Vol. 10, n. 2, ottobre 2024

MODELLI EDUCATIVI

Oltre il digitale: Ripensare l’antisocialità adolescenziale nell’era dell’onlife1

Pascal Perillo2 e Vitaliano Corbi3

Sommario

L’articolo intende fornire un contributo al possibile ripensamento del rapporto tra il fenomeno del Comportamento Antisociale Adolescenziale (CAA) e l’intelligenza artificiale, con particolare riferimento alle tecnologie capaci di operare una vera e propria «re-ontologizzazione» della realtà. L’attenzione è focalizzata su come le rappresentazioni del fenomeno CAA da parte dei professionisti dell’educazione e degli adolescenti modellino le dinamiche relazionali di questi e su come la vita condotta onlife influenzi la formazione dell’identità e del pensiero critico dei giovani, sulla scorta di un approccio epistemologico e metodologico di tipo transazionale che promuova una cittadinanza digitale attiva e responsabile, intercettando inedite esigenze di quegli adolescenti accomunati dalla percezione di una difficoltà.

Parole chiave

Adolescenti, Comportamento antisociale, Educazione alla cittadinanza digitale, Pratiche educative, Approccio educativo transazionale.

EDUCATIONAL MODELS

Beyond the digital: Rethinking adolescent antisociality in the onlife era

Pascal Perillo4 and Vitaliano Corbi5

Abstract

The article aims to contribute to a possible rethinking of the relationship between the phenomenon of Adolescent Antisocial Behavior (AAB) and artificial intelligence, with particular reference to technologies capable of «reontologizing» reality. Specifically, the focus is on how the representations of AAB by educational professionals and adolescents shape their relational dynamics, and on how life conducted online influences the formation of identity and critical thinking in youth. This is approached through a transactional epistemological and methodological perspective aiming to promote an active and responsible digital citizenship, by addressing the unique needs of adolescents united by the perception of difficulty.

Keywords

Adolescents, Antisocial behavior, Education for digital citizenship, Educational practices, Transactional educational approach.

Premessa

Negli ultimi anni si è assistito a una proliferazione di discorsi che hanno denunciato l’antisocialità delle nuove generazioni di giovani, in particolare degli adolescenti, tanto nel senso comune quanto nel panorama scientifico. L’adolescente è spesso descritto come colpevole di una serie di comportamenti inaccettabili, perché immorali e pericolosi per l’ordine sociale e il benessere comune. Che l’adolescente venga visto come un soggetto problematico, privo di un forte senso di responsabilità, non è cosa nuova; tuttavia sembrerebbe che la particolarità delle più recenti narrazioni stia nell’intenderlo come un vero e proprio agente del caos. Ad esempio, durante le restrizioni imposte dall’emergenza dovuta al COVID-19, l’adolescente-tipo delle descrizioni prodotte, colpevole di fare assembramento, si soffermava, soprattutto, sulla mancanza di rispetto e di sentimenti d’amore per le proprie famiglie, per i propri adulti, questi ultimi più a rischio di sviluppare un’evoluzione mortale della malattia scatenata dal virus.

Se da un lato gli adolescenti appaiono irresponsabili, immorali e irrispettosi, dall’altro, però, sembrano anche troppo fragili, rappresentati, anche a causa del lockdown, come chiusi in se stessi, demotivati, con difficoltà di natura psicologica, dannosi per sé e per gli altri, soggetti spesso rei della propria aggressività ma anche della propria debolezza. Le crisi che attraversano gli adolescenti vanno inquadrate dentro uno scenario più ampio di crisi sociale e valoriale, che chiama in causa anche i modelli educativi e formativi e, per questa via, la crisi di adulti che appaiono sempre più incapaci di fornire alle ragazze e ai ragazzi strumenti utili per promuovere il senso critico che deve innervare la progettazione dell’esistenza. Se «un ragazzo, per crescere e realizzare la propria coscienza morale, ha bisogno di mettere in discussione le regole educative e sociali che ha appreso e interiorizzato durante l’infanzia, farle proprie, e modificarle o, in caso, discuterle e rielaborare» (Costanzo, 2018, p. 65), si potrebbe sostenere che la trasgressione sia strettamente connessa all’adolescenza. In questo senso, essa non sarebbe intrinsecamente negativa ma si inscriverebbe nel processo evolutivo dell’individuo come propulsore del distacco dal Sé infantile, necessario perché si vivano nuove esperienze, non connotandosi esclusivamente nei termini negativi della devianza.

Lasciandoci orientare da Bertolini, la categoria di «ragazzi difficili», adottata per definire quei giovani che sono accomunati dalla percezione di una difficoltà, appare certamente più adatta a inquadrare la condizione della trasgressione adolescenziale rispetto a quella di devianza: «il termine “difficile” è inteso in senso forte e squisitamente pedagogico [in quanto] individua […] quelle condizioni in cui la soglia della “problematicità” (Bertin, 1973) — componente costitutiva di ogni esperienza educativa — viene superata provocando difficoltà e costrizioni tali da rendere necessario il costituirsi di uno specifico ambito di riflessione pedagogica e la ricerca di appropriate strategie di intervento» (Bertolini e Caronia, 2015, p. 38). L’operazione di rinominazione (da ragazzo deviante a ragazzo difficile) — forte della capacità che le è tipica di esercitare il potere della parola sulle cose — appare utile a valorizzare il soggetto adolescente come luogo di significazione della realtà, di modo che si possa più facilmente transitare verso una prassi pedagogica che si sublima in scambio con l’altro.

Focalizzarsi sulla categoria di ragazzi difficili significa anche attuare una precisa scelta di campo, spostando lo sguardo sul processo di interdefinizione tra mondo e soggetto, allo scopo di rilevare quei cortocircuiti che hanno reso problematico il comportamento dell’adolescente in questa dinamica relazionale nello scenario della società della seduzione (Lipovetsky, 2019).

Da un punto di vista pedagogico, appare necessario penetrare nel significato simbolico della trasgressione: trasgredire coincide con il fare nuove esperienze per misurarsi con i propri limiti. In contrasto con la visione mainstream del senso comune descritta più sopra, si ritiene che «la trasgressività adolescenziale non nasca dalla mancanza di cognizione della legge penale o morale, bensì da difficoltà di sviluppo e da disagi nelle relazioni, dall’impulsività dei desideri e dalle scarse capacità di controllo» (Costanzo, 2018, p. 70). L’adolescente ha bisogno di sperimentare situazioni di rischio attenuato per il proprio processo di maturazione, dal momento che il rischio ha una funzione positiva per il rinnovamento di sé e permette di esplorare risorse, capacità e limiti. Senza negare l’esistenza di esperienze oggettivamente ad alto rischio che sono, tra l’altro, causa di un’elevata mortalità per gli adolescenti, il discorso pedagogico deve rimanere in guardia dalla tendenza generalista di uno sguardo esclusivamente adulto per non rischiare di approdare a una contraddizione tra «l’adolescenza benedetta come una delle età migliori della vita perché, spesso, romanticamente idealizzata, mitizzata o rimpianta nella narrazione degli adulti che la hanno attraversata e gli adolescenti male-detti da quella stessa narrazione, perché incomprensibili, inafferrabili, ingestibili e, non da ultimo, devianti» (Maltese, 2020, p. 276). Bisognerebbe distaccarsi dalla patologizzazione assoluta della trasgressione adolescenziale, intendendola come reale catastrofe (Mancaniello, 2002), fino a chiedersi, ad esempio: «come far vivere ai giovani l’emozione dell’avventura e il limite della vita senza per questo rischiare di perderla? Quali aspetti dell’educazione entrano in gioco per progettare percorsi per la conoscenza di sé e delle proprie potenzialità?» (Lavanga e Mancaniello, 2022, pp. 64-65).

L’accusa di protagonismo esasperato che piomba sulle teste degli adolescenti antisociali (Corbi et al., 2023) tralascia completamente il dato inquietante di una generazione di giovani che è, effettivamente, protagonista di poco e niente e l’urgenza da parte del mondo adulto di impegnarsi per donare la possibilità del gusto dell’esserci a ragazzi e ragazze che, perché possano acquisire la consapevolezza del proprio sé, necessitano, nei contesti sociali e formativi, della prova di essere qualcuno: che poi non è altro che la prova di esistere.

Quale cittadinanza per l’adolescenza offuscata?

Prendendo le mosse da quanto emerso dai lavori condotti nell’ambito di un Progetto di Rilevante Interesse Nazionale (PRIN) (https://sites.dsu.univr.it/re-serves/progetto/wp2-alleanze-educative/, consultato il 3 ottobre 2024), si propone qui di leggere e interpretare il comportamento antisociale degli adolescenti (CAA) nei termini di un’emergenza politico-educativa. Il carattere emergenziale del comportamento antisociale (CA), infatti, sta sia nella sua imprevedibilità e nel suo potere di destabilizzare il fluire della vita pubblica, sia nel suo porsi come un qualcosa di urgente che sollecita l’arte del governare le situazioni e del progettare azioni educative. In questo senso, il CAA incrina l’equilibrio comunitario, generando un discorso collettivo volto alla riorganizzazione della comunità stessa, da intendersi nel senso «di esercizio collettivo e contestuale di pensiero riflessivo, ossia come un esercizio cognitivo volto a rischiarare la situazione problematica in corso, al fine di decifrare in essa elementi o relazioni tra elementi che aiutano il singolo e la comunità a rileggere la situazione per renderla meno indeterminata e incerta» (Chello, 2022, p. 190).

L’idea alla base della maggior parte degli studi attenzionati dalla Revisione Sistematica (RS) della letteratura condotta nel progetto citato è che il CA, nel corso della vita di un individuo, si rafforza nell’età adolescenziale, ovvero quando le proprie emozioni sono più difficili da gestire e i propri ruoli e compiti sociali non sono ancora ben consolidati. Ne consegue che l’adolescente non è più un bambino ma non è ancora un adulto, perché incapace di effettuare scelte realmente critiche e riflessive, dunque in balia di forze esterne. Una visione simile, di stampo determinista, si sposa perfettamente con l’utilizzo di metodi e strumenti di ricerca quantitativi e standardizzati. All’opposto, una minoranza di articoli analizzati dà la parola ai ragazzi e alle ragazze, al fine di ottenere definizioni di CA da parte dei soggetti stessi che abitano questa condizione e rilevare punti di vista più situati e contestuali.

Dunque, si potrebbe ipotizzare che, se gli adolescenti definiscono in maniera diversa dagli adulti il fenomeno del CA, anche la loro modalità di leggere il reale è altra. L’agire dell’adolescente è strettamente connesso ai significati che produce; da qui la necessità di fare riferimento a epistemologie interpretative che riconoscano le differenze culturali e individuali. In questo senso, l’approccio fenomenologico fa notare che l’agire umano non è esclusivamente motivato dal libero arbitrio e da una razionalità cosciente, ma anche da dimensioni pre-riflessive. L’approccio fenomenologico intende la coscienza individuale «come istanza ontologica incarnata nelle tracce affettivo-percettive della corporeità umana, che è sempre in situazione» (Chello, 2022, p. 203), mentre, per la prospettiva pragmatista di cui si fa portatrice l’analisi, la coscienza è una qualità non soggettiva o intersoggettiva, bensì ontologicamente transazionale (Dewey e Bentley, 1974).

La differenza sottile tra l’approccio pragmatista e quello fenomenologico, dunque, ci permette di comprendere meglio l’adozione del pragmatismo transazionale da parte dell’analisi epistemologica attenzionata, la quale legge l’agire adolescenziale come un agire tattico. Da questo punto di vista, l’adolescenza è un periodo della vita umana in cui il soggetto sviluppa qualità fisiche, cognitive, socio-relazionali ed etico-morali che gli permettono di agire diversamente dal modo in cui agiva nell’infanzia. Il CAA nascerebbe, così, da un co-adattamento tattico tra la transazione organismo-ambiente e la situazione specifica che si abita e, perciò, andrebbe studiato come fenomeno relazionale.

Secondo quanto generalmente condiviso nella letteratura scientifica, per CA può intendersi la trasgressione rispetto a tutto ciò che costituisce la ragione e la base di un ordinamento sociale, lo scostamento da norme condivise o imposte da poteri legittimi (Moro, 2019). Ci si riferisce non solo al radicato rifiuto dei valori, delle mete, delle procedure socialmente prescritte, ma anche alla violazione di norme fondamentali che consentono lo sviluppo della persona e la convivenza sociale. Il CAA, oltre a essere lesivo dei diritti degli altri, risulta dannoso anche per il soggetto che lo agisce.

Il comportamento dell’adolescente risente fortemente delle trasformazioni sociali e culturali in cui è situato, pertanto diventa determinante investire in un’educazione alla cittadinanza. Per cittadinanza si può intendere sia lo status di cittadino sia il processo di appartenenza a una comunità. Volendo adottare una chiave di lettura deweyana del termine, cittadinanza sta a indicare l’insieme delle relazioni coinvolte nell’appartenenza a una comunità. Dunque, essere libero di esercitare la cittadinanza prevede la capacità di saperla pensare, ed è propria della pedagogia la responsabilità di formare a questo tipo di pensiero, per consentire al soggetto in formazione di sperimentare una libertà intellettuale che possa misurarsi con una pluralità di esperienze (Perillo, 2016), nel segno di una democrazia umana (Nussbaum, 2011).

Gli adolescenti, influenzati da un mondo in cui le forze storicamente coesive della comunità vengono sempre meno, faticano a percepirsi come parte di un tutto, come parte di una res publica. A questo riguardo, Morin (2005) sottolinea da tempo come i progressi dell’individualismo abbiano portato all’autonomizzazione e alla privatizzazione anche dell’etica, a causa di un processo d’allentamento della stretta comunitaria. Una diretta conseguenza di questo processo è la crescita costante dell’egocentrismo che finisce per inibire le potenzialità altruiste e solidali.

La riflessione sui CA e sulla necessità di un’educazione alla cittadinanza non può non tenere conto del fatto che gli adolescenti si trovano a dover fare i conti con una crisi generalizzata dei tradizionali fondamenti della certezza e dell’etica. Dunque, una pratica educativa che possa fare fronte a tali processi necessita di essere realmente democratica e volta allo sviluppo di una cittadinanza consapevole, soprattutto mediante l’educazione alla prosocialità. Da qui si comprendono la povertà e l’insufficienza di un approccio al fenomeno del CAA che invece si appiattisce totalmente sulla specificità delle sanzioni da applicare, per punire. Piuttosto, sarebbe auspicabile che le azioni educative si collocassero sempre più nella prospettiva della prevenzione e della promozione, quindi della partecipazione da parte di una comunità che abbia chiara la missione di educare alla prosocialità.

L’influenza dei contesti virtuali: analisi di scenario

L’educazione alla prosocialità ha l’obiettivo di sviluppare una cittadinanza consapevole che però, oggi, è sempre più cittadinanza anche digitale, in una società post-mediale e post-digitale in cui la vita non risulta più soggetta alla scissione tra le azioni compiute online e quelle compiute offline, ma si sostanzia del senso dell’onlife.

Le nuove tecnologie e i social network (SN) rappresentano una dimensione nella quale l’adolescente spende una parte importante della propria vita. I digital natives (Prensky, 2015), dopo gli immigrati digitali, hanno già lasciato il posto ai sapiens digitali? Sembrerebbe di sì se si pensa che la crescente virtualizzazione delle esperienze, soprattutto quelle adolescenziali, sfuma sempre di più i confini tra realtà materiale e realtà immateriale, al punto che uno scenario futuro potrebbe prevedere il consolidamento di una realtà mista, in cui si compenetrano mondo fisico e mondo virtuale. In questo nuovo tipo di realtà, costruita da tecnologie diverse da quelle tradizionali che potenziavano esclusivamente la dimensione visuale, ad andare incontro a sostanziali trasformazioni saranno anche altre dimensioni, tra cui quella tattile e cinestesica. Ancor prima che in adolescenza, il sistema neurale del soggetto umano sarà fortemente condizionato da tali cambiamenti; di conseguenza «è ben evidente come l’oscillazione fra realtà rappresentata e realtà vissuta dia luogo a una mutazione radicale attorno alla quale dovremmo intensificare la riflessione pedagogica ed etica» (Cambi e Pinto Minerva, 2023, p. 28).

Gli spazi onlife di condivisione in cui si trovano coinvolti ragazze e ragazzi sono segnati da nuovi processi di socializzazione e offrono percorsi nuovi di costruzione identitaria. Al tempo stesso, sembra essere molto più semplice per gli adolescenti entrare in contatto con modelli sociali e culturali distanti dai propri, soprattutto attraverso i SN. L’opportunità che si può prefigurare è quella di una maggiore possibilità di costruzione di una cittadinanza planetaria, raggiungibile attraverso nuove modalità di comunicazione riscontrabili, ad esempio, nelle comunità virtuali (Rheingold, 1994). La comunità virtuale è un insieme di persone accomunate da un interesse verso un certo tema e che interagisce online, sviluppando un forte senso di appartenenza grazie alla partecipazione attiva al dibattito. Sembrerebbe, allora, che la comunità virtuale possa, in alcuni casi, assumere i tratti della Comunità di Pratica (CdP) (Wenger, 2006).

In effetti, una comunità virtuale composta da adolescenti in formazione, soprattutto se nasce in modo spontaneo, può fare sue proprio le modalità di esercizio della CdP: potenziali (comunità possibili tra adolescenti che si relazionano tra loro e che potrebbero trarre vantaggi dallo sviluppo in comune di una pratica, come nei gruppi tematici); attive (comunità virtuali che perseguono attivamente un’impresa, condividendo le proprie narrazioni e lavorando sulle proprie pratiche individuali); latenti (comunità virtuali con l’obiettivo di recuperare relazioni perdute tra persone che hanno condiviso esperienze in passato).

L’isolamento e la solitudine, a volte indicati come condizioni tipiche delle nuove generazioni (Turkle, 2012), sono aspetti influenti per il verificarsi di CA, non definibili come effetto diretto delle nuove tecnologie, tuttavia responsabili, in molti casi, di avere amplificato vuoti esistenziali (Scaglioso, 2020). Una formazione attenta ai bisogni degli adolescenti deve saper interpretare la complessità del mondo ipertecnologico in cui i giovani vivono e si relazionano tra loro. Quindi, nonostante non ci siano responsabilità intrinseche da attribuire né al digitale in sé né all’iperrealtà in cui gli adolescenti si muovono, non si può negare che i media digitali possano comunque indurre a dinamiche di dipendenza tecnologica in relazione con le manifestazioni di quella difficoltà che abbiamo attribuito, con Bertolini, agli adolescenti protagonisti di CA.

Nello spazio di educazione informale del web i SN sono saturi di formule, soluzioni e ricettari da parte di influencer, opinion leader e commentatori, figure «sacerdotali» che sfoggiano slogan come verità assolute e che contribuiscono a generare una vera e propria infodipendenza. Gli adolescenti che abitano l’infosfera (Floridi, 2017) sono costantemente a rischio di cadere vittime della dipendenza da informazioni, dal momento che i loro stessi atti, nel virtuale, si trasformano in pure informazioni e si aggiungono a quell’universo di dati immediatamente disponibili che, a sua volta, retroagisce sull’individuo, alienandolo. La conseguenza è che i giovani risultano presentizzati: «all’immediatezza del presente informano i comportamenti, senza saper attingere al passato, privati del collante tra il passato e la progettualità adulta» (Scaglioso e Bellagamba, 2020, p. 40). L’immediatezza delle informazioni mina la capacità dell’adolescente di elaborare e utilizzare coordinate interpretative del mondo, favorendo processi di assolutizzazione che abituano a vivere secondo il principio della gratificazione istantanea, fortificata dall’utilizzo totalizzante dei dispositivi digitali mobili.

Un adolescente privato dello smartphone vive il disorientamento di chi si vede costretto ad abbandonare un’interpretazione della realtà impacchettata e pronta all’uso e ad assumersi la responsabilità di dare direzioni e significati alla propria esistenza. Si pensi all’impatto esercitato dagli influencer su questa dinamica. Adolescenti influenzati dagli influencer, e influencer a loro volta, seguaci gli uni degli altri, in un marasma di personaggi che si ritrovano a incarnare il ruolo di opinion leader su vicende politiche o su temi complessi. L’influencer, pagato per interagire sui SN con l’obiettivo di influenzare i comportamenti e le scelte politiche, sociali, ma anche d’acquisto, degli altri utenti, mette in vetrina la propria vita (o quella che si vuol far credere essere la propria vita), distribuendo consigli tra i più variegati e accumulando un numero sempre maggiore di followers. La figura esercita un potere persuasivo e impattante sugli adolescenti, mediante una spontaneità recitata e narrazioni guidate da abili strategie comunicative. I bisogni d’appartenenza e di autenticità, tipici dell’età adolescenziale, vengono soddisfatti dai post degli influencer, veri e propri appuntamenti che innescano una sorta di dipendenza, perché l’influencer si presenta come persona reale, che non sta interpretando nessuno tranne se stesso e, spesso, ciò che chi lo segue vorrebbe essere.

Da un punto di vista pedagogico è interessante mettere a fuoco queste caratteristiche della figura dell’influencer perché parrebbe essere uno dei modelli relazionali del futuro, un modello centrale nello scenario attuale costellato di trasformazioni repentine dei rapporti sociali. Questa figura che abita il web, ed esercita nella virtualità tutto il suo potere, è una delle protagoniste della nuova transizione che stiamo vivendo, dunque di una nuova transazione, nel senso deweyano. La sfida consiste nel comprendere e gestire questa condizione transazionale, «mettendo in luce anche il processo di costante risignificazione al quale sono sottoposte le teorie e le pratiche educative, proprio in ragione delle trasformazioni sociali, economiche e culturali» (Polenghi, Cereda e Zini, 2021, p. 393). Gli adolescenti sono reduci, tra l’altro, da una pandemia che, con il conseguente distanziamento fisico, ha amplificato l’attaccamento e la dipendenza dagli influencer e dal web in generale, innescando un processo di s-corporizzazione delle relazioni adolescenziali, dunque, di disagio senza corpo, rimasto indefinito, e, si ipotizza, molto più incanalabile in un potenziale CA. Venuti sempre meno gli spazi di socializzazione in presenza, la dimensione dell’incontro, che esalta la nostra umanità, si indebolisce a favore dello scontro online tra aforismi senza ammissione di argomentazione e ragionamento, in una dimensione che è simile a

un sottobosco popolato da giovani senza volto, follower devoti, odiatori di professione che scaricano la loro violenza e la loro paranoia: un coro che partecipa e assiste alle gesta, ai comportamenti e alle immagini degli adolescenti con cui interagisce, schierandosi con loro anche in modo complice oppure contrastandoli e insultandoli. Il coro non nasce oggi, è ben noto che nelle tragedie greche rappresentava infatti i cittadini e partecipava alla vita e alle vicende dei protagonisti sulla scena: oggi però il coro è costituito da quanti popolano i social network e può divenire una presenza allarmante e minacciosa (Ammaniti, 2024, pp. 46-47).

È fondamentale, allora, che i professionisti dell’educazione conoscano le caratteristiche degli ambienti virtuali e dei SN per elaborare strategie educative consapevoli dell’uso di tali tecnologie, anche nei confronti dei CAA, fenomeno che si esprime in relazione a diverse forme di fragilità e vulnerabilità, intese come condizioni temporanee o permanenti, derivanti dalle inter-retro-azioni tra fattori individuali, sociali e strutturali, che gli attori sociali possono vedersi attribuire dall’esterno o auto-attribuirsi (Polenghi, Cereda e Zini, 2021). Dunque, il CAA esperito onlife è un fenomeno complesso, con una pluralità di variabili e fattori in gioco che lo connotano come risultato di quel processo transazionale tra organismo e ambiente che ricomprende tanto dimensioni strutturali quanto dimensioni aleatorie. Le vite degli agenti coinvolti nella relazione educativa (in questo caso, adolescenti e professionisti dell’educazione) sono impregnate dello scambio incessante tra la dimensione virtuale e la dimensione reale, attraverso il flusso della Rete, che agisce sulle rappresentazioni individuali e sociali con le quali le persone strutturano i propri significati del mondo. Ne consegue, per chi scrive, l’esigenza di fare ricerca sui CA propriamente tipici di spazi virtuali come i SN, collegando e ricucendo le voci dei professionisti dell’educazione, dei ricercatori e dei partecipanti sul tema in questione, per attenzionare anche i significati che le persone attribuiscono alla propria relazione con e nel web.

Intelligenza Artificiale e CAA. Quale rapporto?

L’adolescente, che vive e agisce a stretto contatto con l’intelligenza artificiale (IA) quando utilizza il GPS, quando chiede ad Alexa di accendere o spegnere la luce, quando usa sistemi di chatbot basati sul machine learning,6 ha di fronte un ventaglio di opzioni riassumibili in un atteggiamento di rifiuto e di accettazione critica, a cui attingere per relazionarsi con il potere di re-ontologizzazione che esercitano le tecnologie di IA. Quando l’adolescente adotta l’IA sotto forma di tecnologie smart cede una parte del proprio potere decisionale ad artefatti tecnologici. Questa delega, se non monitorata e attenzionata anche dai professionisti dell’educazione, potrebbe portare a una crescita dell’autonomia artificiale a discapito dell’autonomia umana. Oggi (e ancor di più in futuro), il fenomeno dei CAA è in relazione con questo scenario caratterizzato dall’impatto etico che le nuovissime tecnologie hanno sulla vita quotidiana di tutti; una vita che si conduce sempre più onlife, in quello spazio definibile infosfera che è analogico e digitale, online e offline.

Quali possono essere i nessi tra la CAA e l’uso improprio dell’IA? Si tratta di un interrogativo ancora senza risposte certe e che si potrebbe declinare in un’altra forma, forse anche pedagogicamente più interessante: quale può essere il lato negativo dell’impatto sociale dell’IA, in termini di CA, e persino di atti criminali, che le nuove tecnologie riorientano e ai quali sono esposti gli adolescenti che abitano l’infosfera, quest’ultimi potenzialmente vittime ed esecutori, certamente spettatori soggetti a influenze e stimoli?

Floridi ritiene che l’IA potrà svolgere un ruolo sempre più primario negli atti criminali nel futuro:

Due scienziati sociali computazionali (Seymour e Tully, 2016) hanno usato l’IA come strumento per convincere utenti di social media a cliccare su collegamenti di phishing all’interno di messaggi prodotti in serie. Poiché ogni messaggio è stato costruito con tecniche di ML (machine learning) applicate ai comportamenti passati e ai profili pubblici degli utenti, il contenuto è stato ritagliato su ciascun individuo, camuffando in tal modo l’intenzione alla base di ogni messaggio. Se la potenziale vittima avesse cliccato sul link di phishing e avesse compilato il successivo modulo web, allora, in circostanze reali, un criminale avrebbe ottenuto informazioni personali e private che avrebbero potuto essere usate per furti e frodi (Floridi, 2022, p. 178).

I crimini di IA (CIA), come fenomeno autonomo e non identificabile nella vasta gamma di crimini informatici, non sono ancora riconosciuti a pieno. Floridi — scegliendo di definire atto criminale un qualsiasi atto che costituisce un reato punibile ai sensi del diritto penale inglese — si sofferma proprio sulle preoccupazioni realistiche e plausibili che i CIA fanno emergere in alcune aree: droghe, reati contro le persone, reati sessuali, furto e frode.

Il ragionamento fin qui condotto cerca di mettere in evidenza l’esigenza di un ripensamento dei bisogni educativi degli adolescenti di oggi. Avendo piena contezza dei fattori personali che possono contribuire a creare autori e vittime di reati, i professionisti dell’educazione non possono più trascurare l’affinamento di un pensiero transdisciplinare per approcciarsi al fenomeno del CAA, re-interpretando i contesti educativi e culturali degli adolescenti nei confronti dell’IA e dei CIA e indagando parallelamente sull’atteggiamento e sui significati che vengono attribuiti da loro stessi al cyberspazio. Nondimeno appaiono indispensabili «azioni concrete, da parte delle istituzioni, volte a una formazione dei docenti incentrata sull’alfabetismo digitale e sulla saggezza digitale […] per rispondere ai rischi derivanti dalla tecnologia e le conseguenze che può generare un uso improprio e inconsapevole sia dei software che degli hardware» (Lavanga e Mancaniello, 2022, p. 137). La consapevolezza della complessità, dei rischi e delle opportunità dell’IA può essere meglio comunicata ai giovani soltanto se è posseduta in primo luogo dall’adulto. Docenti, educatori, pedagogisti e formatori necessitano di competenze sulla cittadinanza digitale, ottenibili grazie alla collaborazione, al networking e alla cooperazione, anche all’interno di community digitali.

Se si sostiene, con preoccupazione, che gli adolescenti possano essere protagonisti di alcuni dei CIA descritti, allora l’ascolto delle nuove generazioni diventa ancora più importante. I professionisti dell’educazione, attraverso l’ascolto attento, avalutativo e non giudicante, possono mettere insieme più informazioni utili per modellare possibili interventi educativi. In questo senso, promuovere alleanze educative fra contesti educativi formali e non formali, secondo il modello della Ricerca-Azione-Partecipativa (Bradbury, 2015; Orefice, 2006), consentirebbe di avvicinarsi sempre di più al punto di vista dell’adolescente, calandosi nella sua dimensione che è irriducibilmente segnata dagli effetti delle tecno-scienze.

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  1. 1 L’articolo è il risultato di un intenso confronto e di un vivace scambio di punti vista fra gli autori. Ai fini delle responsabilità autoriali, è possibile attribuire il § 1 a Pascal Perillo e i §§ 2, 3 e 4 a Vitaliano Corbi.

  1. 2 Professore ordinario di Pedagogia generale e sociale.

  1. 3 PhD Student Alma Mater Studiorum Università di Bologna.

  1. 4 Full Professor of General and Social Pedagogy.

  1. 5 PhD Student Alma Mater Studiorum University of Bologna.

  1. 6 Il machine learning, in italiano «apprendimento automatico», può considerarsi una branca dell’IA che, attraverso metodi statistici, migliora la capacità di un algoritmo di identificare pattern nei dati.

Vol. 10, Issue 2, October 2024

 

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