaginativo.
Umanità, obsolescenza e educazione
Numerose sono anche le opposizioni al tipo di considerazione del digitale stesso, proprio perché coloro i quali si occupano nella specificità del termine e del codice informatico ricorrono a degli alfabeti caratteristici per il linguaggio virtuale. L’assenza di distinzioni tra le due realtà non è solamente data dalla peculiarità della materia o della disciplina qual è l'informatica, ma dalla quotidianità d'uso, di interazione e di confusione dei due spazi.
Il luogo che richiamiamo con il termine digitale rappresenta realmente un contesto, dal punto di vista delle relazioni intertestuali, con delle caratteristiche e conseguenze reali, quindi quanto noi facciamo in una realtà apparentemente non concreta, quindi astratta, produce delle risposte in un contesto veritiero, reale e quotidiano. Questo ci rimanda alla necessità di lettura, di conoscenza e di interpretazione dei codici linguistici, in continuo mutamento, alla necessità di creare nuove grammatiche comunicative, alla stretta interazione tra dei messaggi abbreviati e l'uso dei linguaggi iconici, ma soprattutto l'aumento del rischio continuo dell’obsolescenza.
In antitesi con le proposte di Bateson (1997), e contrariamente all’acquisizione degli abiti mentali proposti da Baldacci (2016), ci stiamo inoltrando in uno spazio sociale caratterizzato dalla passività del pensiero. Nonostante Eco e Carrière (2011) avessero rilevato il pericolo dell'obsolescenza dell’oggetto tecnologico, a cui la persona stessa, oggi, risulta essere continuamente vincolata, e costantemente connessa, quantunque il medium non possa beneficiare di un’autonomia critica, né tantomeno destarla nei suoi utilizzatori.
È interessante vedere come sia elevata l’attenzione rispetto a un oggetto e all'uso che se ne fa, mentre è in continua diminuzione l'aspettativa alla vicinanza tra le persone, che fino a quel momento di distacco abbiamo avuto attorno a noi.
La motivazione esplicitata dal filosofo di Ginevra rappresenta una delle interpretazioni dello stesso vocabolo umanità. Tuttavia, possiamo intendere i differenti sensi e le plurali interpretazioni che possono sorgere in connessione con le moltitudini di forme culturali e variabili educative.
Secondo Morin (2000, p. 29):
Un’educazione per una testa ben fatta, mettendo fine alla separazione tra le due culture, consentirebbe di rispondere alle formidabili sfide della globalità e della complessità nella vita quotidiana, sociale, politica, nazionale e mondiale. Si deve dunque imperativamente ripristinare la finalità della testa ben fatta, nelle condizioni del nostro tempo e con i suoi propri imperativi.
Queste giustificazioni ci riportano alle motivazioni che richiedono di parlare di umanità come luogo di cultura e complessità, già evidenziate da Nussbaum (1999), da Morin (2000), e ancora prima da Dewey (1916, p. 91): “Each generation is inclined to educate its young so as to get along in the present world instead of with a view to the proper end of education: the promotion of the best possible realization of humanity as humanity”.
Complessità e letture
Il ritorno al concetto di umanità è quindi necessario per promuovere l'educazione del futuro, come “un insegnamento primario e universale centrato sulla condizione umana” (Morin, 2000), che oggi rappresenta il primo obiettivo da raggiungere come persone e come educatori. Solamente dal concetto di umanità, condiviso, compreso, e analizzandone le peculiarità, le caratteristiche e le differenze culturali potremo raggiungere una profonda e cosciente consapevolezza dell'essere umano e delle attuali criticità.
L'esperienza educativa, artistica, linguistica e informatica sono oggi metafore e luoghi di diffusione dei contenuti, e dei concetti complessi. Come ricorda Morin (1995, 2007; Morin e Pakman, 1994), la complessità corre oggi il pericolo di rappresentarsi e manifestarsi come “disorganizzata”, secondo le problematiche proposte anche da Bunge (1965) in The Myth of simplicity, tra le quali si includono “problems of simplicity, problems of disorganized complexity, problems of organized complexity” (Bunge, 1965, p. 536).
I problemi dell'organizzazione e della disorganizzazione richiedono un’analisi a sé, che permetta di valutare l'emergenza della totalità della stessa complessità, che sfortunatamente non può essere compresa mediante un semplice approfondimento o una ricerca di tipo riduzionista generalista.
Come educatori, studiosi e ancora prima, persone, necessitiamo di sapere dell'esistenza dei differenti livelli di complessità, e quindi della presenza dei fenomeni organizzati che ci permettono di supporre l'esistenza dei principi opposti, di dispersione. Necessitiamo per questo di organizzarci per quando si avrà qualcosa capace di resistere alla dispersione, alla disintegrazione e alla dissoluzione, come ci ha ricordato lo stesso filosofo Morin (1995, 2002, 2003). Queste motivazioni ci obbligano a rivalorizzare l'umanità, la compassione e la felicità come valori della contemporaneità.
Goleman (2006, 2015) ha dedicato il suo ultimo libro alla “forza della compassione”, capace di sostituire la violenza mediante il dialogo, secondo i suggerimenti proposti del Dalai Lama. Il monaco tibetano richiama alla necessità di offuscare quelle forze sociali distruttive, e riuscire così a superare finalmente la corruzione e i pregiudizi. Queste sono alcune delle riflessioni che ci portano a pensare e proiettare verso un'educazione che possa favorire l'empatia, l'etica e l'apertura all'altro.
In questo ambito l'umanità è un valore, non è più una rappresentazione di un contesto ampio, composto da una pluralità di soggetti, ma è espressione di esistenza, comprensione, vicinanza con l'altro, relazione e disponibilità.
Lo stesso Freire è stato promotore di un pensiero dinamico, complesso, cosciente, orientato alla valorizzazione della persona, della vicinanza, dell’apertura critica e consapevole al prossimo. La “pedagogia dell'oppresso” (Freire, 2005) continua a rappresentare la motivazione primigenia di ogni educatore, per quanto l'oppresso sia espressione di quella persona che non è libera di esprimersi, di pensare, di agire, di riflettere con autonomia e di essere se stessa. Altresì, oggi è da identificarsi in quell'essere umano, che acquisisce consapevolezza dell'essere oppresso all'interno di un collettivo che non lo accetta, relegandosi nella virtualità.
L'oppressione rappresenta l'isolamento dell'essere, della persona, della conoscenza, così come è esplicitazione di non comprensione, di paura, di solipsismo e di egoismo dell'esistenza.
Consciente o inconscientemente el acto de rebelión de los oprimidos, que siempre es tan o casi tan violento cuanto la violencia que los genera, este acto de los oprimidos sí puede instaurar el amor.
Mientras la violencia de los opresores hace de los oprimidos hombres a quienes se les prohíbe ser, la respuesta de éstos a la violencia de aquéllos si encuentra infundida del anhelo de búsqueda del derecho de ser. (Freire, 2005, p. 57)
Martha Nussbaum (1999) ci rimanda alla lettura dell'essere sociale, alla libera espressione della persona, alla necessità di ritorno al senso dell'esistere, e del collaborare, ma ancora prima del “coltivare l'umanità”.
Risorse umane e creative: habitus
Così le “virtù dell'educatore” (Freire, 1989) si convertono nei grimaldelli necessari per la trasformazione della società, della possibilità di essere sostegno e aiuto nel contesto sociale, capace di favorire uno spirito comunitario, di partecipazione e di comprensione, coerente con il significato stesso di persona, come proposto da Robinson, Csikszentmihalyi, Dalai Lama e Goleman.
È possibile realizzare una comparazione ricorrendo alle differenti metodologie a nostra disposizione, proprie della complessità, della criticità del soggetto e della lettura del contesto come delle persone. Tuttavia, il percorso di analisi e comprensione dei luoghi di vita, della quotidianità, orientato all’interpretazione consapevole e profonda del contesto, inevitabilmente dovrà essere intrapreso a partire dall’analisi dei codici che lo caratterizzano. Quindi, per procedere in un'attività comparativa, non è sufficiente utilizzare due differenti termini, contesti, metodologie, ma vi è la necessità di ricorrere a riferimenti di tipo linguistico, semiotico, che permettano la comprensione di un contesto prevalentemente composto da segni e simboli.
Lo stesso Olson (1979), nella proposta di Baldacci (2016), presuppone un contesto popolato da media, e ancora prima da un medium, “il quale consiste in un campo di attività elaborato e trasmesso dalla cultura (parlare, disegnare, contare, ecc.) e include la tecnologia per operare entro il sistema simbolico specifico del campo stesso” (Baldacci, 2016, p. 1).
La capacità quindi di contestualizzare e comprendere determinati contesti, luoghi, oggetti mediali, e ancor prima di giungere ai significati più complessi quali quelli propri delle metodologie, delle aspettative teoriche, della persona stessa e dei suoi differenti livelli di complessità e profondità, risulta essere vincolata alla lettura codicologica degli spazi.
Abbiamo a che fare con simboli dei quali ci siamo appropriati sin dalle nostre origini, prima andando a scuola dall'orso (Rosati, 2011), e successivamente convertendoli in parte integrante del nostro “universo simbolico significante”, nel quale siamo immersi proprio perché rappresenta il contenuto che può restituire all'uomo la sua dignità e la certezza del suo essere ed esistere.
La realizzazione della persona stessa e la percezione della realtà sono soggetti alla capacità della persona di comprendere, e applicare con concretezza, con specificità e soprattutto con competenza, le conoscenze acquisite, i saperi compresi e traducibili in competenze di vita, abilità cognitive, ma ancor prima come formae mentis, secondo le differenti caratterizzazioni diacronicamente proposte all'interno del Trattato di pedagogia generale (Baldacci, 2012).
In questo spazio, luogo e momento di estrema banalizzazione dei contenuti, oggi riconducibile alla virtualità della rete, è necessario partire dal senso e significato della competenza come abito di vita, e come abito mentale, in comparazione diretta con le abilità, che altro non sono che la rappresentazione di un saper fare, di tipo meccanico, in diretta antitesi con il saper pensare, competente e creativo.
Queste sono le ragioni per cui la comparazione stessa come atto di confronto, di analisi e di approfondimento deve essere interpretata non come mera scomposizione di un concetto, ma come comprensione di quei topici e dei substrati presenti all'interno di un contesto universale all'apparenza generico, ma realmente complesso.
Oltre l’unidimensionalità
Il senso è la rappresentazione di un gesto concreto identificato in un oggetto, proprio per questo favorisce l'atto del comparare, e si può scorgere nel superamento di quelle frontiere e di quegli spazi circoscritti e ostacolanti per una visione capace di oltrepassare il limite del visibile, comune pretesto per un ampliamento delle aree di interesse, e necessario per la lettura profonda della realtà.
Coltivare la creatività nella cultura della conformità (Sternberg, 1995) agevola la comprensione del limite, sia del contesto sia dei linguaggi. Marcuse (1968) tradusse tutto questo in una unidimensionalità della persona, legata all’incompetenza e all’impossibilità critica rispetto a un contesto di massa. Queste ragioni scandiscono i momenti successivi che potranno essere raggiunti grazie al superamento della tipificazione culturale, e regolati dalle resistenze sociali tacitamente accettate, ma realmente superabili grazie a una capace lettura, necessaria per favorire la poliedricità della persona nella sua globalità e interezza. Le riflessioni e le ricerche finora riportate permettono di leggere e interpretare quei sentieri meno transitati, in quanto complessi, difficoltosi, e caratterizzati da numerose variabili che a volte possono compromettere la stessa qualità della ricerca educativa e dell’agire educativo. Tuttavia, nel contesto attuale, si richiedono letture su differenti piani narrativi, a loro volta rappresentati e scanditi nei messaggi, nei contenuti e nei propri strumenti dalla pluralità dei livelli di senso.
Il punto di partenza è dunque un testo, uno spazio di narrazione, metaforicamente rappresentato dal contesto reale, dove solamente un lettore competente può interagire nel sistema di segni e simboli vincolato alla definizione di “macchina pigra” di origini echiane. L'aumento delle tecnologie elettroniche ha generato un disequilibrio tra colui che sa di poter utilizzare un dispositivo tecnologico per rispondere a una propria perplessità e chi lo usa necessariamente per avere delle risposte, queste ultime caratterizzate dalla superficialità dello smisurato numero di dati, inutilizzabili, a noi proposti come risultati di ricerche. È vero che l'utilizzo di oggetti elettronici ha favorito l’aumento delle distanze, non esclusive dei luoghi percepiti fisicamente e quindi reali, o viceversa, virtuali, ma caratterizzanti delle persone e del sapere. Oggi si confonde il conoscere con il saper leggere, ovvero l’avere la possibilità di dominare un contenuto, e il saper interpretare, e saper comprendere determinati significati con letture profonde, analitiche e complesse, tali da favorire nella comprensione delle risposte fornite da una macchina, la reale assenza di significato, analitico e di complessità. L'attrattività del medium, purtroppo, è riuscita a coadiuvare molti utenti, molte persone che nell'oggetto riescono a vedere la bussola alla perdizione conoscitiva, che realmente non potrà essere colmata dall'uso della tecnologia.
L’affabilità del dispositivo elettronico è da ricondurre all’ampia disponibilità di applicazioni che possono facilitare lo svolgimento di attività quotidiane, che approfittano dell’uso incosciente da parte dell’utente per convertirlo in dati commerciali, codici di vendita.
Non stiamo riferendoci a una schiavitù dell’elettronico, anche se dal 2013 nel manuale DSM-5 si è iniziato a parlare di IAD (Internet Addiction Disorder), ma rileviamo una necessità di riscoprire dei significati profondi, che nel mare magnum riconducibile alla rete risultano essere nascosti e dispersi, mentre nella realtà dei fatti rappresentano degli appigli, e delle certezze.
Con l'aumento dell’uso di tecnologia elettronica, e l’abuso di questi oggetti nella vita quotidiana, si è favorita la crescita delle distanze, tra persone, luoghi e soprattutto nelle relazioni. Lo stesso concetto di tempo appare essere elemento di angustia, e di frammentazione per la società contemporanea. La stessa creatività è trivializzata con eccessiva frequenza.
Morin (1995) ha parlato di complessità e delle emergenze della contemporaneità, lo stesso McLuhan si è riferito a questo differente luogo con il nome di sensorium (1961), così Gardner (2006, 2011), Goleman (2007) o lo stesso Csikszentmihalyi (2013) si rimettono alla necessità di una comprensione positiva di se stessi e delle proprie possibilità di percezione sensoriale.
Educazione, arte, scienze cognitive e linguistiche condividono trasversalmente delle macroaree di interesse nelle ricerche odierne, e sull'evoluzione, tanto umana quanto culturale. L’uomo come soggetto emancipato ha permesso agli avvenimenti di acquisire un significato, ha generato pensieri e conoscenza, ha realizzato oggetti e dominato gli istinti, tuttavia, sempre tenendo presente la motivazione originaria a essere libero nell'arte come nella vita.
Così l'educazione e le pratiche educative devono adattarsi a questi ragionamenti complessi, con il desiderio di giungere oltre la superficialità e la banalizzazione alle quali si stanno sottomettendo con frequenza (Schmidt e Cohen, 2013).
Integrazione consapevole: coscientizzazione
I continui stimoli che giungono dai contesti europei, ma anche dagli spazi nazionali e locali, in primo luogo richiedono un’interazione, sollecitano delle sinergie e delle collaborazioni con il fine di raggiungere l'obiettivo comune della formazione e della coscientizzazione, in chiave freireiana, della persona.
Le specificità degli apprendimenti vengono spesso sostituite, grossolanamente, dalla comprensione delle abilità, dal successo meccanico e da ripetitività che solitamente si tende a richiedere con il fine di raggiungere degli obiettivi oggettivi, ma realmente acritici.
Numerosi sono gli autori che ci ricordano e sollecitano alla necessità di comprendere la complessità, i differenti e molteplici livelli di interpretazione del medesimo contesto, con la possibilità di ricorrere alle “chiavi per il futuro” di origine gardneriana, rappresentate dall'intelligenza etica, esistenziale, disciplinare, sintetica e creativa (Gardner, 2006). Queste ultime prospettive offerte dal professore statunitense, ci sollecitano alla riflessione, alla ricerca di risposte, ma ancora prima di quesiti che favoriscono la curiosità, necessaria per andare oltre alle soluzioni vuote generate da un sapere approssimativo.
La quotidianità ci propone continue sfide, in alcuni casi antiche, sostenute da strumenti avanzati, innovativi, spesso ridotti all'essere elettronici e questo conduce alla banalizzazione degli oggetti che il genere umano utilizza da decadi, con il fine di soddisfare alcune superficiali necessità.
Il sapere come strumento, ma anche luogo di attrattività intellettuale, di stimolo per la creatività, se ben depositato nella conoscenza primordiale, genetica, istintiva del contesto come luogo naturale e dello stesso ambiente, favorisce il recupero della percezione del sé, e di quella singolare connotazione che scandisce i luoghi di libertà dell'essere umano.
Queste sono alcune delle ragioni che ci riconducono alla necessità di favorire l'incontro tra l'essere umano e le sue sensazioni e percezioni, senza limitarne lo sviluppo, né tantomeno l'analisi e la rielaborazione attraverso gli stessi sensi, secondo interazioni di tipo empatico e sinaptico, ma realmente connesso alla conoscenza e al sapere. Nader, Schafe e LeDoux (2000) affermavano che l'apprendimento implica l'alimento della natura, dal punto di vista di colui che si nutre di essa.
Il comportamento umano si basa sulla pluralità di sollecitazioni e processi di conoscenza, i quali si fondano nelle rapide connessioni e integrazioni di informazioni sollecitate da delle strutture nervose specifiche, basate a loro volta in milioni di neuroni capaci di trilioni di connessioni possibili in gran parte programmate dai geni. Come evidenzia Wolf (2008, p. 17), “per apprendere a lavorare congiuntamente e permettere lo sviluppo delle nostre funzioni umane basiche, i neuroni necessitano delle istruzioni dei geni su come formare dei circuiti efficienti [...]”.
Le stesse scienze del cervello, quindi le neuroscienze, oggi ci offrono un’ulteriore visione e lettura di quanto fino ad ora siamo andati affermando e questo ci permette nello stesso momento di creare un ulteriore distinzione tra l'efficienza cerebrale, neurologica, nervosa a cui la persona ricorre continuamente; occorre altresì evidenziare che, d'altro canto, riscopriamo la necessità di una visione olistica della persona, non completa ma complessa, non finita ma continuamente da costruire.
Conclusioni
La cultura umana è in continua evoluzione, in trasformazione, rispondente alle aspettative connaturate al suo stesso esistere. In questo contesto la cultura è manifestazione della presenza dell'umanità, la quale denota in se stessa il percorso e la necessità di conoscere i differenti sentieri, in ogni occasione in cui l'esistenza sia compiuta, si compie e compirà i suoi atti.
Oggi è difficile non vedere come in tutti i livelli non esista una concordanza con la sostanza e con la presenza dei sistemi culturali, che sono, da sempre, contenuto e contenitore delle ragioni e dei significati delle categorie, dei modi di essere, dei comportamenti, delle forme sociali, mediante i quali si crea una relazione interattiva consolidata.
Ogni essere umano è composto da un sistema organico appartenente a una dimensione assoluta della complessità, che in questo caso rappresenta la possibilità di contatto permanente con gli altri a partire da un sistema biologico umano. Questo si riflette in ciò che con frequenza viene a essere definito come dimensione relativa della complessità. Senza dubbio, ciò che distingue realmente un essere umano e lo rende incomparabile ad altre specie viventi è la sua capacità di creare complessità, e di modificare le altre due forme precedenti: l’assoluta e la relativa. Nella vita, questo si esprime con la definizione di libertà creatrice.
Siamo in possesso di numerose informazioni a volte discordanti tra il comportamento umano e la plasticità del cervello, dall'avanguardia delle ricerche neuroscientifiche in cui si affrontano tematiche di cocente attualità dal punto di vista educativo, delle relazioni tra persone, e della valorizzazione dei luoghi per l’apprendimento, come anticipò a ridosso degli anni Novanta, il pedagogista spagnolo Garcia-Hoz, nel volume titolato Educación Personalizada.
Il percorso complesso verso l'apprendimento, la comprensione del contesto, è ancora prima una lettura e interpretazione dei luoghi di vita, che richiede una continua analisi trasversale all'interno del contesto pedagogico. Siamo di fronte a un sovraccarico delle persone dovuto all'uso non consapevole di oggetti che, apparentemente, facilitano il dialogo. Queste ragioni ci richiedono una continuità nell'analisi, nella valorizzazione degli aspetti di complessità, della proposta pedissequa di attività finalizzate all'apprendimento critico, e a una pedagogia che risulti essere contrastiva a delle pratiche di banalizzazione della conoscenza.
Il contesto sociale è un insieme di ramificazioni, di connessioni tecnologiche, ma ancor prima umane caratterizzanti l'esistenza delle persone in un contesto che si fonda sulla concretezza delle cose. Lo stesso Freire (2002, p. 28) sosteneva che “la disumanizzazione, che non si verifica solo in coloro che si vedono rubare la loro umanità, ma anche in quelli che la rubano, seppure in maniera differente, è una distorsione della vocazione a essere di più”.
Ci troviamo oggi in quel substrato di cultura silenziosa, ovvero di un luogo e di un momento riconducibile al dominio dell'ignoranza sulla consapevolezza dell'essere, dove il saper pensare è fondamentale per la criticità e complessità della persona.
Nelle ultime due decadi, perlomeno, è stato necessario rileggere reinterpretare la definizione stessa di educazione, alla luce dei recenti interventi di tipo normativo, legislativo e, quindi, di riforma. Realmente ci dobbiamo porgere numerose domande, differenti quesiti che ci portano a delle richieste comuni, condivise e maturate, quali sono quelle di criticità, di complessità, di creatività e soprattutto, come citato da Dewey, si deve riscoprire il saper pensare, in virtù della criticità e aspettativa democratica che deve contraddistinguere ogni persona.
Il pedagogista brasiliano Freire ha dedicato la sua intera vita allo stimolo critico di una società silente. Questa ininterrotta neutralità del contesto rispetto al cambiamento, alle sollecitazioni e soprattutto alle richieste educative che emergono dal popolo, dalla società tutta, ci obbliga a pensare alle ragioni che rimandano a questa linea comune.
In questo contesto abbiamo bisogno di tornare a leggere, con il fine di riscoprire come i nostri luoghi del vivere quotidiano siano la massima rappresentazione possibile di un universo di simboli, e sviluppare delle pratiche analitiche, che sollecitino alla lettura profonda (Dehaene, 2009; Wolf, 2016), e al dominio del pensiero astratto.
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Autore per la corrispondenza
Enrico Bocciolesi
Indirizzo e-mail: ebocciolesi@invi.uned.es
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ISSN 2421-2946. Pedagogia PIU' didattica.
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