Vol. 20, n. 3, settembre 2021

PROSPETTIVE E MODELLI ITALIANI

Il Progetto Mongolfiera

Uno spazio e un tempo per diventare adulti

Noemi Del Bianco1

Sommario

Che cosa succederà a mio figlio con disabilità dopo la scuola? Sarà pronto ad affrontare i contesti quotidiani di vita e di lavoro? Il contributo analizza i presenti quesiti, che spesso attanagliano le famiglie con figli disabili (Pavone, 2009), attraverso l’analisi delle emergenze pedagogiche che i ragazzi con disabilità e le loro famiglie possono trovarsi ad affrontare al termine della scuola dell’obbligo. Per supportare la traiettoria di vita verso l’adultità di adolescenti con disabilità intellettive viene presentato il Progetto Mongolfiera, nato per favorire le abilità e le competenze necessarie per la vita quotidiana.

Parole chiave

Disabilità intellettive, Adolescenza, Progetto di vita, Vita indipendente, Inclusione sociale.

ITALIAN MODELS AND PERSPECTIVES

The «Balloon Project»

A space and a time to grow up

Noemi Del Bianco2

Abstract

What will happen to my child with a disability after school? Will they be ready to face the daily contexts of life and work? This paper analyses these questions, which often torment families with disabled children (Pavone, 2009), through the analysis of the pedagogical emergencies that children with disabilities and their families may face at the end of compulsory education. To support the life trajectory of adolescents with intellectual disabilities towards adulthood, the Balloon Project, created to foster the skills and competences necessary for everyday life, is presented.

Keywords

Intellectual disabilities, Adolescence, Life plan, Independent life, Social inclusion.

Introduzione

Muovendo dal riconoscimento delle inclinazioni e delle attitudini soggettive, in funzione sia del benessere personale che delle opportunità di sviluppo e di crescita collettiva (Chiappetta Cajola e Traversetti, 2018), il presente contributo vuole sottolineare le opportunità e i supporti necessari per la realizzazione del progetto di vita di ciascun individuo.

Il diritto alla piena ed effettiva partecipazione e inclusione sociale, tra i principi cardine della Convenzione Onu per i diritti alle persone con disabilità, riconosce «il diritto di tutte le persone con disabilità a vivere nella società, con la stessa libertà di scelta delle altre persone» (UN, 2006, art. 10). A tale scopo la Convenzione sollecita i membri a adottare «misure efficaci e adeguate al fine di facilitare il pieno godimento da parte delle persone con disabilità di tale diritto e la loro piena integrazione e partecipazione nella società» (ONU, 2008, p. 20). I presupposti che vengono stabiliti al suo interno fanno emergere elementi concettuali di elevato spessore culturale e pedagogico nei confronti delle disabilità, come ad esempio la partecipazione e la cittadinanza attiva di tutti, i diritti inviolabili di ogni uomo e la dignità di ciascuno. Nel dettaglio, è all’art. 1 che viene affermato come la disabilità sia il risultato dell’interazione tra le caratteristiche delle persone e le barriere attitudinali e ambientali che le stesse incontrano. Medeghini e collaboratori (2015) nel ribadire la crucialità dei principi sanciti nella Convenzione sostengono che: «se è stata stipulata una convenzione, è perché esiste un diritto violabile e violato che occorre difendere, anche costruendo un linguaggio comune e condiviso fra Nazioni» (Medeghini et al., 2015, p. 108).

In linea con i suddetti principi, diversi autori (Hahn e Hegamin, 2001; DePoy e Gilson, 2004; Schalock et al., 2008; Szadejko, 2020) sostengono un approccio bio-psico-sociale di disabilità (WHO, 2001), che in sintesi: «esemplifica l’interazione tra la persona e il suo ambiente; si focalizza sul ruolo che i supporti individualizzati possono giocare nel migliorare il funzionamento individuale; permette di perseguire e comprendere il concetto di “identità disabile”, i cui principi includono il valore di sé, il benessere soggettivo, l’orgoglio, la causa comune, le scelte politiche e il coinvolgimento nell’azione politica» (Schalock et al., 2008, p. 10). Da tali considerazioni prende forma il seguente contributo, che si permea di tali quadri epistemologici per la progettazione e realizzazione di un concreto servizio rivolto a persone con disabilità, nello specifico con disabilità intellettive.

Motivazioni epistemologiche

Ponendo lo sguardo sulla presa in carico delle persone con disabilità intellettive, importanti ricerche evidenziano un’esponenziale crescita di questa popolazione, sia per l’allungamento della vita media che per le più ampie possibilità di sopravvivenza alla nascita (Janicki, 2009). L’avanzamento dell’età registrata conduce necessariamente a un adeguamento delle modalità di presa in carico, con l’obiettivo di fronteggiare nuove esigenze e rispondere a innovativi bisogni che accompagnano verso la crescita (Gaggioli, 2018; Giraldo, 2020). Per evitare il rischio di una «razionalizzazione riduttrice della complessità» (Goussot, 2009, p. 28) e non incorrere in soluzione improvvise o addirittura di emergenza nell’età adulta (Pavone, 2009) ci chiediamo come i professionisti delle pratiche educative possano realizzare la progettazione di un percorso che sia pensato e costruito nel tempo. La complessità insita nei processi di sviluppo spinge il nostro sguardo verso la considerazione di contesti che siano funzionali e coerenti durante tutto l’arco della vita per dar luce a un processo formativo e preparatorio che preceda il «Dopo di Noi» e si dispieghi nel «Durante di Noi» (Giaconi et al., 2020). Ci domandiamo, nello specifico, quali possano essere le occasioni di potenziamento e di supporto pedagogico progettabili negli assetti educativi indirizzati a persone con disabilità intellettive e alle loro famiglie, ovvero nei servizi alla persona. Nel dettaglio, le motivazioni scientifiche, che divengono lo sfondo teorico e valoriale entro cui si sviluppa il presente lavoro, sono circoscrivibili in due prospettive.

In primo luogo, le ricerche internazionali (Schalock et al., 2010; Scott e Havercamp, 2018; Haddad et al., 2018; Barros et al., 2019) mettono in luce il crescente interesse volto ad approfondire gli aspetti di una vita qualitativa anche nelle persone con disabilità, divenendo, nello specifico, una delle prospettive principalmente indagate nel campo delle disabilità intellettive e delle aree connesse a tali disabilità. La letteratura scientifica di riferimento si estende in questa direzione, fino a pervadere le dimensioni dell’invecchiamento (Efklides et al., 2006; Crespo et al., 2012; Prieto-Flores et al., 2012), dell’educazione (Faragher e Ommen, 2017), della salute mentale e fisica (Goksel Karatepe et al., 2011) e, più di recente, della Qualità della Vita in ambito familiare (Boehm e Carter, 2019), dilatandosi a tal punto da dar luogo a una pluralità di definizioni nonché procedure applicative (Verdugo Alonso e Schalock, 2001; Jenaro et al., 2005; Schalock et al., 2005; Verdugo Alonso et al., 2006a; Verdugo Alonso et al., 2006b; Giaconi, 2015). Negli ultimi anni la ricerca internazionale ci ha, quindi, permesso di avere dei quadri chiari per definire il concetto di «Qualità della Vita» anche nelle persone con disabilità, strutturandosi in un costrutto a servizio delle politiche sociali e delle progettazioni educative, assumendo, così, la connotazione di criterio cardine per la pianificazione di interventi efficaci e per l’organizzazione di servizi di qualità (Schalock e Verdugo Alonso, 2006; Gomez et al., 2013; van Loon et al., 2013). Per tali ragioni, la cornice pedagogica della Qualità della Vita rappresenta il costrutto epistemologico di riferimento per la realizzazione di percorsi in grado di migliorare la presa in carico delle persone con disabilità intellettive e delle loro famiglie all’interno dei servizi alla persona.

In secondo luogo, e in linea con la prospettiva precedente, la letteratura ha dimostrato come maggiori livelli di Qualità della Vita delle persone con disabilità intellettiva si ottengano attraverso un lavoro orientato a implementare anche le occasioni di vita indipendente (Bocci e Guerini, 2017) e di inclusione sociale (Lepri, 2016). La letteratura afferma, infatti, che aumentare le capacità di gestione indipendente incide nella vita delle persone con disabilità, in ottica sia del miglioramento della Qualità della Vita generale della persona, che della sua partecipazione sociale (Sigafoos et al., 2005; Dollar, Fredrick, Alberto e Luke, 2012; Lepri, 2016; Bocci e Guerini, 2017), oltre ad essere ciò che la maggior parte degli adulti con disabilità intellettive desiderano (Kuijken et al., 2016).

Nel percorso verso l’adultità concordiamo con Vicari (2007) sull’importanza di «riconoscere, accettare e dare spazio al diventare adulto di una persona che, anche se ha una disabilità intellettiva, non è e non può essere considerata un eterno bambino. Ciò porta con sé la necessità di prestare maggiore attenzione ai bisogni dell’età adulta, ma anche la richiesta di guardare ai bambini di oggi come agli adulti di domani. E pensando al domani diventa urgente credere in un’autonomia possibile anche per loro» (Vicari, 2007, p. 94).

I presupposti teorici di riferimento hanno preso forma all’interno di un contesto privilegiato che si occupa di famiglie con figli con disabilità intellettive, ovvero l’Anffas Onlus di Macerata. Grazie al supporto di carattere scientifico-pedagogico dell’Università degli Studi di Macerata, questa struttura ha deciso di avviare un percorso di ricerca volto a colmare le criticità che possono emergere durante la progettazione delle traiettorie di vita, attraverso linee strategiche orientate al miglioramento della presa in carico delle persone con disabilità intellettive e delle loro famiglie. La proposta progettuale, dal nome «Mongolfiera» si configura come uno spazio educativo in cui è possibile ripensare il progetto di vita degli adolescenti con disabilità intellettive, con l’obiettivo di mettere in atto azioni pedagogiche che sappiano concretizzarsi in un servizio in grado di offrire spazi e tempi per diventare grandi.

Adolescenti con disabilità intellettive: vita indipendente e inclusione sociale

Considerare un orizzonte articolato in una prospettiva sincronica e diacronica dell’esperienza della persona con disabilità (Ianes, 2004), ovvero centrata alla fase adolescenziale, ma che sia nel contempo proiettata al suo futuro, ha permesso di orientare gli interventi educativi proposti nel segno della Qualità della Vita (Schalock e Verdugo Alonso, 2006) della persona con disabilità.

Montobbio e Lepri (2000) ricordano a tal proposito che i processi che conducono all’adultità «[…] non si costruiscono in modo storico a una certa età anagrafica, ma sono la risultante di un percorso educativo-affettivo ed esponenziale che prende l’avvio precocemente proprio da un immaginario e da un progetto che si realizza passo dopo passo, giorno dopo giorno, a condizione che si sia capito bene in quale direzione andare e quali passi compiere» (Montobbio e Lepri, 2000, p. 26). Per tali ragioni, la prospettiva presentata vuole tessere relazioni significative tra la fase adolescenziale e quella adulta, al fine di implementare i possibili esiti raggiungibili.

Ogni giovane adulto è chiamato ad affrontare sé stesso e la propria identità, strutturando nuovi obiettivi, motivazioni, valori e interessi (Confalonieri, 2009). Concordiamo con Canevaro (2009), che quando si parla di adolescenza «giustamente si parla di “transizione”. Françoise Dolto aveva utilizzato l’espressione “sindrome dell’aragosta” per indicare una fase della vita adolescenziale caratterizzata dalla perdita di un guscio protettivo, nell’attesa di formarne uno nuovo. La Dolto […] con quell’immagine intendeva indicare un difficile periodo di transizione che chi cresce vive nella paura: di non avere difese (il guscio “infantile” è caduto, il guscio “adulto” non c’è ancora…); di ogni nuova proposta, scambiando un’ombra per un pericolo imminente; di ogni incontro, perché ognuno potrebbe essere travestito da amico ma rappresentare un pericoloso concorrente» (p. 421). Il periodo della transizione, che certamente vive anche il giovane con disabilità intellettiva, si identifica come necessario momento di «collaudo», fondamentale per il percorso che conduce alla mutazione «tra un guscio perduto e un altro che ancora non c’è» (Canevaro, 2009, p. 421). Il giovane adolescente passando da una posizione di emarginazione sociale infantile a una di riconoscimento sociale, in cui acquisisce uno status specifico, riesce ad avviarsi verso i ruoli che caratterizzano l’età adulta (Scabini e Iafrate, 2003). Per queste ragioni, pensare al progetto di vita e disegnare interventi educativi durante la fase adolescenziale consente di far sperimentare a ogni persona le strategie necessarie per il raggiungimento della propria crescita, affrontando le difficili contraddizioni insite in ogni percorso di sviluppo.

Considerare il periodo esistenziale adolescenziale nella progettazione è azione fondamentale per il raggiungimento di una vita qualitativa per il futuro adulto con disabilità (Schalock e Verdugo Alonso, 2006; Haddad et al., 2018; Barros et al., 2019). Sen (2001) sottolinea che una prospettiva di vita qualitativa dipende anche dalla partecipazione sociale, dall’accessibilità delle informazioni, dal lavoro, dai diritti della persona con disabilità; occasioni che, per il loro connettersi con i diversi ambiti di vita in cui il soggetto si sperimenta, riflettono un grado più o meno ampio di possibilità di azione e relazione nella società. In questa prospettiva, la progettualità educativa che connota la fase della giovinezza è inscindibile dalla Qualità della Vita personale.

Nel concreto, la progettazione può abbracciare due macro-dimensioni: la vita indipendente e l’inclusione nella comunità.3 Come conferma la letteratura di riferimento (Davis, 2010; Clarke, Camilleri e Goding, 2015; Simplican et al., 2015), è l’interazione tra i due principali domini della vita, ovvero relazioni interpersonali e partecipazione della comunità che concorre al pieno sviluppo della Qualità della Vita percepita dal soggetto.

In primo luogo, la letteratura scientifica suggerisce che una maggiore indipendenza contribuisca a ridurre considerevolmente i supporti da parte di professionisti e familiari (Dawson et al., 2016; Vilaseca et al., 2017), rendendo la loro presa in carico di minore entità. Le abilità che consentono di far fronte a una vita indipendente da adulto necessitano, quindi, di una preparazione che può essere avviata attraverso un lavoro preventivo durante la maturazione. Come ricorda Canevaro (2009), «l’autonomia, come la vita indipendente, deve essere una proposta per tutti, senza discriminazioni. E dobbiamo capire che, come ogni proposta, può essere favorita oppure ostacolata dal tempo storico in cui si trova a vivere» (p. 420). Le possibilità offerte da una vita indipendente non sono riservate solamente a pochi, poiché non vuol significare fare a meno degli altri, ma concerne, piuttosto, il modo di fare le cose, coincidendo con il «vivere per accompagnare ed essere accompagnati» (Canevaro, 2009, p. 436). Sono queste azioni di accompagnamento, che nei contesti di vita possono essere messe in atto durante il momento adolescenziale, ad avviare anche il soggetto con disabilità intellettiva verso occasioni possibili di vita indipendente nell’adultità.

L’ulteriore dimensione da tener presente, durante la progettazione di percorsi rivolti a adolescenti con disabilità intellettiva, è come sostiene Lepri (2016) «l’idea di persona intesa come individuo in relazione con l’altro attraverso la mediazione del ruolo sociale» (p. 19). Sebbene le definizioni siano variegate, concordiamo con Canevaro (2009) che l’inclusione sociale sia da intendersi come quel «metodo e prospettiva in grado di realizzare un processo di conoscenza e di riconoscimento reciproco, in cui le ragioni di ciascuno si incontrino in un percorso di crescita comune» (p. 428). Il concetto di inclusione riguarda, in modo generico, le attività, le relazioni e gli ambienti che costituiscono la vita sociale delle persone con disabilità (Simplican et al., 2015), ed è stato ampiamente utilizzato per capire cosa significhi vivere con successo all’interno delle comunità (Hall, 2005; Power, 2013; Bigby e Wiesel, 2011). Le ricerche in tale direzione mostrano che l’inclusione sociale di persone con disabilità intellettive sia di difficile attuazione: solitamente le loro reti sociali sono di piccole dimensioni, e queste tendono ad essere costellate da altre persone con disabilità o dal personale di supporto (Amado et al., 2013), con poche interazioni di persone senza disabilità (Dusseljee et al., 2011).

Queste ultime evidenze aprono a un ulteriore e importante elemento di riflessione che concerne l’ambito sociale, ovvero l’urgenza di ancorare il progetto di vita alla costruzione di occasioni sociali, per far appropriare la persona con disabilità intellettiva di un ruolo all’interno della società: «questo obbliga quindi a interrogarsi sulle possibilità di accrescere le esperienze istituzionali, sociali, lavorative e, conseguentemente, di arricchire l’esistenza delle persone con disabilità di fasi e transizioni non necessariamente normative» (Medeghini, 2006, p. 17). Giaconi (2015) sottolinea che la relazione con la complessità sociale non viene a determinarsi se le persone non hanno un ruolo da svolgere. Chi è privo di un ruolo non ha alcun dovere o diritto e non assume una posizione nei rapporti con le persone che vivono nella medesima società. I giovani con disabilità, spesso esentati dai ruoli, e quindi da doveri, diritti e responsabilità, non avendone mai fatto esercizio durante il periodo della loro crescita, troveranno molte difficoltà nella vita adulta (Giaconi, 2015).

Far fronte alle esigenze e ai bisogni che accompagnano il periodo adolescenziale di una persona con disabilità intellettiva significa, pertanto, predisporre occasioni che siano in grado di migliorare l’appartenenza alla comunità, attraverso la promozione del ruolo sociale del soggetto (Randt, 2011; Simplican et al., 2015). Caldin (2009b) parla proprio di una «pedagogia dei ruoli» per evidenziare le possibilità di percorsi in cui alle persone con disabilità vengano riconosciute posizioni che li vedano socialmente partecipi, in favore di cambiamenti significativi e utili per l’età adulta.

Accogliendo le «possibilità dell’educabilità dell’umano» (Caldin, 2007, p. 17) vogliamo credere che l’inclusione sociale, pur se parzialmente, possa essere conquistata anche dal soggetto con disabilità intellettiva attraverso la predisposizione contestuale di adeguati sostegni e giusti mezzi; pur consapevoli che la formazione delle competenze utili per tale ambizioso obiettivo rimane una delle maggiori sfide del sistema educativo e sociale (Orefice e Sarracino, 2004; Giaconi et al., 2020).

Il Progetto Mongolfiera: le abilità per diventare grandi

Lo sfondo precedentemente delineato rappresenta il quadro concettuale di riferimento entro cui la proposta operativa ha preso forma. Creare forme di supporti per le complessità che contraddistinguono i bisogni dei soggetti con disabilità intellettive e delle loro famiglie significa mettere in campo competenze professionali, esperienze collettive e sensibilità condivise in senso ampio, al fine di gestire efficacemente sia processi interni alle realtà educative, sia relazioni significative con l’esterno. Offrire soluzioni che sappiano essere concrete richiede, quindi, la mobilitazione delle reti territoriali, oltre che l’organizzazione di azioni di sistema. Ripensare il percorso dell’adolescenza in virtù delle continue interazioni che si innescano tra i diversi attori sociali ha permesso di orientare la nostra traiettoria di lavoro verso una prospettiva in grado di aprirsi progettualmente a spazi dalla valenza pedagogica ecologica e continuativa.

Per tali ragioni, le modalità attuative, che vengono di seguito esplicitate, sono state pensate per evitare che la progettazione del percorso esistenziale o delle azioni educative si riducano a un discorso operativo di semplici e buone prassi che hanno come unico riferimento il contesto e la temporalità in cui si producono (Medeghini, 2006). Collocarsi in questa direzione prospettica, nonché di rete, ha significato per l’associazione Anffas di Macerata e per l’Università degli Studi di Macerata immergere il progetto di vita di adolescenti con disabilità intellettive in spazi e tempi più ampi. Lo sguardo è stato, pertanto, proiettato verso la creazione di un servizio pomeridiano che sapesse offrire occasioni e possibilità per diventare grandi. Avere competenze per vivere in modo efficace è stata la prospettiva che ha orientato la nostra pista di lavoro, con l’obiettivo di alimentare le possibilità di una crescita concreta del soggetto con disabilità intellettiva. Per poter fronteggiare efficacemente le sfide a cui la persona è chiamata a rispondere quotidianamente, riteniamo necessario far acquisire all’adolescente uno scaffolding di abilità da utilizzare nei momenti in cui le circostanze esterne lo richiedono. Orientare il Progetto Mongolfiera verso il raggiungimento delle «abilità di vita» (Prajapati et al., 2017) ha permesso di riuscire nella concreta spendibilità e reiterazione verso l’esterno delle conoscenze che il soggetto esperisce entro il contesto protetto in cui si svolge il servizio. La progettazione è stata, pertanto, attuata tenendo in considerazione l’età cronologica degli adolescenti e non quella cognitiva, mantenendo costante l’approccio di una completa aderenza ai contesti quotidiani. Il lavoro di un’équipe, specificatamente composta per il servizio, i cui membri sono figure appartenenti alle professioni di pedagogisti, psicologi, educatori e assistenti sociali, è costantemente volto alla progettazione e alla predisposizione di azioni rispondenti a tali finalità.

Dalle aspettative alle linee attuative

Per avviare la conoscenza tra l’équipe e i partecipanti, il primo step attuativo è coinciso con la raccolta delle aspettative di tutte le parti coinvolte. In linea con la letteratura di riferimento (Giaconi, 2015) precedentemente analizzata, la scelta è ricaduta sull’allineamento dei desideri e dei bisogni del personale Anffas, delle famiglie e dei ragazzi partecipanti al progetto. Avere come riferimento le aspettative di ciascun attore coinvolto ha permesso di addentrarci nelle concrete azioni da mettere in atto per intraprendere un percorso comune. La triangolazione delle aspettative delle diverse persone coinvolte a diversi livelli nel progetto ha, quindi, consentito di avere una visione integrale e sistemica, dalla quale far partire la progettazione del servizio (Giaconi et al., 2020).

Per quanto riguarda il campione della ricerca, nel caso del personale Anffas sono state poste le domande al presidente dell’associazione, alla psicologa e all’assistente sociale, figure professionali appartenenti all’équipe organizzata per il supporto al progetto. Nel caso delle famiglie sono stati intervistati cinque genitori, di cui quattro madri e un padre. I ragazzi sono stati, invece, intervistati durante il primo incontro conoscitivo. Nello specifico, il numero delle interviste raccolte corrisponde a cinque (due ragazze e tre ragazzi).

Per quanto riguarda la metodologia che è stata utilizzata per la raccolta delle percezioni e delle aspettative, abbiamo scelto un approccio metodologico di tipo qualitativo. Tra le diverse procedure abbiamo optato per l’intervista semi strutturata e per l’analisi dei contenuti delle interviste abbiamo utilizzato la procedura della Grounded Theory (Glaser e Strauss 1967; Lambert, 2019).

Le domande poste (tabella 1) presentano i nuclei tematici delle interviste rispettivamente formulate con un linguaggio adeguato in riferimento agli intervistati. Ad esempio, per i ragazzi sono state formulate con un linguaggio facilitato, seguendo le linee guida Easy to Read, al fine di garantire una maggiore accessibilità alle domande.

Tabella 1

Domande poste nella fase di avvio del Progetto Mongolfiera al personale Anffas, alle famiglie e ai ragazzi partecipanti.

Domande poste al personale Anffas

Domande poste alle famiglie

Domande poste ai ragazzi partecipanti

1. Perché avete deciso di investire nel Progetto Mongolfiera?

1. Perché avete deciso di far partecipare vostro/a figlio/a al Progetto Mongolfiera?

1. Perché vuoi partecipare?

2. Cosa vi aspettate da questo progetto?

2. Cosa vi aspettate da questo progetto?

2. Secondo te, che cosa faremo insieme?

3. Cosa pensate sia importante inserire in questo progetto? (attività, esperienze, eventi…)

3. Cosa pensate sia importante inserire in questo progetto? (attività, esperienze, eventi…)

3. Che cosa ti piacerebbe fare con noi?

Le interviste sono state trascritte per procedere all’analisi del testo scritto e all’individuazione delle unità significative (Giaconi, 2012, p. 51) partendo dalle parole dei diversi partecipanti alla ricerca. Le interviste sono state lette da un gruppo incrociato che ha poi condiviso e discusso le unità significative emerse e ha costruito brevi didascalie e relative etichette concettuali (come riportato in modo esemplificativo nelle tabelle 2, 3 e 4).

Tabella 2

Esempio di analisi dell’intervista del Presidente Anffas: unità di testo significativa, breve didascalia, etichetta concettuale.

Unità di testo significativa (testo P. Anffas)

Breve didascalia

Etichetta concettuale

«In Anffas abbiamo sempre guardato alle esigenze delle famiglie. Il centro riabilitativo ha tante famiglie con figli nel periodo scolastico, ma non ha la possibilità di accogliere le difficoltà dei ragazzi in età adolescenziale, dove le questioni da affrontare non sono solo quelle scolastiche. I ragazzi e i familiari non sempre riescono da soli a far fronte con le loro risorse agli impegnativi compiti di sviluppo in ambito sociale, relazionale e adattivo che si prospettano nella fase adolescenziale. Non sempre vengono ascoltati adeguatamente dalla scuola e dal territorio […]».

Aiutare le famiglie e i ragazzi a far fronte con le loro risorse agli impegnativi compiti dell’adolescenza.

Accompagnare ragazzi e familiari nella fase adolescenziale.

Tabella 3

Esempio di analisi dell’intervista di un familiare Anffas: unità di testo significativa, breve didascalia, etichetta concettuale.

Unità di testo significativa (testo F. Anffas)

Breve didascalia

Etichetta concettuale

«Mia figlia è nel pieno della fase adolescenziale e sta affrontando questo periodo con tanta fatica. Sono soprattutto le sue difficoltà relazionali a impedirle dei legami amicali. Abbiamo pensato di inserirla in questo progetto per farle acquisire strategie adeguate alla gestione dei rapporti sociali […]».

Aiutare i ragazzi nell’ac- quisizione e nella gestione consapevole dei rapporti sociali.

Acquisizione di competenze per i rapporti sociali.

Tabella 4

Esempio di analisi dell’intervista di una Ragazza Anffas: unità di testo significativa, breve didascalia, etichetta concettuale.

Unità di testo significativa (testo R. Anffas)

Breve didascalia

Etichetta

concettuale

«Vorrei incontrare nuove persone. Di solito sto sempre a casa da sola e invece mi piacerebbe stare con gli altri».

Estendere la propria rete di conoscenza incontrando nuove persone.

Instaurare nuove amicizie.

Andiamo, quindi, a presentare i risultati emersi dalle interviste effettuate al personale Anffas, ai familiari coinvolti e agli adolescenti con disabilità partecipanti al servizio.

Alla prima domanda, riguardante la motivazione della costruzione del Progetto Mongolfiera il personale Anffas ha motivato la propria scelta in riferimento a due aree significative: la prima è riconducibile all’ascolto dei bisogni delle famiglie, la seconda al supporto delle stesse e dei loro figli durante l’adolescenza. I rappresentanti Anffas affermano che la scelta di creazione del servizio Mongolfiera è stata legata da un lato ad «aiutare le famiglie e i ragazzi a far fronte con le loro risorse agli impegnativi compiti dell’adolescenza», dall’altro ad «ascoltare la crescente richiesta di supporto da parte delle famiglie con figli adolescenti».

Anche dall’analisi dei dati provenienti dalle interviste rivolte alle famiglie è possibile individuare due principali aree di riferimento, ovvero potenziare nei loro figli rapporti sociali e attività fuori dalla scuola, e favorire abilità per affrontare la vita. Le etichette emerse in questo caso sono, nel dettaglio: «Acquisire strategie per la gestione dei rapporti sociali»; «Partecipare attivamente ad attività oltre il contesto scolastico»; «Includere nella società»; «Acquisire maggiore autonomia».

Delle interviste sottoposte agli adolescenti è possibile giungere all’identificazione di alcune aree più significative, ovvero la richiesta da parte dei giovani di una maggiore indipendenza e autonomia dai genitori e la creazione di nuovi legami amicali. Nello specifico, i giovani vogliono partecipare al progetto per: «Uscire di casa»; «Avere autonomia dai genitori»; «Instaurare nuove amicizie».

Passando al secondo quesito, le aspettative che i rappresentanti Anffas mostrano nei confronti del progetto sono riconducibili a un generale incremento della Qualità della Vita degli adolescenti, soprattutto in riferimento a tre domini: relazioni interpersonali, inclusione sociale, autodeterminazione. In tale direzione, le etichette concettuali emerse evidenziano: «Migliorare la Qualità di Vita»; «Ampliare le competenze socio-relazionali»; «Entrare in maniera “protetta” all’interno della società»; «Potenziare le competenze adattive».

Anche in riferimento all’analisi delle interviste dei familiari emergono due dimensioni significative riconducibili alla Qualità della Vita degli adolescenti, ovvero relazioni interpersonali e inclusione sociale. Nello specifico, tra le etichette concettuali ci sono: «Socializzare con i pari»; «Trovare un gruppo di amici»; «Sviluppare competenze relazionali».

Alla domanda «Secondo te, che cosa faremo insieme?», posta durante l’intervista ai ragazzi, le principali risposte appartengono alla sfera ludica (infatti, è emersa in quasi tutte le interviste l’etichetta concettuale «Giocare») e l’ambito amicale (in cui l’etichetta più frequente è «Fare amicizie»).

Per quanto concerne la strutturazione organizzativa del progetto, il personale Anffas afferma l’importanza di un approccio conoscitivo di nuove competenze sia di tipo esperienziale, ossia attraverso l’esperienza diretta, che tramite attività di gruppo, al fine di favorire competenze socio-relazionali. In questo caso le etichette emerse sono: «Utilizzare modalità e strategie educative e di apprendimento di tipo esperienziale»; «Fare attività esperienziali e pratiche»; «Lavorare in gruppo per favorire le competenze socio-relazionali».

Passando all’analisi dei dati emersi dalle interviste dei familiari, i genitori sottolineano la necessità di un lavoro per i propri figli che sia diretto in tre direzioni, ovvero implementare una maggiore autonomia, riuscire nella gestione del tempo e superare la zoofobia. Nel dettaglio, le etichette presenti sono le seguenti: «Riuscire a muoversi autonomamente per la città»; «Riuscire a capire il tempo (giorni della settimana, ore…)»; «Riuscire a superare le paure per gli animali».

Dalle interviste dei ragazzi è stato possibile estrapolare proposte di attività diversificate per ogni persona. Nello specifico, le propensioni dei partecipanti emerse nelle etichette concettuali sono: «Ascoltare musica»; «Fare sport»; «Giocare a calcio»; «Cantare»; «Creare oggetti».

Per quanto riguarda la discussione dei risultati, è stata attuata un’analisi incrociata delle etichette più ricorrenti presenti nelle interviste effettuate al personale Anffas, ai familiari e ai ragazzi del progetto. Da questa analisi sono emerse delle aree di significatività che hanno permesso di poter indirizzare la progettazione da intraprendere.

La rilevazione delle aspettative e, quindi, aver effettuato un allineamento tra le stesse, ha permesso di porre in essere alcuni macro-obiettivi in grado di orientare la direzione attuativa da seguire; gli obiettivi sono stati, in seguito, declinati in competenze specifiche, che hanno, successivamente, preso vita attraverso attività rispondenti alle situazioni e alle circostanze contestuali. Tra gli obiettivi ad ampio raggio che hanno guidato la proposta progettuale emergono le possibilità dell’adultità iscrivibili nelle due macroaree della vita indipendente e dell’inclusione sociale. Per supportare il soggetto verso tali dimensioni sono state predisposte attività che potessero sviluppare specifiche competenze. Per quanto concerne la proiezione di una vita che sappia attingere all’indipendenza, le azioni intraprese sono state avviate tenendo in considerazione l’ampliamento di competenze riguardanti: a) la gestione del tempo pomeridiano; b) la gestione condivisa di uno spazio fisico; c) la gestione delle risorse economiche, sia comuni, che personali. La sfera attinente all’inclusione sociale ha indirizzato, invece, le modalità attuative verso l’accrescimento di competenze concernenti: a) lo sviluppo delle relazioni amicali; b) la gestione delle relazioni affettive; c) la gestione di ruoli sociali.

Successivamente a questa prima fase di allineamento delle aspettative e di progettazione degli obiettivi, che ha permesso di porre in essere il percorso da effettuare, la Mongolfiera è decollata prendendo forma nella sua attuale configurazione. A seguire una breve delineazione delle modalità proposte e intraprese per l’implementazione della vita inclusiva degli adolescenti con disabilità intellettive.

Concretizzazione dell’intervento

Concordiamo con Cambi (2005) che la progettazione di azioni formative in contesti non formali e informali è un’attività molto complessa; nel nostro caso, sia in termini di valorizzazione delle differenti modalità e dei singolari processi di apprendimento, sia per il raggiungimento di significativi obiettivi formativi degli attori coinvolti.

Il Progetto Mongolfiera per la sua natura innovativa nel territorio maceratese è stato certamente un banco di prova, in cui le strategie per il potenziamento soggettivo delle abilità di vita sono state più volte ripensate, riprogettate e rimodellate in relazione alle persone, ai contesti, alle dinamiche intercorse tra le parti.

Strutturato in un percorso parallelo al periodo scolastico, il servizio accoglie i ragazzi con cadenza duplice per settimana, attraverso incontri di quattro ore ciascuno. La realizzazione delle attività è ricaduta su una formula laboratoriale, dove ogni soggetto viene coinvolto in prima persona ed è chiamato a partecipare in modo attivo. Le attività proposte per ogni giornata sono due, intervallate da una pausa, e vengono ripetute settimanalmente seguendo una scansione temporale sempre uguale, per la prevedibilità e il rinforzo della routine. La riorganizzazione e la predisposizione di nuove attività viene effettuata trimestralmente, in relazione agli obiettivi posti e raggiunti.

Per l’economicità del presente trattato verranno presentate le aspettative iniziali e finali dei protagonisti del progetto.

In una prima fase l’attenzione dell’équipe è stata rivolta a una maggiore implementazione delle pratiche e delle strategie organizzative, volte a favorire adeguati processi di relazione sociale tra i ragazzi stessi. L’attivazione dei processi di coesione ed equilibrio, diretti a creare e saldare i legami nel gruppo, sono stati realizzati grazie alla collaborazione di un esperto in teatro sociale. L’esplorazione di nuovi linguaggi e codici, in grado di scardinare preconcetti e pregiudizi, ha fatto emergere le tipicità di ciascuno, sottolineando i punti forti di ogni soggetto presente. In una reciprocità feconda, ogni diversità è stata accolta e ascoltata, costruita e ricostruita, agganciata alle altre e resa unica, per la realizzazione di una sana relazione amicale e affettiva tra le parti coinvolte. Il personale ha lavorato sulle capacità riguardanti la gestione delle relazioni in modo costante e ha assunto un ruolo di mediazione durante l’inserimento di nuovi membri, poiché non sempre le dinamiche sottese ai rapporti con gli altri sono state di facile lettura per i ragazzi con disabilità.

L’équipe, in seguito, ha voluto focalizzare il lavoro sulla strutturazione di una forma collaborativa tra i ragazzi, così da permettere ai membri di assumere un ruolo. Le competenze legate ai ruoli sociali, sperimentabili in modo diretto, oltre alle procedure specifiche richieste dalla posizione ricoperta, hanno consentito ai membri di adattarsi alle mansioni richieste dalla situazione, permettendo di mettere in gioco e/o sollecitare determinate abilità.

Tra le attività organizzate, ad esempio, è stato avviato un lavoro sull’uso del denaro (utilizzo, acquisizione del valore del denaro, riconoscimento, resto...) e soprattutto sulle competenze sociali legate alla compravendita, per attivare precisi schemi e procedure. In questo caso, la strategia del role-playing ha consentito a ogni ragazzo di esperire le modalità di interazione legate alla vendita e all’acquisto, conducendolo a una maggiore sicurezza nella gestione delle competenze necessarie per il ruolo specifico. Grazie all’ancoraggio di situazioni in contesti reali la gestione del denaro, delle relazioni e delle competenze legate ai ruoli, sono state rese tangibilmente concrete.

Delineare attività che fungessero da ponte per l’avviamento alla vita adulta, e nello specifico dell’inclusione nella società, hanno fatto riflettere l’intera équipe sulla predisposizione di azioni calate entro processi di lavoro in rete, per innervare un insieme di supporti e di strategie funzionali a implementare o attivare le abilità di vita. Il collegamento con altre realtà territoriali ha, pertanto, favorito una crescita del progetto in termini di esperienze e di interazione con l’esterno. La Mongolfiera, certamente aperta a nuove forme di collaborazione, vanta ad oggi il coinvolgimento sempre maggiore di adolescenti appartenenti a gruppi Scout, che partecipano costantemente e attivamente al progetto; la collaborazione con una società di pallavolo femminile maceratese consente ai ragazzi di sperimentarsi anche sul piano sportivo all’interno di una dinamica realtà del territorio; la cooperazione con una associazione che si occupa di educazione cinofila coinvolge i ragazzi in incontri predisposti con cani altamente addestrati; un percorso rivolto all’orientamento cittadino e alla sicurezza in strada conduce i membri del progetto a esplorare i punti di riferimento della città di Macerata e a toccare con mano realtà del luogo (librerie, musei, caserme delle forze armate…).

Valutazione finale

La fase della valutazione è stata effettuata dopo tre anni dall’avvio del progetto, con l’obiettivo di capire se le finalità e gli obiettivi posti in essere nel momento iniziale e necessariamente rimodellati e ripensati durante il percorso sono stati pienamente soddisfatti. Come nel momento iniziale, lo strumento metodologico dell’intervista è stato utilizzato per la raccolta delle percezioni e soddisfazioni finali del personale Anffas, delle famiglie e dei ragazzi. Le domande poste ai partecipanti sono riportate nella tabella 5.

Tabella 5

Domande poste al personale Anffas, alle famiglie e ai ragazzi partecipanti al termine del triennio del Progetto Mongolfiera.

Domande poste al personale Anffas

Domande poste alle famiglie

Domande poste ai ragazzi partecipanti

1. È soddisfatto/a del servizio?

1. È soddisfatto/a del servizio?

1. Ti piace la Mongolfiera?

2. Cosa cambierebbe?

2. Cosa cambierebbe?

2. Cosa non ti piace della Mongolfiera?

3. Ha notato cambiamenti nei ragazzi in questi tre anni che sono riconducibili al Progetto Mongolfiera? Se sì, quali?

3. Ha notato cambiamenti in Suo/a figlio/a in questi tre anni che sono riconducibili al Progetto Mongolfiera? Se sì, quali?

4. Qual è stata, secondo Lei, l’attività più significativa che è stata svolta? E quella meno? Perché?

4. Qual è stata, secondo Lei, l’attività più significativa che è stata svolta? E quella meno? Perché?

3. Cosa ti piace della Mongolfiera?

Il campione degli intervistati risulta essere il medesimo di quello considerato per le interviste iniziali. Come nel momento della raccolta dei dati durante l’avvio del progetto, le risposte fornite dal personale Anffas, dalle famiglie e dai ragazzi sono state trascritte partendo dalle parole dei diversi partecipanti alla ricerca, per procedere, in seguito, all’analisi del testo scritto e all’individuazione delle unità significative (Giaconi, 2012). Un gruppo di lavoro ha, quindi, letto le interviste, per poi condividere e discutere le unità significative emerse, costruendo brevi didascalie e relative etichette concettuali (esemplificazioni vengono riportate nelle tabelle 6, 7 e 8).

Tabella 6

Esempio di analisi dell’intervista del Presidente Anffas: unità di testo significativa, breve didascalia, etichetta concettuale.

Unità di testo significativa (testo P. Anffas)

Breve didascalia

Etichetta concettuale

«Sì, in molti di loro è stato davvero interessante riscontrare dei positivi cambiamenti rispetto al coinvolgimento nelle attività, alla partecipazione nelle dinamiche di gruppo, al rispetto gli uni degli altri; ognuno, con il supporto, la passione e la professionalità dei nostri operatori, è riuscito a individuare la giusta strategia per vivere bene la realtà del gruppo e ad acquisire importanti “skills”, il tutto sotteso dal vivere in modo piacevole e leggero il tempo trascorso insieme durante il Progetto Mongolfiera».

Partecipazione alle dinamiche di gruppo e acquisizione di autonomie e competenze sociali.

Partecipazione attiva e acquisizione di competenze sociali.

Tabella 7

Esempio di analisi dell’intervista di una famiglia Anffas: unità di testo significativa, breve didascalia, etichetta concettuale.

Unità di testo significativa (testo F. Anffas)

Breve didascalia

Etichetta concettuale

«Secondo me, mio figlio è cresciuto molto nei rapporti con gli altri ragazzi. Adesso sa che è un ragazzo con Sindrome di Down e accetta questa sua condizione grazie anche al fatto che si è potuto confrontare con ragazzi come lui. Soprattutto è attento alle persone e capisce gli stati emotivi. È molto sensibile, ma sta bene attento a non farlo capire. È cresciuto ed è diventato un ragazzo. Siamo felici di questo grande cambiamento e pensiamo sia anche dovuto al fatto che il suo livello di disabilità intellettiva non è grave».

Sviluppare rapporti sociali, essere consapevoli della condizione e accettazione di sé.

Essere consapevoli e accettarsi.

Tabella 8

Esempio di analisi dell’intervista di un ragazzo Anffas: unità di testo significativa, breve didascalia, etichetta concettuale.

Unità di testo significativa (testo R. Anffas)

Breve didascalia

Etichetta concettuale

«Sì, mi piace la Mongolfiera, perché stiamo tutti insieme. Possiamo giocare, ridere e chiacchierare. Quando c’è stato il virus mi sono mancati tantissimo tutti i miei amici».

Avere degli amici con cui passare il proprio tempo.

Stare in compagnia.

Il personale Anffas alla domanda «È soddisfatto/a del servizio?» manifesta una complessiva soddisfazione (due intervistati su tre affermano di essere soddisfatti), mentre un intervistato su tre afferma di «provare frustrazione in alcuni momenti».

Analizzando le risposte fornite dalle famiglie è riscontrabile una soddisfazione generalizzata e particolarmente positiva del Progetto Mongolfiera. Le etichette che emergono sono, infatti: «Essere soddisfatti» ed «Essere molto contenti».

Nel caso dei ragazzi, quattro intervistati su cinque affermano una positiva percezione del progetto («Essere soddisfatti»), mentre un unico caso fornisce la risposta negativa («Essere insoddisfatti»). Nel dettaglio, quest’ultimo intervistato motiva la sua risposta affermando di «preferire l’ambiente domestico».

Il quesito concernente ipotesi di modifiche da apportare al servizio, ovvero «Cosa cambierebbe?», fa emergere due aree significative: da un lato le aspettative future della struttura in riferimento al progetto, e dall’altro, quali siano le principali criticità riscontrate dalla struttura in relazione alla Mongolfiera. Nel primo caso, scendendo nel merito delle etichette troviamo: «Portare avanti gli obiettivi che hanno fatto nascere il progetto»; «Fare sempre meglio per i ragazzi». Nella seconda direzione, le etichette sono riconducibili a: «Incrementare i membri dello staff»; «Avere uno spazio stabile»; «Organizzare il servizio in relazione alle risorse umane»; «Definire meglio l’équipe»; «Rendere le riunioni d’équipe più frequenti».

In riferimento alle modifiche da apportare al servizio, i genitori affermano che non ci sono dei cambiamenti sostanziali da realizzare, come confermano tutte le etichette presenti nelle analisi delle interviste («Non cambiare nulla»). A emergere sono, piuttosto, delle considerazioni che potrebbero condurre il servizio a una significativa crescita. Nel dettaglio, i familiari sottolineano diverse opzioni attuabili per implementare il Progetto Mongolfiera, tra queste la sperimentazione di un tempo prolungato che i ragazzi possano trascorrere insieme, magari comprensivo della notte, al fine di permettere ai giovani di organizzare le varie fasi della giornata; fare uscite più frequenti oltre il contesto Anffas, soprattutto nel periodo estivo; avere maggiori occasioni di stare insieme in spazi all’aperto; e la necessità di essere supportati da una guida psicologica che possa aiutare i ragazzi e la famiglia durante il periodo adolescenziale. A tal proposito, le etichette concettuali presenti dall’analisi dei dati sono state: «Far sperimentare una giornata insieme»; «Aggiungere qualche uscita in più»; «Avere degli spazi all’aperto»; «Avere supporto psicologico sia per il ragazzo che per la famiglia».

Dall’analisi delle interviste condotte con i ragazzi alla domanda «Cosa non ti piace della Mongolfiera?» le etichette concettuali emerse sono state: «Assistere alle crisi epilettiche della compagna»; «Colorare».

Al quesito relativo ai cambiamenti che il personale Anffas ha notato nei ragazzi durante il percorso triennale, le aree più significative sono riconducibili a una crescita in termini di maturazione dei partecipanti, sia in riferimento al dominio dell’inclusione sociale che dell’autodeterminazione. I rappresentanti Anffas affermano che i giovani grazie al Progetto Mongolfiera sono riusciti in una «partecipazione attiva e acquisizione di competenze sociali»; a «essere consapevoli dei propri mezzi e capacità»; a «essere coscienti dell’altro e del mondo»; a «stare in gruppo»; a «rispettare le regole sociali»; a «rispettare gli altri».

I genitori si esprimono positivamente in riferimento ai cambiamenti raggiunti nei propri figli grazie al percorso intrapreso. Anche in questo caso le dimensioni privilegiate sono quella dell’autodeterminazione, dell’inclusione sociale e delle relazioni interpersonali. Le etichette concettuali che affermano come i ragazzi siano maturati in tali aree sono: «Essere indipendenti»; «Essere attivi e allegri»; «Capire gli stati emotivi altrui»; «Essere consapevoli e accettarsi»; «Saper comunicare»; «Avere degli amici»; «Socializzare»; «Essere integrato»; «Gestire relazioni interpersonali».

Scendendo nel merito delle attività, il personale Anffas evidenzia come positivo il «Giocare a pallavolo», poiché, come emerge nelle etichette concettuali provenienti dall’analisi delle interviste, consente di «migliorare il benessere fisico ed emotivo»; «arricchire relazioni interpersonali»; «incrementare inclusione sociale». Mentre tra le attività meno significative il personale menziona l’attività ricreativa «Riciclare materiali». Per i professionisti i ragazzi non risultavano coinvolti in questa attività (le etichette evidenziate sono state: «Non essere coinvolti»; «Non mettersi in gioco»; «Non essere motivati»).

Tra le attività svolte, i familiari affermano che numerose sono state le attività significative per loro. Tra queste: «Fare la spesa»; «Preparare cibi»; «Giocare a pallavolo»; «Uscire con il gruppo»; «Fare pet therapy»; «Prendere l’autobus»; «Andare in pizzeria». Tra le motivazioni più ricorrenti i genitori affermano che queste attività sono state per loro particolarmente positive poiché hanno consentito ai loro figli di: «Migliorare l’autonomia»; «Sentire di essere grandi e in grado di fare da soli»; «Migliorare la gestione della cinofobia»; «Stare con gli altri in contesti sociali»; «Migliorare la comunicazione delle proprie scelte». Anche in questo caso tra le attività meno predilette emerge «Riciclare materiali», in quanto i genitori affermano che i loro figli sentivano di «non essere coinvolti in questa attività».

Dall’analisi delle interviste condotte con i giovani protagonisti, tra le etichette maggiormente presenti alla richiesta di avanzare le attività preferite alla Mongolfiera troviamo: «Essere insieme agli altri»; «Avere degli amici»; «Giocare»; «Fare merenda».

Per quanto concerne la discussione dei risultati, come nel momento iniziale, è stata attuata un’analisi incrociata delle etichette più ricorrenti. Attraverso tale analisi sono emerse alcune aree di significatività che hanno permesso di poter capire se le dimensioni carenti nello stato iniziale sono o meno state implementate nel tempo. Riportiamo in modo esemplificativo alcune delle etichette dei domini della Qualità della Vita percepiti inizialmente necessari di interventi educativi, ovvero inclusione sociale e relazioni interpersonali. Per quanto riguarda la dimensione dell’inclusione sociale, tra le etichette più ricorrenti troviamo: «Partecipazione attiva e acquisizione di competenze sociali» (P. Anffas); «Essere integrato» (F. Anffas); «Essere insieme agli altri» (R. Anffas). Nel caso del dominio relazioni interpersonali tra le etichette più rappresentative ci sono, invece: «Rispettare le regole sociali» (P. Anffas); «Gestire relazioni interpersonali» (F. Anffas); «Avere degli amici» (R. Anffas).

Dalle risposte provenienti dall’analisi delle interviste è possibile notare come vi sia una diffusa soddisfazione del progetto e le aspettative attese inizialmente non siano state tradite al termine del percorso triennale, pur con possibili modifiche organizzative e strutturali da apportare. Partendo dalle considerazioni emerse la proposta attuativa può sicuramente essere implementata con ulteriori prospettive di sviluppo.

Prospettive di sviluppo

Diverse sono le prospettive di crescita del Progetto Mongolfiera, che attualmente in forma progettuale fungono da guida orientativa per la pratica operativa.

Tra queste, riteniamo che per uno sviluppo ulteriore del servizio sia necessaria un’adeguata valutazione dello stesso. L’allineamento delle aspettative, ovvero i bisogni e i desideri dei ragazzi, dei loro familiari e dei contesti di riferimento, sono stati raccolti quando il percorso è stato avviato, e, quindi, il costante contatto relazionale tra le parti coinvolte ha permesso un’eterovalutazione del servizio attivato. Certamente la valutazione dell’efficacia e dell’efficienza dell’impatto, che il servizio ha avuto, andrebbe verificato anche grazie al supporto di adeguati strumenti di valutazione e di analisi.

Un’ulteriore linea di azione futura riguarda un ancoraggio fedele ai riferimenti teorici del costrutto della Qualità della Vita, per raggiungere anche quei domini maggiormente carenti e più difficili da concretizzare in azioni di vita quotidiane, ad esempio un percorso di autodeterminazione e autorealizzazione, per contribuire non solo a raggiungere competenze personali di crescita, ma a sostenere la dimensione identitaria e auto progettuale degli adolescenti, al fine di percepirsi e trarre la motivazione di comportarsi come tali.

Un’altra ipotesi di sviluppo concerne la dimensione lavorativa, nello specifico dell’imparare a lavorare e non imparare un lavoro (Montobbio e Lepri, 2000). Essendo uno degli elementi centrali della vita adulta, sia per quanto riguarda la costruzione di uno status all’interno di una società, sia in termini di autostima e benessere personale, l’inserimento lavorativo di una persona con disabilità presuppone prima di tutto la capacità di imparare a lavorare, e poi di saper fare una mansione specifica; aspetti che rimandano al saper essere e saper fare della persona e che necessitano di esperienze formative, affettive e educative specifiche (Berarducci et al., 2012).

Auspicabile è l’ipotesi di mettere a sistema il servizio, perché possa divenire pratica condivisa e comune, un luogo di incontro e interazione da ampliare sempre di più entro le maglie di ogni tessuto sociale.

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1 PhD in Special Education, Università degli Studi di Macerata.

2 Università degli Studi di Macerata.

3 Previste, nello specifico, dall’art. 19 della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (2006), queste due aree identificano lo strumento per l’esercizio del diritto a una Vita di Qualità in tutte le persone con disabilità, quindi anche intellettive. Tenendo conto dell’evoluzione demografica e della considerevole longevità delle persone con tali disabilità, diviene necessario predisporre traiettorie volte a sviluppare un maggiore senso di autoefficacia e autonomia, consentendo di attingere, durante l’adolescenza, al conseguimento di competenze importanti per vivere in contesti di esperienza comuni, che potrebbero determinarsi durante la condizione adulta.

Vol. 20, Issue 3, September 2021

 

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