Vol. 7, n. 2, ottobre 2021

TEORIE E MODELLI DIDATTICI

La grammatica della massaia1

Analisi di un modello audiovisivo per la formazione

Marco D’Agostini2 e Anselmo Roberto Paolone3

Sommario

Utilizzare l’audiovisivo in ambito didattico e educativo consente di avvicinare i discenti all’esperienza diretta e soprattutto recuperare il collegamento con il contesto in cui le conoscenze si applicano. Documentari, tutorial e video didattici sono particolarmente adatti alla documentazione di processi che si svolgono nel tempo e nello spazio e, per chi li realizza, danno la possibilità di scegliere tra un alto numero di strumenti e codici a disposizione per una creazione efficace.

Obiettivo di questo articolo è sviscerare e comprendere l’utilizzo degli strumenti di comunicazione audiovisiva (scrittura, tecniche di ripresa e regia, montaggio) utilizzati nella serie documentaristica La grammatica della massaia di Filippo Paolone (Paolone, 1961). Una serie paradigmatica dal punto di vista stilistico e formale per il sapiente utilizzo dei classici codici cinematografici.

Audiovisivi di questa natura non sono semplici riproduzioni della realtà ma inducono lo spettatore-discente all’osservazione e alla comprensione.

Il recupero del pensiero e dell’opera di Paolone si può rivelare decisamente utile dal punto di vista pedagogico e didattico.

Parole chiave

Audiovisivi, Didattica, Formazione.

Didactic theories and models

La grammatica della massaia4

Understanding an audiovisual model for education

Marco D’Agostini5 and Anselmo Roberto Paolone6

Abstract

Using audiovisual in teaching and education allows learners to be brought closer to direct experience and above all to recover the connection with the context in which the knowledge is applied. Documentaries, tutorials and educational videos are particularly suitable for documenting processes that take place over time and space and, for those who make them, give the possibility to choose from a large number of tools and codes available for effective creation.

The aim of this paper is to dissect and understand the use of audiovisual communication tools (writing, shooting and directing techniques, editing) used in the documentary series La grammatica della massaia by Filippo Paolone (Paolone, 1961). A paradigmatic cine-series from a stylistic and formal point of view for the wise use of classic cinematographic codes.

Audiovisuals of this nature are not simple reproductions of reality but lead the learner to observation and understanding.

The recovery of Paolone’s thought and work can prove to be decidedly useful from a pedagogical and didactic point of view.

Keywords

Audiovisual, Teaching, Training.

Introduzione

Filippo Paolone (1917-1993) è stato un pioniere del documentario industriale e per la formazione, come autore e regista, ma anche come teorico degli audiovisivi (Verdone, 1993), soprattutto nelle loro possibili declinazioni pubblicistiche e pedagogiche. In oltre quarant’anni di attività, e a partire dai suoi scritti teorici,7 egli sviluppò una sistematica e metodica comunicazione per immagini che applicò poi alla realizzazione delle centinaia di titoli (tra documentari e trasmissioni televisive) presenti nella sua filmografia.8

Come accennato, la sistematica di Paolone muoveva, tra l’altro, dalla distinzione di base tra l’uso pubblicistico e quello formativo degli audiovisivi. Nel primo caso, essi miravano a suscitare nei fruitori delle reazioni superficiali, ma immediatamente operative, ai fini della pubblicità commerciale, della propaganda ideologica, dell’informazione giornalistica.

Nel secondo caso, invece, il fine degli audiovisivi era quello di produrre nei fruitori degli effetti edificanti e duraturi, che coincidevano con quelli dell’educazione e della formazione (Paolone, 2018).

Nella propria pratica autoriale e registica, Paolone si dedicò soprattutto a questa seconda categoria, ideando tra l’altro il formato delle Grammatiche del lavoro: serie tematiche di documentari miranti a trasmettere i diversi contenuti necessari alla formazione di una categoria professionale (es: La grammatica dell’operaio edile, La grammatica del moto-riparatore, ecc.) o sociologica (es.: La grammatica della massaia).

Scendendo nello specifico delle modalità pratiche con cui gli audiovisivi per la formazione dovevano essere confezionati, analizzare la già citata opera seriale La grammatica della massaia (Paolone, 1961), rileggerne le sceneggiature alla luce degli scritti teorici dell’autore, ci consente di evidenziare ancor meglio gli strumenti e applicazioni (scrittura, regia, tecniche di ripresa, montaggio, elaborazioni grafiche) che rappresentano gli elementi di questo linguaggio, impalcatura fondamentale che regge la struttura comunicativa audiovisiva e consente una trasmissione di conoscenze di profonda efficacia educativa (Paolone, 1958a, p. 28).

Ciò che caratterizza il linguaggio audiovisivo è proprio la possibilità di «mostrare» e «far sentire», concretizzare quello che in una dimensione comunicativa puramente verbale rimarrebbe solo astrazione.

Tale qualità dell’immagine filmica la rende particolarmente efficace per mostrare ai fruitori: situazioni concrete e oggetti da apprendere (come nella «lezione per cose» di Comenio), azioni e pratiche da imitare, meccanismi e/o sequenze da comprendere. Nell’audiovisivo, a questi vantaggi dell’immagine filmica si sommano anche le diverse qualità comunicative di altri elementi come: il parlato (capace di comunicare i contenuti concettuali), la musica (capace di veicolare o sottolineare contenuti emotivi), i disegni e i grafici di vario genere (capaci di riassumere e schematizzare gli altri contenuti), ecc.

Paolone si applicò a studiare, tra l’altro, proprio come combinare di volta in volta questi elementi al fine di ottenere una maggiore efficacia comunicativa e didattica (Paolone, 1993).

In un’ottica didattico-pedagogica pare quindi da subito rilevante come lo strumento audiovisivo, se ben congegnato e architettato, rappresenti un’integrazione mirabile ed efficace alla trasmissione dei contenuti solo scritta o solo parlata, nella quale spesso si eccede in concettualizzazioni senza riferimento.

In tal senso, oltre che un paradigma per l’educazione informale, l’audiovisivo può allora diventare anche un potentissimo strumento di intervento sia nel campo della formazione che in quello dell’educazione professionale (Malavasi, Polenghi e Rivoltella, 2009, p. 14).

Comunicare attraverso l’audiovisivo significa avvicinare all’esperienza diretta e soprattutto recuperare il collegamento con il contesto in cui le conoscenze si applicano dato che i video sono particolarmente adatti alla documentazione di processi che si svolgono nel tempo e nello spazio (Bonaiuti, 2010).

Accanto agli aspetti pedagogici, le neuroscienze offrono oggi nuovi livelli interpretativi sulle modalità di apprendimento tramite l’audiovisivo. Il potere delle immagini, la loro forza di attrazione, la capacità di simulare e replicare forme di esperienza sono elementi che generano un rapporto intersoggettivo tra lo spettatore e i mondi possibili della finzione. La nostra corporeità si realizza pienamente nella sfera dell’esperienza e svolge un ruolo decisivo nelle pratiche di simulazione che siamo capaci di mettere in campo nelle nostre esperienze mediate (Gallese e Guerra, 2015). Diventa importante la tesi secondo cui la simulazione incarnata (embodied simulation) è il meccanismo funzionale di base del nostro cervello grazie al quale riusiamo parte delle risorse neurali che normalmente utilizziamo per interagire con il mondo, mettendole a servizio della percezione.

Comprendiamo il senso di molti dei comportamenti e delle esperienze altrui grazie al riutilizzo degli stessi circuiti neurali su cui si fondano le nostre esperienze in prima persona (Gallese, 2008). Questa teoria della simulazione incarnata permette di comprendere diversi aspetti del «funzionamento» degli audiovisivi sugli spettatori. A supporto di tale teoria, la scoperta dei neuroni specchio (Rizzolati e Sinigaglia, 2006) riconosce la «cognizione motoria» come elemento cardine per la comparsa dell’intersoggettività umana (Gallese, 2000).

Obiettivo di questo articolo, come più dettagliatamente è stato fatto nel libro Filmati per formare (D’Agostini e Paolone, 2018), è sviscerare e comprendere l’utilizzo degli strumenti di comunicazione audiovisiva (scrittura, tecniche di ripresa e regia, montaggio) per la divulgazione di contenuti educativi, attraverso un processo organizzato, consapevole ed efficace.

In questo particolare momento storico, in cui la didattica espletata attraverso gli audiovisivi è protagonista di nuovi, importanti sviluppi attraverso i veicoli della rete e delle piattaforme digitali, l’online sta diventando un veicolo educativo decisivo per intere fasce scolastiche e, più in generale, per il mondo della formazione. In questo scenario, l’approfondimento della sistematica specialistica di Paolone, che di audiovisivi educativi è stato un prolifico autore oltre che un teorizzatore, costituisce un’operazione utile e significativa.

La grammatica della massaia

La grammatica della massaia è una serie formata da 5 episodi, edita nel 1961 per la regia di Filippo Paolone. Ogni puntata ha una durata che varia dai 12 ai 17 minuti ed è incentrata su un tema specifico. Questi i titoli delle 5 puntate: Bilancio famigliare, La casa e il suo arredamento, L’alimentazione, Il guardaroba, Allevamento del bambino. La serie era rivolta alle classi sociali emergenti, quelle che dal mondo agricolo e contadino stavano progressivamente passando a quello industriale e terziario. Paolone doveva costruire uno strumento audiovisivo capace di formare rapidamente al nuovo stile di vita urbanizzato (fatto di supermercati e di elettrodomestici, di cibi industriali da trattare e consumare in modo appropriato, di utenze e rate da pagare mensilmente) una moltitudine di massaie recentemente inurbate dalle campagne e spesso prive delle nozioni di base necessarie a organizzare la sussistenza della famiglia nel moderno ambiente che si andava delineando.

Ma vi era di più (e qui subentra uno degli aspetti «educativi» di questi documentari): per poter ricoprire proficuamente questo nuovo ruolo la massaia recentemente inurbata doveva ottenere un nuovo riconoscimento di autonomia dai suoi familiari.

Quindi occorreva presentare un’immagine nuova della donna, non più interamente sottomessa al marito ed esclusa dalle decisioni importanti, ma protagonista nella moderna società dei consumi. Vi era dunque un articolato intento formativo: fornire ai suddetti settori emergenti della società, dei modelli e degli esempi di buone pratiche per fare fronte alle necessità risultanti dal nuovo stile di vita che si stava prospettando. Tra i risultati finali auspicati, vi era dunque anche quello di proporre dei nuovi valori relativamente alla vita familiare e alla società, per salvaguardare il funzionamento della famiglia in quel mondo in rapida e spiazzante evoluzione che fu l’epoca della ricostruzione industriale e del boom economico.

Per analizzare l’opera in modo da evidenziarne alcuni elementi strutturali per finalità didattico-pedagogiche, abbiamo destrutturato e setacciato le puntate in modo tale da carpire gli elementi che segnano il ritmo e l’andamento audiovisivo, che sono i maggiori responsabili della chiara e corretta trasmissione dei contenuti formativi attraverso il medium in oggetto. Lo scopo è anche quello di evidenziare, nei filmati studiati, la coerenza di quei principi teorici che Paolone aveva elaborato nelle proprie pubblicazioni scientifiche e che sorreggevano la qualità del suo lavoro. In tal modo vorremmo anche mostrare che la particolare efficacia dello stile registico di Paolone derivava da questa sua duplice natura di studioso e di cineasta. In questo senso è stato importante procedere in modo progressivo, eseguendo per ogni puntata 5 operazioni mirate: 1. Sceneggiatura desunta; 2. Divisione in blocchi tematici; 3. Analisi di regia; 4. Analisi grafici e disegni animati; 5. Analisi interpretazione attori.

Sceneggiatura desunta

La prima importante operazione è stata la suddivisione e analisi, scena per scena, inquadratura per inquadratura, di ogni puntata. Questo ha permesso di comprendere lo stile registico, lo sviluppo dei temi, il ritmo e l’utilizzo dei codici cinematografici, e di verificare come essi rispecchiassero i modelli teorici di base (filmologici e pedagogici) che l’autore aveva già elaborato nei propri scritti. Si tratta quindi di rilevare la microstruttura narrativa per conoscere nel dettaglio quali sono gli elementi di base e come si legano tra loro (montaggio). I codici audiovisivi utilizzati ne La grammatica della massaia sono stati: riprese dal vero (documentario e fiction), disegni animati, grafica, voce fuori campo, colonna sonora.

Con in mano la sceneggiatura desunta abbiamo anche potuto rilevare i blocchi narrativi che compongono ogni puntata. In sostanza le sequenze che determinano l’alternanza dei codici utilizzati e formano la macrostruttura.

Terminata l’individuazione di micro e macro-struttura, è parso chiaro che alla ricchezza dei codici audiovisivi utilizzati si sia abbinata la capacità del regista di riuscire a dosare questi ingredienti a disposizione in modo sapiente, tanto da bilanciare gli aspetti divulgativi con quelli «spettacolari». In questo modo si sono costruite sceneggiature efficaci, agili e funzionali alla missione formativa che il progetto audiovisivo si prefiggeva.

La grammatica della massaia è stata creata con un preciso procedimento in fase di scrittura formato da due azioni.

  1. Redazione di uno script della durata di una decina di minuti, provvisto di parti narrative (storia di Paola, la protagonista), divulgative (informazioni e consigli per la gestione della casa) e tecniche (approfondimenti dei contenuti), intrecciate tra loro.
  2. Traduzione delle parole in immagini: sceneggiatura. Questa operazione ha permesso di visualizzare quelli che sarebbero stati i codici cinematografici da utilizzare: inquadrature, movimenti di macchina, recitazione, fotografia, musiche, grafica e disegni animati.

Una delle caratteristiche più importanti rilevata in fase di analisi degli script, è stato il costante passaggio tra due dimensioni temporali: la dimensione diacronica e quella sincronica. Nel primo caso le riprese dal vero sono servite a costruire un racconto che si sviluppa nel tempo. La storia della protagonista che si muove nello spazio e nel tempo all’interno e fuori casa. Nella produzione di senso esiste un prima e un dopo, ci sono delle premesse e delle conseguenze.

Nel secondo caso invece il tempo si ferma ed entrano in scena grafici, disegni animati e spiegazioni. Sono i passaggi in cui si devono illustrare delle tecniche specifiche o mostrare le diverse funzioni di uno strumento (per permettere agli spettatori di apprendere tali tecniche e funzioni tramite imitazione).

Come si può facilmente notare, quindi, a seconda della dimensione temporale sviluppata e concretizzata nel filmato, sono stati utilizzati strumenti e codici diversi. È questa un’indicazione molto utile anche se riferita agli audiovisivi realizzati ai giorni nostri. Ogni strumento, codice, linguaggio svolge un ruolo peculiare e ha tempi, modalità e obiettivi propri che se usati con dovizia, si amalgamano al meglio con tutti gli altri.

La regia

La regia della serie, per quanto riguarda le parti con riprese dal vero, è preminentemente di tipo classico. Come descritto da Vincenzo Buccheri (Buccheri, 2010), quando si parla di «classicità» si intende un sistema stilistico che prevede una struttura basata sulla logica causa-effetto, una rappresentazione chiara e coerente dello spazio e una riproduzione lineare e progressiva del tempo. Tutti gli episodi rispettano fedelmente queste caratteristiche e diventano paradigmatici dal punto di vista della costruzione audiovisiva, attraverso la successione delle inquadrature e dell’utilizzo degli altri codici a disposizione (colonna sonora, ambienti, interpretazione degli attori, ecc.). Le inquadrature seguono la standardizzazione cinematografica9 con piani e campi che si succedono il più delle volte in modo gerarchico: dall’inquadratura più larga a quella più stretta o viceversa. Solo in rare sequenze c’è uno sbilanciamento quantitativo sui piani più stretti che diventano necessari per approfondire e specificare visivamente i contenuti esposti dalla voce fuori campo.10 La struttura tipica di una scena prevede una prima inquadratura introduttiva (establishing shot) che stabilisce dove si trovano i personaggi nello spazio e nel tempo. Successivamente, con l’inizio dell’interazione, la scena si frantuma in inquadrature più strette che prevedono azioni e reazioni dei personaggi. In questa parte centrale la luce, la colonna sonora e i movimenti di macchina, accrescono il processo di formulazione degli obiettivi. Infine, la scena si può chiudere con un totale o più solitamente, soprattutto per le sequenze centrali, con una porzione di spazio (una reazione del viso o un dettaglio significativo), che consente la transizione alla scena successiva.

Ogni puntata presenta anche delle soluzioni registiche innovative funzionali a veicolare il messaggio in modo efficace e originale.

Oltre a un linguaggio documentaristico d’avanguardia per l’epoca (cinepresa a mano, zoom, dettagli in successione, ecc.), citiamo due passaggi significativi per il loro carattere innovativo. Il primo è l’espediente del fermo-macchina che troviamo nel secondo episodio. Con dei netti stacchi di montaggio le stanze vuote in cui si trova la massaia vengono «magicamente» sostituite da stanze arredate di tutto punto e pronte per essere abitate (min. 8:15-8:30 del secondo episodio). Questo effetto, presentato in rapida successione per più ambienti (cucina, salotto, camera) ed enfatizzato da un trillo musicale, consente di comprendere in pochi secondi quanto un ambiente vuoto e apparentemente triste possa diventare con le giuste scelte e accorgimenti caldo e funzionale. Il secondo passaggio significativo per una regia innovativa è l’incipit «alieno» della quarta puntata che inizia con una serie di inquadrature e movimenti su dei manichini al centro di un salotto. Una sensazione di straniamento che pervade la scena mentre la voce fuori campo sottolinea l’importanza di un abbigliamento di qualità e ben rifinito. La fissità dei tre manichini permette di concentrare l’attenzione sulla fattura dei vestiti e quindi sospendere qualunque altra dimensione per permettere una focalizzazione certa.

Il montaggio

L’articolazione dei frammenti girati in fase di ripresa, arricchiti dalle grafiche e dai disegni animati, insieme alle musiche e alla voce fuori campo, genera un linguaggio peculiare e multisensoriale. Da sempre la fase del montaggio rappresenta il momento in cui il girato acquisisce forma, dimensione, ritmo.

Lo stesso Filippo Paolone, autore della serie, definisce il montaggio come lo strumento principale per mezzo del quale il regista trasforma la singola immagine in un vero e proprio momento dialettico del personalissimo messaggio che egli affida al linguaggio filmico (Paolone, 1958a). Per Paolone, il montaggio determina il ritmo e il ritmo è l’espressione che accresce la significazione e la suggestione, alternando opportunamente la successione delle immagini in modo da esaltarne il significato in funzione degli aspetti psicologici che si vogliono raggiungere (Paolone, 1958a, p. 16). Il montaggio realizzato nella grammatica della massaia riesce a comunicare le diverse fasi di lavoro con diverse cadenze che rispecchiano l’andamento delle operazioni, amalgamando il tutto in un flusso audiovisivo complessivo che genera coinvolgimento perché vivace. Interessante notare la calibrazione della durata media delle inquadrature a seconda della funzionalità delle stesse: Piani sequenze e campi lunghi (5-10 secondi), dettagli (2-3 secondi) e l’utilizzo di transizioni dissolvenze in nero o tendine per segnare passaggi temporali o tematici, tipica grammatica del linguaggio classico (montaggio invisibile). Anche questo è una importante indicazione che può essere attualizzata nella costruzione in fase di montaggio anche dei moderni video divulgativi. La durata di un’inquadratura è infatti elemento determinante nella creazione del ritmo e quindi del flusso complessivo audiovisivo. Ogni frammento non deve durare né troppo poco, per garantire la comprensione e l’apprendimento da parte dello spettatore, ma nemmeno troppo, per non allungare eccessivamente il filmato rischiando di far calare l’attenzione.

La grafica e i disegni animati

Grafica e disegni animati ricoprono un ruolo fondamentale all’interno del flusso audiovisivo proposto nelle cinque puntate de La grammatica della massaia. Il loro inserimento non è importante solo per conferire maggiore dinamicità nell’alternanza con le riprese dal vero, ma è decisivo per l’approfondimento di concetti e astrazioni che non avrebbero altro modo per essere visualizzati. In alcune puntate (terza e quarta su tutte) grafica e disegni animati sono maggiormente presenti e hanno un peso decisivo tanto da far passare la storia della protagonista in secondo piano. In questo caso i modelli grafici proposti, così come i disegni animati, potrebbero essere anche decontestualizzati dalla narrazione per la loro autonomia e forza divulgativa che non presuppone collegamenti.

Paolone ritiene che le immagini in movimento (riprese dal vero) servano a mostrare il «fare» che il fruitore del film deve apprendere e imitare; i grafici invece servono a riassumere e astrarre in quadri concettuali il complesso delle azioni che si sono mostrate, per consentire al fruitore stesso di assimilarle in modo consapevole e ragionato. È dunque importante fare un distinguo tra i due strumenti: i grafici e i disegni animati.

I grafici (cartelli a pieno schermo) servono a riassumere e astrarre in quadri concettuali il complesso delle azioni. «Lo scopo dei grafici all’interno di un audiovisivo è quello di raccogliere e organizzare informazioni, esplicitare relazioni tra oggetti, eventi o concetti all’interno di un compito di apprendimento. Gli organizzatori grafici, nelle forme più varie quali mappe, tabelle, diagrammi e reti, sono largamente impiegati nei contesti educativi per favorire la comprensione, la riflessione e lo studio attraverso l’organizzazione visiva delle conoscenze» (Bonaiuti, 2010, p. 75).

Siamo quindi nella dimensione della simbolizzazione che riguarda la rappresentazione di fenomeni articolati in cui le vicende della protagonista dei filmati, Paola, perde la sua importanza per lasciare il posto a elenchi, grafici, tabelle che servono a dare informazioni allo spettatore. Sono spesso nozioni astratte che richiedono un sistema di rappresentazione che non può che essere convenzionale (linee, frecce, fati, numeri, schemi, ecc.).

Per il disegno animato siamo di volta in volta di fronte a interessanti proposte creative che, oltre a sintetizzare e visualizzare concettualmente ciò che la voce fuori campo enuncia, alleggeriscono simpaticamente la narrazione. Secondo lo stesso Paolone: «Il mondo dei disegni animati è quello della nostra immaginazione: un mondo nel quale tutte le cose obbediscono ai nostri ordini. Esso può integrare utilmente qualunque discorso filmico di tipo didattico, come può interpretare in modo adeguato ogni discorso pubblicitario. Esso parla tutte le lingue: si tratti di disegno animato d’arte o di disegno animato educativo» (Paolone, 1983, pp. 69-70).

Colonna sonora e attori

La colonna sonora è costituita da una musica ritmata d’accompagnamento, alcuni rumori a integrazione e dalla voce fuori campo. Non sono presenti i dialoghi e tutto è inserito in fase di post-produzione, non esistono suoni o voci in presa diretta. La voce fuori campo rappresenta l’elemento audio preponderante. Intervenendo «personalmente» sul continuum di realtà, presupposto di finzione che racconta, la voice over consegna agli spettatori un mondo narrato che appare meno autonomo e immediato. Con il suo linguaggio garbato, la dizione sempre corretta, e il tono delicato, la voce che accompagna le scene è piacevole all’ascolto e aiuta gli spettatori a comprendere anche gli argomenti più difficili con leggerezza. La parola non è isolabile dal suo rapporto con l’immagine, e dal valore che reciprocamente vengono ad assumere (Tinazzi, 2007). Secondo Age, la «voce» in un film serve a riempire i vuoti, a fornire gratuitamente allo spettatore preziose informazioni e, contemporaneamente, con surrogati di immagini (cioè parole) a risparmiare molto denaro (Age, 2009). In questo caso potremmo dire che serve anche a specificare e approfondire con chiarezza gli avvenimenti. In tal senso, Paolone sostiene che il commento parlato, con la sua capacità di veicolare concetti e astrazioni, integra il linguaggio delle immagini in movimento (caratterizzato invece da concretezza) ed è utile a integrare i casi concreti mostrati dalle immagini in una superiore e articolata intelligenza logica e narrativa, consentendo al fruitore di comprendere il senso profondo e completo di ciò che sta apprendendo (Paolone, 1956, p. 120).

Paola, interpretata da Germana Francioli, appare sempre come esecutrice dei compiti che la voce narrante descrive. In questo caso la voce riassume e spiega le azioni concrete che l’attrice esegue, completando con la logica intrinseca al discorso verbale gli effetti comunicativi affidati invece all’interpretazione attoriale, che mira a suscitare l’imitazione attraverso il coinvolgimento visuale e istintivo dello spettatore attraverso le azioni e le immagini.

Conclusioni

Con l’analisi dei codici sopra esposta possiamo comprendere quanto il linguaggio audiovisivo ben strutturato, messo a punto da Filippo Paolone, possieda una notevole efficacia in termini didattico-pedagogici.

Audiovisivi di questa natura non sono semplici riproduzioni della realtà ma inducono lo spettatore all’osservazione e alla comprensione mediante le strategie che abbiamo osservato, dei sistemi e linguaggi di costruzione del racconto filmico.

Ad esempio, la compresenza della dimensione diacronica e sincronica testimonia la volontà dell’autore di bilanciare le parti narrative relative alle vicende della protagonista con quelle esclusivamente informative in cui la comunicazione educativa risulta «pura».

Le tecniche di regia, riprese e montaggio e ovviamente la costruzione dei racconti filmati in fase di pre-produzione, rappresentano un modello paradigmatico che riesce a combinare insieme la brevità del racconto, l’utilizzo di diversi codici (riprese dal vero, grafica, voce fuori campo, animazioni, ecc.), la veicolazione di principi e tecniche pratiche, la costruzione su un tema specifico. Tutti questi aspetti, sviscerati e analizzati ancora più approfonditamente nel libro di riferimento (D’Agostini e Paolone, 2018), danno la possibilità di comprendere al meglio come la tecnica audiovisiva elaborata e applicata da Filippo Paolone costituisca tra l’altro l’esempio di uno storytelling efficace per un uso pedagogico e didattico, e gettano le basi per una possibile loro applicazione nel contesto odierno. Questa valorizzazione di un modello cinematografico/pedagogico ormai «classico», ci consente di metabolizzare delle prassi realizzative per utilizzarle come basi (con le tecnologie oggi a disposizione) per un «fare» nuovo che tenga però conto di un patrimonio di conoscenze consolidate.

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1 Anselmo Roberto Paolone ha scritto l’introduzione, Marco D’Agostini gli altri capitoli.

2 Assegnista di ricerca in Pedagogia speciale presso l’Università degli Studi di Udine.

3 Ricercatore in Pedagogia generale e sociale presso l’Università degli Studi di Udine.

4 Anselmo Roberto Paolone wrote the introduction, Marco D’Agostini wrote the other paragraphs.

5 Università degli Studi di Udine.

6 Università degli Studi di Udine.

7 Tra i suoi contributi più importanti: Paolone F. (1964), Contributo a una valutazione del cinema come mezzo di formazione sociale dei giovani, «Saggi e Studi di Pubblicistica», serie XVII-XVIII; Paolone F. (1958), Film e opinione, «Rivista del cinematografo»; Paolone F. (1958), Il cinema come linguaggio. Contributo a una teoria pubblicistica del linguaggio cinematografico, «Saggi e studi di Pubblicistica», serie VII-VIII; Paolone F. (1983), Situazioni e problemi del cinema specializzato in Italia, Roma, ANICA; Paolone F. (1953), La propaganda e il cinema, in L. Volpicelli (a cura di), Il film e i problemi dell’educazione, Roma-Milano, Bocca, pp. 84-97; Paolone F. (1983), Situazione e problemi del cinema specializzato in Italia, Roma, ANICA.

8 Una filmografia parziale è presente in D’Agostini e Paolone, 2018.

9 Per un approfondimento sulla standardizzazione dell’inquadratura con l’elenco delle inquadrature classiche, si veda Bowen e Thompson, 2014, pp. 12-18; Morales, 2004, pp. 15-17.

10 Esempi tipici di sbilanciamenti su dettagli e particolari sono evidenti nella prima puntata (dal minuto 2:14 a 2:40) e nella quarta puntata (dal minuto 5:00 a 5:40).

Vol. 7, Issue 2, October 2021

 

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