Vol. 21, n. 3, settembre 2022

PROGETTI E BUONE PRASSI

Terre senza Frontiere

Pratiche ed esperienze di partecipazione, imprenditoria sociale e lavoro inclusivo

Giacomo Anastasi1

Sommario

Si racconta un’esperienza di inclusione sociale e lavorativa riguardante un gruppo di giovani stranieri richiedenti asilo e rifugiati e di ragazze e ragazzi di seconda generazione nati o giunti nel nostro Paese da minori. Si traccia il percorso di ideazione e costruzione di un’iniziativa di imprenditoria sociale di cui e in cui i giovani stranieri sono attori attivi del loro stesso processo di coinvolgimento e di capacitazione. All’inizio dell’articolo sono descritte brevemente le caratteristiche salienti del fenomeno migratorio con una specifica attenzione alla Sicilia e alla città di Mazara del Vallo, dove l’iniziativa di inclusione socio-lavorativa si sta sviluppando.

«Terre senza Frontiere» (questo il nome della cooperativa) e il suo ristorante Habibi non sono solo un’attività imprenditoriale, ma l’occasione per costruire socialità attraverso il lavoro. In particolare, il ristorante nel cuore di una città con la sua offerta gastronomica e culturale aperta al mondo e all’alterità, ha voluto essere anche il riconoscimento di un’identità plurale di cui la città di Mazara è costituita. Habibi è un’impresa che produce reddito e offre posti di lavoro pagati nel rispetto delle leggi e della dignità delle persone. Per le ragazze e i ragazzi di Terre senza Frontiere e di Habibi la cooperativa e il ristorante non sono solo un luogo di lavoro, ma il riconoscimento del loro diritto di cittadinanza dentro una comunità, mentre per la comunità sono il riconoscimento di un tratto della sua stessa identità in continua trasformazione ed evoluzione.

Parole chiave

Immigrazione, Minori stranieri, Inclusione, Impresa sociale, Diritti, cittadinanza, Identità plurale, Comunità in evoluzione.

PROJECTS AND BEST PRACTICES

Terre senza Frontiere

An experience of citizenship, social entrepreneurship and inclusive work

Giacomo Anastasi2

Abstract

We describe an experience of social and work inclusion involving a group of young foreign asylum seekers and refugees and second-generation girls and boys who were born or came to our country as minors. It traces the path of conception and construction of a social entrepreneurship initiative in which the young foreigners are active players in their own process of involvement and empowerment. At the beginning of the article there is a brief description of the main features of the migratory phenomenon with a specific focus on Sicily and the city of Mazara del Vallo, where the socio-occupational inclusion initiative is being developed.

«Terre senza Frontiere» (the name of the cooperative) and its Habibi restaurant are not only an entrepreneurial activity, but an opportunity to build sociality through work. The restaurant, located in the heart of a city, wanted to be in particular the recognition of a plural identity of which the city of Mazara is made up, through a gastronomic and cultural offer, that is open to the world and to otherness. Habibi is a business that generates income and offers paid jobs in accordance with the law and the dignity of people. For the girls and boys of «Terre senza Frontiere» and Habibi the cooperative and the restaurant are not just a place of work, but the recognition of their right to citizenship within a community, and for the community, the acknowledgment of a part of its own identity in the continuous transformation and evolution.

Keywords

Immigration, Foreign minors, Inclusion, Social enterprise, Rights, Citizenship, Plural identity, Evolving community.

Premessa

Le migrazioni forzate sono un fenomeno articolato e complesso che nella sua narrazione ha subito distorsioni e deformazioni dettate da logiche che rispondono a interessi diversi da quelli che riguardano la comprensione e l’analisi del fenomeno in sé. Poche sono le tematiche che in questi ultimi anni hanno polarizzato il dibattito e il confronto politico e pubblico più di quanto lo abbiano fatto le questioni riguardanti le migrazioni e l’accoglienza. Troppo spesso, purtroppo, il confronto è stato poco più di un elenco di slogan superficiali quando non uno strumento per catalizzare surrettiziamente consenso e alimentare narrazioni di odio e di distanza sociale. Due termini, tra i tanti, hanno alimentato un «racconto» deformato ed equivoco: emergenza e invasione. L’uso diffuso, sia dal discorso politico sia dal racconto mediatico, di questi due termini ha orientato la percezione e la conseguente lettura del fenomeno allontanandoci colpevolmente dalla verità e titillando, spesso in mala fede, la paura dell’altro, reazioni emotive scomposte e, a volte, anche atteggiamenti e atti di discriminazione e di razzismo.

In questo articolo si proverà a raccontare un’esperienza positiva di inclusione sociale e lavorativa di un gruppo di giovani stranieri richiedenti asilo e rifugiati e di ragazze e ragazzi di seconda generazione nati o giunti nel nostro Paese da minori. Si proverà a tracciare il percorso di ideazione e costruzione di una pratica positiva di inclusione lavorativa attraverso un’iniziativa di imprenditoria sociale di cui e in cui i giovani stranieri sono attori attivi del loro stesso processo di coinvolgimento e di capacitazione. Prima di scendere nel dettaglio delle pratiche avviate e dei loro meccanismi di funzionamento, si delineeranno sia pure a brevi tratti, le caratteristiche salienti del fenomeno migratorio con una specifica attenzione alla Sicilia e alla città di Mazara del Vallo dove l’iniziativa di inclusione socio-lavorativa si sta sviluppando.

Qualche dato di contesto sulle migrazioni forzate in Sicilia e in Italia

La Sicilia è sempre stata in prima linea nell’affrontare la sfida delle migrazioni forzate e in questi ultimi anni più del 60% degli sbarchi si sono verificati principalmente in Sicilia. Il grafico prodotto dal Ministero dell’Interno dove sono raffrontati i dati 2019, 2020 e 2021 è eloquente (figura 1). La drastica riduzione del numero degli sbarchi del 2019 (negli anni 2015 e 2016 si erano registrati numeri considerevolmente più alti) è principalmente dovuta agli accordi del governo italiano con la Libia e alle dure politiche di chiusura operate nel mar Mediterraneo. Queste politiche, se da un lato hanno ridotto i flussi della migrazione forzata, dall’altro lato, hanno segregato e respinto decine di migliaia di donne, uomini e minori in Libia, paese considerato dagli organismi internazionali non sicuro e in una situazione di guerra civile e di mancato rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo.

Secondo i dati del Ministero dell’Interno nel 2021 sono sbarcati 63.062 migranti da gennaio contro i soli 11.090 sbarchi del 2019 nel medesimo periodo. Quasi raddoppiati anche i dati del 2020, in cui si segnavano 32.919 sbarchi.

Figura 1

Il grafico illustra la situazione relativa al numero dei migranti sbarcati a decorrere dal 1° gennaio 2021 al 6 dicembre 2021 comparati con i dati riferiti allo stesso periodo degli anni 2019 e 2020 (Fonte: Ministero degli Interni).

Il grafico illustra la situazione relativa al numero dei migranti sbarcati a decorrere dal 1° gennaio 2021 al 6 dicembre 2021 comparati con i dati riferiti allo stesso periodo degli anni 2019 e 2020 (Fonte: Ministero degli Interni).

Le persone che arrivano in Italia sono principalmente uomini (79%) e giovani (il 94% ha meno di 40 anni, il 61% meno di 25 anni). Le donne sono il 10% con un numero considerevole di minori non accompagnati. Un elemento caratteristico delle migrazioni in Sicilia è proprio l’alto numero di minori stranieri non accompagnati (e neomaggiorenni), evidenziando come questo sia un elemento strutturale dei percorsi migratori.

Tabella 1

Arrivi via mare di minori non accompagnati in Italia (anni 2013-2018). Elaborazione ISMU su dati del Ministero dell’Interno.

Anno

MSNA

Totale sbarcati

% MSNA

2014

13.026

170.100

7,7

2015

12.360

153.842

8,0

2016

25.846

181.436

14,2

2017

15.779

119.369

13,2

2018

3.536

23.370

15,1

Nonostante le annualità 2017 e 2018, come sopra accennato, abbiano rilevato un rallentamento degli sbarchi, frutto delle dure politiche di chiusura operate nel Mar Mediterraneo, il 2018 è comunque stato un anno record per gli arrivi di minori stranieri non accompagnati che hanno raggiunto quota 3.536 costituendo il 15% di tutti gli sbarcati, l’incidenza più alta dell’ultimo quinquennio.

I dati aggiornati al 6 dicembre 2021 rendono evidente come il numero di minori stranieri sbarcati sia quasi il doppio rispetto al 2018 (figura 2).

Figura 2

Minori stranieri non accompagnati sbarcati negli anni 2019, 2020, 2021 (Fonte: Ministero degli Interni).

Minori stranieri non accompagnati sbarcati negli anni 2019, 2020, 2021 (Fonte: Ministero degli Interni).

La gran parte degli eventi di sbarco con minori coinvolti è stata registrata nei porti della Regione Sicilia: il 94,2% dei minori arrivati nel 2021 via mare è approdato nel territorio siciliano. Seguono a grande distanza i porti delle regioni Puglia e Calabria, che hanno registrato rispettivamente lo sbarco del 3% e del 2,8% dei MSNA arrivati via mare.

Figura 3

Regione di sbarco dei MSNA arrivati via mare al 30 giugno 2021 (Fonte: I minori stranieri non accompagnati. Report di monitoraggio. Dati al 30 giugno 2021).

Regione di sbarco dei MSNA arrivati via mare al 30 giugno 2021 (Fonte: I minori stranieri non accompagnati. Report di monitoraggio. Dati al 30 giugno 2021).

Un elemento caratteristico delle migrazioni in Sicilia è dunque l’alto numero di minori stranieri non accompagnati e di neomaggiorenni. Anche nel corso del primo semestre del 2021, la principale Regione di arrivo per i minori di nuovo ingresso è stata la Sicilia (59,5% dei minori), che per sua vocazione naturale è il primo territorio di approdo dei minori arrivati in Italia via mare e coinvolti negli eventi di sbarco.

Figura 4

Distribuzione dei MSNA che hanno fatto ingresso nel Paese al 30 giugno 2021 per Regione di arrivo (Fonte: I minori stranieri non accompagnati. Report di monitoraggio. Dati al 30 giugno 2021).

Distribuzione dei MSNA che hanno fatto ingresso nel Paese al 30 giugno 2021 per Regione di arrivo (Fonte: I minori stranieri non accompagnati. Report di monitoraggio. Dati al 30 giugno 2021).

Oltre l’80% dei minori non accompagnati sbarcati sulle nostre coste ha un’età tra i 16 e i 18 anni. La maggior parte dei minori non accompagnati, come si evince dalla figura 5, rimangono in Sicilia.

Dal Report di Monitoraggio sui minori stranieri non accompagnati in Italia redatto dalla Direzione generale dell’immigrazione e delle Politiche di Integrazione i cui dati fanno riferimento al 30 giugno 2021, la Sicilia si conferma come la Regione che riceve il più ampio numero di minori stranieri non accompagnati (31,5% del totale), seguita dalla Puglia (904, pari al 11,6%) e dal Friuli-Venezia Giulia (831, pari al 10,7%).

Figura 5

Distribuzione dei MSNA presenti al 30 giugno 2021 secondo le Regioni di accoglienza (Fonte: I minori stranieri non accompagnati. Report di monitoraggio. Dati al 30 giugno 2021).

Distribuzione dei MSNA presenti al 30 giugno 2021 secondo le Regioni di accoglienza (Fonte: I minori stranieri non accompagnati. Report di monitoraggio. Dati al 30 giugno 2021).

La stessa rilevanza si evidenzia nella ripartizione dei progetti SAI (Sistema di Accoglienza e Integrazione)3 per adulti. La distribuzione regionale dei progetti di accoglienza della rete SAI come si evince dal rapporto annuale SIPROIMI/SAI 2020 ha visto anche nel 2020 ai primi posti Sicilia, Puglia e Calabria, seguite da Campania, Lazio ed Emilia-Romagna.

Infatti, come si desume dall’analisi a livello territoriale, la metà dei posti complessivi è concentrata nelle Regioni del Mezzogiorno d’Italia (le isole coprono il 15,9%, mentre il restante 34,6% è localizzato nelle Regioni del Sud) e la Sicilia risulta la Regione caratterizzata dalla massima presenza di posti: sono nel complesso 4.672 e rappresentano il 14,9% del dato complessivo a livello nazionale.

Figura 6

Distribuzione regionale dei progetti di accoglienza della rete SAI (Fonte: rapporto Annuale SIPROIMI/SAI 2020).

Distribuzione regionale dei progetti di accoglienza della rete SAI (Fonte: rapporto Annuale SIPROIMI/SAI 2020).

Gli stessi dati vengono in linea di massima confermati anche a settembre 2021 con i progetti territoriali della rete SAI che vedono la Sicilia ospitare il maggiore numero di migranti giunti in Italia (5.133), mantenendo questo primato anche per i progetti di accoglienza di migranti con disagio mentale e disabilità fisica, e per i progetti che accolgono minori stranieri non accompagnati.

Questa veloce carrellata di dati, con la consapevolezza che dietro ogni numero c’è una storia di umanità spesso dolorosa e, comunque, sempre carica di aspettative e di nuove prospettive di vita, può essere utile per mettere in evidenza alcuni aspetti del fenomeno, senza avere la pretesa di spiegarne, in questa sede, le ragioni profonde e le caratteristiche complesse che lo contraddistinguono. In particolare, i numeri ci riportano a una cronicità del fenomeno migratorio che contrasta con le logiche emergenziali con cui la politica e i media connotano il fenomeno. I numeri ci dicono anche che si tratta di un flusso numericamente gestibile e decisamente circoscritto se lo rapportiamo al numero di abitanti di un Paese come l’Italia e ancor di più se li mettiamo a confronto con il continente più ricco del pianeta che conta più di mezzo miliardo di persone. I dati ci portano alla verità di un fenomeno che potrebbe essere assorbito senza particolari problemi e che anzi, a detta di molti, potrebbe anche innestare elementi positivi nell’economia e nella demografia di un Paese come l’Italia.

Figura 7

Elenco dei progetti territoriali della rete SAI (di cui 96 progetti MSNA finanziati da risorse FAMI) aggiornati a settembre 2021 (Fonte: rapporto Annuale SIPROIMI/SAI 2020).

Elenco dei progetti territoriali della rete SAI (di cui 96 progetti MSNA finanziati da risorse FAMI) aggiornati a settembre 2021 (Fonte: rapporto Annuale SIPROIMI/SAI 2020).

Un altro elemento evidenziato è il sovradimensionamento, non tanto degli arrivi — per ovvie ragioni geografiche sarebbe strano il contrario —, ma anche dei percorsi di accoglienza nelle regioni del Sud e in particolare in Sicilia. Considerate le difficoltà socio-economiche di una regione come la Sicilia e le lacunosità del suo sistema di welfare, questo non giova sicuramente all’efficacia dei percorsi di accoglienza integrata che è necessario articolare per favorire una dimensione di autonomia e di inclusione sociale e lavorativa dei migranti in accoglienza e, in particolare, per la presa in carico dei soggetti più vulnerabili, come i minori non accompagnati o le persone migranti in situazione di disagio psichico e di vulnerabilità.

Fatiche e vitalità di una convivenza: Mazara del Vallo porto e terra di confine

Dopo questa breve introduzione più generale sui numeri e le principali caratteristiche delle persone arrivate via mare nel nostro Paese (con la chiara identificazione della Sicilia come principale luogo non solo di arrivo, ma di accoglienza e permanenza), proviamo a restringere lo spazio di osservazione e a guardare il contesto più delimitato che è il luogo che ospita, e in qualche modo nutre, l’esperienza di integrazione che si testimonia in questo articolo.

Avamposto dell’Africa maghrebina, Mazara del Vallo è considerata la città più araba d’Italia. La prossimità geografica con la Tunisia e soprattutto la cospicua presenza di immigrati tunisini (la comunità tunisina è la comunità migrante più consistente), insediatisi già dalla fine degli anni Sessanta, confermano il rapporto privilegiato con le coste nordafricane e quella naturale e storica vocazione a intrattenere relazioni intense e assidue con il mondo arabo. L’economia della pesca ha ripopolato di tunisini la vecchia Kasbah araba (oltre il 40% degli addetti di origine extracomunitaria è occupato in questo settore). Tuttavia, la scarsità delle risorse ittiche causata dalla pesca intensiva ha portato a una grande crisi dagli inizi del duemila, che ha coinvolto un grandissimo numero di lavoratori immigrati, creando una forte disoccupazione anche fra i giovani di origine tunisina che, al contrario di quanto succedeva ai padri e ai nonni, non riescono più a trovare lavoro. Da qui scaturiscono molti fenomeni di disagio sociale ed economico e spesso di devianza giovanile, così come sono aumentate nell’ultimo decennio le emigrazioni di giovani tunisini con cittadinanza italiana verso i Paesi del nord Europa, alla ricerca di un futuro possibile.

Per quanto riguarda la presenza di stranieri, su un totale di 51.488 abitanti si riscontra un numero di 3.067 cittadini stranieri a gennaio 2018, con un’incidenza sul totale degli abitanti del 6%. La comunità straniera più numerosa è quella proveniente dalla Tunisia (il 71,3% di tutti gli stranieri presenti sul territorio), seguita dalla Romania (6,3%) e dal Marocco (3,3%).

Figura 8

Provenienza delle comunità migranti a Mazara del Vallo.

Provenienza delle comunità migranti a Mazara del Vallo.

Dal Piano di Zona del Distretto 53 è evidente che il Comune di Mazara del Vallo è quello in cui si registra una presenza di popolazione straniera più consistente. Alla presenza regolare ufficialmente registrata che vanta ormai la residenza sul territorio da diversi anni, vanno aggiunti i tanti arrivi registrati in particolare negli ultimi tre anni. Si tratta di un flusso proveniente soprattutto dalla Tunisia e che spesso prova a ricongiungersi o comunque fare riferimento a parenti e amici già residenti in città e sul territorio. Le presenze di questo flusso sono difficilmente identificabili in quanto utilizzano nella maggior parte dei casi canali irregolari.

In questo contesto, il quartiere del centro della Kasbah è l’area in cui si sono prevalentemente stabilite le famiglie di origine straniera sin dalla fine degli anni Sessanta, anche a causa dello spopolamento della popolazione autoctona che aveva abbandonato questo spazio urbano. La Kasbah presenta una struttura urbanistica di origine chiaramente araba, dove si intrecciano, nel dedalo di vicoli e viuzze, alcune tra le più belle chiese barocche presenti in città, una piccola area che ospitava in passato il ghetto ebraico, vecchi edifici dismessi che ospitavano in passato bagni turchi e una moschea aperta negli scorsi anni per dare alle persone di fede musulmana uno spazio per la preghiera. Oltre alla comunità di origine tunisina, si sono stabilite nel quartiere anche una piccola comunità slava fuggita dal Kosovo e dalla Serbia durante le guerre balcaniche degli anni Novanta e una piccola comunità eritrea. La convivenza di tutte queste diversità in uno spazio urbano così ristretto e il mescolarsi dei canti dei muezzin (forse l’unica città in Europa dove è possibile sentire il canto che chiama alla preghiera i fedeli musulmani) e delle campane ha spinto alcune persone a considerare il centro storico di Mazara del Vallo come una «piccola Gerusalemme».

In un contesto come quello sinteticamente descritto, si intrecciano fattori diversi di un fenomeno articolato e complesso come quello migratorio. Nel territorio che stiamo indagando, una dimensione regolare della migrazione — che ha le sue origini alla fine degli anni Sessanta e che ha trovato anche in un’area caratterizzata da una forte spinta emigratoria un suo spazio di articolazione, sviluppo e stanzialità — si intreccia con gli arrivi negli ultimi anni di giovani migranti (spesso minori non accompagnati) che arricchiscono la dimensione di multiculturalità già presente, ma che richiedono specifiche politiche di accoglienza e supporto per favorire percorsi efficaci di inclusione e di definizione di progetti di autonomia di vita. La giovane età che contraddistingue il flusso migratorio forzato trova corrispondenza nella sempre più numerosa popolazione giovanile di Mazara del Vallo, dove sono presenti ormai larghe fasce di giovani di seconda generazione e di giovani nati in Italia con background migratorio. Per tutti questi giovani, il lavoro è un elemento di criticità e di ostacolo nella costruzione di un percorso di vita in autonomia e nel superamento di situazioni di disagio socio-economico e a volte di potenziale devianza che caratterizzano negativamente il loro percorso di sviluppo e inclusione sociale. In questa dimensione sfaccettata e prismatica nasce l’idea di promuovere un’iniziativa di imprenditoria sociale di cui possono essere attive protagoniste le persone migranti arrivate sul territorio negli ultimi anni e i giovani stranieri di seconda generazione nati o cresciuti in Sicilia.

«Terre senza Frontiere»: nascita di un progetto e di una «casa» comune

La Cooperativa Sociale Agricola «Terre senza Frontiere» è una giovane realtà formata da 12 ragazze e ragazzi migranti (o di origine straniera) nata grazie al progetto «Formazione, accompagnamento al lavoro e creazione di attività imprenditoriali per giovani tunisini e migranti forzati in Sicilia e in Tunisia» promosso dalla Cooperativa Sociale Fo.Co., dall’Associazione «Casa della Comunità Speranza» e dalla Caritas diocesana di Mazara del Vallo. Grazie a questa iniziativa è stato possibile nel maggio del 2020 costituire la cooperativa sociale agricola e avviare con i suoi membri il lavoro di coltivazione di alcune varietà orticole e la formazione dei 12 ragazzi coinvolti.

Fin dalla sua nascita Terre senza Frontiere è un progetto di vita per i giovani che l’hanno costituita e la conducono e ha tra i suoi motivi fondanti quello di coltivare il legame con la terra e la natura, nel rispetto dei cicli naturali di coltivazione, delle risorse che la natura ci dona e delle persone nella loro unicità e diversità di approccio. La cooperativa è costituita nella sua base associativa e di governance (la presidenza e l’intero CDA sono attualmente coperti da figure femminili) da ragazze e ragazzi stranieri o con background migratorio e promuove percorsi di coesione sociale di giovani siciliani a rischio migrazione, dei migranti forzati in Sicilia e di giovani figli di migranti già insediati nel nostro territorio. Attraverso l’inclusione socio-lavorativa e la formazione si vuole dare spazio a una logica comunitaria accogliente, e anche simbolicamente tracciare i segni di una inclusione possibile e concreta delle e nelle diversità di lingua, cultura, religione, usi e costumi. Nei primi mesi di lavoro Terre senza Frontiere ha gestito 15.000 mq di fondo agricolo dove ha avviato alcune coltivazioni orticole stagionali a partire dalla primavera/estate 2020 e un oliveto con circa 500 alberi. Anche se non ha ancora la certificazione bio, tutte le lavorazioni vengono svolte nel massimo rispetto della natura e della salubrità degli ortaggi coltivati. Si sono avviati, inoltre, dei percorsi per l’allevamento delle api e la produzione del miele. La cooperativa Terre senza Frontiere, oltre alle attività agricole descritte, ha inoltre organizzato e ospitato dei laboratori di orto sociale con gli ospiti delle comunità di accoglienza per minori stranieri non accompagnati del territorio e promosso una piccola rete locale di acquisto solidale, oltre al progetto di ristorazione di cui si scriverà più avanti.

Terre Senza Frontiere ha attratto da subito e aggregato ragazze e ragazzi stranieri che vivono nella città di Mazara del Vallo. I ragazzi che fanno parte della cooperativa provengono da diversi Paesi (Tunisia, Marocco, Gambia, Senegal, Guinea, Nigeria) e hanno alle loro spalle storie molto diverse e spesso difficili. Alcuni di loro sono nati e cresciuti in Italia e, nonostante ciò, scontano le difficoltà di un’integrazione per molti versi difficile e la fatica a godere di una piena cittadinanza. Altri sono giunti in Italia da pochi mesi o pochi anni come minori non accompagnati e hanno vissuto nel circuito di accoglienza e adesso provano faticosamente a emanciparsi e a diventare autonomi. In particolare, per questi giovani Terre senza Frontiere vuole diventare una prospettiva concreta di empowerment e di autonomia economica e, allo stesso tempo, essere uno spazio di incontro, dialogo e inclusione sociale.

Habibi, storie e sapori del Mediterraneo

Da questo primo percorso, che ha visto la costituzione di un gruppo e la condivisione di un progetto collettivo attorno alla terra con la costituzione della cooperativa agricola, si è sviluppata una specifica progettualità sinergica e complementare alla componente agricola che si è posta l’obiettivo di produrre un modello imprenditoriale di sviluppo circolare, portando i prodotti coltivati direttamente a tavola e dando vita a uno spazio di ristorazione, inteso come luogo di incontro e convivialità. Sempre più frequentemente negli ultimi anni, infatti, nel cuore del quartiere della Kasbah dove ha sede la cooperativa Terre senza Frontiere, turisti e visitatori si aggirano incuriositi dalle particolari caratteristiche di contaminazione e convivenza di diversità senza poter trovare, nell’intera area, punti di ristorazione o semplicemente altri spazi aperti al pubblico dove è possibile sostare. A partire da queste caratteristiche di contesto, l’avvio di uno spazio di ristorazione, con una cucina capace di offrire i cibi della tradizione mediterranea, ha voluto proporsi come punto di riferimento e aggregazione dove attraverso il cibo e le tradizioni culinarie si possa conoscere e fare esperienza delle diverse culture e contribuire a costruire uno spazio di dialogo e di incontro tra le diversità. Dall’altro lato, il ristorante ha l’obiettivo di allargare la capacità reddituale e occupazionale della cooperativa offrendo ad altre ragazze e ragazzi migranti una possibilità concreta di lavoro.

Il progetto si è posto nello specifico i seguenti obiettivi:

  • avviare, promuovere e supportare l’avvio e la gestione di un’attività imprenditoriale di ristorazione comunitaria capace di proporre le tradizioni delle gastronomie mediterranee e africane;
  • offrire percorsi di inclusione lavorativa a sei ragazze e ragazzi migranti (o di seconda generazione) attraverso l’impiego lavorativo per la conduzione e gestione del ristorante comunitario;
  • promuovere e supportare l’imprenditoria sociale e sostenibile attraverso la formazione delle competenze delle persone migranti coinvolte nelle attività di ristorazione.

Dopo un anno dal suo concepimento il progetto di ristorazione ha realizzato uno spazio cucina e sala aperto al pubblico con l’ambizioso intento di diventare punto di aggregazione e di promozione del dialogo interculturale attraverso la conoscenza e la valorizzazione del cibo e delle culture gastronomiche mediterranee e africane. Habibi, Sapori e Storie del Mediterraneo, il nome che è stato dato al ristorante, è aperto dall’estate del 2021 e conta tra gli spazi interni e gli spazi esterni circa 80 coperti costituendo, nel cuore della città di Mazara, uno spazio di ristorazione che si propone anche come luogo aperto dove coltivare la cultura dell’incontro e della condivisione nel segno dell’ospitalità e della convivialità. In un periodo molto breve e nonostante le difficoltà legate al Covid-19, sono stati adeguati, attrezzati e messi a norma i locali e formati e contrattualizzati sei giovani migranti per la conduzione e gestione del ristorante. La principale sfida dell’iniziativa è stata offrire a sei ragazze e ragazzi soci della cooperativa agricola una possibilità di lavoro attraverso l’attività imprenditoriale della ristorazione con una partecipazione diretta alla creazione dell’offerta ristorativa e un ruolo da protagonisti nella gestione. Sfida per il momento vinta con il pieno raggiungimento degli obiettivi prefissati e con un numero di persone coinvolte nel corso della stagione estiva, che ha superato abbondantemente le sei unità che ci si proponeva di includere lavorativamente in fase di progettazione.

Costruire la squadra, scegliere e orientare motivazioni e competenze

Dalla fase di costituzione della cooperativa ad oggi sono stati coinvolti diciotto giovani migranti forzati di origine tunisina e subsahariana individuati tra gli ospiti delle comunità di accoglienza e giovani con background migratorio presenti nel comune di Mazara del Vallo. L’individuazione e il coinvolgimento delle persone in un’iniziativa di co-costruzione di una dimensione gruppale e di promozione di auto-imprenditorialità è un percorso molto delicato e faticoso. L’attività di identificazione e selezione è stata svolta da Fo.Co. Onlus e da Casa Comunità Speranza, le due realtà associative che si sono proposte come mentori e accompagnatori del percorso di empowerment in collaborazione con le comunità di accoglienza presenti sul territorio. Le due realtà del Terzo Settore hanno individuato diciotto giovani in situazioni di maggiore fragilità presenti sul territorio. Nella valutazione delle persone da inserire nelle attività progettuali si è tenuto conto delle specifiche vulnerabilità, ma anche delle caratteristiche e delle potenzialità che le persone esprimono con l’obiettivo di offrire a ciascuno gli strumenti più utili per un efficace percorso di inclusione sociale e lavorativa. Sono stati coinvolti nel progetto anche i migranti di origine tunisina arrivati nell’ultimo periodo con un’attenzione particolare ai minori, chiaramente nel rispetto delle norme per l’avvio di tirocini formativi e di altre attività di formazione. I beneficiari sono stati selezionati dagli educatori con il supporto dei mediatori interculturali attraverso colloqui orientativi individuali che hanno tenuto conto del percorso personale di ognuno, della maturità dal punto di vista relazionale, dell’affidabilità e del rispetto degli impegni presi da parte del ragazzo/a. Sono stati inoltre redatti i bilanci di competenza per approfondire le attitudini, capacità, aspirazioni, desideri e difficoltà di ognuno e analizzare le competenze formali e informali in modo da poter contribuire alla definizione di progetti di vita rispettosi della dignità e delle aspirazioni e capacità delle persone coinvolte. In sinergia con la strutturazione della start up molte delle persone coinvolte sono state inserite in percorsi all’interno del nuovo soggetto di cui ogni ragazzo è anche socio attivo e responsabile.

Dare forma e formarsi. Il percorso di Terre senza Frontiere per formarsi all’economia civile

Tutta l’attività di formazione è stata rivolta a dodici ragazze e ragazzi selezionati con le modalità sopra descritte. La dimensione formativa ha avuto diversi livelli per adattarsi meglio alla situazione dei giovani coinvolti e alle caratteristiche delle azioni pianificate. Il percorso di formazione si è articolato in una parte di formazione generale sulla creazione e sviluppo dell’impresa sociale e una specifica che ha riguardato gli ambiti di cui si occupa la cooperativa. Un’ulteriore componente è stata organizzata come formazione on the job con un accompagnamento costante alla nuova realtà cooperativa.

L’offerta formativa generale ha voluto favorire lo sviluppo di percorsi di autoimprenditoria e start up di impresa introducendo nella prima fase il gruppo ai concetti base di cooperativismo e lavoro in team. È stato fondamentale lavorare sul concetto di fare insieme stimolando dinamiche di socialità, collaborazione e cooperazione. L’attività formativa è stata in parte propedeutica alla costituzione della cooperativa ed è poi proseguita anche dopo la costituzione, in tutta la prima fase di avvio. L’approccio della formazione è sempre stato partecipato e volto a integrare la teoria con esercitazioni individuali, lavori di gruppo su compiti (finalizzati a sollecitare una dimensione professionale collettiva) e situazioni di intergruppo.4

Anche dopo la costituzione della cooperativa Terre senza Frontiere, la formazione ha proseguito il suo percorso con modalità che hanno intrecciato obiettivi generali e specifici e forme diverse di approccio formativo. Per rafforzare lo spirito di squadra alcune sessioni formative sono state organizzate con modalità di visita studio. In concordanza con le attività programmate dalla nuova realtà cooperativa, si sono organizzate sessioni di formazione che hanno consentito alle dodici ragazze e ragazzi coinvolti di visitare, analizzare e confrontarsi con altre realtà di imprenditoria sociale già attive sul territorio siciliano e che hanno valorizzato e incluso persone vulnerabili. Questo approccio ha permesso ai ragazzi di approfondire le tematiche dell’imprenditoria sociale nella sua concretezza, confrontarsi con altre realtà anche nell’ottica del fare rete e condividere uno spazio anche fisico di riflessione e dialogo permettendo di conoscersi meglio e di rafforzare le relazioni e le amicizie all’interno del gruppo.

La formazione specifica è stata, invece, finalizzata ad approfondire le tematiche relative alle attività di cui si occupa la cooperativa agricola Terre senza Frontiere. Le formazioni specifiche che non hanno sempre riguardato l’intero gruppo, ma di volta in volta sottogruppi direttamente coinvolti in quella particolare attività. Anche per questa tipologia di attività, la formazione ha sempre seguito un approccio circolare e fortemente pratico per dare la possibilità a tutti i ragazzi coinvolti di sperimentare e imparare facendo in un’ottica fortemente improntata alla proattività e alla concretezza. I temi affrontati sono stati diversi, dalle tecniche di allevamento delle api alle potature degli ulivi. Un percorso specifico più strutturato e organico, in sintonia con le caratteristiche metodologiche prima evidenziate, è stato organizzato per la preparazione del gruppo di lavoro in cucina e accoglienza in sala per il ristorante (oltre a tutte le formazioni obbligatorie a norma di legge).

Dare forma a un gruppo e prendersi cura delle relazioni

Nell’ottica di potenziamento del gruppo — uno degli elementi centrali per la buona riuscita dell’iniziativa — è stato organizzato un altro ciclo di formazione che ha visto di nuovo tutti i ragazzi coinvolti. La formazione ha lavorato sui vissuti, le aspettative, le attitudini e i desideri profondi di ogni membro della cooperativa e sulle dinamiche per responsabilizzare e aumentare la partecipazione di tutti, pur con ruoli e disponibilità diverse. Nel percorso laboratoriale sono state usate tecniche di animazione del Teatro dell’Oppresso5 per consolidare lo sviluppo del gruppo dal punto di vista relazionale, dopo averne raccolto bisogni e aspettative e avendolo osservato per comprenderne il momento di vita attraversato. Il percorso formativo, con l’aiuto di formatori esperti delle tecniche del Teatro dell’Oppresso (TdO), è stato organizzato in una fase del percorso di crescita e al contempo di forte criticità del gruppo dove alcuni degli esponenti hanno avvertito la fatica del percorso intrapreso, perdendo le motivazioni e l’entusiasmo iniziale e forse il senso stesso del percorso di auto capacitazione e di protagonismo (con tutte le responsabilità che ne derivano) che la nascita della cooperativa Terre senza Frontiere e la creazione del ristorante hanno voluto costituire e sostanziare. Inoltre, dinamiche conflittuali spesso legate a criticità relazionali e a fragilità individuali minavano la crescita del gruppo e il percorso di confronto, condivisione e cooperazione. Nella vita di un gruppo a un momento dato ci sono diversi strati: un contenuto specifico (il fare, l’oggetto esplicito di cui il gruppo si occupa), un processo (come il gruppo si organizza in modo informale, quali sono i ruoli, le etichette e le forme di interazione); le dinamiche individuali e relazionali (sentimenti vissuti e norme implicite). Stiamo parlando di piani contemporanei che scorrono insieme e che conducono a introiettare un percorso di partecipazione a un progetto che è individuale e collettivo allo stesso tempo e che non può prescindere dalla positiva interazione di queste due sfere. Mettendo in moto dei processi e una qualità diversa di interazione all’interno del gruppo e con le persone di riferimento, si è tentato di modificare le dinamiche che rischiavano di avvelenare la dimensione relazionale, avendo chiaro non solo che i ruoli di per sé dipendono dall’interazione, ma soprattutto che alcuni problemi relazionali possono nascere da aspettative reciproche dissonanti. Da qui il lavoro ha portato a interrogarsi sulle aspettative reciproche, rendendo chiaro che il conflitto non dipende mai solo da una polarità della relazione, e sulla necessita di disegnare e ridisegnare il ruolo di ognuno nell’interazione con gli altri e con il contesto.

Dal momento che una soggettività individuale si sente integrata in un gruppo quando viene riconosciuta in un ruolo, quando conta qualcosa per il gruppo, si è trattato dunque di ridisegnare la progettualità del gruppo lavorando anche al modellamento dei ruoli verso un fine comune (all’inizio bisogna esser fedeli alla progettualità iniziale, che poi va aiutata a ripensarsi). Si è utilizzato il Teatro Forum per ragionare non solo sui nodi conflittuali, ma per riconfigurare collettivamente la progettualità del gruppo stesso. Il Teatro Forum è una forma di dialogo teatrale che ha l’obiettivo di avviare processi collettivi di coscientizzazione, cioè di cambiamento personale e sociale rispetto ad alcuni temi. Il Teatro Forum è una delle tecniche di TdO utilizzata per portare all’esterno dei temi mostrandone le contraddizioni e chiedendo agli spettatori (che diventano spett-attori) di intervenire per trovare collettivamente le soluzioni. Questo percorso che ha visto per un lungo periodo tutti i componenti della cooperativa incontrarsi, confrontarsi e dialogare, è stato molto utile per maturare una più profonda consapevolezza di ciascuno all’interno del gruppo e la sua presenza e il suo contributo nel progetto condiviso di cooperativa sociale.

Questo tipo di lavoro formativo ha coinvolto le ragazze e i ragazzi di Terre senza Frontiere, ma anche le figure dei mentori delle associazioni sopra menzionate che hanno accompagnato il percorso di costituzione e crescita della progettualità. La partecipazione anche all’interno dei percorsi formativi di figure esterne alla cooperativa, ma che con la cooperativa e con i ragazzi che ne fanno parte hanno instaurato un rapporto di fiducia e amicizia, ha aiutato a definire meglio i ruoli e le responsabilità. Il rapporto tra pari è risultato un elemento decisivo nella costruzione del gruppo e nella definizione del progetto cooperativistico e imprenditoriale, in un percorso che ha disvelato nel suo farsi la doppia valenza, insita in tutte le sfere relazionali, di conflittualità e di vitalità. Un gruppo fortemente eterogeneo per lingua, religione, percorsi di vita si è trovato ad affrontare le situazioni di crisi, che le diversità inevitabilmente producono, e a costruire legami, a coltivare nuove amicizie insieme a nuove idee e progetti. La consapevolezza di questo intreccio dialettico di conflittualità e costruzione di legami fiduciari non è facile da maturare, ma nel percorso di formazione e accompagnamento tanta attenzione a questi aspetti è stata riposta nella convinzione che solo una positiva assunzione della conflittualità come parte necessaria del confronto e del dialogo può generare un percorso comune vitale e ricco. Convinti che ogni percorso educativo è percorso di libertà, di conquista di spazi di autonomia, si è lasciato alla co-costruzione e alla ridefinizione del progetto iniziale tutto il tempo e lo spazio necessari per far sì che ogni soggetto del gruppo potesse contribuire a definire o ridefinire il suo ruolo e il suo contributo all’interno della cooperativa, partecipando alla riconfigurazione della stessa idea di impresa. In qualche modo, l’idea del ristorante nasce dentro questo percorso di messa in discussione e di rigenerazione continua. Un progetto sociale ha la necessità non solo di ridefinirsi costantemente, ma di mettersi sempre radicalmente in discussione. Solo così, si può uscire dal progetto e incontrare la realtà con i corpi, le vite, le frustrazioni e le aspirazioni che la abitano.

Dal punto di vista delle figure adulte, dei mentori che più volte sono stati citati e delle associazioni che hanno dato il via a questa esperienza, i processi di formazione, in particolare quelli che hanno toccato le dinamiche relazionali, sono stati utilissimi per continuare un percorso stando al fianco dei ragazzi e aiutando a distinguere la linea sottile tra chi aiuta e supporta e chi è aiutato. Ridefinire in un percorso di confronto strutturato ruoli e coinvolgimenti personali, ha aiutato a rimescolare gli elementi di un processo complesso e a rigenerare in una nuova luce il progetto originario. Solo in questa profonda e sincera messa a nudo e in discussione del progetto stesso, i mentori hanno consegnato (non solo simbolicamente) la cooperativa Terre senza Frontiere alle ragazze e ai ragazzi che la costituiscono, investendoli di una nuova e rinnovata responsabilità, ma nel contempo rendendoli liberi di far completamente parte, nella forma e nelle modalità che ognuno ha ritenuto più idonee, di una nuova e inedita soggettività plurale e collettiva.

Partecipazione alla vita sociale. Riconoscersi e fare comunità

L’intero percorso, che ha portato alla costituzione della cooperativa Terre senza Frontiere e allo sviluppo delle attività di imprenditorialità nel campo agricolo e della ristorazione, nasceva dall’esigenza di offrire a giovani in una situazione di svantaggio e vulnerabilità un’opportunità di inclusione lavorativa. L’imprenditorialità sociale, la creazione cioè di azioni imprenditoriali capaci di generare reddito e nuove opportunità lavorative era e rimane un fattore fondante del percorso che Terre senza Frontiere sta compiendo. Incubare una realtà economica fondata sui principi del cooperativismo e dell’economia sociale e civile è stata e rimane una sfida di generatività e di libertà, ancor di più se pensata con giovani troppo spesso vittime di un sistema di reclutamento al lavoro feroce ed escludente che abusa della dignità delle persone ed espone al rischio di sfruttamento. Dall’altro lato, la sfida ha un ulteriore livello di complessità e difficoltà. Terre senza Frontiere e il suo ristorante Habibi non sono solo una compagine e un’attività imprenditoriale, ma l’occasione per costruire socialità attraverso il lavoro. In particolare, il ristorante nel cuore di una città con la sua offerta gastronomica e culturale aperta al mondo e all’alterità, ha voluto essere anche il riconoscimento di tratti di un’identità plurale di cui la città di Mazara (come tutte le città e i luoghi) è costituita. Habibi è un’impresa che produce reddito e offre posti di lavoro pagati nel rispetto delle leggi e della dignità delle persone. Ma è anche il luogo in cui le storie, i sapori, le culture di chi vi lavora sono riconosciuti e diventano parte di una soggettività plurale e collettiva di cui sono ormai nutrite tutte le realtà urbane del nostro Paese. Per le ragazze e i ragazzi di Terre senza Frontiere e di Habibi o almeno per una parte di essi, la cooperativa e il ristorante non sono solo un luogo di lavoro, il loro luogo di lavoro, ma il riconoscimento del loro diritto di cittadinanza dentro una comunità e per la comunità il riconoscimento di un tratto della sua stessa identità in continua trasformazione ed evoluzione. In un contesto culturale sempre più diffuso negli ultimi anni in cui la diversità deve essere allontanata ed espunta, in un clima, a volte feroce, di contrapposizione tra noi e loro, degli ipocriti «aiutiamoli a casa loro», un gruppo di ragazzi che producono e trasformano cibo sono l’esempio di un’inclusione possibile, sono la pratica quotidiana, efficace e riproducibile, ogni volta che si alza la saracinesca del ristorante, ogni volta che si consegna una cassetta di verdure, di una comunità che si fa nella ricchezza e nella pluralità della diversità, sempre nuova e sempre inedita, aperta al mondo, creativa e generativa.

Sitografia

Ministero dell’Interno (2022), Sbarchi e accoglienza dei migranti: tutti i dati, https://www.interno.gov.it/it/stampa-e-comunicazione/dati-e-statistiche/sbarchi-e-accoglienza-dei-migranti-tutti-i-dati (consultato il 21 luglio 2022).

Ministero del Lavoro e delle politiche sociali (2021), I minori stranieri non accompagnati (MSNA) in Italia. Report di monitoraggio. Dati al 30 giugno 2021, https://www.lavoro.gov.it/temi-e-priorita/immigrazione/focus-on/minori-stranieri/Documents/Report-di-Monitoraggio-MSNA-30-giugno-2021-.pdf (consultato il 21 luglio 2022).

SAI (2022), I numeri del SAI, https://www.retesai.it/i-numeri-dello-sprar/ (consultato il 21 luglio 2022).

SIPROMI/SAI (2021), Rapporto annuale SIPROMI/SAI, https://www.retesai.it/wp-content/uploads/2021/06/Rapporto-SIPROIMI_SAI_leggero.pdf (consultato il 21 luglio 2022).


1 Impegnato da 15 anni nella cooperazione internazionale allo sviluppo con ONG, Ministero Affari Esteri e Agenzie UN.

2 Expert of social design practice.

3 Il DL del 21 ottobre 2020, n.130, convertito in Legge del 18 dicembre 2020, n.173, rinomina il Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per i minori stranieri non accompagnati (SIPROIMI) in Sistema di accoglienza e integrazione (SAI). La nuova norma prevede l’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale oltre che dei titolari di protezione, dei minori stranieri non accompagnati, nonché degli stranieri in prosieguo amministrativo affidati ai servizi sociali, al compimento della maggiore età. Possono essere accolti, inoltre, i titolari dei permessi di soggiorno per protezione speciale, per casi speciali (umanitari in regime transitorio, titolari di protezione sociale, vittime di violenza domestica, vittime di sfruttamento lavorativo), le vittime di calamità, i migranti cui è riconosciuto particolare valore civile, i titolari di permesso di soggiorno per cure mediche.

4 Il percorso descritto, che potremmo definire di «educazione imprenditoriale», ha affrontato i seguenti temi: Impresa, economia e finanza (auto-imprenditorialità/lavoro autonomo, pianificazione e creazione start up di impresa, business planning, finanza agevolata, credito alle imprese, fiscalità di impresa, business models); Diritto e legislazione (diritto societario, diritto del lavoro, orientamento al lavoro, sicurezza e salute sui luoghi di lavoro); Sviluppo organizzativo (organizzazione aziendale, gestione); Marketing (orientamento al cliente, comunicazione, marketing & vendite); Manageriale (comunicazione efficace, team working, problem solving, leadership, time management & delega); Accesso ai finanziamenti (modalità di accesso ai finanziamenti pubblici nazionali ed europei).

5 Il Teatro dell’Oppresso (TdO) è un metodo teatrale elaborato negli anni Settanta da Augusto Boal in Brasile per aiutare i campesinos a rispondere alle situazioni di oppressione, attraverso una messa in scena di temi conflittuali e condivisi. È un teatro politico, ma non ideologico e considera l’oppressione non come un dato a priori ma come una ricerca continua sulle condizioni che permettono la liberazione dell’essere umano. Fulcro del lavoro è l’analisi per la trasformazione delle situazioni oppressive, di disagio, conflittuali della vita quotidiana. Nel TdO la tecnica teatrale non ha una finalità estetica, ma diventa strumento di indagine ed esplorazione dei conflitti e dei condizionamenti sociali dell’individuo e del gruppo. Dall’influenza del pensiero di Paulo Freire, il TdO prende l’atteggiamento non indottrinante bensì dialogico e maieutico: non dà risposte ma pone domande e crea contesti utili per la ricerca collettiva di soluzioni.

Vol. 21, Issue 3, September 2022

 

Back