Premessa

Il contributo presentato nasce nell’ambito del progetto FareCentro, vincitore come miglior Business Idea 2016 del concorso BpLab, promosso dal BpCube Business Incubator di Pesaro in collaborazione con l’Ateneo di Urbino. FareCentro si caratterizza per voler divenire il primo Hub pedagogico italiano capace di rispondere concretamente alle domande che ruotano oggi attorno alla sfera dell’educazione, proponendosi come luogo di apprendimento, ricerca e formazione di modelli educativi efficienti e strategie efficaci applicabili al mondo dell'infanzia e degli adulti, attraverso l’elaborazione di proposte di intervento rivolte a insegnanti/bambini/genitori.

L'aspetto innovativo di FareCentro consiste nel legare direttamente gli esiti della ricerca universitaria – ponendosi costanti domande e ricercando risposte adeguate alle odierne emergenze educative, così da costruire “nuovi modelli” – con le nuove esigenze formative di ambito scolastico ed extrascolastico, favorendo l'accrescimento della conoscenza, delle professionalità e degli attori operanti in tale ambito, agevolando attraverso tale possibilità la crescita del territorio e lo sviluppo delle singole realtà coinvolte.  

La vision di FareCentro è perciò quella di lavorare al fine di promuovere (oltre che nei bambini e nei loro genitori) anche negli insegnanti che lo frequentano la valorizzazione del loro potenziale individuale attraverso il ricorso a situazioni formative create ad hoc proprio come quella del mentoring che qui discuteremo.

Il costrutto di mentoring

Il costrutto di mentoring viene applicato per la prima volta nei contesti lavorativi americani nel momento in cui l’industrializzazione e la relativa espansione delle aziende determinano imprescindibili cambiamenti nell’organizzazione di queste ultime: diventa sempre più complesso, infatti, orchestrare meccanismi di lavoro che in precedenza erano stati adottati con successo all’interno delle singole imprese e si avverte la necessità di costituire nelle organizzazioni crescenti una “rete di accompagnatori” che, in virtù delle loro conoscenze ed esperienze maturate sul campo, potesse svolgere la funzione di “mentori” nei confronti delle persone più giovani, inesperte e appena immesse nel mondo del lavoro, con l’obiettivo di renderle sempre più consapevoli dei meccanismi necessari per una “professione di qualità”.

Con il passare degli anni, il termine mentoring ha assunto un significato sempre più specifico, trattenendo in sé in maniera sempre più esplicita una nuova metodologia formativa. Il mentoring, infatti, è definibile come un processo metodologico nel quale una persona, il mentore, appunto, sostiene e promuove la carriera e lo sviluppo professionale di altre persone. Le potenzialità di questo tipo di “legame formativo” favorisce in chi la “subisce” lo sviluppo di nuove potenzialità professionali. Il mentoring non si limita a favorire lo sviluppo di una parte delle competenze e dei comportamenti, ma considera la persona nella sua interezza e nella sua carriera (Harvard, 2005, p. 89).

È stata Kram la prima a definire il mentoring in questo senso connotandone due specificità in particolare: lo sviluppo individuale sia in ambito di carriera, sia in ambito psicosociale. Scrive, infatti:

Le applicazioni alla carriera sono quegli aspetti della relazione che sostengono l’apprendimento dei segreti del mestiere e la preparazione in vista di un avanzamento all’interno di un’organizzazione. Le applicazioni alla sfera psicosociale sono quegli aspetti di una relazione che sostengono il senso di competenza, chiarezza sull’identità ed efficacia del ruolo professionale. Mentre le funzioni di carriera servono soprattutto a favorire la scalata di una gerarchia […] le funzioni psicosociali sono quelle che riguardano la sfera personale di un individuo e la costruzione di un valore personale, sia all’interno sia all’esterno dell’organizzazione. Insieme, queste due funzioni permettono alle persone di affrontare le sfide contenute in ogni stadio della carriera. (Kram, 1988, pp. 22-39)

Nella tabella 1 prendiamo visione di queste due applicazioni – alla carriera e alla sfera personale – del mentor.

Tabella 1 – Applicazioni del mentor alla carriera e alla sfera personale.

mentor


Fonte:
Adattato a partire da Kram, Mentoring at Work: Developmental Relationship in Organizational Life (Harvard, 2005, p. 90).
Da queste due applicazioni del Mentor/mentoring si evincono almeno due vantaggi per una qualsiasi organizzazione lavorativa nell’attuare processi formativi di questo tipo:

  1. lo sviluppo delle risorse umane dell’organizzazione;

  2. il trasferimento di conoscenze implicite (tacite) tra i componenti del team (Harvard, 2005, p. 94).

Questi vantaggi sono determinati dal fatto che la missione di un Mentor ha come obiettivo principale quello di indagare sui problemi dei lavoratori con i quali entra in relazione e cercare insieme delle soluzioni per risolverli. Apriori fondamentale, per la buona riuscita della formazione, è chiaramente che tutti i soggetti coinvolti contribuiscano alla ricerca di soluzioni attraverso processi di analisi delle situazioni via via poste sotto osservazione e alla definizione di nuove indicazioni operative da adottare per l’accrescimento della propria professionalità.

Riuscire a trovare insieme al team di lavoratori, grazie a un loro coinvolgimento sempre maggiore (fatto di motivazione e auto-responsabilizzazione), soluzioni adatte ai diversi problemi del contesto lavorativo si rifletterà, infatti, molto positivamente sui risultati dell’azienda. Sviluppo delle competenze, trasmissione di conoscenze, acquisizioni di valori e comportamenti saranno, in questo modo, le chiavi che permetteranno ai componenti del team di professionisti coinvolti – preparandoli a svolgere incarichi sempre più impegnativi – di raggiungere gli obiettivi in grado di restituire “qualità” alla propria organizzazione, qualsiasi essa sia. Anche alla scuola.

Ruolo e Skills del Mentor

Da quanto sin qui sostenuto, si evince abbastanza chiaramente che la finalità principale di un Mentor (anche scolastico) è, in generale, quella di promuovere lo sviluppo delle potenzialità di apprendimento dei componenti del team, quali:

  1. l’acquisizione di nuove competenze;

  2. il confronto con nuovi scenari;

  3. il concepimento di nuove idee;

  4. il lancio di nuovi progetti.

Sappiamo bene, però, che l’apprendimento in età adulta è caratterizzato da una notevole complessità ed è quindi molto importante sottolineare che uno dei poli attorno ai quali deve gravitare l’azione del Mentor è proprio il sostegno continuo della motivazione dell’adulto nell’intraprendere un percorso formativo di questo tipo.

Nonostante, infatti, la decisione di intraprendere un percorso formativo scaturisca da una certa componente iniziale di motivazione endogena, è necessario che il Mentor la alimenti e la rinvigorisca in maniera consapevole e intenzionale, attraverso l’attuazione di comportamenti competenti che incidano sulla tensione motivazionale attraverso la partecipazione cognitiva ed emotiva e l’engagement dei formandi.

In riferimento a questo aspetto, lo psicologo americano Raymond Wlodkowski ha formulato una proposta su quali siano/debbano essere le principali caratteristiche – i cosiddetti “cinque pilastri” – che – pur nel quadro di differenti stili personali – accomunano i Formatori capaci di mobilitare interesse e impegno nei loro formandi (Wlodkowski, 2008). Ai fini della nostra argomentazione, ne scegliamo alcune trasponendole al costrutto di Mentor.

Expertise

Sembra tautologico, ma un Mentor non deve mai dimenticare che i soggetti che ha di fronte a sé non sono bambini. Il capitale di conoscenze, esperienze, abilità e idee distribuito all’interno del gruppo di formandi è di diversi ordini di grandezza superiore a quello che può possedere individualmente anche il più illuminato dei Mentori. Se da un lato questa è un’enorme risorsa dalla quale è necessario attingere, dall’altro costringe anche il professionista a un grande sforzo per convincere il gruppo di avere qualcosa di utile e importante da offrirgli.

Per questo, una leva essenziale per suscitare interesse e disponibilità all’apprendimento è costituita dalla preparazione. Essere preparati, per Wlodkowski, significa sia avere una conoscenza approfondita e robusta dei contenuti che ci si propone di insegnare – essendo contemporaneamente consapevoli dei limiti del proprio sapere – sia essere capaci di organizzare e gestire la situazione educativa, secondo principi di intenzionalità e responsività alla situazione.

Empatia

Usando una ficcante metafora di Kohn, essere empatici non significa chiedersi come si starebbe nelle scarpe di un altro, bensì domandarsi come sarebbe avere i suoi piedi (Kohn, 1990, p. 110). Wlodkowski declina questo concetto fondamentale in tre passaggi chiave.

Innanzitutto, è necessario identificare e comprendere gli obiettivi personali e le aspettative dei discenti: gli adulti sono “studenti pragmatici”, che sono motivati ad apprendere fintanto che percepiscono una congruenza tra i propri scopi e ciò che il Mentore propone. È quindi indispensabile indagare le aspettative di ciascuno, anche attraverso un approccio biografico, e sfruttarle per indirizzare l’intervento educativo.

In secondo luogo, non vanno trascurate le condizioni di partenza, che devono essere attentamente valutate al fine di adeguare il livello e la scansione degli obiettivi formativi. In un gruppo di adulti, infatti, il tasso di eterogeneità è molto maggiore che in qualsiasi altro contesto educativo ed è determinante stilare un profilo diagnostico con funzione formativa, per il gruppo nel suo complesso e per ciascun allievo preso singolarmente.

Infine, la motivazione può essere sostenuta solo sforzandosi di comprendere come i formandi stiano vivendo l’esperienza in cui sono immersi, in particolar modo dal punto di vista emotivo. Anche Brookfield pone l’accento su questo aspetto, definendo la costante consapevolezza di come gli studenti stanno percependo il proprio apprendimento e l’azione del docente, come “ciò che di più importante è necessario conoscere per fare un buon lavoro” (Brookfield, 2006, p. 28). Ascolto attivo ed empatico, sintonizzazione, validazione e accettazione esplicita delle emozioni altrui sono le abilità essenziali che è necessario esercitare costantemente per entrare in contatto col vissuto degli allievi, anche adulti.

Responsività culturale

Con questa espressione Wlodkowski intende la necessità di creare un ambiente di apprendimento che sia sicuro, inclusivo e rispettoso. Si tratta, in primo luogo, di garantire a ciascun allievo il soddisfacimento di quel bisogno di sicurezza e stima, già considerato da Maslow come condizione necessaria per il perseguimento di obiettivi di sviluppo e autorealizzazione.

Tuttavia, l’aspetto più rilevante che viene evidenziato all’interno di questo costrutto consiste nell’assunzione di una responsabilità sociale da parte del Mentor.

Entusiasmo

Mostrare interesse, coinvolgimento e comunicare emozioni positive verso i contenuti che si propongono sono catalizzatori importanti di motivazione, poiché inducono risonanza e trasmettono, meglio di ogni altra cosa, il valore che il Mentore vi attribuisce. A parità di altri fattori, inoltre, l’enfasi, l’energia e la vitalità con cui un docente si esprime e parla di un argomento sono correlate positivamente ai risultati di apprendimento dei suoi allievi (Cruickshank, 2008).

Se è vero che “noi siamo come insegniamo” (ibidem, p. 69), allora l’entusiasmo è probabilmente una delle leve motivazionale che ha maggiormente carattere di disposizione personale, piuttosto che di abilità. Diversamente, ciò che si può apprendere è la capacità di esibirlo in forma efficace, anche se questa non è un’invariante, poiché dipende dallo specifico contesto sociale e culturale in cui si opera.

Teacher mentoring per nuovi team docenti

Un Mentor a scuola ha quindi il compito di “allenare” il team (grazie a specifici strumenti e metodologie) a fare bilanci delle differenti situazioni, a indagarne i possibili punti di forza e di debolezza, così da identificare decisioni sempre più adeguate alle diverse emergenze educative. Un percorso di mentoring, infatti, dovrebbe permettere ai componenti del team docenti di sviluppare la capacità di vedere le proprie potenzialità e di saperle sfruttare al meglio. Alcune tappe fondamentali per raggiungere questo obiettivo sono quelle di lavorare al fine di rendere i team “avanzati”, “creativi”, “empowerizzati”.

Team docenti “avanzati”

Primo obiettivo di un percorso di mentoring a scuola condotto da un Mentor è quello di creare un team docenti che possiamo definire “avanzato” (Blanchard, 2007), ovvero un team, come in parte già anticipato, in grado di attuare pienamente il potenziale di ciascun componente.

Blanchard definisce un team avanzato, un gruppo che è capace di:

  1. condividere le informazioni al proprio interno al fine di creare una sempre maggiore responsabilità interna e sviluppare, in questo modo, una più forte “alleanza” (pedagogica e organizzativa) tra tutti i componenti del gruppo;

  2. definire “limiti di azione” e ruoli chiari per ogni componente del team al fine rendere tutti, di converso, liberi di agire in modo responsabile;

  3. promuovere (di conseguenza) le capacità di autonomia gestionale di ciascun membro per assumere decisioni sempre più di gruppo e conseguire così ottimi risultati (Blanchard, 2007, p. 2).

Per arrivare a questi risultati, un team avanzato dovrà per prima cosa diventare competente nel saper:

  1. ascoltare e rendere operative le idee e la motivazione di tutti i suoi membri;

  2. organizzare in maniera produttiva il tempo di ciascun membro del team.

Questo modo di procedere determinerà il conseguimento di ottimi risultati a livello individuale, di gruppo e dell’intera scuola.

Vediamo nel dettaglio che cosa si intende per condivisione di informazioni e definizione limiti d’azione e ruoli chiari.

Condividere le informazioni

Sappiamo bene che condividere le informazioni (avere tempo necessario per farlo, avere metodologie efficaci, riuscire a essere chiari nella condivisione di queste, ecc.) è molto complesso nei team scolastici e non solo in quelli. Riuscire, però, a condividere informazioni accurate relativamente ai diversi aspetti del lavoro determina la possibilità di assumere (da soli e insieme) decisioni molto più efficaci e di portare a termine con successo i compiti individuali e di gruppo. Non solo. Lo scambio libero (ma organizzato da processi codificati) di informazioni stimola nei componenti del “team docenti avanzato” una partecipazione attiva alla soluzione degli eventuali problemi e un impatto positivo sulla “qualità della scuola”. Si attiva, infatti, un processo di fiducia tra i membri che viene attivato e alle relazioni più forti e produttive che si vanno sempre più consolidando (Blanchard, 2007, pp. 23-35).

Definire limiti di azione e dare ruoli chiari

Altra caratteristica di un team avanzato è quella di saper definire i ruoli di ciascun membro con l’obiettivo di portare tutto il gruppo alla comprensione del “grado di potere e discrezionalità” di cui ciascun componente dispone per assumere, laddove l’organizzazione della scuola lo permetta, decisioni valide e iniziative autonome. Per definire dei ruoli occorre delimitare i confini di azione di ciascun membro, così che sia possibile “agire liberamente” e senza, appunto, il timore di “sconfinare”. La definizione dei limiti, quindi, non ha l’obiettivo di limitare l’azione, bensì di creare in ciascun componente maggiore responsabilità e “libertà d’iniziativa”, promuovendo autonomia e responsabilità. Limiti chiari (e conseguente definizione dei compiti, definizione dei comportamenti, definizione dei ruoli) non solo permettono di far comprendere al team docente l’importanza del potere decisionale di ciascuno, ma promuovono anche maggiore creatività nella ricerca di soluzioni e capacità di innovare (Blanchard, 2007, pp. 37-49).

Col passare del tempo, infatti, il team, si renderà conto che ciascun membro è dotato di competenze diverse (oltre che di attitudini, valori, personalità) in grado di dare risposta a problemi di natura diversi. Risulterà così vincente “l’uso efficace delle differenze” (Blanchard, 2007, p. 60).

Un team avanzato sarà così in grado di darsi quattro coordinate fondamentali:

  1. missione: al team deve essere molto chiara la propria missione e la sua finalità;

  2. processi operativi: per rendere efficace la sua azione, il team deve definire dei chiari processi in relazione a temi importanti (ad esempio come si organizza la programmazione, come si strutturano i colloqui con i genitori, ecc.);

  3. principi operativi: sono le regole su cui si basano la collaborazione fra i membri del gruppo e i loro rapporti reciproci;

  4. ruoli: è necessario, come già anticipato, che a ciascun componente del gruppo vengano affidati ruoli specifici (Blanchard, 2007, pp. 61-64)

Team docenti “creativi”

Un team in grado di divenire avanzato grazie a un mirato intervento di mentoring e raggiungere le competenze e i risultati appena descritti sarà anche un team che diverrà nel tempo sempre più competente nella ricerca di soluzioni “creative”, consolidando in questo modo la capacità di innovare il proprio contesto scolastico.
Anche ai vertici di molte organizzazioni mondiali[1] la creatività sta divenendo sempre di più oggetto di attenzione. Jaoui e Dell’Aquila, in proposito, hanno elaborato un modello a tre dimensioni che ci sembra adatto anche per la definizione e il consolidamento di un team di docenti creativo.

Il modello si chiama TME (Jaoui e Dell’Aquila, 2016, pp. 46-48) e l’acronimo indica tre dimensioni: Talento – Metodo – Energia.

Il Talento. Tutti gli individui potenzialmente sono dotati di creatività. Nondimeno gli insegnanti che, più di altri professionisti, conoscono quanto questo sia importante anche per lo sviluppo dei propri allievi.
Il Metodo. La creatività è ovviamente “di più di un insieme di tecniche”, in quanto si avvale di un percorso libero al quale non si danno espressamente dei vincoli, ma a un certo momento è necessario valutare le idee con molta attenzione, senza scartare nulla e analizzando molto bene quali di queste siano pertinenti alla risoluzione dei problemi che siamo chiamati a risolvere. È necessario, quindi, per un team che voglia essere creativo (e innovatore), anche agire con metodo.
L’energia. Sempre seguendo il modello TME (e riadattandolo al team docente), l’ultima dimensione, quella dell’energia, deve essere esercitata su tre livelli.

  1. Livello individuale: fisico e morale. Per agire con creatività è necessario che ciascun membro del team sia sicuro di poter agire sulla situazione e ottenere una risoluzione della situazione problematica.

  2. Livello di gruppo: cooperazione e spirito di squadra. Quando il team docenti è avanzato e quindi costituito in modo corretto e quando l’obiettivo da raggiungere risulta ben definito, le tecniche creative determineranno una mobilizzazione di tutti verso una vera e propria sinergia.

  3. Livello della società. La creatività promossa dal team docente avrà la capacità di promuovere innovazione e impattare sulla qualità dell’intero sistema scolastico.

Il team docenti creativo si caratterizzerà, così, come una learning organization, ovvero un team in grado di adottare una “programmazione del proprio lavoro fondata su comportamenti creativi da integrare fino a che diventino automatici” (Jaoui e Dell’Aquila, 2016, p. 67). Dovrà consolidarsi, detto altrimenti, la capacità di abbracciare e sperimentare nuove piste.

Team docenti “empowerizzati”

Terzo obiettivo di un processo di mentoring a scuola è quello di lavorare al fine di rendere il gruppo un team docenti “empowerizzato”. Un team docenti avanzato e creativo, infatti, non potrà che divenire anche un team consapevole del proprio potenziale individuale e collettivo, autoefficacie ed autoderminato. Bruscaglioni (2007) definisce l’empowerment:

  1. un approccio che ha il suo centro nella persona, considerata nella sua totalità, nella ricchezza e complessità del proprio essere, nell’insieme di tutti quei ruoli che nella propria vita (e quindi anche professione) si possono rivestire;

  2. una disciplina del passaggio dall’“Impossibile” al “Possibile” attraverso l’attivazione di tutte quelle risorse che fanno parte della propria persona;

  3. una possibilità che aiuta a “vedere” la propria professione in modo differente, ad “andare oltre”, in un processo continuo di apertura verso nuove possibilità (da raggiungere, chiaramente, grazie all’adozione di strumenti e di metodologie specifiche).

Il fatto di intraprendere percorsi di mentoring a scuola e avere, quindi, una figura deputata al ruolo di Mentor for teachers può significare per le scuole lavorare concretamente per promuovere nel team docente le competenze determinanti per degli insegnanti di “qualità”, ovvero quelle che Margiotta (1999, p. 51) definisce: riflessive e autocritiche (su se stessi e sul proprio operato), empatiche e gestionali; che Cerini (2009, p. 117) riscontra nel saper: fare buon uso del tempo a disposizione, costruire strette relazioni collegiali, padroneggiare diversi stili di interazione e avere sempre un comportamento orientato all’impegno; e che Perrenoud (2003), infine, inquadra nella costruzione e nel senso della professione docente: sapere affrontare i doveri e i dilemmi del proprio mestiere e saper gestire la propria formazione continua.

Bibliografia

Blanchard K. (2007), Un, due, tre squadra. Tre passi per creare un team vincente, San Francisco, Sperling & Kupfer.

Brookfield S. (2006), The skillful teacher, San Francisco, Jossey-Bass.

Bruscaglioni M. (2007), Persona Empowerment. Poter aprire nuove possibilità nel lavoro e nella vita, Milano, FrancoAngeli.

Cerini G. (2009), La questione insegnante: identità, formazione, sviluppo professionale, in F. Frabboni e M.L. Giovannini (a cura di), Professione insegnante. Un concerto a più voci in onore di un mestiere difficile, Milano, FrancoAngeli, pp. 109-121.

Ciantar A., Eesmaa I., Milana M., Lund L.S. e Valgmaa R. (2010), The art of being an adult educator: A handbook for adult educators-to-be, Copenaghen, Danish School of Education.

Cruickshank D. (1980), Learning is tough, Upper Saddle River, NJ, Prentice Hall.

Harvard Business Essentials (2005), Coaching e Mentoring, Monza, Etas.

Jaoui H. e Dell’Aquila I. (2013), 66 tecniche creative per formatori e animatori, Milano, FrancoAngeli.

Kram K.E. (1988), Mentoring at Work: Developmental Relationship in Organizational Life, New York University Press of America.

Kohn A. (1980), The brighter side of human nature: altruism and empathy in everyday life, New York, Basic Books.

Margiotta U. (a cura di) (1999), L’insegnante di qualità, Roma, Armando.

Mattoni D. (2008), Gli 8 passi per apprendere. Coaching per l’apprendimento, Milano, FrancoAngeli.

Perrenoud Ph. (2003), Costruire competenze a partire dalla scuola, Roma, Anicia (ed. or. 2000).

Wlodkowski R. (2008), Enhancing adult motivation to learn, a comprehensive guide for teaching all adults, San Francisco, Jossey-Bass.

 

[1] L’Istituto GIMCA – Gruppo Innovazione Management Creatività Applicata s.r.l – ha elaborato, in collaborazione con molte aziende importanti, un modello di TMC-Total Creativity Management. Questo processo sistemico di creatività si basa su un intervento di cinque tappe: 1. integrare le basi della creatività pratica; 2. applicare il metodo creativo; 3. utilizzare la Ricerca Creativa Integrata; 4. formare animatori interni; 5.  diffusione a tappeto della creatività per innovare. Si veda H. Jaoui e I. Dell’Aquila, 66 tecniche creative per formatori e animatori, Milano, FrancoAngeli, p. 45.

L’Istituto GIMCA è stato creato a Parigi nel 1973 da Hubert Jaoui ed è diventato operativo in Italia dal 1976. Interviene in tutta Europa come motore di innovazione presso aziende private e amministrazioni pubbliche. I suoi servizi si basano su quattro aree: comunicazione, training, marketing e management.

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