Vol. 21, n. 4, novembre 2022

RICERCHE, PROPOSTE E METODI

Per una nuova ecologia dell’inclusione

Il sistema scuola e gli assistenti specialistici all’autonomia e comunicazione

Paola Di Michele1 e Benedetta Zagni2

Sommario

«Per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio», recita un antico proverbio africano. È questo il nocciolo del concetto di ecologia dell’inclusione: insegnanti, assistenti educativi, famiglie, territorio, ASL, terapisti che, tutti insieme, fanno rete e predispongono un percorso di crescita condiviso e dialogico, ciascuno dalla propria professione e con le proprie competenze.

In questo contesto che posto hanno gli Assistenti specialistici all’autonomia e comunicazione?

C’è un prima e un dopo fra il 2020 e il 2022. L’impatto del Covid-19 ha rappresentato, per la maggioranza di questi operatori, la certificazione di un’estraneità dal mondo della scuola. Il servizio fu sospeso e allo stesso modo il diritto degli alunni con disabilità all’istruzione. A due anni dalla prima ricerca, abbiamo voluto vedere se, e in che modo, la situazione fosse cambiata.

Parole chiave

Ecologia dell’inclusione, Assistenti specialistici, Scuola, Disabilità.

RESEARCH, PROPOSALS AND METHODS

For a new ecology of inclusion

The school system and specialized assistants to autonomy and communication

Paola Di Michele3 and Benedetta Zagni4

Abstract

«It takes a whole village to raise a child», goes an ancient African proverb. This is the core of the concept of the ecology of inclusion: teachers, educational assistants, families, territory, ASL, therapists who, all together, network and set up a shared and dialogic path of growth, each from their own profession and with their own skills.

In this context, what place do specialist Autonomy and Communication Assistants have?

There is a before and after between 2020 and 2022. The impact with Covid 19 represented, for most of these practitioners, a certification of estrangement from the world of schooling. The service was suspended, and likewise the right of pupils with disabilities to education. Two years after the first research, we wanted to see whether, and how, the situation has changed.

Keywords

Ecology of inclusion, Specialist assistants, School, Disability.

Premessa

Il numero esatto degli assistenti specialistici che operano nelle scuole italiane non è del tutto chiaro. Si stima che siano fra le 60.000 e le 70.000 unità. Non è disponibile un dato esatto perché, come noto, questo personale è «sotto le dipendenze» degli Enti Locali che, come vedremo, in larghissima parte appaltano a terzi questo servizio. Né il Ministero dell’Istruzione né la stessa ISTAT (che enuncia un dato generico di «oltre 65.000 assistenti»), per via della frammentazione del settore e delle decine di denominazioni diverse che negli anni questa funzione ha assunto, nonché delle svariate amministrazioni competenti, è in grado di fornire un numero esatto. È però assai interessante una stima fornita dai tecnici Anci, Nutini e Ventura (Nutini e Ventura, 2019), che fotografa chiaramente l’incremento esponenziale di questi operatori nell’ultimo ventennio (figura 1 in Appendice).

Questi fondamentali dati comunicano qualcosa di importantissimo: a fronte di un numero di insegnanti di sostegno triplicato dal 1997 al 2018, il numero degli assistenti specialistici è decuplicato fino al 2018, per giungere a oggi, con i dati attuali, a un aumento di tredici volte. E questo dovrebbe essere sufficiente a comprendere l’importanza che questo personale ha progressivamente assunto ai fini del diritto costituzionale all’istruzione per gli alunni con disabilità.

A due anni dalla prima ricerca,5 abbiamo voluto vedere se, e in che modo, la situazione fosse cambiata. Abbiamo lanciato una seconda raccolta dati online nel periodo da maggio a giugno 2022 che ricalcava, quasi del tutto, il questionario precedente. Abbiamo ricevuto 442 risposte di assistenti all’autonomia e alla comunicazione provenienti da 16 regioni d’Italia, eccetto la Liguria, la Valle d’Aosta, il Molise e la Basilicata.

Una breve panoramica

Il quadro rappresentativo, che individua il campione di chi svolge la mansione di assistenza all’autonomia e alla comunicazione, ricalca in gran parte quello generale tipico delle professioni cosiddette di aiuto, con un pattern di risposte provenienti da 16 regioni d’Italia.

La grandissima maggioranza è femminile, con un dato schiacciante del 93% di donne (figura 2 in Appendice).

Il dato sull’anzianità di servizio è profondamente significativo del fatto che, anche in generale, le professioni a matrice sociale e educativa non consentono di farne il lavoro della vita, sia per ragioni puramente economiche, che di inquadramenti contrattuali e condizioni di lavoro, come vedremo in seguito. Il 28%, quasi un operatore su tre, svolge questa professione da meno di tre anni, mentre la media generale si attesta fra i cinque e i dieci anni. Significativo è il dato di chi arriva (quasi) a fine carriera, ossia il solo 5% con oltre vent’anni di servizio (figura 3 in Appendice).

Si tratta di un dato di non trascurabile importanza, perché segnale del fatto che riguarda una categoria che non riesce ad affermarsi come professione di dignità e autonomia sufficienti per impostare un discorso di lunga durata sul mercato del lavoro. Su questo potrebbero innestarsi anche altre considerazioni, a partire da un generale «allarme» sulla scomparsa delle figure educative (Premoli, 2022; Bellingeri, 2022).

Argomento particolarmente complesso è quello riguardante i titoli di studio (figura 4 in Appendice). Se, da un lato, la legge 104/92 ha istituito quella che potremmo definire una «mansione», al contempo la delega agli Enti Locali, secondo il principio di Sussidiarietà, ha consentito che i titoli di studio richiesti e le denominazioni locali si moltiplicassero in una Babele di denominazioni. Chiaramente, ciò ha contribuito a creare una grande confusione, oltre che significative disparità territoriali nell’erogazione del servizio, come nel caso della Campania, in cui è presente una proporzione di 1/12 operatore per alunni, a fronte del dato delle Marche di 1/2,8 (Rapporto ISTAT, 2022). Per comprendere il concetto di Babele dei titoli di studio, basterà portare tre esempi, riguardanti l’assistenza specialistica per gli alunni con disabilità psico-fisica: in Veneto, gli operatori che se ne occupano, hanno il titolo di Operatore Socio-Sanitario (OSS); nel Lazio, fra Regione e comuni, sono presenti ben sei denominazioni differenti, con criteri anche molto diversi; in Sicilia, secondo la Provincia, è richiesta la laurea L-19 in Scienze dell’educazione oppure il corso Asacom da circa mille ore.

In generale, nel nostro campione, il titolo più diffuso è quello triennale in Scienze dell’educazione, con il 25%, ma molto rilevante è quello dei titoli regionali aggiuntivi al diploma, del 18%.

Peraltro, i corsi regionali variano anche molto in durata: si va dal corso del Lazio di 330 ore a quello di Abruzzo o Campania di 600, fino a quello siciliano, appunto di 900. Altri titoli di studio molto rappresentativi sono la laurea magistrale in Psicologia (14%), in Scienze della formazione (9%), seguite da vari diplomi attinenti e dalle qualifiche nella Lingua Italiana dei Segni e Tiflologiche.

In ogni caso, la tendenza, nonché la richiesta di associazioni e famiglie è quella di una sempre maggiore specializzazione, a fronte però, di una situazione lavorativa sostanzialmente stagnante, precaria ed economicamente squalificante ancorché legata a quel CCNL delle cooperative sociali che stabilisce, come vedremo, retribuzioni orarie ampiamente sotto i dieci euro l’ora.

La sede di lavoro (figura 5 in Appendice) che più impiega questi operatori è la scuola primaria che, come si vede dal confronto con i dati forniti dal Ministero dell’Istruzione per l’a.s. 2020/2021, è il ciclo scolastico con il numero maggiore di alunni con certificazione di disabilità (figura 6 in Appendice).

Vanno fatte due precisazioni rispetto all’assegnazione delle sedi di lavoro. La prima, fondamentale, è che gli assistenti specialistici, essendo ad personam, possono lavorare in tutti i cicli di scuola e, molto spesso, svolgono lungo orario su più alunni in diversi plessi. Nella scuola primaria, le certificazioni sono più numerose, così come l’orario a tempo pieno. È dunque naturale che sia il ciclo scolastico che impiega il maggior numero di operatori. È, però, meno spiegabile la diminuzione di operatori alla secondaria di secondo grado. La seconda specifica riguarda proprio la differenza di ente gestore fra la scuola dell’obbligo e la secondaria di secondo grado. Esiste infatti, in linea generale, una suddivisione per cui gli assistenti che lavorano sulla disabilità psicofisica dall’infanzia alla secondaria di primo grado sono gestiti dai Comuni, mentre coloro che lavorano in secondaria di secondo grado e gli assistenti alla disabilità sensoriale visiva o uditiva dipendono dalle Città metropolitane o dalle regioni (nel Veneto, invece, la gestione è in capo alle ASL). In generale, in ogni caso, c’è una tendenza degli Enti Locali a «risparmiare» e attivare questo servizio ad anno scolastico già iniziato, a non attivarlo affatto o a dimezzare le ore a dispetto delle indicazioni del PEI, come testimoniato da diverse sentenze dei vari TAR regionali (Redazione di Disabili.com, 2022).

Infine, i dati sulla tipologia di disabilità (figura 7 in Appendice) confermano che la grande maggioranza degli operatori lavora sulle disabilità psico-fisiche, in particolar modo sui disturbi dello spettro autistico e sulla disabilità intellettiva. Come si vede dai dati ministeriali, le disabilità di tipo sensoriale assommano un 3% delle certificazioni totali (figura 8 in Appendice).

Après nous, le deluge: lo stato dei servizi scolastici a confronto con l’emergenza sanitaria Covid-19

C’è un prima e un dopo fra il 2020 e il 2022. L’impatto con il Covid-19 e la Didattica a Distanza (DAD) ha, per la maggioranza di questi operatori, rappresentato la certificazione (o forse, la conferma?) di un’estraneità dal mondo della scuola. Quello che accadde fin dall’inizio dell’emergenza sanitaria, fu che il servizio di assistenza all’autonomia e comunicazione venne sospeso quasi dovunque, e, contemporaneamente, non fu riattivato in DAD o solo molto parzialmente, con gli operatori che furono messi in Cassa Integrazione o con stipendi decurtati pagati dal Fondo Integrativo Sociale, istituto previsto per i lavoratori delle Cooperative Sociali.

Allo stesso modo fu leso il diritto degli alunni con disabilità all’istruzione, nonostante fosse stata prevista, a un certo punto, la possibilità di frequenza scolastica con piccolo gruppo di pari; possibilità che, quasi ovunque, non fu applicata. Da un lato, quindi, si è applicata la logica di risparmio da parte degli Enti Locali; dall’altro, i diritti di studenti prima e dei lavoratori poi, sono stati del tutto ignorati. La questione fondamentale che si pone è: a due anni di distanza da un momento di profonda crisi, che ha portato allo scoperto tutte le fragilità di un sistema relativo al servizio di assistenza specialistica, era lecito aspettarsi una presa di coscienza, un ripensamento da parte dei decisori politici?

Vediamo dunque i dati relativi alla questione. In caso di sospensione temporanea delle attività didattiche o di assenza per Covid-19, solo il 32% ha continuato a lavorare; nel 49% dei casi, ci sono state decurtazioni orarie o fantasiose riconversioni del servizio, che non hanno tenuto alcun conto delle indicazioni dei bisogni indicate nei PEI individuali (figure 9 e 10 in Appendice).

L’eventuale riattivazione del servizio è stata, in ogni caso, del tutto disomogenea ed è stata decisa, di volta in volta, da Enti committenti o da singole scuole, laddove è anche capitato che alcune scuole non ritenessero opportuno il coinvolgimento degli operatori nella DAD.

Una riflessione si pone dunque sulla questione correlata dell’«utilità fisica» di questi operatori, nella convinzione assolutamente diffusa che sia la «copertura» a scuola e le eventuali necessità organizzative, anche estranee ai compiti propri di queste figure (come vedremo rispetto alla questione dell’assistenza materiale), a dettarne l’importanza.

D’altronde, appare estremamente significativo il dato riguardante la fattispecie della continuità lavorativa in caso dell’assenza dell’alunno, da cui emerge come il 70% degli operatori sia stato semplicemente lasciato a casa senza stipendio o, nella peggiore delle ipotesi (ossia quella, assai frequente, di non aver ricevuto alcuna comunicazione), abbia lasciato il posto di lavoro una volta appurata l’assenza dell’alunno assegnato, con tutte le ricadute umane ed economiche che è possibile immaginare (figura 11 in Appendice). Come se il lavoro potesse essere considerato un momento estemporaneo legato alla «fisicità» dell’alunno e non comprendesse anche momenti di progettazione, condivisione, preparazione di spazi e materiali. Tutto questo si ricollega alla questione della reale funzione percepita di questi operatori, sia da parte delle amministrazioni pubbliche, sia, purtroppo, delle istituzioni scolastiche nelle quali operano.

L’impossibile rapporto fra welfare privato e istruzione pubblica

La particolarità del servizio di assistenza all’autonomia e alla comunicazione consiste soprattutto in quella definizione ormai del tutto desueta della legge 104/92, che lo designa con caratteristica ad personam e lo qualifica in senso puramente assistenziale, delegandolo quindi alla gestione degli Enti Locali. Si pongono qui due questioni. La prima è di ordine tecnico: si può ancora pensare nella moderna scuola dell’Inclusione a una figura che si occupi del solo studente con disabilità, avulso dal contesto? E ancora, quelle caratteristiche iniziali di assistenzialismo puro, sono virate negli anni verso funzioni educative assai più complesse, che hanno richiesto a questi operatori titoli di studio e specializzazioni lunghe e impegnative (tra l’altro, spesso — nel 41% del campione — a carico loro). Certamente, su questa necessità di una maggiore qualifica, sono stati complici anche i cambiamenti nella formazione degli insegnanti di sostegno, col passaggio dai lunghi percorsi di specializzazione mono e polivalenti, all’attuale percorso assai più breve e carente sotto il profilo, ad esempio, delle disabilità sensoriali. Basti pensare ai corsi ABA o sulla CAA, nonché i tre anni previsti per conseguire la necessaria qualifica sulla LIS (figure 12, 13 e 14 in Appendice).

La seconda questione, sicuramente più spinosa, è quella rappresentata dalle forme di delega di gestione del servizio. La miriade di Enti Locali che appalta il servizio è distribuita come indicato in figura 15 (in Appendice), in accordo con quanto detto prima in merito al fatto che la maggior parte del servizio è svolta nei cicli inferiori e su tipologie di disabilità di tipo psico-fisico.

In un rincorrersi di committenze intrecciate, le amministrazioni locali ricorrono (a parte l’esempio del Trentino, in cui gli operatori dell’assistenza scolastica sono organici agli Enti Locali in quanto personale interno) a forme di delega ed esternalizzazioni che si declinano soprattutto in tre forme:

  • appalto tramite bando a cooperative sociali;
  • accreditamento delle cooperative;
  • short list di professionisti a partita iva.

Quest’ultima modalità è sempre più residuale e limitata ad alcuni comuni, come ad esempio, Palermo e Reggio Calabria.

La prima modalità, l’appalto, è responsabile delle difficoltà a perseguire la continuità ed è caratterizzata da una modalità di gare al massimo ribasso. Il dato del 50% di appalti inferiori a tre anni è eloquente rispetto alla questione della continuità (figura 16 in Appendice).

L’accreditamento è invece la modalità prevista dalla legge 328/00 che consente di evitare la messa a bando dei servizi certificando standard di qualità che coinvolgano direttamente le famiglie nella verifica di qualità del servizio. Ma l’accreditamento, applicato al servizio di assistenza specialistica, pone due gravi problemi tecnici e pedagogici:

  1. la legge fa riferimento ai servizi di natura prettamente socioassistenziale, dimensione che più lontana non potrebbe essere da quella educativo-pedagogica, che caratterizza questa funzione attualmente;
  2. si pone una questione di opportunità nell’inserire la scelta delle famiglie nel sistema della pubblica istruzione, dal momento che, seppure da esterni, gli operatori dell’assistenza specialistica lavorano a scuola; in questo modo, rischiano di venire meno i principi di reciprocità e corresponsabilità educativa, dal momento che l’operatore di assistenza è «scelto» dalla famiglia (tacendo dell’ennesima forma di discriminazione fra lavoratori pubblici e lavoratori privati sottoposti al criterio di scelta privata).

Il rischio, evidente, è quello di strumentalizzazioni interne ed esterne, che vanno ad aggiungersi alle difficoltà di questi operatori di fare parte delle equipe scolastiche a pieno titolo. Inoltre, la committenza genitoriale diretta mina alla base il concetto di reciprocità e la necessaria equidistanza professionale che consente autonomia e responsabilità di giudizio.

La questione fondamentale rimane sempre il «potere contrattuale» di questi operatori rispetto alle condizioni contrattuali con i dipendenti pubblici della scuola (figure 17, 18 e 19 in Appendice). Il CCNL delle cooperative sociali, anche nella migliore delle ipotesi, ossia l’inquadramento D2, è ampiamente sotto i dieci euro/ora: per meglio comprendere, l’inquadramento contrattuale C1, corrispondente al 41%, equivale a una mansione da «operaio generico» con titolo di studio corrispondente alla terza media. La tipologia di contratti applicati è assai variabile. Un problema particolarmente pressante è la questione delle ore contrattualizzate, che troppo spesso non corrispondono alle ore effettivamente svolte. A fronte di retribuzioni particolarmente basse, il monte orario medio è inferiore alle 20 ore settimanali per il 43% del campione, rendendo formalmente impossibile svolgere unicamente questo lavoro, con tutte le ricadute professionali (per esempio, conciliare gli orari scolastici necessari e quelli invece possibili) del caso.

La questione del welfare legato al privato sociale merita alcune domande di approfondimento. È evidente, o dovrebbe esserlo, che le condizioni storiche che portarono alla nascita del sistema cooperativistico alla fine degli anni Settanta sono profondamente mutate. Le iniziali condizioni in cui piccole cooperative rappresentavano ideali di auto-mutuo-aiuto e supplivano alla mancanza di uno Stato Sociale vero e proprio, sono virate, nel corso degli ultimi decenni, verso un vero e proprio settore produttivo a regolamentazione fiscale agevolata. Esemplare il dato sul rispetto delle condizioni contrattuali previste dal CCNL di categoria (figure 20 e 21 in Appendice), da cui appare evidente come i diritti previsti siano rispettati solo in parte e mai tutti insieme.

Per quanto riguarda invece le questioni più tecniche, come le funzioni di coordinamento dei lavoratori, che rappresentano la vera «forza motrice» sul campo delle estensioni del sociale, la situazione non migliora, dato che solo il 37% dichiara che questo coordinamento sia realmente efficace in termini di supporto e informazione al lavoratore (figure 22 e 23 in Appendice).

Un esempio di quanto queste informazioni difficilmente arrivino correttamente agli operatori riguarda la chiarezza dei criteri in caso di assenza dell’alunno (figura 24 in Appendice).

Sul tema del supporto ai lavoratori, è di particolare rilevanza la questione della supervisione per la prevenzione del burnout, supervisione che rappresenta spesso un obbligo previsto dai bandi e dallo stesso accreditamento. La prevenzione del burnout è effettuata solo per il 21% del campione (figura 25 in Appendice).

E, da ultimo, l’art.1 del CCNL delle cooperative recita: «l’adesione alla cooperativa pone la socia-lavoratrice e il socio-lavoratore nel diritto dovere di disporre collettivamente dei mezzi di produzione e di direzione, di partecipare all’elaborazione e alla realizzazione dei processi produttivi e di sviluppo dell’azienda, di partecipare al rischio di impresa e quindi ai risultati economici e alle decisioni ad essi conseguenti, di contribuire economicamente alla formazione del capitale sociale, mettendo nel contempo a disposizione il proprio lavoro e le proprie capacità professionali», citazione necessaria per comprendere la natura solidaristica e mutualistica delle cooperative sociali, che si fonda sulla figura del socio-lavoratore. Ciononostante, il dato riguardante la percentuale di soci-lavoratori all’interno del campione esaminato è la fotografia impietosa di un sistema che andrebbe profondamente rivisto: solo il 38% è socio-lavoratore della cooperativa di cui, di fatto, è semplicemente un dipendente (figura 26 in Appendice).

Per un’ecologia dell’inclusione: assistenti parzialmente a scuola

Secondo la Teoria Ecologica (Brofenbrenner, 1979), ogni individuo è il frutto delle relazioni coi contesti o sistemi che lo circondano e che, al contempo, interagiscono fra loro e col bambino stesso. Del resto, un noto e saggio proverbio africano recita che «per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio». Per raggiungere obiettivi educativi, di crescita e sviluppo è assolutamente indispensabile che ogni persona implicata nel percorso dei bambini sia coinvolta e pienamente responsabilizzata nel ruolo che le è proprio. L’idea è proprio quella del capacity building, cioè di costruire capacità in tutti gli attori che hanno la responsabilità primaria — secondo la propria professionalità — di puntare alla crescita delle bambine e dei bambini. È chiaro che è un’idea che si scontra con l’attuale situazione nelle nostre scuole (e non solo): figure professioniste che si «appiccicano» alla persona con disabilità o bisogni educativi speciali e ci lavorano singolarmente. È ciò che è più lontano dall’orizzonte della corresponsabilità educativa, dalla creazione quindi di ecologie educative che si coordinano tra loro, sviluppando capacità e puntando a veri ambiti di funzionamento. Ciononostante, nessun risultato pedagogico è possibile senza un sistema educativo collaborante, una ecologia dell’inclusione, in cui a ciascuno, secondo il proprio ruolo, il proprio bagaglio formativo e tecnico sia assegnata una pari responsabilità e importanza. In una ecologia dell’inclusione non si è mai da soli, e proprio questo è il punto di forza. È una realtà fatta di tanti ecosistemi che sinergicamente collaborano insieme, si relazionano, prendono decisioni, agiscono, si confrontano e via dicendo (Ianes e Fogarolo, 2021). Si tratta di ecologie che si coordinano tra loro per supportare la scuola in diversi contesti, quindi, l’opposto di una visione di «orticelli separati» e, viceversa, una visione di integrazione che tenga conto della complessità dei processi inclusivi. Del resto, l’inclusione è di tutti gli attori che ruotano intorno alla scuola e all’extra scuola: insegnanti, operatori, assistenti ecc., sono tutti pienamente responsabili dei processi inclusivi (Ianes e Fogarolo, 2021). L’inclusione non può essere sempre una delega, un’idea che «tanto lo farà qualcun altro». Certo che per evitare meccanismi di delega, serve che ci sia pari coinvolgimento e pari trattamento degli attori coinvolti.

Su questo, un elemento cardine del concetto di inclusione è sicuramente il tema dell’equità, in cui a ciascuno è data, secondo le proprie capacità, la stessa possibilità degli altri. Ancora meglio sarebbe il concetto di giustizia, che potremmo paragonare all’idea di universalità. L’universalità, la giustizia, hanno il pregio di andare oltre, di modificare, di trasformare le radici, di arricchire o di rinnovare le fondamenta e cambiare il sistema affinché davvero tutte e tutti abbiano pari trattamento e accesso alle stesse possibilità. Ma questo è un altro discorso, ancora più profondo. A ogni modo, se applicassimo questo concetto di equità non ai nostri alunni ma alla situazione lavorativa degli assistenti educatori, sarebbe semplice comprendere in quale ostacolo si incappi nel raggiungimento di una compiuta ecologia dell’inclusione. Davvero nella quotidianità scolastica a tutti gli assistenti educatori sono date le stesse possibilità, anche in termini partecipativi? Dalla presente rilevazione emerge che la situazione non è così rassicurante.

La prima questione importante riguarda un aspetto assolutamente fondamentale che è quello relativo alla continuità dell’operatore (figura 27 in Appendice). Nel meccanismo dell’appalto esterno, che nel 25% dei casi è addirittura di un anno e comunque inferiore ai tre anni nel 50% del campione, la continuità educativa, così fondamentale per costruire Progetti di vita, è obiettivo quasi irraggiungibile.

Altro elemento di «iniquità» è rappresentato dalla pratica diffusa di «mandare via» l’operatore in assenza dell’alunno «assegnato». È controintuitivo cosa questo possa rappresentare sia a livello di dignità lavorativa ma anche agli occhi dei compagni di classe, o dei colleghi, che vedono apparire/sparire queste figure in funzione della presenza fisica dell’alunno con disabilità. Non solo, come illustrato in figura 11, la percentuale di operatori che non percepiscono retribuzione (ma che più correttamente vengono allontanati dalla scuola se l’alunno è assente) si attesta sul 70% del campione intervistato.

Altro aspetto cruciale riguarda la partecipazione degli assistenti educatori all’organizzazione scolastica negli aspetti più tecnici e programmatici. Qui, l’idea di ecologia dell’inclusione rimane sempre più platonica. La lettura dei dati seguenti, infatti, restituisce quasi l’immagine di professionisti del tutto estranei/esterni alle dinamiche conoscitive e gestionali che attengono alla progettazione educativa vera e propria, quasi che spesso il lavoro sia improvvisato secondo le necessità o i «compiti» indicati dall’insegnante curriculare o di sostegno, in una logica di subordinazione piuttosto che di scambio, co-progettazione e collaborazione.

Appare particolarmente significativo il dato relativo al «sentirsi parte» del team educativo-didattico (figura 28 in Appendice): solo 4 operatori su 10 sentono di appartenere al sistema di istruzione per cui, sostanzialmente, lavorano. Metà di loro si sente «parzialmente» parte, in una sensazione di spaesamento in cui gli assistenti specialistici sono, a tutti gli effetti lavoratori ospiti della Scuola italiana.

Esemplare è il dato riguardante la conoscenza della documentazione riguardante l’alunno seguito (figura 29 in Appendice). Solo un operatore su tre ha accesso alla documentazione che, in base ai protocolli delle scuole è praticamente irraggiungibile agli esterni (per un approfondimento si veda anche Ianes, Cramerotti, Fogarolo, 2022a; 2022b; 2022c; 2022d). Fra coloro che riescono ad accedere alle informazioni, la scuola è la fonte nel 43% dei casi, la famiglia nel 35%. Quindi, l’ente gestore e la cooperativa sono pochissimo o per nulla coinvolti in questi processi.

Se, complessivamente, migliora il dato sul coinvolgimento nel GLO (figura 30 in Appendice), resta pur sempre il dato incontrovertibile che, secondo il Decreto 182/20, art.3 c.2, gli assistenti specialistici sono «partecipanti» (non obbligatori), peraltro neanche nominati espressamente ma come generiche «figure esterne alla scuola».

Assai peggiore, invece, il dato sul coinvolgimento nella stesura del PEI (figura 31 in Appendice). Ricordiamo che il PEI non è un adempimento qualsiasi, ma uno strumento che è anche atto a valore giuridico che disciplina un progetto educativo delineato secondo specifici obiettivi, linee di indirizzo, strumenti, tipologie di valutazione. È dunque fondamentale che coinvolga tutte le figure coinvolte nell’inclusione scolastica per farsi strumento vivo e tangibile di come quell’inclusione può e deve essere raggiunta (Ianes, Cramerotti e Fogarolo, 2021). Purtroppo, solo il 41% del campione afferma di essere coinvolto nella stesura del PEI. Un 34% dichiara di esserlo «parzialmente». Come spesso accade, infatti, si viene coinvolti solo al momento della firma o per alcuni piccoli spunti.

Ma quali sono le cause di questo scarso coinvolgimento (figura 32 in Appendice)? Il 46% del campione dichiara di essere «escluso» da queste procedure dal Dirigente Scolastico; ugualmente significativo il dato che attribuisce al corpo docente il 39%. Fondamentalmente, si replica un modello di estraneità opposta all’appartenenza al Sistema nel quale l’operatore educativo è e resta un corpo estraneo all’Istituzione Scolastica, le cui funzioni rientrano spesso nel concetto di «copertura» oraria alternativa al sostegno che svuota completamente di senso pedagogico la progettazione educativa di spazi e risorse umane.

Per tornare a Brofenbrenner (1979), i sistemi, intesi come Scuola, famiglia, territorio, in questo quadro statistico sono compartimenti stagni, in contrapposizione anziché dialogo, in subordinazione anziché reciprocità. Quel modello Ecologico di inclusione è dunque poco realizzabile perché manca in questi dati il principio di equità di tutti gli operatori scolastici e, nello specifico degli assistenti educativi, nella realizzazione collaborativa e partecipe di un vero Progetto Educativo Individualizzato.

Analisi e prospettive: quale possibile futuro?

Per un’inclusione di qualità è necessario che il personale che la rende possibile sia parte di un Sistema integrato in cui ci siano chiarezza di ruoli e valorizzazione delle professionalità. Un progetto educativo che confluisca in un vero Progetto di vita necessita di alterità di sguardi verso obiettivi comuni. Ed è fondamentale che questi sguardi siano tutti alla stessa altezza per vedere chiaramente l’orizzonte futuro degli studenti.

Sotto l’aspetto della definizione del ruolo, il Profilo Unificato Nazionale degli assistenti specialistici all’autonomia e comunicazione, previsto dal DLgs 66/17 e dal DLgs 96/19, resta a tutt’oggi solo un’intenzione giuridica. La ricaduta principale della mancanza di chiarezza sul ruolo è una diffusa tendenza a utilizzare questo personale per le mansioni più svariate, dall’assistenza di base (di pertinenza dei collaboratori scolastici in base alla Circolare MIUR 3390/01) alla stessa didattica, in base alla sciagurata logica della «copertura» per cui queste figure vengono utilizzate in alternanza con gli insegnanti incaricati sul sostegno, per completare l’orario di frequenza dell’alunno. È altresì evidente come questa logica non faccia che moltiplicare all’infinito la delega dell’alunno con disabilità alle figure specialistiche, che, giova ricordarlo sempre, è alunno di tutta la classe in corresponsabilità educativa di tutti i docenti. Ancora, a distanza di 21 anni dalla Circolare 3390/01, che chiariva (o avrebbe dovuto chiarire) la differenza fra assistenza di base (compito degli Ata) e l’assistenza specialistica ai fini educativi, la situazione è critica (figure 33 e 34 in Appendice).

Secondo il campione oggetto di questa ricerca, il ruolo dell’assistente specialistico è chiaro alla scuola solo per il 20%, a dimostrazione di quanto affermato sopra (figura 35 in Appendice). Percentuali simili emergono rispetto alla consapevolezza delle famiglie in merito ai compiti e alle funzioni dell’assistente specialistico, con un dato leggermente migliore sulla voce «parzialmente» (che, comunque, continua a restituire questa immagine fumosa e indistinta) (figura 36 in Appendice).

Va detto, rispetto alle famiglie, che probabilmente molte meccaniche «burocratiche» interne sono spesso poco conosciute; inoltre, da parte di molte amministrazioni e scuole esiste una specie di riluttanza a favorire il rapporto fra assistenti e famiglie, che qui torna ad essere il ruolo «esterno» alla scuola. Giova ricordare che gli assistenti non partecipano agli incontri di ricevimento né hanno la possibilità di fare colloqui come accade per gli insegnanti. Non si comprende, dunque, come gli assistenti possano costruire la necessaria alleanza educativa con le famiglie. Alla domanda, cruciale, se il campione ritenga la gestione degli Enti Locali valida in termini di efficacia ed efficienza del servizio, la risposta è largamente negativa, con solo un 15% che risponde affermativamente (figura 37 in Appendice).

Ma la domanda veramente fondamentale, nel 2020 e, a maggior ragione a due anni di distanza dalla prima ricerca, è quella riguardante l’amministrazione che dovrebbe gestire il servizio di assistenza specialistica per l’autonomia e la comunicazione. La percentuale larghissima dell’86% dichiara che l’amministrazione del servizio dovrebbe ricadere sotto il Ministero dell’Istruzione, considerato ormai da tutti gli operatori come la «sede naturale» più adatta e qualificata a gestire il servizio (figura 38 in Appendice).

Ci sono condizioni di varia natura che suggerirebbero come naturale e scontata questa soluzione.

Innanzitutto, la presa d’atto che si tratta di un servizio indispensabile e ad alta qualificazione professionale, basata su una formazione che dovrà assumere sempre più profili altamente specialistici di tipo psico-pedagogico, per colmare quegli aspetti di valorizzazione socioaffettiva così fondamentali nell’ottica dell’ICF. In secondo luogo, la constatazione che la committenza esterna moltiplicata nei rivoli di appalti e accreditamenti diluisce la mission educativa e moltiplica le committenze stesse, confondendo e rendendo ambivalente la domanda iniziale di intervento (Carli e Paniccia, 2003). Infine, e non ultima la questione della garanzia del diritto, che attualmente è applicata in maniera intermittente dagli Enti Locali, con situazioni di piccoli territori dove il servizio non viene erogato affatto e altri che applicano la logica della quadratura del bilancio per effettuare tagli che nulla hanno a che vedere con la necessità reale.

Per chiarezza espositiva, è necessario ricordare come simili procedure di passaggio di personale da amministrazioni locali ad apparati statali siano già state fatte in passato: nel 2001 e nel 2019 (70.000 collaboratori scolastici comunali passarono sotto l’egida del MIUR e lo stesso accadde, per 35.000 lavoratori, nel 2019). Al momento, la spesa per effettuare il servizio, si aggira, per gli Enti Locali, in circa 21/23 euro l’ora, di cui circa 8/9 vanno all’assistente specialistico.

Ma prime e più importanti, del resto, vengono le considerazioni etiche: per costruire Inclusione, serve lavorare per cambiare le condizioni alla base del Sistema che dovrebbe produrla.

Da questa seconda indagine, infatti, emerge in modo evidente che il sistema attuale della cosiddetta «assistenza per l’autonomia e la comunicazione», per come viene appaltato, gestito, assegnato, coordinato e «inserito» nelle scuole, non funziona più, non attiva energie cooperative e, soprattutto, non produce Inclusione.

Serve, insomma, un ripensamento e una riforma radicale e coraggiosa, nella direzione di un’integrazione-internalizzazione nel sistema nazionale d’Istruzione.

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Deliberazione Assemblea Capitolina del 22 aprile 2022, n. 22, «Regolamento di Roma Capitale per il servizio educativo per l’autonomia degli alunni con disabilità», https://www.comune.roma.it/web-resources/cms/documents/Deliberazione_n._20-2022.pdf (consultato il 15 ottobre 2022).

Direttiva ministeriale del 27 dicembre 2012, «Strumenti d’intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica», https://www.miur.gov.it/documents/20182/0/Direttiva+Ministeriale+27+Dicembre+2012.pdf/e1ee3673-cf97-441c-b14d-7ae5f386c78c?version=1.1&t=1496144766837 (consultato il 15 ottobre 2022).

Legge 5 febbraio 1992, n. 104, «Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate», https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1992/02/17/092G0108/sg (consultato il 15 ottobre 2022).

Legge 8 novembre 2000, n. 328, «Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali», https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2000/11/13/000G0369/sg (consultato il 15 ottobre 2022).

MIUR (2012), Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione, https://www.miur.gov.it/documents/20182/51310/DM+254_2012.pdf/1f967360-0ca6-48fb-95e9-c15d49f18831?version=1.0&t=1480418494262 (consultato il 15 ottobre 2022).

APPENDICE

Figura 1

Alunni con sostegno, insegnanti di sostegno, assistenti per l’autonomia negli anni scolastici 1997-1998 e 2017-2018 (Anci, Nutini e Ventura, 2019).

Figura 2

Analisi del campione: sesso di appartenenza.

Figura 3

Analisi del campione: anzianità di servizio.

Figura 4

Analisi del campione: titolo di studio.

Figura 5

Analisi del campione: sede di lavoro.

Figura 6

Alunni certificati per ciclo scolastico (dati MI).

Figura 7

Analisi del campione: Tipologia di utenza.

Figura 8

Disabilità certificate (dati MI).

Figura 9

Sospensione del servizio causa positività dell’alunno o alunna.

Figura 10

Modalità di riconversione del servizio.

Figura 11

Retribuzione in caso di assenza dell’alunno o alunna.

Figura 12

Analisi del campione: aggiornamento/formazione dal 2019 al 2021.

Figura 13

Analisi del campione: formazione in servizio.

Figura 14

Analisi del campione: spese di aggiornamento professionale.

Figura 15

Analisi del campione: ente locale appaltatore del servizio.

Figura 16

Durata complessiva dell’appalto.

Figura 17

Analisi del campione: inquadramento contrattuale retributivo.

Figura 18

Analisi del campione: numero di ore assegnato per contratto.

Figura 19

Analisi del campione: numero di utenti affidati.

Figura 20

Rispetto delle condizioni contrattuali previste dal CCNL.

Figura 21

Accesso al pasto in servizio.

Figura 22

Analisi del campione: efficacia delle comunicazioni e del coordinamento della cooperativa.

Figura 23

Analisi del campione: efficacia del supporto tecnico-metodologico in cooperativa.

Figura 24

Analisi del campione: chiarezza dei criteri di committenza in caso di assenza dell’alunno o alunna.

Figura 25

Analisi del campione: prevenzione del burnout.

Figura 26

Analisi del campione: percentuali di socio-lavoratori in cooperativa.

Figura 27

Analisi del campione: continuità didattica in seguito al cambio di appalto.

Figura 28

Analisi del campione: appartenenza all’équipe e istituzione scolastica.

Figura 29

Analisi del campione: conoscenza delle informazioni dell’utente affidato.

Figura 30

Analisi del campione: partecipazione al GLO.

Figura 31

Analisi del campione: coinvolgimento nella stesura del PEI.

Figura 32

Analisi del campione: causa del mancato coinvolgimento nella stesura del PEI.

Figura 33

Analisi del campione: servizi svolti di assistenza materiale e igiene.

Figura 34

Analisi del campione: somministrazione di farmaci e altre funzioni sanitarie.

Figura 35

Analisi del campione: chiarezza del ruolo dell’assistente all’autonomia e comunicazione alla scuola.

Figura 36

Analisi del campione: chiarezza del ruolo dell’assistente all’autonomia e comunicazione alla famiglia.

Figura 37

Analisi del campione: percezione dell’efficacia ed efficienza del servizio gestito dagli Enti Locali.

Figura 38

Analisi del campione: chi dovrebbe gestire il servizio di assistenza?


1 Psicologa clinica, formatrice, insegnante specializzata sul sostegno, già assistente all’autonomia e comunicazione.

2 Dottoressa in Psicologia dello Sviluppo e dell’Educazione, perfezionata con un master nei Disturbi Specifici dell’Apprendimento. Attualmente Dottoranda in Psychological Sciences (Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione, Università degli Studi di Padova) in collaborazione con la Ricerca & Sviluppo del Centro Studi Erickson.

3 Psychologist.

4 Researcher.

5 Si veda l’articolo di Di Michele P., Disabilità e inclusione scolastica. Una ricerca sugli assistenti all’autonomia e alla comunicazione, pubblicato su questa Rivista (vol. 19, n. 3), https://rivistedigitali.erickson.it/integrazione-scolastica-sociale/it/visualizza/pdf/2020 (consultato il 15 ottobre 2022).

Vol. 21, Issue 4, November 2022

 

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