Vol. 21, n. 4, novembre 2022

PRECURSORI

Fare la cosa giusta

Il pensiero militante di Cyril L.R. e Selma James

Martina De Castro1

Sommario

La scelta di dedicare questa sezione dei precursori e delle precorritrici dell’inclusione a Cyril Lionel Robert James e a Selma James — stesso cognome, in quanto furono sposati per alcuni anni — è dovuta alla loro capacità di anticipare gli eventi con una lungimiranza che ha pochi eguali. Pioniere degli studi postcoloniali e dei cultural studies, lui, pioniera del costrutto di «sesso-razza-classe» e degli studi intersezionali, lei, i due hanno dedicato la loro vita a indagare ciò che rende ciascun essere umano «diverso» o «uguale» agli altri e come la differenza identitaria si trasformi in disuguaglianza sociale. Militando entrambi della Johnson-Forest Tendency, organizzazione operaia americana nata negli anni Quaranta, CLR ha tentato, attraverso la propria pigmentazione deviante e la propria appartenenza alla cultura occidentale e bianca, di rendere centrale nel dibattito dei colonizzatori la black matters facendo convergere le variabili di razza e classe; Selma, donna, operaia e madre single, ha provato a dimostrare come, nelle società capitaliste, le differenze biologiche divengano differenze sociali. Facendo riferimento contemporaneamente all’individuale e al collettivo, al personale e al sociale, il pensiero dei James ci sembra particolarmente suggestivo, oltre che efficace in termini interpretativi, perché ci offre una chiave di lettura moltitudinaria dei fenomeni.

Parole chiave

CLR James, Selma James, Black matters, Sesso-razza-classe, Studi intersezionali.

Pioneers

Do the Right Thing

The militant thinking of Cyril L.R. and Selma James

Martina De Castro2

Abstract

The choice to dedicate this section of the pioneers of inclusion to Cyril Lionel Robert James and Selma James — same surname, as they were married for a few years — is due to their ability to anticipate events with a foresight that has few equals. Pioneer of postcolonial studies and cultural studies, he, pioneer of the construct of «sex-race-class» and intersectional studies, she, the two dedicated their lives to investigating what makes each human being «different» or «equal» to others and how identity difference turns into social inequality. Both militants of the Johnson-Forest Tendency, an American workers’ organisation founded in the 1940s, CLR attempted, through his own deviant pigmentation and his belonging to western and white culture, to make black matters central to the settlers’ debate by converging the variables of race and class; Selma, a woman, worker and single mother, tried to demonstrate how, in capitalist societies, biological differences become social differences. By referring simultaneously to the individual and the collective, the personal and the social, the James’s thought seems to us particularly suggestive, as well as effective in terms of interpretation, because it offers us a multitudinous key to understanding phenomena.

Keywords

CLR James, Selma James, Black matters, Sex-race-class, Intersectional studies.

Premessa

La psicologia stessa è per sua natura uno strumento importantissimo di manipolazione, cioè di controllo sociale, di uomini, donne e bambini. Non acquista una natura diversa quando è nelle mani di donne di un movimento di liberazione. Al contrario. Nella misura in cui lo permettiamo, sarà il movimento a essere manipolato e stravolto per assecondare le esigenze della psicologia. E non solo della psicologia.

La liberazione delle donne richiede:

– la distruzione della sociologia quale ideologia dei servizi sociali che si fonda sul presupposto che questa società è la norma; chi si ribella è deviante.

– la distruzione della psicologia e psichiatria impiegate senza risparmio a convincerci che i nostri «problemi» derivano da nostre turbe personali e che dobbiamo adattarci a un mondo pazzo. Queste cosiddette «discipline-scienze» tenderanno sempre più ad assorbire le nostre richieste allo scopo di incanalare le nostre energie in modo più efficace e di renderle innocue sotto il loro controllo. Se non prenderemo provvedimenti nei loro confronti, esse li prenderanno nei nostri.

– il discredito una volta per tutte degli assistenti sociali, degli educatori progressisti, dei consulenti matrimoniali e di tutta questa genia di esperti il cui compito è di far funzionare all’interno del quadro sociale uomini, donne e bambini, ognuno con il suo tipo particolare di lobotomia frontale (James, 1971, pp. 197-198).

Il brano è tratto da The American Family: Decay and Rebirth del 1971 di Selma James, militante della Johnson-Forest Tencency (J-FT), fondatrice dell’International Wages for Housework Campaign e, attualmente, coordinatrice internazionale del Global Women’s Strike. Con queste parole, oltre cinquanta anni fa, la James metteva in discussione la psicologia, la psichiatria, la sociologia quali scienze a cui è attribuito il potere di stabilire cosa è normale e cosa no, quali comportamenti, sulla base del proprio ruolo sociale — definito sulla scorta di variabili identitarie quali sesso/genere, razza, classe sociale, età —, sono accettabili e quali, invece, vanno «estirpati». Anticapitalista e femminista, è stata tra le prime pensatrici a sostenere che la famiglia e le istituzioni in generale, oltre a possedere un’autorità normalizzatrice sono fabbrica-sociale di riproduzione della forza-lavoro. Essendo mutato il rapporto tra capitale e lavoro — ogni nostra azione è mercificata — la «fabbrica sociale» non struttura solo il lavoro ma la nostra intera vita. Seguendo questa logica, anche le scuole formano le nuove generazioni al lavoro e, soprattutto, le indottrinano: «La regola del capitale attraverso il salario costringe ogni persona abile a funzionare secondo la legge della divisione del lavoro, e a funzionare in modi che sono, anche se non immediatamente, vantaggiosi per l’espansione e l’estensione della regola del capitale. Questo, fondamentalmente, è il significato della scuola. Per quanto riguarda i bambini, il loro lavoro sembra essere un apprendimento a loro vantaggio» (James, 1974, p. 93).

Oltre che per questa critica all’istituzione familiare e al sistema educativo, abbiamo scelto di dedicare questo spazio a Selma James per la sua capacità di condurre un’analisi del costrutto di «sesso-razza-classe» molto prima che, negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, fosse riconosciuto come approccio analitico. Le intuizioni di Selma sono da porre in dialogo con il pensiero di Cyril Lionel Robert James (CLRJ), suo secondo marito, figura di riferimento della cultura caraibica postcoloniale e dei cultural studies. Nato nella colonia britannica di Trinidad, le sue idee, le sue teorie, i suoi scritti si radicano nel pensiero occidentale bianco, nel quale viene istruito e formato, ma il colore della sua pelle è lì a ricordargli che ne è membro marginale, secondario, non conforme. Per tale ragione, ha dedicato gran parte della propria vita a individuare i possibili punti di giunzione tra le questioni inerenti alla classe sociale e alla razza. CLRJ, in effetti, ha operato una rilettura della storia, della cultura e del capitalismo occidentali attraverso la lente della nerezza e, di conseguenza, ha avuto come riferimento intellettuali radicali come Marcus Garvey, George Padmore, W.E.B. DuBois e Aimé Cesaire, protagonisti della lotta contro la schiavitù e il colonialismo. Cyril James è riconosciuto come fondatore di una propria corrente marxiana — quella che oggi viene definita come Jamesiana o come «marxismo nero» (Bogues, 1997), i cui punti fondamentali vengono delineati nel periodo della J-FT. L’importanza di CLRJ, però, va ben oltre la questione coloniale. Dotato di una fervida curiosità intellettuale, nel corso della sua lunga vita si è interessato di filosofia, arte, letteratura, musica (specie quella classica), cinema, ma anche gossip, sport (cricket, baseball e football, che trovava violento).

Il pensiero dei James, dunque, ci sembra particolarmente suggestivo e efficace in termini interpretativi, perché ci permette di fare riferimento contemporaneamente all’individuale e al collettivo, all’interno e all’esterno, al personale e al sociale. Solitamente, un gruppo sociale omogeneo è composto da singoli individui che hanno subito le medesime influenze socio-culturali e che, pertanto, condividono la stessa lingua, gli stessi segni e simboli interpretativi, la stessa cultura; oppure possono essere accomunati dall’appartenenza a uno specifico genere o classe sociale, dall’avere lo stesso colore di pelle o le stesse dis/abilità. La moltitudine, viceversa, racchiude al proprio interno una grande quantità di individui dissimili, essendo basata sul principio dell’eterogeneità più che su quello dell’uguaglianza. Cyril e Selma sono stati magnifici interpreti di questa moltitudine: lui, nero, ha tentato, attraverso la propria pigmentazione deviante e la propria appartenenza alla cultura occidentale e bianca, di rendere centrale nel dibattito dei colonizzatori la black matters, facendo convergere le variabili di razza e classe sociale; lei, donna, operaia e madre single, ha provato a dimostrare come, nelle società capitaliste, le differenze biologiche divengano differenze sociali, dando voce a quello che CLRJ chiamava third layer, quel «terzo strato» che include tutte le soggettività oppresse.

I presupposti teorici da cui muovono gli approfondimenti dei due James ci sembrano strettamente interconnessi con i temi dell’inclusione e con la prospettiva di analisi critica intersezionale. Per tale ragione, rispettando l’ordine cronologico, inizialmente approfondiremo l’intreccio tra le tappe fondamentali del percorso esistenziale di CLRJ e l’evoluzione del suo pensiero, evidenziando, in particolare, come l’esperienza personale giochi un ruolo fondamentale nel processo di maturazione intellettuale. In seguito, approfondiremo la vita di Selma James, facendo emergere il suo debito nei confronti delle elaborazioni teoriche del marito e della Johnson-Forest Tendency, ma ponendo l’accento sugli elementi di originalità delle sue riflessioni.

CLR James, l’intellettuale nero con la valigia

Cyril Lionel Robert James nasce il 4 gennaio 1901 a Tunapuna, nella colonia britannica di Trinidad, nelle Indie occidentali. Il nonno paterno, lavorando in una tenuta di zucchero come bollitore — posizione solitamente occupata da bianchi — riesce a emergere dalla classe medio-bassa, mentre il padre, Robert, si afferma nella comunità come insegnante. La madre, Bessie, che James (1995) descrive come una donna molto bella e un’instancabile lettrice, è figlia di Josh Rudder, un protestante originario delle Barbados, che lavora come motorista della ferrovia che collega Port of Spain a San Ferdinando vantandosi di essere il primo uomo di colore a svolgere quella mansione. Lo stile di vita e la casa dei James non sono paragonabili a quelli dei vicini, persone la cui pelle ha molteplici sfumature di nero, impiegate principalmente nelle piantagioni di canna da zucchero. A Trinidad, in effetti, il successo sociale si correla al colore della pelle: al vertice vi sono i bianchi, possessori di enormi appezzamenti di terra coltivata a zucchero; seguono i funzionari coloniali britannici, gli ex schiavi neri e gli indiani, le cui condizioni di lavoro sono assimilabili a quelle degli schiavi. La famiglia James, invece, appartiene alla middle class nera, la quale seppur deprivata di potere economico ha trovato riscatto nella vita intellettuale e nell’insegnamento. Per questo è riconosciuta e rispettata (anche dal vicario inglese della chiesa locale) e riesce, almeno in parte, a superare la «linea del colore». CLRJ cresce in questo contesto, curando sin da piccolo le sue due grandi passioni, la lettura e il cricket. Grazie alla madre, scopre i classici — Scott, Thackeray, Dickens, Stevenson, Charlotte Brontë, Brame, Balzac, Hawthorne e, soprattutto, Shakespeare — e, al contempo, da una delle finestre di casa segue le gesta della squadra di cricket dei Tunapuna C.C.

In questa fase, la sua nerezza non è né un ostacolo né oggetto di stigma. Anzi, a soli nove anni vince l’accesso al Queen’s Royal College, istituto dalla forte etica arnoldiana.3 Inizialmente si adatta ai ritmi serrati imposti dalla scuola, ma ben presto le rigide regole e l’impostazione inflessibile del programma iniziano a pesare e anche il rendimento ne risente. Se a scuola si applica poco e la condotta desta preoccupazione nei genitori, CLRJ è invece assorbito dalle letture personali e dal cricket, sport che gli offre la possibilità di comprendere la composizione delle differenti anime di Trinidad, ma anche di controllare i propri impulsi.

Eravamo una ciurma eterogenea. I figli di alcuni ufficiali e uomini d’affari bianchi, neri e mulatti della classe media, cinesi, i cui genitori in alcuni casi parlavano ancora con difficoltà l’inglese, indiani, i cui genitori spesso non lo parlavano affatto, e alcuni ragazzi poveri che avevano vinto la borsa o i cui genitori dopo aver fatto la fame e sgobbato sulla terra stavano spendendo i loro sudati risparmi per fornire un’educazione al figlio maggiore. Eppure imparammo rapidamente a obbedire alla decisione del guardalinee senza fare domande, per quanto potesse essere ingiusta. Imparammo a giocare per la squadra, che significava subordinare le inclinazioni e addirittura gli interessi personali per il bene del gruppo. Tenevamo la bocca chiusa senza lamentarci del fato avverso. Non ci lamentavamo degli errori, ma ci veniva da dire piuttosto «ci ho provato» o «che sfortuna». Eravamo generosi con gli avversari e ci congratulavamo per le loro vittorie, anche quando sapevamo che non le meritavano. Vivevamo in due mondi. In classe l’eterogeneo miscuglio di Trinidad era battuto, scosso e ridotto a una qualche forma d’ordine. Sul campo da gioco facevamo quello che andava fatto. Non tutti osservavano le regole. Ma la maggior parte dei ragazzi lo faceva. I migliori e i più rispettati erano proprio quelli che lo facevano sempre. [...] Dopo un po’ di anni di vita scolastica questo codice è diventato la cornice morale della mia esistenza. Non mi ha mai lasciato. L’ho imparato da bambino, gli ho obbedito da uomo, e ora non posso più prendermi gioco di esso (James, 2006, pp. 57-58).

Quello del cricket è il primo campo sul quale James forma i principi fondamentali della sua politica, sebbene ben presto l’etica del fair play comincia a stridere con il suo pensiero più militante.

Si diploma nel 1918 e, nel tentativo di raggiungere la madrepatria — verso la quale prova una forte fascinazione — tenta di arruolarsi nelle truppe di sua maestà. Il colore della pelle, però, rappresenta ancora un confine invalicabile e per questo è respinto. Rimasto a Trinidad, diviene insegnante di storia. Nonostante le letture — James (2006) confessa di aver letto i classici della teoria pedagogica e di essersi interessato ai sistemi educativi, specie a quello greco — e la propria storia di vita, CLR si adatta a seguire il programma imposto dai colonizzatori.

Come altri insegnanti di storia «nativi» che, in piccolo ma crescente numero, stavano sostituendo gli insegnanti britannici espatriati nelle scuole coloniali, James doveva insegnare la storia da libri che sorvolavano sulle crudeltà che la conquista dell’Africa e dell’India e l’insediamento delle isole caraibiche avevano comportato. Come poteva l’insegnante «nativo» che maneggiava e trasmetteva questi testi non avere un senso di disagio? Ci si aspetterebbe che un insegnante nella posizione di James si fosse segretamente ribellato all’intero progetto e avesse adottato, almeno clandestinamente, l’incipiente nazionalismo che stava venendo alla luce in tutte le società coloniali. James, tuttavia, non mostrava un tale disagio. Quando gli chiesi, a ottant’anni, come avesse incorporato questo paradosso, mi rispose semplicemente: «Non ci stavo pensando. Il mio compito era quello di insegnare quei libri e quella storia come l’hanno scritta gli inglesi ed è quello che ho fatto» (Dhondy, 2001, pp. 17-18).

In effetti, il giovane intellettuale e giocatore di cricket è l’esito di un certo mondo: istruito in una colonia britannica, frequenta una scuola dove gli insegnanti sono prevalentemente inglesi e si forma su libri scritti da bianchi, ossia i dominatori. Anche i classici che lo affascinano fanno riferimento a contesti differenti da quello coloniale, veicolando la cultura della madrepatria. Solo in seguito James inizia a reinterpretare in senso critico la cultura nella quale è cresciuto, pur continuando a subirne una certa seduzione e non rinnegando che in essa affondino le proprie origini culturali.

Intorno al 1920, i lavoratori neri di Trinidad cominciano a ribellarsi per ottenere miglioramenti nelle condizioni di vita e lavorative. Questi eventi risentono della Rivoluzione russa del 1917 ma, soprattutto, del diffondersi dell’UNIA, l’associazione garveyista.4 Durante la Prima guerra mondiale, poi, numerosi soldati delle indie occidentali si arruolano volontariamente nell’esercito britannico. Stanziati in Italia e senza il permesso di combattere, danno vita alla Carribean League con l’obiettivo di creare un’unione tra le isole dell’India occidentale e avanzare richieste di autogoverno da parte della popolazione nera (Bogues, 1997). Nonostante il fermento, il giovane Cyril è ancora più interessato alla letteratura che alla politica. Così, mentre nel 1919 il capitano Cipriani5 guida le sommosse per chiedere riforme, James fonda con un gruppo di amici, in prevalenza bianchi,6 il Maverick Club, con l’intento di scambiarsi idee, libri e manoscritti. Con Mendes, nel 1929, James fonda la rivista Trinidad che, nel 1931 e dopo soli due numeri, è assorbita da The Beacon, curata da Albert Gomes. James sulle pagine di queste riviste racconta la vita dei neri di Trinidad e risponde a tono alla letteratura imperialista bianca, assumendo posizioni sempre più radicali. La prima novella firmata da James, La divina pastora, è pubblicata nell’ottobre 1927 sul britannico Saturday Review e, poi, ripubblicata l’anno seguente in Inghilterra tra le Best Short Stories. Seguono Turner’s Prosperity e Triumph, apparse su Trinidad. Negli scritti giovanili compaiono in nuce alcune tesi che saranno delle costanti letterarie, ma anche politiche del pensiero jamesiano. In primo luogo, l’idea che siano gli esseri umani a dare forma al contesto ma che sia vero anche il contrario; un’intuizione ripresa e approfondita dopo la lettura di Marx e splendidamente riassunta ne I giacobini neri «Eppure non fu Toussaint a fare la rivoluzione, ma la rivoluzione a fare Toussaint. E neanche questa è la piena verità» (James, 2015, p. 23). In secondo luogo, l’interesse per le classi più povere (nutrita dal fatto di appartenere alla classe media e intellettuale nera in una società fortemente gerarchica), così come la rivendicazione da parte dei neri, discendenti di schiavi africani, di essere oramai occidentali per sensibilità e cultura (coloni e colonizzati sono uguali e, pertanto, il sistema coloniale non ha ragione d’esistere).

Anche il cricket ha un ruolo fondamentale in questo risveglio politico di CLRJ. Del resto, è proprio giocando che James si scontra con il problema della razza. Dopo aver militato per una stagione in un club di seconda classe, la possibilità di scegliere una squadra di prima fascia lo mette di fronte alla scoperta che i club rispecchiano alla perfezione le divisioni della società di Trinidad: c’è la squadra di bianchi ricchi, in cui spicca qualche mulatto benestante, ma in cui i neri sono una rarità (il Queen’s Park Club), c’è quella bianca e cattolica (The Shamrock Club), quella delle forze di polizia (la Constabulary), quella plebea, costituita da neri con un basso status sociale (la Stingo), quella della brown-skinned middle class (la Maple) e quella dei neri della bassa classe media (la Shannon). Alla fine, e con non pochi dubbi, spinto soprattutto dal desiderio di ottenere riconoscimento sociale, James sceglie la Maple, nella quale è accettato in quanto insegnante e uomo colto, nonostante il resto della squadra sia costituta da giocatori con la pelle più chiara della sua.

Nel 1929 James sposa Juanita, una ragazza per metà cinese e per metà creola, con la quale si separa nel 1932, anno in cui salpa per l’Inghilterra. La spinta ad abbandonare Trinidad, all’età di 32 anni, la fornisce l’amico e giocatore di cricket Learie Constantine.7 Cyril, sportivo, intellettuale e scrittore, porta nella valigia il manoscritto di una novella e quello di The Life of Captain Cipriani: The Case For West Indian Self-Government. Per alcune settimane resta a Londra frequentando circoli letterari; poi, a corto di denaro, si trasferisce a casa di Learie Constantine a Nelson, Lancashire, e inizia a seguire gli incontri del Labour Party (LP) e dell’Indipendent Labour Party (ILP), fazioni opposte del movimento dei lavoratori.

Consigliato dagli amici del LP e dell’ILP, legge Storia della Rivoluzione russa di Trotskij, i lavori di Lenin e Stalin, Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte di Karl Marx e uno dei volumi de Il Capitale (gli altri due li legge tra il 1938 e il 1939). Con il trasferimento in Gran Bretagna e aderendo al movimento trotskista, James approda alle tesi marxiste, ma lo fa da intellettuale anti-coloniale. Nel frattempo, per rendersi economicamente indipendente, lavora come corrispondente di cricket per il Manchester Guardian nelle stagioni 1933-1935, mentre nel 1936 passa al Glasgow Herald. Questo lavoro gli permette di viaggiare per l’Inghilterra e la Scozia e di trasferirsi a Londra, dove incontra personalità di spicco come George Padmore,8 che lo esorta a aderire al movimento panafricano. A metà degli anni Trenta, James è ormai deluso dalle posizioni del Comintern nei confronti del colonialismo: se nelle colonie aumenta il nazionalismo anti-coloniale, il Comintern sembra interessarsene poco. Per queste ragioni molti radicali neri, tra i quali Padmore, lasciano il partito e in Inghilterra danno vita all’International African Friends of Abyssinia, che ben presto vive la scissione di un’ala più radicale. Nel 1936, James, Padmore, Amy Ashwood Garvey, Ras Makonnen e Jomo Kenyatta,9 danno vita all’International African Service Bureau (IASB), organizzazione non partitica a supporto dei diritti, delle libertà democratiche e dell’autodeterminazione dei popoli. Insieme a Amy Ashwood, James inaugura il giornale International African Opinion, in aperta polemica con l’evoluzione coloniale della politica occidentale, in particolare con Mussolini che nell’ottobre del 1935 aveva attaccato l’Etiopia.

Nonostante l’impegno politico, James pubblica il suo unico romanzo, Minty Alley (1936). Nel 1959, Warburg così scrive di James:

Nonostante l’atmosfera di odio e di arida disputa nei suoi scritti, James era una delle personalità più piacevoli e alla mano che io abbia mai conosciuto, esuberante in molti sensi. Un Negro delle Indie Occidentali, di Trinidad, alto un metro e ottanta nei suoi calzini e molto bello. La sua memoria era straordinaria. Poteva citare a memoria non solo passaggi dai classici marxisti, ma anche lunghi estratti da Shakespeare, in un morbido e ritmato inglese che era un piacere ascoltare. Estremamente amabile, gli piacevano i locali a luci rosse capitalisti, il buon cibo, i bei vestiti, gli accessori ricercati e le belle donne, senza una traccia del rimorso colpevole che ci si sarebbe aspettati da un combattente esperto della guerra di classe… se gli parlavi di qualche nuovo ragionamento comunista, ti ascoltava con un sorriso di infinita tolleranza sul suo volto nero, agitava il dito indice della sua mano destra solennemente e annunciava in tono comprensivo — «lo sappiamo, lo sappiamo» (Warburg, 1959, p. 214).

Nel 1937, in soli tre mesi, James scrive World Revolution, 1917-1936, nel quale descrive la nascita e la corruzione della Terza Internazionale. Su questo libro, che introduce nel dibattito politico il tema del colonialismo, piovono numerose critiche e il Partito Comunista si rifiuta di divulgarlo. In effetti, i temi della razza e dello sfruttamento coloniale erano ignorati tanto dal PCUS quanto dal movimento trotskista che, se da un lato promuove la diffusione della rivoluzione in tutto il pianeta, dall’altro non contempla la questione coloniale nella propria agenda politica. James introduce invece questi temi, raccontando la storia delle rivolte delle Indie occidentali, a partire da quella di Santo Domingo, avvenuta in contemporanea con la Rivoluzione francese, e guidata dall’ex schiavo Toussaint L’Ouverture. La ricognizione storica di CLRJ sulla schiavitù e sul mondo coloniale evidenzia:

da un lato, il riscatto della soggettività dello schiavo. Una soggettività della rivolta e della diserzione, che si costituisce sulle navi e attraverso l’intero ciclo atlantico della tratta degli schiavi. Dall’altro la perfetta consapevolezza, imposta alle stesse strutture burocratiche del movimento operaio americano e internazionale, che il lavoratore nero è un autentico prodotto sociale dell’organizzazione americana del lavoro e dei rapporti di classe che la governano. [...] L’internità dei neri alla storia globale — fatta di un protagonismo che James rivendica contro il silenzio imposto dal colonialismo implicito nel discorso occidentale — insedia la soggettività dello schiavo come motore della lotta abolizionista e quindi nel cuore propulsivo della battaglia per l’uguaglianza e contro lo sfruttamento. [...] Che il lavoratore nero rappresenti il prodotto sociale della colonizzazione significa, in modo del tutto simile, che il farsi della civiltà americana — e occidentale tout court — è strettamente innestato sul complesso sistema di relazioni di dominio e di rivolta, di imbrigliamento e mobilità, di sfruttamento e autorganizzazione, che descrivono lo stesso farsi del «black man» nella riappropriazione e nel rovesciamento del discorso dell’uguaglianza (Chignola, 2015, pp. 11-12).

Nel 1938 è la volta de I Giacobini neri, concepito in origine come pièce teatrale, presentata nel 1936 al London’s Westminster Theatre con il titolo di Toussaint L’Ouverture (il protagonista era interpretato da Paul Robeson, attore di spicco dell’Harlem Renaissance). Le vicende che conducono Haiti all’indipendenza sono note ma le riassumiamo. Nel 1789 la colonia francese di Santo Domingo è la più florida delle Indie Occidentali sia per commercio sia per tratta degli schiavi. Con l’avvento della Rivoluzione francese, però, il vento egualitario comincia a soffiare anche a Santo Domingo, tanto che nel 1791 scoppia una rivolta di schiavi che si protrae per dodici anni: «Gli schiavi sconfissero in successione i coloni bianchi locali e i soldati della monarchia francese, un’invasione spagnola, una spedizione britannica forte di circa 60.000 uomini e, infine, una spedizione francese di forza analoga guidata dal cognato di Bonaparte. La sconfitta della spedizione bonapartista del 1803 si tradusse nella costituzione dello stato negro di Haiti durato fino ai giorni nostri» (James, 2015, p. 22). A combattere, non sono soltanto i neri, ma anche i mulatti, figli del dominio patriarcale bianco, violento, sessista e razzista sulle schiave nere. James, da buon marxista, sostiene che ad accendere la scintilla rivoluzionaria sono le terribili condizioni in cui versano gli schiavi e il desiderio dei mulatti di poter competere con i bianchi nell’accumulazione di ricchezza e nel raggiungimento di posizioni apicali — questioni che rientrano nel costrutto di classe sociale —, ma invita a non trascurare il fattore razziale (James, 2015), poiché è proprio la comune negritudine a favorire la creazione di un’identità nazionale una volta raggiunta l’indipendenza. Nei contesti coloniali, dunque, alle rivendicazioni di classe per un miglioramento delle condizioni di vita si aggiunge l’aspetto razziale, che si caratterizza per un orgoglio nei confronti delle proprie comuni radici culturali e per il colore della pelle. E James comprende benissimo questo dissidio socio-culturale latente che attraversa le colonie, essendo anche lui frutto di questa storia. Una delle idee fondamentali che emerge ne I giacobini neri è che la schiavitù si fonda su un modello economico di accumulazione del capitale, il capitalismo, e su un modello di sfruttamento del lavoro, la schiavitù, che ha visto fondersi un modello di produzione avanzato a un’organizzazione arretrata del lavoro. Tali caratteristiche rendono lo schiavo dei caraibi molto simile a qualsiasi altro proletario ed è per questo che la questione dell’autodeterminazione è al centro dell’opera.

Sempre nel 1938 James è invitato da James Cannon, leader del Socialist Workers Party in America, a tenere una conferenza sui partiti trotskisti. Una volta giunto negli Stati Uniti vi rimane per quindici anni, sposando l’attivista, modella e attrice Constance Webb, autrice di una delle biografie più appassionate e aneddotiche a lui dedicate (2003) e destinataria di un poetico epistolario (James, 1995), che dimostra come la relazione tra i due fosse innanzitutto di tipo pedagogico e come CLR abbia tentato di farla appassionare alla letteratura, alla poesia, alla politica. La Webb usa queste parole per raccontare il primo incontro con CLR:

Per alcuni minuti fu molto difficile concentrarsi sulle parole di James a causa della bellezza della sua voce. Era ritmata, così come la cadenza, e il suo accento britannico era sfumato dalla musicalità caraibica. [...] Il topic della lezione era stato pubblicizzato come «La questione Negra» e il punto saliente del discorso di C.L.R. era che i Negri, a causa della loro posizione nella società, avrebbero rappresentato l’avanguardia di qualsiasi cambiamento negli Stati Uniti e, di fatto, nel mondo (Webb, 2003, p. 72).

Dall’unione tra i due, il 4 aprile 1949 nasce C.L.R. James Junior. Le cose, almeno inizialmente, sembravano andare bene, ma il ragazzo, all’età di quattordici anni, comincia ad avere allucinazioni e a sentire voci. Dai resoconti della Webb sembra, però, che CLR «non accettò mai che ci fosse qualcosa che non andava in suo figlio» (Webb, 2003, p. 236).

Dal punto di vista politico, nel 1939 Trotskij, in esilio a Coyoacan (Messico), invita James a raggiungerlo per discutere della «questione Negra». James considera i neri necessari per l’avvento della rivoluzione negli Stati Uniti, ma, di fatto, non ve ne erano nel partito. Per tale ragione, James chiede a Trotskij la possibilità di inaugurare una «sezione nera» del Socialist Workers Party e, tornato negli USA, dà vita al Department of Negro Work. Firmandosi J.R. Johnson, a causa del suo status di immigrato, inizia a scrivere sul giornale del Partito, il Socialist Appeal, della questione nera connettendola alle lotte di classe. Il patto Molotov-Ribbentrop, però, legando Stalin a Hitler sancisce il tradimento massimo alla causa comunista e mette in secondo piano la black matter. All’interno del partito si creano fratture insanabili e il sogno di istituire il Bureau sfuma. Il Socialist Workers Party (SWP) si divide e una frangia genera il Workers Party (WP), finalizzato a raccogliere il dissenso dei lavoratori che non si riconoscono nella retorica del Partito Comunista. Agli occhi del partito, James è una delle guide intellettuali dei ribelli. Intanto, il 21 agosto 1940 Trotskij viene ucciso da Ramòn Mercader. In quel periodo James, oltre ad avere problemi economici e una Visa scaduta, fatto che lo rende un clandestino, ha problemi di salute. Nonostante ciò, insieme a Raya Dunayevskaya10 (pseudonimo Freddie Forest), che era stata per un periodo segretaria di Trotskij in Messico, fonda la Johnson-Forest Tendency (J-FT), un gruppo di studio e discussione, a cui si aggiunge ben presto la filosofa cinoamericana Grace Lee Boggs.11 Le linee di ricerca e di studio della Tendency sono originali rispetto alle altre organizzazioni socialiste e al partito comunista, probabilmente perché, come fa notare Martin Glaberman: «per dodici anni i tre leader principali della nostra organizzazione sono stati una donna nata in Russia, una donna americana di origine cinese e un uomo di colore di Trinidad. Non c’è mai stata un’organizzazione americana del genere e sospetto che probabilmente non ci sarà mai più» (cit. in Bogues, 1997, p. 108). Alla fine del secondo conflitto mondiale, perciò, la J-FT, sempre più critica nei confronti del Worker Party, torna ad abbracciare le posizioni del Socialist Worker Party. Con il pamphlet State Capitalism and World Revolution, oltre a denunciare lo stalinismo, la J-FT rompe definitivamente con il trotskismo, che non riconosce la centralità delle lotte operaie autonome, mentre James, la Dunayevskaya e la Boggs considerano la working class americana rivoluzionaria «per natura». Per tale ragione, partecipano attivamente ai grandi scioperi autorganizzati nelle miniere degli Appalachi tra il 1949 e il 1951. Per James, l’individuo non scompare all’interno della classe, ma è un soggetto che agisce, che ha una propria agency e da ciò ne deriva lo scarso interesse dimostrato dalla J-FT nei riguardi della forma partito. Anche l’analisi critica jamesiana della questione razziale subisce delle modifiche con il passare del tempo e matura in modo coerente con l’uomo e il politico. Nella fase trotskista, James sembra sostenere l’idea che il problema dell’autodeterminazione sia irrilevante per gli afroamericani. In contraddizione con questa idea, però, chiede a Trotskij di creare un’organizzazione nera all’interno dell’SWP. Nel 1941, invece, James, inviato dal WP in Missouri, dove i mezzadri in sciopero sono soprattutto neri, inserisce nell’incipit del pamphlet Down with Starvation Wages in South-East Missouri lo slogan black and white unite and fight e comincia a interessarsi alle intersezioni tra le questioni razziali e di classe. Per la prima volta, inoltre, questi scioperi sono presentati come quelli di una «minoranza razziale oppressa». Il pamphlet è di fondamentale importanza poiché a prendere la parola sono i mezzadri, di cui James ascolta e «cuce» le parole. Lo stile utilizzato è quello dell’osservazione partecipante, che è alla base della self-activity, secondo la quale il ruolo del rivoluzionario non deve essere tanto del leader d’avanguardia, quanto, piuttosto, quello del facilitatore di processi. Le rivendicazioni dei neri, pertanto, pur mantenendo le proprie specificità storico-culturali, sono parte integrante della lotta e della rivoluzione socialista: le variabili identitarie di razza e classe sociale divengono, per James, inscindibili e sono espressione della peculiare condizione di vita degli afroamericani. Con l’uscita di James dal WP nel 1947, la sua riflessione sulla lotta dei neri raggiunge l’apice:

Noi diciamo, numero uno, che la lotta dei negri ha una sua vitalità e una sua validità; che ha radici storiche profonde nel passato dell’America e nelle lotte attuali, ha una prospettiva politica organica, lungo la quale sta viaggiando, in una certa misura, e tutto dimostra che al momento attuale sta viaggiando con grande velocità e vigore. Diciamo come seconda cosa che questo movimento indipendente dei negri è in grado di intervenire con una forza formidabile sulla vita sociale e politica generale della nazione, nonostante si svolga sotto la bandiera dei diritti democratici e non sia guidato necessariamente né dal movimento operaio organizzato né dal movimento marxista. Diciamo per terzo, e questa è la cosa più importante, che è in grado di esercitare una potente influenza sul proletariato rivoluzionario degli Stati Uniti, e questo è di per sé una parte costitutiva della lotta per il socialismo (James, 1979, p. 37).

Durante il periodo maccartista, precisamente nel 1952, dopo essere stato seguito per vari anni dall’FBI, James viene espulso dagli USA. Incarcerato a Ellis Island è obbligato a lasciare il paese e a tornare in Inghilterra. Durante la prigionia James scrive Mariners, Renegades and Castaways, una rilettura politica del classico che tanto aveva amato da bambino, il Moby Dick di Herman Melville. È un’allegoria dell’America totalitaria, maccartista e improntata sul modello della fabbrica fordista. James è cambiato molto durante il periodo trascorso negli USA: giuntovi come trotskista, sicuro che si sarebbero instaurate repubbliche democratiche socialiste in tutto il mondo, se ne va, nel 1953, come un pensatore indipendente e scettico, la cui teoria personale avrebbe preso forma nel decennio successivo. La trasformazione del pensiero di James deriva da un’osservazione sempre più sistematica della realtà, da un’analisi storica di stampo marxista ma, soprattutto, dalla consapevolezza dell’esistenza di una «relazione tra la cultura popolare e ciò che scelse di chiamare l’urgenza rivoluzionaria di culture e nazioni» (Dhondy, 2001, p. 113). È un tema sul quale James, tra il 1949 e il 1950, ha iniziato a scrivere un libro (American Civilization, uscito postumo), nel quale indaga l’intreccio tra esperienze individuali e desideri della moltitudine che si configurano come una lotta per la felicità.

James torna a Londra da solo, ma ben presto viene raggiunto da una giovane, Selma Weinstein, che da qualche tempo collabora con il Correspondance Group. James, separatosi da Constance (il figlio Nobbie era rimasto con lei negli Stati Uniti), nel 1956 sposa Selma. Benché in Inghilterra, mantiene un legame molto forte con il gruppo rimasto negli USA, tanto da avviare un giornale, Correspondance, con sede a Detroit. Ben presto, però, la rivista chiude i battenti a causa delle crescenti incomprensioni tra James e la Dunayevskaya. I membri della J-FT «fedeli» a James cominciano a chiamarsi Facing Reality Group o Jamesian.

Gli anni Cinquanta sono per James ricchi di viaggi: visita il Ghana indipendente, accolto dal Primo ministro Kwame N’Krumah, e torna a Trinidad per tenere delle lezioni (raccolte in Modern Politics) e con il sogno di rendere indipendenti Trinidad e Tobago. Per questo, su The Nation, presenta l’idea di creare una Federazione delle Indie Occidentali, ormai indipendenti, con il coinvolgimento di Cuba, della Martinica, di Guadeloupe, ecc. Sconfitto politicamente e costretto a veder tramontare il sogno federale, James torna a Londra prima che, nel 1962, Trinidad e Tobago raggiungano l’indipendenza.

Negli anni Sessanta, James segue con passione la nascita del Black Power (in particolare, conosce Stokely Carmichael)12 e si reca a Parigi per osservare i moti studenteschi. La possibilità di seguire, di nuovo, le partite di cricket dal vivo e di rendersi conto di come il gioco sia cambiato, fornisce a CLR lo spunto per scrivere la sua autobiografia, pubblicata nel 1963 con il titolo Beyond a Boundary. Con questo libro James abbandona l’idea di una rivoluzione globale, tema che lo ha animato nel periodo americano, per tornare alla sensibilità e alla cultura britannica, fatta di letteratura, cricket e puritanismo. Torna a essere un narratore più che un teorico o uno scrittore di pamphlet, pur mantenendo intatte tutte le proprie istanze politiche sia in favore dei movimenti sociali che di superamento delle «frontiere» del colore. Il libro — che muove da fatti autobiografici — ripercorre le gesta, le caratteristiche e lo stile dei principali giocatori di cricket del mondo e, in particolare, delle Indie occidentali, ma va oltre questo. Beyond a Boundary non è una semplice rassegna dei migliori giocatori di cricket di sempre, è motivo per James di leggere anche i giochi — e in particolare il cricket — come rappresentazioni artistiche comprensibili soltanto nel momento in cui le si inserisce all’interno della cornice storico-sociale, culturale potremmo dire, a cui appartengono. La tesi più affascinante presentata da James in questo libro è che il cricket vada interpretato come rappresentazione di un perfetto equilibrio tra l’individualità del singolo e la moltitudine della squadra. Così come il teatro e le tragedie servivano per educare il nuovo cittadino democratico ateniese, così i giochi sociali come il calcio o il cricket hanno la funzione primordiale di introdurre valori vittoriani e puritani nei giocatori tanto quanto negli spettatori che si appassionano al gioco. L’ultima parte di Beyond a Boundary è dedicata al ritorno di James a Trinidad e alla sua battaglia personale, ma soprattutto politica, affinché si superino gli invalicabili limiti stabiliti dal colore della pelle consentendo ai giocatori di cricket neri di assumere il ruolo di capitani delle loro squadre. Il tema della linea del colore, qui, si interseca con quello dell’autodeterminazione e dell’indipendenza delle Indie occidentali. È attraverso il cricket che James diviene definitivamente consapevole del ruolo anche coercitivo che lo sport esercita, specie laddove persistono rapporti di potere sbilanciati in favore di una singola classe e, in questo caso, di una specifica razza. È un James ormai maturo quello che rinnega il codice stesso del cricket, fortemente marcato in senso coloniale e costruito per dissuadere giocatori e spettatori a introdurre la rabbia, personale o sociale, in grado di generare cambiamento, nel gioco.

Negli anni Settanta, finisce anche il matrimonio con Selma, sia a causa della mancanza di soldi che dei continui tour di James. Dopo il divorzio, James rimane per un periodo in casa di Farrukh Dhondy13 per poi trasferirsi in un appartamento sopra gli uffici di Race Today, il giornale radicale nero diretto da Darcus Howe.14 CLR James muore nel sonno il 31 maggio 1989.

Selma James, alle radici del costrutto di «sesso-razza-classe»

Selma James (nata Selma Deitch, già Weinstein) nasce il 15 agosto 1930 a Brooklyn. Il padre, camionista analfabeta, ebreo antisionista emigrato dall’impero austroungarico, è un internazionalista e un oratore che si batte per la creazione di una sezione del sindacato degli autotrasportatori, la Teamsters Union, a Brooklyn. La madre americana, operaia in fabbrica e poi casalinga, è un’attivista nei movimenti per il diritto alla casa. Selma inizia a frequentare i movimenti molto presto e a quindici anni aderisce alla J-F T:

Il leader era un uomo nero, un immigrato delle Indie occidentali e uno storico; le sue colleghe più strette erano due donne, una un’immigrata russa, l’altra una cinoamericana di prima generazione. Molti dei membri lavoravano nelle industrie, inclusi coloro che avevano iniziato la vita nella middle class. Eravamo multirazziali. Eravamo fiduciosi. Sentivamo di poter andare «ovunque», individualmente e collettivamente; con la storia o contro di essa; costruendo non un partito di avanguardia che un giorno sarebbe potuto diventare lo Stato, ma un movimento; antirazzista e antisessista; nel rispetto delle persone con cui vivevamo e lavoravamo insieme più che immaginandoci come un’élite (James, ٢٠١٢, p. ٢٨٩).

Come anticipato, infatti, la J-FT, sostituisce il lavoro svolto dalle avanguardie di partito, che presuppongono un’organizzazione gerarchica, con la self-activity della working-class, la partecipazione attiva e creativa delle masse sfruttate:

La Johnson-Forest ebbe a cuore ciò che Vladimir Lenin disse: che la working class era «timida». In Striving for Clarity and Influence: the Political Legacy of CLR James [...], Selma James racconta come lavorassero duramente per assicurare alla «timida» working class, a coloro che si trovavano nella parte bassa della gerarchia, di parlare per se stessa. Il «terzo strato» [third layer], come CLR James lo chiamava — neri, donne, operai delle fabbriche, giovani — erano stati formati a resistere ai loro stessi leader e a prevenire le organizzazioni create contro di loro (sfortunatamente un’esperienza comune). Selma James, una persona del terzo strato, fu incoraggiata a leggere e scrivere — fu per lei un’esperienza formativa (Lopez, 2012, p. 6).

Nel 1954, Selma, giovane operaia e madre single, inizia a tenere la rubrica Il posto della donna su Correspondance, il giornale bisettimanale della J-FT. Nel 1955, insieme al figlio Sam Weinstein, raggiunge in Inghilterra CLR, costretto a lasciare gli USA. I tre si trasferiscono a Trinidad e Tobago nel 1958 e Selma, così come suo marito CLR, inizia a scrivere sul giornale bisettimanale The Nation. Tornata in Gran Bretagna nel 1962, lavora come trascrittrice freelance di nastri per la BBC realizzando anche due film: Our Time is Coming Now (1970) e All Work and No Pay (1976). Partecipa ai movimenti antirazzisti inglesi, co-fonda l’International Jewish Anti-Zionist Network e, soprattutto, è attiva dal 1970 nei movimenti per la liberazione delle donne coordinando il Global Women’s Strike.

Spinta dai militanti della J-FT a far sentire la propria voce — in particolare da CLR che già nel 1951 aveva introdotto una discussione dell’SWP sulla questione femminile dal titolo On the Woman Question: An Orientation — nel 1953 Selma scrive Il posto della donna, partendo dalla propria esperienza personale come madre e operaia. Nel testo si legge che le donne lavoratrici sanno di poter contare sulle loro capacità e competenze per guadagnare un salario e sostentarsi. Nelle società patriarcali in cui tutte/i viviamo, però, alle bambine, già in età tenerissima, si insegna ad attendere un uomo con il quale trascorrere la vita. Ben presto le donne si rendono conto che questo sogno ha un costo fin troppo alto: al lavoro fuori casa, si aggiunge quello svolto all’interno delle mura domestiche. Anche in caso di compagni e mariti collaboranti, la questione si complica ulteriormente con la nascita dei figli. Per un privilegio ancora considerato naturale, infatti, le donne sono costrette a occuparsi dei bisogni della prole, mentre l’uomo può continuare a svolgere i propri servizi fuori di casa, come se nessun cambiamento fosse intervenuto nella sua vita. Così, passando più tempo con i bambini, le madri conoscono meglio il loro pianto, le loro necessità, il modo in cui ci si prende cura di loro. E questo fa sì che, anche in presenza del marito, la responsabilità del/la bimbo/a ricada sulla compagna. Non a caso, quindi, il/la bambino/a può essere percepito dalla madre come un ostacolo alla propria libertà e al proprio tempo libero, come una sorta di carceriere, e questo offusca la bellezza dell’essere genitori. Anche quando la mamma riesce a ritagliarsi del tempo per sé non è realmente libera dalle sue incombenze: prova ansia per quello che sta succedendo a casa, si sente in colpa per aver lasciato i bambini. A differenza di qualsiasi altro lavoro, quello domestico non ha orari di inizio o fine, è continuo, ininterrotto. La noia che deriva dalla ripetizione quotidiana di azioni e procedure è costante e senza fine. La vita di una casalinga dipende completamente dagli orari lavorativi e dalle possibilità economiche dell’uomo di riferimento. Quando l’uomo torna a casa da lavoro, la casalinga lo ha atteso tutto il giorno per poter condividere gli accadimenti del giorno, ma spesso lui non ha voglia di parlare o di aiutarla in altre mansioni domestiche, desiderando solo di riposare. Spesso conducono vite separate e, di conseguenza, le donne si stringono le une alle altre, si raccontano cose che non possono confidare ai loro mariti; si sentono comprese poiché condividono le medesime esperienze di vita. Ci sono donne, poi, che hanno due lavori: quello salariato fuori dalle mura domestiche e quello volontario all’interno. Gli uomini, in questo senso, hanno spesso il potere di decidere sulle sorti lavorative delle loro mogli. Con la scusa della casa e dei bambini possono imporre loro di compiere soltanto i lavori di casa; oppure, possono decidere che i soldi non sono abbastanza e quindi accettare che le mogli lavorino anche al di fuori della casa. La donna, in questo processo decisionale, è ai margini.

Il saggio Il posto della donna confluisce nel capolavoro di Mariarosa Dalla Costa15Potere femminile e sovversione sociale (1972b), testo imprescindibile nell’ambito della critica femminista. In questo scritto, la studiosa italiana descrive con precisione il modo in cui il capitale si appropria del corpo femminile per produrre plusvalore imponendo alle donne la funzione di riprodurre la forza-lavoro. La famiglia diviene così un centro di produzione sociale; produce, cioè, l’essere umano e il lavoratore provvedendo al condizionamento, al consumo e alla riserva di forza-lavoro. Se è fuori discussione l’importanza del testo della Dalla Costa per la definizione del ruolo della donna all’interno della società capitalistica e per il peso che ha avuto per l’avvio delle rivendicazioni salariali per le casalinghe, ancora più centrale, a nostro avviso, è il pensiero di Selma James che, oltre a contribuire attivamente alla sua messa a punto, ha anticipato di diversi anni l’elaborazione del costrutto di sesso-razza-classe. Se la studiosa italiana, infatti, si sofferma a indagare prevalentemente il punto di contatto tra le variabili di sesso e classe, come già avevano tentato di fare le femministe socialiste, la James intuisce che il sistema di oppressione è articolato su molteplici piani. Nell’introduzione all’edizione inglese del 1972 di Potere femminile e sovversione sociale, la James sembra avere già consapevolezza di come il movimento femminile sia intrinsecamente interconnesso ad altri movimenti. Quando si parla di classe (variabile interpretata come trainante), infatti, non ci si può fermare a considerare soltanto i problemi degli operai maschi e bianchi, sottovalutando il ruolo ricoperto nella società da neri e donne: «Nero e Operaio erano sinonimi in modo schiacciante (e nessun altro gruppo lo era altrettanto con l’eccezione forse delle donne), le richieste dei “Neri” erano le più ampie richieste di classe operaia, e le forme di lotta create dai “Neri” costituivano le più incisive forme di lotta di classe operaia» (James, 1972a, p. 18). Seguendo la medesima intuizione, nell’introduzione all’edizione messicana del 1975, la James sottolinea come il capitalismo abbia creato una discrepanza di potere non solo tra gli uomini salariati e le donne non salariate, ma anche tra la ricchezza dei lavoratori del nord del mondo e la povertà di quelli del Terzo Mondo: «Così come il carattere proletario della lavoratrice in casa è nascosto dalla mancanza di salario, così il carattere proletario del lavoratore sulla terra, “il contadino”, proprietario della terra o senza terra, è nascosto dalla mancanza di salario di quel lavoro» (James, 1975, pp. 103-104). Il lavoro politico della James, perciò, è incardinato sul tentativo di andare oltre il costrutto di working-class, troppo esclusivo ed escludente (non tutte/i, infatti, appartengono a questa classe e soprattutto non tutte/i vengono retribuiti per il proprio lavoro, specie per quello riproduttivo) sostituendolo con il termine grassroots (dal basso), più inclusivo, poiché contempla altre soggettività oppresse (contadini, donne, sex workers, casalinghe, carcerati/e, migranti). Individualità, queste, che pur appartenendo a gruppi differenti subiscono le logiche del sistema capitalistico e, di conseguenza, condividono una serie di rivendicazioni:

1. RIVENDICHIAMO IL DIRITTO A LAVORARE MENO. [...] 2. RIVENDICHIAMO UN REDDITO GARANTITO PER DONNE E UOMINI, CHE LAVORINO O CHE NON LAVORINO, CHE SIANO SPOSATI O CHE NON LO SIANO. [...] RIVENDICHIAMO UN SALARIO PER LE CASALINGHE. [...] 3. È in questo contesto che RIVENDICHIAMO IL CONTROLLO SUI NOSTRI CORPI. [...] RIVENDICHIAMO IL DIRITTO A AVERE O NON AVERE FIGLI. [...] 4. RIVENDICHIAMO PAGHE UGUALI PER TUTTI. [...] 5. RIVENDICHIAMO LA FINE DELLA CRESCITA DEI PREZZI, incluse le tasse, gli affitti, il cibo e i vestiti. [...] 6. RIVENDICHIAMO CHE COMUNITA’ LIBERE CONTROLLINO ASILI NIDO E ASSISTENZA ALL’INFANZIA» (James, 2012, pp. 72-73).

Nel sistema proposto dalla James, mutuato dalla self-activity della working class studiata dalla J-FT, il gruppo di lavoro è diviso in una serie di sottogruppi, ognuno dei quali si occupa di discutere un tema specifico e di individuare strategie d’intervento. A cadenze specifiche, poi, ciascun microgruppo ne rendiconta gli esiti:

Il nostro processo decisionale è molto semplice. Abbiamo discussioni prima di tutto in piccoli gruppi che lavorano su questioni particolari. In modo che le donne, e spesso anche gli uomini, che lavorano sulla questione delle aggressioni razziste, o su quella del welfare, si riuniscono per discuterne, e per capire cosa stanno facendo e dovrebbero fare, e come e con chi. Le persone ne consultano altre che non fanno parte del loro gruppo o della loro organizzazione, ma che hanno informazioni o esperienze che possono essere utili. Poi ogni sei o sette settimane ci prendiamo un giorno per incontrarci tutti insieme e abbiamo una sorta di stanza di compensazione, in modo che tutti sappiano cosa stanno facendo gli altri» (James, 2012, p. 252).

Nel 1972, la James, nel tentativo di applicare questi principi, fonda il Power of Women Collective, che confluisce nell’International Wages for Housework Campaign,16 movimento nato per riconoscere un salario alle donne impegnate nei lavori di cura. Ben presto aderiscono donne di colore, lesbiche, prostitute, donne con disabilità e madri single, ma Selma James ci tiene a far notare che:

la Campagna non è basata sull’orizzontalismo; i suoi membri non pretendono di essere «uguali». Invece conosciamo le differenze di potere tra di noi e affrontiamo queste divisioni dal basso verso l’alto, consultandoci tra i vari gruppi. [...] L’organizzazione autonoma della Campagna ha permesso a ciascun gruppo di presentare il proprio «caso specifico», lavorando con altri gruppi e tenendo conto di come le proprie richieste possono influire sugli altri. In questo modo, puntiamo ad essere reciprocamente responsabili, a educarci l’un l’altro, a evitare di distruggerci l’un l’altro — [...] credendo che il nostro gruppo possa vincere senza gli altri o a loro spese; oppure che la negoziazione possa sostituire la mobilitazione (Lopez, 2012, p. 8).

Continuando in questa perenne ricerca di punti di contatto tra soggettività differenti, nel saggio The Perspective of Winning del 1973, la James tenta di dimostrare quanto le lotte anticapitaliste siano da un lato strettamente connesse con quelle antisessiste — contro lo sfruttamento delle donne in casa, ma anche in fabbrica, dove i salari femminili sono più bassi di quelli maschili — e, dall’altro, a quelle antirazziste, contro la linea segregante del colore, le differenze salariali che ne derivavano e le politiche omofobiche. Per sovvertire il dominio maschile bianco, non sono sufficienti le rivendicazioni sindacali, che riguardano soltanto una piccola parte dei lavoratori, ma è necessario reclamare un salario per le casalinghe e costruire movimenti autonomi a supporto delle donne. Liberare le donne dal potere salariale maschile significa anche liberare gli uomini dalle briglie capitaliste e dal lavoro salariato a qualsiasi condizione. Queste intuizioni confluiscono nell’articolo Sex, Race, and Class pubblicato su Race Today nel 1974. Qui Selma cerca di dimostrare in che modo sesso, razza e classe siano entità e attributi inseparabili. Secondo la James, in effetti,

Occorre analizzare la relazione tra casta e classe da un altro punto di vista. [...] La nostra identità, i nostri ruoli sociali, il modo in cui siamo viste, sembrano essere scollegate dalle nostre funzioni capitalistiche. Essere liberati da esse (o attraverso di esse) sembra essere indipendente dalla nostra liberazione dalla schiavitù salariale capitalista. A mio parere, l’identità — la casta — è la sostanza stessa della classe (James, 1974, pp. 95-96).

Il movimento delle donne, così come quello dei neri e degli studenti, trova la propria base al di fuori della fabbrica e ambisce a essere anticapitalista e a liberare le soggettività altre dai rapporti di forza a cui sono sottoposte. Si tratta di creare una forza collettiva in cui le singole individualità non scompaiano, rappresentando l’insieme delle specificità che la animano. Per perseguire questo obiettivo, Selma «ha dedicato molto tempo a formare la rete e a guidare lo sviluppo collettivo di principi organizzativi che permettono ai singoli membri di trovare la propria voce pur rimanendo collettivi» (Lopez, 2012, p. 9).

Nel 1983 la James è invitata a tenere una lezione, Marx and Feminism, per il centenario della morte di Karl Marx, dove riconosce l’importanza delle tesi marxiste nella definizione delle rivendicazioni femministe. Innanzitutto, quando si parla di lavoratori salariati va riconosciuta a Marx la capacità di descrivere le modalità dello sfruttamento della classe lavoratrice ma — nonostante questo processo sia ormai compreso da tutti i lavoratori — si è sotto ricatto, poiché per sopravvivere è necessario lavorare. Non tutte e tutti, però, ricevono un salario per il proprio lavoro e questo le/li rende dipendenti. Le casalinghe, come detto, non ricevono alcuna remunerazione sono considerate parte del salario maschile, generando percezioni e comportamenti di superiorità e sopraffazione. È per combattere questi rapporti di potere e le ingiustizie sociali che continuamente nascono movimenti: quello dei neri, delle donne, dei disabili, della comunità LGBTQ+, delle prostitute, dei carcerati. La presenza di tutte queste specifiche sensibilità dimostra come l’oppressione non sia solo quella della fabbrica, ma sia ormai diffusa a livello sociale. Piuttosto che perseguire la logica separatista per combattere le ingiustizie sociali, i vari movimenti dovrebbero cercare dei punti di intersezione che rendano le loro rivendicazioni più potenti. Una strategia di intervento che parta dal basso, dalle rivendicazioni quotidiane e dalle storie di vita dovrebbe, dunque, essere attenta alle sensibilità e alle specificità individuali — frutto di combinazioni particolari di sesso, razza, età, nazionalità, dis/abilità — ma senza dimenticare lo sguardo globale in grado di riconoscere i comuni sistemi di oppressione che ciascuno/a di noi subisce:

quando le divisioni sono chiamate «diversità», i problemi divengono culturali e nessuno dovrebbe chiedersi come e perché siamo divisi, perché non lo siamo; siamo «diversi»: differiamo semplicemente in premesse e pratiche culturali. Ma alcune di queste premesse e pratiche culturali sono razziste. E altre sessiste. [...] Ciò che stiamo cercando di fare [...] è sviluppare una visione unificata dal mondo, cioè una visione olistica di tutte le divisioni tra di noi e di come possano connettersi per costruire un movimento che comprometta queste divisioni. È differente dal sostenere che c’è un binario per la razza e un binario parallelo per il genere e un binario parallelo per le preferenze sessuali e uno per la disabilità. [...] Stiamo parlando di divisioni di sesso, razza, classe, ecc., che costituiscono una gerarchia lavorativa e di benessere. Più sei ricco meno devi lavorare. Lo sappiamo. E le persone in basso [bottom] hanno meno e devono fare di più, e sono donne e bambini di colore. Il posto per iniziare a indebolire e attaccare la gerarchia è quello in cui ti trovi, ma con la consapevolezza di e in sintonia con quanto è già stato fatto dal basso verso l’alto [bottom up] — perché la liberazione non viene mai dall’alto verso il basso [top down] (James, 2012, pp. 207-208).

Conclusioni

Ci sembra di poter affermare che le elaborazioni teoriche di CLR e Selma James prendano avvio dall’aver sperimentato sulla propria pelle gli effetti dell’oppressione di razza, classe e nazione (il primo), di genere e classe (la seconda). Le loro storie di vita hanno generato l’interesse per i gruppi sociali oppressi ma, anche, per le singole individualità. La James, in questo senso, ha operato una distinzione tra classe sociale — gruppo omogeneo costituito da individui che si trovano in una posizione simile, fondata su parametri economici — e casta, che ha maggiormente a che fare con questioni identitarie. Se, per un verso, l’appartenenza a una classe sociale assicura una certa uniformità in fatto di potere economico del gruppo, per un altro, è animata da una moltitudine di caste differenti (sesso, razza, orientamento sessuale, età, abilità). L’attenzione riservata alla coppia dicotomica uguaglianza/differenza è comune sia a CRL sia a Selma. Il primo la concretizza sia sul piano metodologico (la self-activity, in effetti, non è altro che una forma di auto-inchiesta sociale attraverso la quale il singolo può far sentire la propria voce non solo al di fuori del proprio gruppo ma anche all’interno) che politico (in molte opere CLR mostra le assonanze tra la condizione dell’operaio statunitense e quella dell’ex schiavo nero). Selma pone al centro del discorso il soggetto oppresso. Nel tentativo di valorizzare le identità sessuali, razziali e di classe che animano ciascun gruppo, anticipa tutti quei temi che, secondo Patricia Hill Collins (2019), divengono ricorrenti negli anni Ottanta nell’ambito del framework teorico e metodologico dell’intersezionalità (Crenshaw, 1989): la relazionalità (poiché non guarda alle qualità fondamentali delle singole categorie identitarie ma ai processi relazionali che le collegano e le pongono in comunicazione); il potere (poiché i sistemi di potere si co-producono a vicenda); la disuguaglianza sociale (frutto di relazioni di potere); il contesto sociale (in grado di generare conoscenza sia a livello collettivo che individuale); la complessità (visto che le categorie d’indagine sono dinamiche e in continua interazione le une con le altre); la giustizia sociale.

Calando le tesi di CLR e Selma James in una realtà sociale ad alto tasso di complessità come la nostra, questa prospettiva moltitudinaria, inclusiva potremmo dire, assicura di non annichilire l’individuo nelle dinamiche di gruppo, ma, al contrario, offre l’opportunità al singolo di esprimere le proprie peculiarità, le proprie divergenze, arricchendo il dibattito e favorendo, di conseguenza, il progresso sociale.

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1 Università degli Studi Roma Tre.

2 Università degli Studi Roma Tre.

3 I bambini «portati allo studio», ma provenienti da famiglie umili, potevano accedere al College mediante quattro borse di studio pubbliche, che venivano messe in palio ogni anno. Su questi bambini la comunità ha grandi aspettative: eccellere per andare a studiare nelle isole britanniche o per entrare come membro nativo nel Consiglio Legislativo dell’isola.

4 Marcus Garvey (1887-1940) è uno dei teorici più controversi in fatto di questioni razziali. Da un lato, dà vita al primo movimento nero di massa, ma, dall’altro, a causa delle proprie idee sulla purezza della razza, entra in contatto con il Ku Klux Klan e prova simpatia per Mussolini e Hitler. Nel corso dei primi anni Dieci del Novecento, fonda a Kingston la Universal Negro Improvement Association and African Communities (Imperial) League con l’obiettivo di riunire i popoli Negri in un unico corpo. Nel 1916 viaggia negli Stati Uniti dove tiene centinaia di discorsi, divenendo una figura di spicco grazie al suo messaggio sul black pride. Garvey istituisce a New York la Universal Negro Improvement Association (U.N.I.A.) che arriva a contare circa 2 milioni di membri. L’UNIA, che sostiene la purezza della razza, ha a anche l’obiettivo di creare una compagnia di navigazione, la Black Star, per riportare tutti i neri in Africa. Nel 1965 Martin Luther King Jr. così si esprime su Marcus Garvey: «È stato il primo uomo, su scala e a livello di massa, a dare a milioni di Negri un senso di dignità e un destino, e a far sentire il Negro come se fosse qualcuno» (Blaisdell, 2004, p. iii).

5 Arthur Andrew Cipriani (1875-1945), leader sindacale e politico. Dopo aver guidato durante la Prima guerra mondiale il regimento di soldati neri British West Indies Regiment, si impegna nella campagna per l’indipendenza delle Indie occidentali. Trasforma la Trinidad Workingmen’s Association, un’organizzazione di uomini d’affari che supportavano le richieste dei lavoratori, in un’unione di lavoratori in agitazione per avanzare richieste politiche ed economiche. Nel 1922 fonda la rivista The Socialist con la quale si batte in favore di miglioramenti salariali, della riduzione dell’orario lavorativo, di un’educazione universale e dell’abolizione del lavoro minorile. Leader riconosciuto dalle masse di lavoratori di Trinidad, dal 1926 al 1941 è consigliere della città di Port of Spain e eletto sindaco per ben otto volte.

6 Tra cui gli scrittori Alfred Hubert Mendes (1897-1991) e Albert Gomes (1911-1978), quest’ultimo anche politico, entrambi creoli di Trinidad con origini portoghesi.

7 Constantine propone a James di scrivere un libro (pubblicato nel 1933 con il titolo Cricket and I) sul cricket, sulla sua vita e sull’impero britannico, cioè sugli ingredienti sociali, politici e storici necessari alla rinascita delle Indie Occidentali.

8 George Padmore (1902-1959), musulmano nero di Trinidad e pensatore anticoloniale, si trasferisce negli USA per studiare alla Fisk University e, poi, alla Howard University. Sostenitore dell’URSS, entra nell’American Communist Party.

9 Amy Ashwood (1897-1969), Giamaicana e moglie di Marcus Garvey, co-fonda con il marito l’UNIA, occupandosi della sezione femminile. Dopo il divorzio da Garvey, si trasferisce a Londra militando nel movimento panafricano e battendosi per il riconoscimento dei diritti delle donne africane. Nel 1945 contribuisce all’organizzazione del V Congresso panafricano svolto a Manchester. T. Ras Makonnen (1909-1983) nasce in Guyana e diviene un sostenitore della causa nera negli Stati Uniti. Aderisce alla federazione panafricana nel 1936 e, successivamente, diviene attivista e finanziatore dell’Intenational African Friends of Abyssinia, che dopo la «conquista» italiana diviene l’African Service Bureau. Si batte per l’autodeterminazione e l’uguaglianza razziale ed economica dei neri. Jomo Kenyatta (1889-1978), nato in Kenya, si trasferisce a Mosca per studiare economia grazie a Padmore. Quando quest’ultimo è espulso dall’Internazionale comunista, Kenyatta va a Londra e poi in Kenya, dove lotta contro il dominio coloniale britannico. Dal 1964 al 1978 è il primo Presidente del Kenya.

10 Raya Dunayevskaya (1910-1987) è tra le fondatrici della filosofia dell’umanesimo marxista negli Stati uniti. Dopo essere entrata nel Partito Comunista Americano ed esserne espulsa a soli 18 anni, nel 1937 si trasferisce in Messico come segretaria di Trotskij. Tornata a Chicago nel 1938, rompe con Trotskij nel 1939 per un profondo dissenso nella visione dell’Unione Sovietica. Formula con James la concezione dell’URSS come espressione del «capitalismo di stato» e su questa scia danno vita alla Johnson-Forest Tendency, che concepisce la working class come spontaneamente rivoluzionaria. Dopo la scissione con James (tra il 1954 e il 1955) la pensatrice dà vita alla News and Letters Committees e al giornale News & Letters, tutt’oggi pubblicato.

11 Grace Lee Boggs (1915-2015) è stata autrice, attivista, filosofa e femminista. Nel 1979, assieme al marito James Boggs, ha dato vita alla National Organization for an American Revolution (NOAR).

12 Stokely Standiford Churchill Carmichael (1941-1998), noto anche come Kwame Ture, è stato un attivista trinidadiano-statunitense. Leader dello Student Nonviolent Coordinating Committee, è nominato ministro onorario delle Pantere Nere. Vicino, negli anni giovanili, a posizioni integrazioniste, con il passare del tempo, e subendo l’influenza del pensiero di Frantz Fanon e Malcolm X, si avvicina al nazionalismo nero e ai movimenti panafricani.

13 Farrukh Dhondy (1944) è uno scrittore, drammaturgo, sceneggiatore e attivista britannico, nato in India. Aderisce alle Pantere Nere Britanniche (PNB) dando vita alla rivista Race Today con Darcus Howe. È anche autore di una suggestiva biografia di C.L.R. James.

14 Leighton Rhett Radford «Darcus» Howe (1943-2017), originario di Trinidad, giunge a Londra molto giovane e si unisce alle PNB. Editore di Race Today è soprattutto noto per la sua carriera a Channel 4.

15 Mariarosa Dalla Costa, già professoressa presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Padova, è una figura cruciale del movimento femminista italiano, conosciuta a livello internazionale, aprendo il dibattito sul lavoro domestico e sulla donna come riproduttrice della forza lavoro. Ha fatto parte del movimento Lotta Femminile di Padova.

16 La Campagna ha promosso, con il coordinamento della James, il Global Women’s Strike per la creazione di un’agenda comune delle donne. Lo sciopero internazionale delle donne, il primo dei quali si tenne nel 1999, ricorre ogni 8 marzo.

Vol. 21, Issue 4, November 2022

 

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