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Editoriale

La nuova formazione dei docenti
The new teacher training

Massimo Baldacci

Professore Ordinario, Università degli Studi di Urbino Carlo Bo.



La scuola la fanno gli insegnanti. La formazione dei docenti svolge, perciò, un ruolo fondamentale per la qualità della scuola. Nel nostro Paese, la preparazione dell’insegnante per la scuola primaria e la scuola dell’infanzia ha trovato una formula adeguata, sebbene migliorabile, col Corso di laurea in scienze della formazione primaria. Relativamente al docente per la scuola secondaria, invece, si sconta l’assenza storica di una soluzione organica, che soltanto con le Ssis aveva visto una almeno parziale realizzazione.

In questo intervento compiremo una rapida valutazione del nuovo sistema di formazione per l’insegnante della scuola secondaria, illustrandone limiti e potenzialità. (Atto del Governo n. 377 del 2017 sottoposto a parere parlamentare - Schema di decreto legislativo recante riordino, adeguamento e semplificazione del sistema di formazione iniziale e di accesso nei ruoli di docente nella scuola secondaria per renderlo funzionale alla valorizzazione sociale e culturale della professione). A questo scopo, assumeremo come modello di riferimento l’esperienza delle Ssis e dei Corsi di laurea in scienze della formazione primaria. Tali esperienze sono state caratterizzate da due idee fondamentali: un’idea complessa della professionalità docente; un’idea di curricolo integrato.

L’idea complessa della professionalità docente muove dalla consapevolezza che insegnare richiede una pluralità di competenze: culturali, didattiche e relazionali. Ma l’idea che caratterizza questa prospettiva è anche legata alla convergenza sul concetto della competenza come costrutto in grado di esprimere la forma specifica di tale professionalità.

Si è inoltre compreso che la complessità della professionalità docente non è dovuta solo alla molteplicità delle dimensioni di competenza che implica, ma anche al fatto che tali dimensioni si devono intrecciare e fondere nel contesto delle pratiche scolastiche. Da qui la seconda idea, quella del curricolo integrato, basato sulla connessione di corsi, laboratori e tirocinio secondo un circolo tra teoria e prassi, che li porta a intrecciarsi variamente.

Queste due idee sono il risultato di anni di ricerche e d’esperienze, e appare perciò necessario salvaguardarle.

La soluzione formulata dal governo per la formazione dei docenti prevede un concorso per l’assunzione dopo la Laurea magistrale disciplinare (nel corso della quale si acquisiscono anche crediti formativi sulle scienze dell’educazione), seguito (per coloro che vengono assunti) da un triennio di formazione, di cui il primo anno rappresenta un corso di specializzazione per l’insegnamento, mentre il successivo biennio è dedicato al tirocinio sul campo che, se prestato in modo adeguato, permette la successiva assunzione “definitiva”.

L’intento prioritario del governo è stato quello di creare un meccanismo capace di raccordare strettamente la formazione iniziale dei docenti col reclutamento, in modo da superare il fenomeno del precariato, che nel nostro Paese si è dilatato a livelli patologici. Ma esaminiamo il percorso di preparazione del docente sotto il profilo della sua adeguatezza formativa.

Come si è visto, il concetto di “competenza” costituisce il fulcro della dimensione professionale. Ma formare competenze, non è la stessa cosa che impartire conoscenze. Si tratta di apprendimenti di livello logico differente, e come tali legati a ordini temporali diversi: l’acquisizione di una competenza richiede un tempo molto più esteso rispetto all’apprendimento di conoscenze. Il rischio è che tale tempo non sia assicurato in modo sufficiente dal primo anno del triennio post-concorsuale. Pertanto, l’anno di specializzazione all’insegnamento universitaria corre il pericolo di esaurirsi in un’acquisizione di conoscenze relative alle scienze dell’educazione, senza dare luogo a vere competenze.

Si deve però riconosce che il Gruppo di lavoro che ha formulato l’ultima stesura del provvedimento ha introdotto miglioramenti sostanziali. Infatti, la prima formulazione (art. 1, commi 180 e 181, lettera b) della legge n. 107 del 2015).  prevedeva lo spostamento del tirocinio nel biennio a valle del primo anno di formazione, in modo del tutto contrario alla logica dell’integrazione, necessaria per fondere i diversi apprendimenti parziali in una competenza professionale. Questo sistema avrebbe rischiato di produrre un insegnante equipaggiato soltanto di conoscenze mal integrate e scarsamente utili nella prassi.

L’ultima versione del provvedimento vede, invece, l’inserimento nell’anno di specializzazione per l’insegnamento di un congruo numero di crediti relativi al tirocinio (16 Cfu, di cui almeno 10 di tirocinio in classe). Inoltre, nel biennio successivo è stata prevista l’acquisizione di crediti in “ambiti formativi collegati alla innovazione e alla sperimentazione didattica: 10 Cfu nel secondo anno e 5 Cfu nel terzo anno (con un’entità complessiva sostanzialmente equivalente ai crediti di tirocinio introdotti nel primo anno). In altre parole, è stata operata un’osmosi tra il primo anno e il biennio successivo: sono stati anticipati 16 crediti di tirocinio al primo anno, e sono stati travasati 15 crediti “teorici” nel successivo biennio. In questo modo è stata ripristinato – in modo accettabile –  il profilo di un curricolo integrato, capace di fondere teoria e prassi. Pertanto, l’ultima versione del provvedimento è decisamente migliore della prima e, considerati i vincoli normativi precedentemente creati, quasi sicuramente non era possibile fare meglio.

Restano i limiti prodotti da tali vincoli, e in particolare la compressione del corso di specializzazione  per l’insegnamento in un singolo anno. In tale corso, infatti, si dovrebbero formare le matrici iniziali delle competenze pedagogico-didattiche, ma un solo anno appare al di sotto del tempo necessario per ottenere questo esito formativo (formare competenze è diverso dall’impartire conoscenze). Per disporre di un tempo adeguatosi sarebbe dovuto dedicare alla formazione universitaria il primo biennio del triennio post-concorsuale, dando piena attuazione al modello integrato: corsi, laboratori e tirocinio (diretto e indiretto) che s’intrecciano fin dal primo anno.

Nel quadro normativo disponibile, la soluzione formulata dal Gruppo di lavoro sembra però l’unica misura capace di diminuire i rischi descritti. Ma non si sa se all’atto pratico sarà veramente realizzata in modo adeguato. La possibilità di utilizzare gli aspiranti insegnanti per supplenze potrebbe determinare il loro assorbimento in una girandola di sostituzioni. Ma queste ultime, a causa della loro imprevedibilità, abituano a uno stile di lavoro basato sull’estemporaneità e l’improvvisazione. E sviluppare nell’insegnante la tendenza a improvvisare, anziché a progettare, non contribuisce certamente alla qualità dei processi formativi.

 



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ISSN 2421-2946. Pedagogia PIU' didattica.
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