Vol. 20, n. 3, settembre 2021

RICERCHE, PROPOSTE E METODI

Come costruire la didattica a distanza ai tempi del coronavirus

Bisogni e aspettative di 55 studenti intervistati durante i primi dieci giorni di quarantena

Monica Conz1, Sara Vianello2, Alberta Xodo3 e Luana Buffon4

Sommario

Il 30 gennaio 2020 l’Organizzazione Mondiale della Sanità dichiara l’emergenza SARS-CoV-2 un’emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale. Dopo poche settimane l’Italia, fra i primi Stati del mondo colpiti dal virus, chiude tutti i luoghi di aggregazione, compresa la scuola. I bambini, si trovano nel giro di poche ore in una quotidianità completamente nuova, costretti a confrontarsi non solo con la sospensione dell’attività scolastica ma anche con il divieto di uscire dalle proprie abitazioni e con l’incertezza rispetto al termine della quarantena. Attraverso un’intervista narrativa realizzata tramite Skype è stato chiesto, nei dieci giorni successivi, a 55 bambini della provincia di Treviso fra i 6 e i 13 anni di riflettere sulla didattica a distanza. Dall’analisi dei temi ricorrenti è emerso che la ricerca di supporto informativo ed emotivo è rimasta in mano ai bambini, che da soli hanno interiorizzato le regole e hanno scoperto personali strategie di coping. Sarebbe stato necessario strutturare un programma educativo ad hoc orientato a promuovere lo sviluppo di abilità di autoregolazione emotiva e social skill sfruttando un uso consapevole della tecnologia.

Parole chiave

SARS-CoV-2, Studenti, Quarantena, Teledidattica, Ricerca narrativa.

RESEARCH, PROPOSALS AND METHODS

How to structure distance learning in these times of coronavirus

The needs and expectations of 55 pupils interviewed during the first ten days of quarantine

Monica Conz5, Sara Vianello6, Alberta Xodo7 and Luana Buffon8

Abstract

On the 30th January 2020, the World Health Organisation declared the SARS-CoV-2 outbreak a public health emergency of international concern. After a few weeks, Italy, one of the first countries affected by the virus, closed all places of aggregation, including schools. In a matter of hours, children found themselves in a completely new situation, forced to face not only the interruption of their school activities, but also a stay at home order in effect until further notice. 55 children aged between 6 and 13 from the Province of Treviso were asked to express their thoughts about distance learning through narrative interviews carried out over Skype during the first ten days of lockdown. From a thematic analysis of the recurring themes, it emerged that the search for informative and emotional support was left in the hands of children, who internalised the rules independently and enacted personal coping strategies. An ad-hoc educational programme aimed at encouraging children’s development of self-regulatory skills and social skills, fostering an informed use of technology, appears to have been necessary.

Keywords

SARS-CoV-2, Pupils, Lockdown, Distance learning, Narrative research.

Analisi del contesto di riferimento

La reale percezione dell’emergenza da coronavirus inizia per molti bambini italiani il 9 marzo 2020, ben oltre quel 30 gennaio in cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato l’epidemia da SARS-CoV-2 un’emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale. Il decreto del Presidente del Consiglio di quel giorno, infatti, dispone su tutto il territorio nazionale la chiusura di tutti i luoghi di aggregazione.

Il Ministero dell’Istruzione chiede agli insegnanti di garantire il funzionamento del sistema educativo anche con modalità alternative, per preservare il diritto allo studio e la salute degli studenti; invita dunque ad attivare procedure di didattica online per garantire il proseguo dell’attività educativa, lasciando ai Dirigenti scolastici la gestione organizzativa. Non esistono infatti linee guida o buone prassi per orientare la teledidattica in regime di confinamento in casa dovuto a ragioni sanitarie pandemiche. Per far fronte alle richieste istituzionali, deve prendere forma una nuova scuola orientata al perseguimento di due obiettivi fondamentali: la conservazione delle competenze acquisite fino a quel momento e l’acquisizione del maggior numero possibile di obiettivi di apprendimento previsti dal programma didattico ministeriale per ciascuna classe.

Infatti, l’Organizzazione Mondiale della Sanità riferisce che, seppur generalmente paucisintomatici, bambini e adolescenti hanno la stessa possibilità di contagio e possono contribuire alla diffusione del virus soprattutto nei confronti della popolazione anziana, maggiormente esposta a sintomatologie severe (World Health Organization – WHO, 2020). Secondo i pochi dati a disposizione al momento del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) del 9 marzo, la chiusura delle scuole appare come una misura drastica ma necessaria per la tutela delle categorie più fragili della popolazione.

Medicina pediatrica e apprendimento a distanza

Prima della diffusione mondiale del virus SARS-CoV-2 esistevano poche ricerche che si sono occupate di studiare il comportamento dei bambini in situazioni di quarantena o distanziamento sociale.

Dalla letteratura disponibile in termini di relazione fra bambino e malattia, sappiamo che il paziente pediatrico che è a conoscenza del proprio stato di salute e comprende il senso delle disposizioni è maggiormente portato all’aderenza terapeutica. Al contrario, un bambino che non è a conoscenza del proprio quadro clinico potrebbe sopravvalutare o sottovalutare i rischi e di conseguenza dimostrarsi poco aderente (Capurso, 2017). Risulta sicuramente più difficile comprendere il senso delle disposizioni per i bambini portatori sani di malattia o addirittura, come in questo caso, di misure preventive richieste a bambini sani; la psicologia pediatrica identifica l’aderenza future oriented (vale a dire l’aderenza volta a prevenire difficoltà legate alla possibile insorgenza di sintomi, comprendendo quindi i comportamenti precauzionali) come la più difficile da ottenere, proprio perché richiesta a soggetti che in quel momento sperimentano una generale condizione di benessere, e in più non hanno la certezza che la loro attenzione li preserverà (La Greca e Mackey, 2009). È questa la condizione nella quale si sono trovate le famiglie italiane, bambini compresi. Al momento della ricerca, non esistevano linee guida in merito a come gestire la didattica a distanza per bambini sani che vivevano in un «clima di emergenza legata alla malattia», per questo, nel progettare il nostro contributo abbiamo preso in considerazione principalmente la letteratura scientifica prodotta nel contesto della scuola in ospedale e dell’apprendimento a distanza per ragioni sanitarie, consapevoli che tali contesti non potevano però essere sovrapponibili a quanto sperimentato in quei giorni dai soggetti intervistati.

La ricerca in medicina pediatrica ha sempre rivolto grande attenzione anche all’approccio educativo migliore per i bambini con patologie croniche, che in genere prevedono frequenti periodi di isolamento, con conseguenti assenze scolastiche prolungate (Thies, 1999). Quando un bambino è malato percorre tre step scolastici differenti per garantire la continuità educativa, in funzione di diversi stadi di malattia: la scuola in ospedale, l’educazione domiciliare e il rientro a scuola (Capurso, 2014; Shiu, 2001).

Gli insegnanti in ospedale fanno parte dell’equipe multidisciplinare che si occupa di tutelare la salute del paziente pediatrico in termini bio-psico-sociali (Capurso, 2001; Perricone et al., 2004), guidati dall’idea che una relazione sinergica fra insegnanti, personale sanitario e famiglia possa portare il paziente pediatrico al raggiungimento di risultati scolastici migliori (Harden et al., 2020).

Anche l’educazione domiciliare vede in una buona relazione fra bambino e insegnante, così come fra bambino e compagni di classe, un indicatore di successo scolastico (Alberti, 2005; Righetti, 2013). Nell’educazione domiciliare il processo di insegnamento va visto come una relazione di aiuto verso il bambino, che non si limita all’apprendimento di contenuti didattici, ma prevede anche lo sviluppo di competenze indispensabili alla crescita del bambino (Capurso, 2008).

L’importanza degli aspetti relazionali per favorire il raggiungimento degli obiettivi didattici è riconfermata anche dal Vademecum sul Servizio di Istruzione Domiciliare, redatto dal MIUR nel 2003. Questo documento raccomanda l’adozione di metodologie didattiche capaci di coniugare risultati sul piano dell’apprendimento con un’attenzione agli aspetti che garantiscano una buona qualità della vita dell’alunno, anche valorizzando la comunicazione attraverso diversi linguaggi; suggerisce l’adozione di modelli didattici che permettano di superare la situazione di isolamento e il dualismo alunno-insegnante, coinvolgendo il gruppo classe, attraverso tecnologie per la comunicazione e la teledidattica.

Con la diffusione del virus SARS-CoV-2 l’istruzione domiciliare, prima progettualità riservata a una ristretta fetta di bambini e bambine, è diventata una necessità per tutti. Anche la ricerca scientifica si è progressivamente interessata a questo tema, con il duplice obiettivo di orientare il sistema scolastico e al contempo comprendere i bisogni degli studenti e delle studentesse in questa esperienza nuova. Poche di queste hanno però ascoltato in forma diretta la voce dei bambini.

Alcuni ricercatori italiani hanno raccolto in un’intervista la percezione delle mamme italiane nei confronti dei primi mesi di didattica a distanza, le quali hanno espresso il loro parere sfavorevole, considerando la routine scolastica instabile e poco organizzata, e la qualità dell’apprendimento inferiore a fronte di un enorme sforzo da parte dei genitori, che spesso si sono sentiti investiti di tutta la responsabilità dell’insegnante (Scarpellini et al., 2021).

Anche gli insegnanti della scuola primaria hanno espresso un significativo grado di difficoltà legata all’esperienza di didattica a distanza in Italia a maggio-giugno 2020, sia a livello tecnico organizzativo individuando nei genitori degli alleati indispensabili per mantenere il contatto coi ragazzi, sia a livello di benessere psicologico, riportando la necessità di preservare la relazione con il gruppo classe a volte anche con notevole sforzo per costruire un’alleanza attraverso le piattaforme digitali a disposizione (Ardizzoni et al., 2021).

Ci è parso dunque interessante presentare, anche il punto di vista diretto di bambini e bambine italiane in riferimento allo stesso periodo storico, in quanto i contributi relativi a quell’arco di tempo in altre aree geografiche mettono in luce aspetti per certi versi coerenti e per altri versi in contrasto con i punti di vista delle ricerche appena presentate. Un questionario somministrato dopo le prime settimane di didattica a distanza in una scuola della Bosnia-Erzegovina a 144 ragazzi e ragazze fra i 12 e i 15 anni, ha infatti messo in luce da un lato un buon grado di soddisfazione legata all’esperienza di didattica online, a fronte però dell’insorgere di emozioni negative quali tristezza, paura e ansia (Mesanovic e Zaghi, 2020).

La ricerca

Partendo dalle considerazioni fatte finora la presente ricerca sintetizza le narrazioni di 55 bambini della scuola primaria e secondaria di I grado, intervistati nei primi 10 giorni di quarantena disposti dal DPCM del 9 marzo 2020 (periodo di riferimento 12 marzo-22 marzo).

L’obiettivo è raccogliere la loro comprensione del fenomeno e l’impatto sulla qualità di vita percepita, verificando anche la percezione del rischio, l’aderenza alle norme precauzionali, le principali variazioni nella routine scolastica, i vissuti emotivi e le strategie di coping individuate per affrontare la quarantena. Per fare questo abbiamo utilizzato l’intervista narrativa proposta da Atkinson (2002), in quanto risulta essere uno strumento agile ed efficace per entrare rapidamente in relazione empatica con l’interlocutore, facendo spontaneamente affiorare repertori discorsivi e narrativi senza confinarli all’interno di domande chiuse. Proprio per la natura aperta e spontanea dell’intervista utilizzata, il presente elaborato, nato dalla curiosità clinica delle ricercatrici nei confronti del rapporto fra bambini e percezione di malattia SARS-CoV-2, ha invece messo maggiormente in luce i bisogni e le aspettative dei bambini e delle bambine rispetto al tema scuola, al quale abbiamo scelto di riservare ampio spazio di discussione dei risultati.

Partendo dall’analisi qualitativa delle narrazioni dei bambini, l’obiettivo del presente lavoro è dare al sistema scolastico una fotografia del momento di emergenza trascorso, per aiutare gli insegnanti a ripensare a una didattica a distanza da attuare in situazioni di difficoltà che sia efficiente per gli adulti e tenga in considerazione anche del benessere psicologico dei bambini e naturalmente le raccomandazioni della Società Italiana di Pediatria sull’utilizzo dei dispositivi tecnologici (Bozzola et al., 2018).

Metodo

La metodologia di riferimento della presente ricerca è la Grounded Theory che, attraverso una sistematica raccolta e analisi dei dati, consente di trarre induttivamente una teoria dal basso e radicata al fenomeno. Si tratta di una specifica metodologia, basata su un approccio sistematico, per costruire una teoria sulla base di dati narrativi (Charmaz, 2006; Corbin e Strauss, 2008).

L’intervistatrice ha seguito una traccia pur rispettando il racconto fluido del soggetto. In particolare, si precisa che l’intervista narrativa è caratterizzata sia dal ruolo attivo dell’intervistatore che nella sua competenza ha il compito di stimolare la generazione di storie più che di risposte brevi; sia dal ruolo attivo dell’intervistato che può attingere liberamente alle informazioni in suo possesso dando una personale interpretazione delle diverse esperienze della sua vita e a come egli si rappresenti la realtà.

Per il particolare contesto di isolamento disposto dal citato DPCM 9 marzo 2020, le interviste sono state condotte tramite Skype. Tale strumento, sebbene imposto da una condizione di impossibilità all’intervista in presenza, è stato scelto dopo aver verificato che, da un punto di vista metodologico, potesse essere utilizzato senza che ciò compromettesse la raccolta e l’analisi dei dati. La somiglianza tra la classica intervista faccia a faccia e l’intervista condotta attraverso programmi di videoconferenza per la raccolta dati in modalità sincrona in ricerca qualitativa è stata studiata e confermata da una revisione della letteratura internazionale (Sullivan, 2012).

Ciascuna ricercatrice ha analizzato il campione di narrazioni che ha raccolto, attraverso un processo di analisi qualitativa dei dati (Guest, MacQueen e Namey, 2012). Ciò prevede la lettura riga per riga dell’intervista trascritta, con l’obiettivo di individuare le tematiche ricorrenti e le categorie derivate. In una seconda fase, le categorie individuate dalle ricercatrici sono state messe a confronto in una procedura di cross-analisi che ha portato all’individuazione condivisa di categorie principali. Nella terza fase il campione narrativo è stato riunito e ciascuna ricercatrice ha eseguito nuovamente la codifica narrativa di tutti i brani dei 55 soggetti intervistati per verificare l’aderenza del testo alle categorie individuate.

Per individuare degli indicatori di frequenza dei temi ricorrenti (Clarke e Braun, 2013) abbiamo scelto di utilizzare il termine «quasi tutti» quando il nucleo tematico da noi individuato è stato espresso da almeno 46 bambine e bambini del campione, «molti» indica una frequenza fra le 36 e le 45 interviste, «alcuni» descrive un bisogno ricorrente di 26-35 bambini. Infine, abbiamo utilizzato il termine «pochi» per riferirci al numero di bambini che ha espresso temi che, seppur poco frequenti, abbiamo ritenuto degni di osservazione.

I nuclei tematici centrali sono stati messi a confronto con la letteratura inerente all’argomento, per formulare un’ampia discussione dei risultati emersi.

Partecipanti

Lo studio coinvolge 55 soggetti di età compresa fra i 6 e i 13 anni residenti nella provincia di Treviso. Il campione comprende 23 maschi e 32 femmine. Tutte le interviste sono state raccolte fra il 12 marzo e il 22 marzo, periodo che intercorre tra due decreti: il DPCM 9 marzo 2020 che ha disposto la quarantena a partire dal giorno 11 e il secondo DPCM 22 marzo 2020.

Sono stati inclusi nel campione esclusivamente bambini che non presentassero malattie croniche o familiarità con altre routine terapeutiche, che avrebbero potuto costituire una precedente esperienza di allontanamento da scuola e confinamento per ragioni sanitarie. Si è considerato come criterio di esclusione anche la presenza di disturbi specifici dell’apprendimento, per evitare che i bambini avessero già acquisito esperienze pregresse di teledidattica anche per ragioni non sanitarie.

Tutti i bambini sono stati informati dell’obiettivo dello studio e delle modalità di svolgimento dell’intervista e hanno acconsentito a partecipare in forma volontaria alla videoregistrazione.

Risultati

A partire dalle narrazioni emerse dai macro-temi del cambiamento della qualità di vita e della routine durante la quarantena, sono state analizzate le narrative riguardanti il tema della scuola. Nelle loro narrazioni i bambini hanno manifestato numerose difficoltà connesse alla situazione di quarantena nella quale si trovavano a vivere al momento dell’intervista. Questo ci ha permesso di organizzare i bisogni espressi, come rilevato da Crockenberg (1988) e suddividerli in: bisogni strumentali, bisogni emotivi, bisogni informativi e bisogni affiliativi.

Bisogni strumentali

La categoria narrativa che descrive i bisogni strumentali dei soggetti intervistati raccoglie le numerose difficoltà pratico-organizzative connesse all’utilizzo dei dispositivi tecnologici e sanitari presenti nella routine quotidiana, riscontrate dai bambini durante la quarantena. «Con le videolezioni mi trovo male, nel senso che ci sono sempre disguidi tecnici, si sente male, si vede il video a scatti, si vede l’immagine della persona bloccata. Ogni volta che si scrive sulla chat si sente rumore, dopo l’audio è sempre accendi e spegni» (12 anni).

Per quanto riguarda i dispositivi tecnologici maggiormente utilizzati dai bambini, quasi tutti nelle proprie narrazioni hanno fatto riferimenti alle difficoltà di utilizzo dei programmi di teledidattica e degli strumenti hardware per la produzione e la stampa dei materiali scolastici. La conseguenza per il bambino è stata la costante dipendenza da un adulto di riferimento entro le mura domestiche, spesso un genitore o un fratello maggiore, che facesse da supervisore allo svolgimento dei compiti e ne pianificasse l’agenda quotidianamente. Invece è l’acquisizione di competenze tecnologiche specifiche che permette loro di aumentare la percezione di self-efficacy del bambino, sostenendo i livelli motivazionali e le capacità di autoregolazione, che risultano essere fra i predittori più efficaci di successo nello studio (Cornoldi, De Beni e Fioritto, 2003). «Da un sacco di tempo non vedo più amici, facciamo tante videochiamate ma non è come di persona» (11 anni). «Ero triste per la mia gattina e la mamma mi ha aiutata a fare una videochiamata con la mia amica Matilde che mi ha tirato subito su» (9 anni).

Rispetto all’utilizzo degli strumenti tecnologici per sostenere la relazione con i compagni di classe, va sicuramente fatta una distinzione. Infatti, se da un lato quasi tutti i ragazzi di 11-13 anni si sono dimostrati piuttosto indipendenti nella gestione di chat e videochiamate di gruppo per soddisfare parzialmente il proprio bisogno di affiliazione, fra i più piccoli non si riportano vissuti positivi a tal riguardo. Anzi, alcuni dei soggetti intervistati che frequentano la scuola primaria, hanno manifestato disagio nella gestione degli strumenti per la comunicazione collettiva, pur sentendo un forte bisogno di contatto con i pari. Durante l’orario scolastico, i tempi adibiti alle relazioni sociali e alla condivisione fra pari hanno riguardato soprattutto i momenti non strutturati, quali la ricreazione. «Di solito la gente indossa le mascherine. Secondo me non servono più di tanto, forse perché il virus si contagia quando vai vicino; ma se invece è un caso molto molto grave deve molto servire perché può attraversare pure l’aria» (10 anni).

Per quanto riguarda i dispositivi sanitari, dall’analisi delle narrazioni abbiamo rilevato per molti bambini e bambine la necessità di istruzioni chiare sul corretto utilizzo dei dispositivi di protezione individuale, in particolare guanti e mascherine. I bambini, pur avendo memorizzato l’obbligo di indossarli, non hanno dimostrato un’adeguata comprensione della loro funzione protettiva, di conseguenza potrebbero averne fatto un uso non sempre adeguato, esponendosi inutilmente al rischio di contagio, oppure potrebbero non aver riconosciuto un’eventuale situazione rischiosa.

Bisogni emotivi

Dall’analisi delle narrazioni è emerso che molti partecipanti, al momento dell’intervista, si trovassero in un momento caratterizzato da molteplici bisogni emotivi: non si sono sentiti sostenuti dagli adulti di riferimento, compresi gli insegnanti, nell’affrontare da un punto di vista emotivo la quarantena e la nuova routine scolastica.

Inizialmente la sospensione dell’attività scolastica in presenza è stata accolta con gioia, nella misura in cui è stata vissuta come un prolungamento delle vacanze di carnevale. In seguito, l’eccezionale chiusura della scuola è stata associata sia alla gravità della situazione sanitaria generale sia al rischio che avrebbe potuto comportare la presenza di tanti bambini in classe, non solo per la diffusione del virus tra studenti, ma soprattutto per la paura di contagiare l’insegnante o i propri genitori. La scuola, da un punto di vista logistico e fisico, iniziava ad essere percepita come pericolosa, gli studenti temevano che una riapertura potesse vederli complici di un contagio di massa. La nostalgia dei pari e degli insegnanti si è associata alla paura del contatto fisico e affettivo a cui erano abituati in classe. Per questo tra le speranze future è stato spesso riferito il desiderio di tornare alle relazioni come le avevano sempre vissute a scuola, senza rischi. Sono emerse poi rabbia e frustrazione nella difficoltà a gestire le lezioni online e i compiti assegnati. Molti bambini e ragazzi hanno faticato a comprendere e apprendere i nuovi contenuti proposti, a sostenere il ritmo richiesto dagli insegnanti e a svolgere le attività didattiche in autonomia. Ciò ha avuto ripercussioni nella relazione con i genitori, anche loro visti dai figli in forte difficoltà nel supportarli nello svolgere i compiti. «Mamma e papà sono sempre in stress per i compiti, anche se non ne faccio uno iniziano a discutere, sono sempre ansiogeni per qualcosa di diverso ma specialmente sui compiti» (12 anni).

I compiti hanno rivestito un ruolo centrale sotto molteplici punti di vista. In primo luogo, hanno scandito la routine della giornata, e per quasi tutti i bambini e ragazzi sono stati svolti la mattina in sostituzione alle lezioni. Dalle narrazioni è emerso che solo gli studenti di terza media e qualcuno di seconda hanno avuto in programma alcune videolezioni mattutine. In secondo luogo, bambini e ragazzi sono stati accomunati dalla gran quantità di compiti, che sono diventati mediatori del legame con l’insegnante: l’aspetto affettivo dell’apprendimento non è stato percepito e il rapporto con l’insegnante è stato identificato e scandito da ricezione, svolgimento, scansione e invio di esercizi da parte dell’alunno (sempre aiutato dal genitore, o da un fratello o sorella maggiore). «Comunque faccio i compiti perché so che le maestre non ce li danno perché sono cattive ma ce li danno per il nostro bene e per imparare» (11 anni).

Da alcune narrazioni è emerso invece un comportamento proattivo dei bambini, legato a un’interpretazione affettiva della quantità di compiti e una capacità di mentalizzazione dell’insegnante. Questo ci permette di ipotizzare che dedicare del tempo per la riflessione alla fine di una videolezione, potrebbe dare ai bambini la possibilità di impegnarsi in una discussione sulle attività svolte e assegnate, manifestando eventuali vissuti critici, cercando di interpretare il comportamento proprio e dell’insegnante. La condivisione e il confronto darebbero agli insegnanti la possibilità di rivestire un ruolo attivo nella mentalizzazione dei bambini e sostenere di conseguenza la motivazione al compito (Midgley, Vrouva e Marchetti, 2014). «Di solito quando gioco dalla nonna faccio la maestra e faccio finta di insegnare ai bambini dell’asilo e anche ai bambini di prima media. Gli spiego le cose coi disegni sulla lavagna spiegandogli un po’ e facendoli ridere ma dicendo che comunque è una cosa seria» (9 anni).

Non sono stati riferiti molti vissuti di ascolto da parte dell’insegnante né occasioni per potersi esprimere rispetto alle difficoltà, anche emotive, della quarantena. Bambini e adolescenti hanno manifestato invece il bisogno di essere ascoltati, tranquillizzati e compresi anche dagli insegnanti. Immaginando di rivolgersi a coetanei o bambini più piccoli per spiegare il coronavirus, alcuni soggetti intervistati hanno vestito i panni di maestre e maestri che attraverso storie, attività e disegni hanno raccontato la situazione e rassicurato i loro alunni. Numerose ricerche sottolineano che le emozioni degli insegnanti rivestono nel percorso di sviluppo emotivo degli studenti un’importanza rilevante, al pari degli insegnamenti formali (Becker et al., 2014). Pertanto, si può avanzare l’ipotesi che il programma educativo, seppure svolto a distanza, preveda momenti di contatto diretto insegnante-alunni, nei quali l’adulto possa fare da modello per permettere alle emozioni dei bambini di emergere, per poi condividerle e promuovere strategie efficaci di autoregolazione emotiva e coping.

Bisogni informativi

Dalle narrazioni raccolte si evince come quasi tutti i bambini sentissero particolarmente il bisogno di supporto informativo. Ricordiamo che il vuoto informativo può essere pericoloso per un bambino per le seguenti ragioni:

  1. in assenza di informazioni si cerca di dare senso agli eventi attraverso le proprie conoscenze pregresse ma anche le fantasie, disegnando scenari poco aderenti alla realtà, e spesso particolarmente catastrofici;
  2. i bambini che non comprendono il senso delle nostre richieste relative alla cura e alla salute diventeranno ostili, oppositivi, poco collaborativi e poco aderenti;
  3. gli adulti potrebbero essere percepiti come poco affidabili e non disponibili nel momento del bisogno, aumentando il senso di insicurezza percepita (Capurso, 2017).

Bambine e bambini hanno acquisito le prime informazioni sul Covid ascoltando programmi informativi rivolti agli adulti, senza che queste venissero adeguatamente veicolate e rese comprensibili. In quelle prime fasi, inoltre, si è assistito al fenomeno dell’infodemia, che ha generato ulteriore confusione e senso di smarrimento nei bambini. Molti dei soggetti intervistati hanno ripetuto a memoria alcune delle regole che in quei giorni venivano proposte dai programmi televisivi e sulle quali i genitori insistevano in termini di aderenza; tuttavia, molte di queste regole apparivano per i bambini prive di senso, in quanto si stava semplicemente chiedendo loro di essere obbedienti, senza aiutarli a divenire responsabili. «Sono quasi sicura che non lo prendo perché io sono a casa dalle vacanze di carnevale quindi sono al sicuro… tranne che potrei prenderlo da mio papà. Ma non capisco perché mio papà va al lavoro, lui non dovrebbe, lui progetta luci ma quando ha detto che lui lavorava da casa il titolare ha detto no» (8 anni).

Ci sembra inoltre doveroso ricordare che le informazioni a cui hanno avuto accesso i bambini anche attraverso la loro esperienza diretta, sono state contraddittorie; in particolare, i bambini del nostro campione durante l’intervista, riferivano di non comprendere come mai si stesse chiedendo loro di rimanere in casa se i genitori continuavano a recarsi regolarmente al lavoro; per questi bambini il vuoto di informazioni si accompagnava a un profondo senso di angoscia e smarrimento, e alla sensazione che venissero loro taciute informazioni rilevanti. «A scuola ci hanno solo dato 4 fogli con scritto tutto sul coronavirus e noi dovevamo sottolineare e fare una ricerca» (10 anni).

Pochi bambini hanno raccontato di aver svolto attività didattiche incentrate sul contesto situazionale che stavano vivendo. Nessuno dei bambini intervistati ha considerato gli insegnanti dei riferimenti a cui chiedere informazioni; a nostro parere sarebbe stato indispensabile che questi bambini venissero posti nelle condizioni di comprendere quanto stava accadendo nelle loro vite, attraverso il sostegno di un adulto affettivamente orientato, che fornisse spiegazioni in grado di dare senso alla quotidianità e che per primo si mettesse a disposizione del processo di comprensione delle informazioni. Non possiamo dimenticare che all’interno della vita della classe ci sono molti momenti in cui i bambini fanno domande agli insegnanti per comprendere concetti anche al di fuori della stretta attività didattica, e che maestre e maestri sono punti di riferimento affettivi, con cui confidarsi e a cui chiedere sostegno nei momenti di necessità. Il ruolo stesso dell’insegnante fa sì che venga percepito come autorevole nel fornire spiegazioni. La teledidattica sarebbe stata fin da subito il «luogo» ideale dove avviare questo processo, almeno tra bambini della stessa classe; nessuno dei bambini intervistati racconta invece che sia stato predisposto un momento informativo con gli insegnanti, in termini di: comprensione del fenomeno, motivazioni della quarantena e della sospensione dell’attività didattica, uso dei sistemi di protezioni individuale. Da un punto di vista più strettamente «didattico», anche la comprensione dei termini in questa prima fase è stata completamente demandata alle famiglie e alla capacità dei bambini stessi: nel nostro campione i soggetti sono risultati in grado di riferire parole apprese grazie alla costante sintonizzazione sui programmi televisivi per adulti («tampone», «terapia intensiva», «DPCM»), senza riuscire però a dare alcun significato.

Bisogni affiliativi

Infine, ci piacerebbe poter dedicare uno spazio di discussione più ampio alle narrazioni dei bambini racchiuse nella categoria dei bisogni affiliativi, che sono forse quelle connesse in maniera più diretta agli obblighi del distanziamento sociale previsti dal DPCM 9 marzo 2020. Quasi tutti i bambini intervistati hanno espresso la mancanza delle relazioni con i pari e con gli adulti di riferimento, ma in questa ricerca abbiamo voluto concentrarci maggiormente sui vissuti riguardanti i rapporti con le maestre e con i compagni di classe. «Le giornate si allungano, sono infinite, mi mancano le maestre, la città è deserta» (11 anni).

Molti bambini, prevalentemente della scuola primaria, hanno riportato esplicitamente di sentire la mancanza delle proprie maestre. L’ambiente classe, inteso come ambiente sociale, funge da regolatore emotivo e comportamentale. Al suo interno la relazione con le maestre riveste un ruolo chiave non soltanto per la crescita individuale del bambino, ma anche per lo sviluppo dei processi di apprendimento dell’alunno. Esistono infatti evidenze scientifiche che confermano la relazione fra contesto di apprendimento positivo e miglioramenti degli studenti in termini di atteggiamenti e conquiste (Villavicencio e Bernardo, 2013).

Dal momento che molti soggetti intervistati provengono da contesti positivi di apprendimento, il suggerimento che vorremmo dare rispetto alla progettazione dell’attività scolastica a distanza è quello di cercare di ricreare il più possibile la stessa atmosfera anche nella classe digitale. Numerose ricerche in ambito delle neuroscienze sottolineano il legame stretto fra informazione appresa ed emozioni con cui è stata appresa (McGaugh, 2015). Queste evidenze teoriche hanno guidato il filone di ricerca in ambito psicoeducativo focalizzato proprio sullo studio del rapporto fra cognizione ed emozioni denominato warm-cognition, del quale Daniela Lucangeli è fra i portavoce italiani (2019). Secondo questa emergente teoria dell’apprendimento, concetti appresi in un contesto emotivo «caldo», vengono memorizzati con una connotazione positiva e recuperati facilmente, concorrendo a sviluppare un buon senso di autoefficacia sostenendo l’autostima. Ci appare dunque doveroso tenere conto del contesto sociale, relazionale ed emotivo che sta avvolgendo i bambini in quest’anno scolastico. Paura e ansia connesse all’emergenza sanitaria diventano ad oggi parte integrante del contesto emotivo nel quale i bambini si approcciano all’apprendimento. Il bambino che apprende in un contesto di paura, quando recupera quell’informazione dalla memoria, attiva anche la paura stessa, in quello che viene definito cortocircuito emozionale. Se vogliamo che le competenze acquisite durante la didattica a distanza non trascinino con sé pesanti bagagli emotivi negativi, diventa di fondamentale importanza interrompere il cortocircuito emozionale ricreando ambienti di apprendimento in grado di suscitare emozioni positive. La relazione positiva fra insegnante e studenti è la chiave per veicolare emozioni positive a sostegno dell’attività didattica. «Sono stufa perché mi manca andare a scuola e fare le cose insieme ai miei amici, fare i compiti insieme e anche passare un po’ di tempo con loro» (13 anni). «Sono triste perché non posso vedere i miei compagni e gli amici a cui voglio bene, che stiamo praticamente tutti i giorni insieme tranne il sabato e la domenica e studiamo insieme» (9 anni).

Anche il rapporto con i compagni di classe concorre alla costruzione di un ambiente di apprendimento positivo per ciascuno studente. Le narrazioni dei bambini e dei ragazzi intervistati racchiudono un forte e pervasivo bisogno di relazione con i propri pari. In particolare, esso si esprime non soltanto come ricerca delle relazioni amicali in contesto sportivo o ricreativo, ma anche come ricerca di collaborazione con i compagni di classe nello svolgimento di attività scolastiche. Infatti, molti bambini e ragazzi ci hanno raccontato che prima della quarantena amavano svolgere i compiti e ricerche con i compagni di classe e che in solitudine si sentono demotivati ad affrontare la stessa mole di lavoro.

Per sostenere il bisogno dei ragazzi di condividere e costruire insieme i propri processi di apprendimento, riteniamo che anche attraverso la didattica a distanza sarebbe possibile applicare la metodologia di insegnamento del cooperative learning. L’idea di fondo dell’apprendimento cooperativo consiste nell’ottenere il coinvolgimento attivo degli studenti nel processo di apprendimento. In questo modo gli studenti apprendono in piccoli gruppi, aiutandosi reciprocamente e sentendosi corresponsabili del reciproco percorso. Nella cooperazione gli studenti si impegnano nei vari ruoli richiesti dal lavoro e nella creazione di un clima di collaborazione e fiducia reciproca, ciascun elemento si sente in un legame interdipendente con gli altri e questo migliora la motivazione intrinseca e promuove l’interazione costruttiva. L’apprendimento cooperativo, proprio per la sua costruzione metodologica capace di far emergere le caratteristiche peculiari di ciascuno studente per contribuire alla costruzione dell’apprendimento di tutti, potrebbe rappresentare anche nel contesto attuale di scuola a distanza una valida strategia di didattica inclusiva (Ianes et al., 2016).

Conclusioni

Questo lavoro si propone come obiettivo quello di dare voce ai bambini e ai ragazzi che hanno subito passivamente la chiusura della scuola a seguito del DPCM del 9 marzo. La lettura analitica dei vissuti degli studenti intende fornire alla scuola spunti di riflessione per la costruzione della didattica a distanza in situazione di quarantena per motivi sanitari, partendo dalle esperienze di didattica a distanza già messe a punto in contesto di medicina pediatrica.

Siamo fermamente convinte che questa situazione apparentemente critica per la didattica tradizionale racchiuda invece importanti possibilità di sviluppo e maturazione per bambini e ragazzi, rappresentando al contempo un’occasione per rivalutare positivamente la tecnologia inserendola con più pervasività nel sistema educativo, in una nuova forma di comunicazione scuola-studenti, ricca di contenuti emotivi positivi e orientata allo sviluppo di life long skill piuttosto che alla mera acquisizione di informazioni.

Vincolare il bambino alla presenza di un familiare durante l’apprendimento, può alterare le dinamiche relazionali e iper-responsabilizzare le figure coinvolte, in quanto l’aspettativa percepita è la completa riuscita nello svolgimento dei compiti assegnati. Inoltre, la poca autonomia nella gestione delle videolezioni e dei compiti, genera vissuti emotivi negativi nei bambini che manifestano ansia, insicurezza e scarsa motivazione allo studio. Un avvicinamento progressivo ai mezzi informatici sembra dunque un progetto utile a stimolare l’autonomia operativa e la percezione di autoefficacia percepita.

Un eventuale sistema scolastico basato sulla teledidattica dovrebbe, a nostro avviso, prevedere anche dei momenti di libero scambio comunicativo fra i bambini, momenti in cui il ruolo dell’insegnante sia supervisionare e guidare gli studenti verso un uso consapevole dello spazio digitale, promuovendo lo sviluppo di abilità sociali indispensabili per i futuri adolescenti che faranno del mondo social virtuale un’estensione del reale.

Infine riteniamo che aiutare il bambino a comprendere l’importanza dei dispositivi di protezione e il loro corretto utilizzo, attraverso esperimenti da svolgere a casa o attraverso video educativi, può diventare per la scuola e per il bambino stesso un elemento fondamentale per il ritorno alla vita scolastica in sicurezza: i mesi di distanziamento sociale devono diventare una finestra temporale entro la quale formare i bambini affinché interiorizzino le regole e sviluppino strategie di monitoraggio delle proprie azioni in termini di sicurezza sanitaria. Dalle ricerche in medicina pediatrica sappiamo che fra i fattori personali che possono ridurre l’aderenza alle disposizioni precauzionali nel bambino troviamo la dimenticanza della regola, la scarsa comprensione della malattia e la scarsa percezione di vulnerabilità. Al contrario l’aderenza aumenta quando i bambini individuano personali strategie di self management e memorizzazione della regola, questo può avvenire inizialmente grazie all’utilizzo di cue e reminder, come cartelloni o disegni da mettere nei luoghi connessi alle situazioni in cui i dispositivi di protezione individuale si rendano necessari (WHO, 2003). Un’attività scolastica finalizzata alla formazione di studenti in grado di muoversi in sicurezza all’interno degli ambienti in cui vivono, scuola compresa, potrebbe a tal proposito beneficiare dell’ideazione e della costruzione co-partecipata da parte degli studenti di promemoria visivi che sostengano l’aderenza alle norme precauzionali e che possano poi ritrovare fra le mura scolastiche. Alcuni dei bambini intervistati ad esempio hanno realizzato con ritagli di giornale e attività di collage dei promemoria delle norme precauzionali da appendere nelle proprie abitazioni, soprattutto sull’importanza di lavarsi le mani e usare correttamente la mascherina. Altri hanno lasciato messaggi e biglietti ai propri genitori affinché facessero attenzione, andando al lavoro, a non esporsi a rischi ulteriori. Dai racconti dei più grandi è emersa la propensione a prendersi cura dei fratelli e sorelle minori, sia svolgendo attività ludiche per distrarli e rassicurarli sul piano emotivo, sia monitorando l’aderenza alle regole e spiegando loro come rispettarle correttamente.

Naturalmente siamo consapevoli che la presente ricerca abbia dei limiti metodologici, in quanto descrive un campione limitato di soggetti appartenenti a un’area geografica ristretta. Inoltre, riteniamo che sarebbe stato interessante poter riascoltare gli stessi soggetti in un’intervista successiva a distanza di tempo, per valutare l’andamento del fenomeno e l’adattamento progressivo della didattica alla situazione sanitaria nazionale.

Ci auguriamo comunque che possa ispirare insegnanti e dirigenti a adottare un approccio di pragmatica creatività per superare ogni nuova sfida al fianco di bambini e ragazzi.

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1 Psicologa psicoterapeuta.

2 Psicologa.

3 Psicologa pdicoterapeuta, UOC Infanzia Adolescenza Famiglia e Consultori, Azienda ULSS 2 Marca Trevigiana.

4 Psicologa psicoterapeuta.

5 Psychologist.

6 Psychologist.

7 Psychologist (UOC Infanzia Adolescenza Famiglia e Consultori, Azienda ULSS 2 Marca Trevigiana).

8 Psychologist.

Vol. 20, Issue 3, September 2021

 

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