Vol. 2, n. 1, aprile 2025

Self culture. Sé digitale, vita onlife e futuri sociali1

Pasquale Gallo2 e Teresa Iona3

Sommario

Il Digital Age (Benanti, 2020) è una nuova epoca per la storia dell’umanità. Cambiano le modalità dello stare al mondo in funzione della presenza di dispositivi, sempre più all’avanguardia, che sembrano quasi governare l’agire dell’uomo post-moderno. Anche l’identità subisce notevoli mutamenti, se non adeguatamente supportata da azioni educative consapevoli e solide. Basti pensare all’iperconnessione e ai fenomeni di utilizzo distorto delle nuove tecnologie digitali che conducono a fenomeni di sexting, hate speeching, cyberbullismo o al dilagante problema degli hikikomori. La rivoluzione digitale (Elliott, 2021) è direttamente legata al funzionamento dell’identità che, spesso, online si trasforma e subisce irrimediabili mutamenti. La selfie culture sembra aver preso il posto della self culture, ossia della incessante necessità, tipicamente umana, di strutturare la cultura di sé online e onlife. Passare dalla selfie alla self culture significa attraversare il complesso universo della consapevolezza emotiva, percorso da strutturare in ambito educativo — formale, non formale e informale — per garantire la costruzione di una solida identità, anche virtuale, nella prospettiva del lifelong learning e del lifewide learning. Un’attenta progettazione, pedagogica e andragogica, può certamente favorire forme di orientamento per alfabetizzare all’uso consapevole del digitale come nuovo senso dell’esistenza umana.

Parole chiave

Identità, self culture, emozioni, ulteriorità, futuri sociali

Self culture. Digital self, onlife and social futures4

Pasquale Gallo5 and Teresa Iona6

Abstract

The Digital Age (Benanti, 2020) is a new era for human history. They change the way of being in the world according to the presence of devices, increasingly at the forefront, which seem to govern the action of post-modern man. The identity also undergoes considerable changes, if not adequately supported by conscious and solid educational actions. Just think of the hyper connection and the phenomena of distorted use of new digital technologies that lead to sexting phenomena, hate speeching, cyberbullying or the rampant hikikomori problem. The digital revolution (Elliott, 2021) is directly linked to the functioning of identity that, often, online transforms and undergoes irremediable changes. Selfie culture seems to have taken the place of self culture, that is the unceasing, typically human need to structure the culture of self online and onlife. Moving from selfie to self culture means crossing the complex universe of emotional awareness, a path to be structured in an educational — formal, Non-formal and informal — to ensure the construction of a solid identity, even virtual, in the perspective of lifelong learning and lifewide learning. Careful planning, both pedagogical and andragogical, can certainly encourage forms of guidance to educate people to the conscious use of digital as a new sense of human existence.

Keywords

Identity, self culture, emotions, social futures.

Introduzione

Saper vivere onlife (Floridi, 2014) è la vera sfida della contemporaneità. Non basta saper navigare in internet e usare i social network responsabilmente, ma è necessario entrare e immergersi nella trasformazione ontologica operata dal digitale che si riflette, tutta intera, nella vita oltre il digitale. Il Digital Age (Benanti, 2020) è una nuova epoca per la storia dell’umanità. Cambiano le modalità dello stare al mondo in funzione della presenza di dispositivi, sempre più all’avanguardia, che sembrano quasi governare l’agire dell’uomo post-moderno. Anche l’identità subisce notevoli mutamenti, se non adeguatamente supportata da azioni educative consapevoli e solide. Lo smartphone diventa prolungamento della mano e della mente, pervade la corporeità, interviene significativamente sulla quotidianità e sulle relazioni, sul vissuto emotivo, sulle funzioni esecutive. Basti pensare all’iperconnessione e ai fenomeni di utilizzo distorto delle nuove tecnologie digitali che conducono a fenomeni di sexting, hate speeching, cyberbullismo o al dilagante problema degli hikikomori. Nuovi alfabeti della Media Education (Rivoltella, 2020) impongono cambi di paradigma antropologici e pedagogici ai quali riferirsi per la formazione delle giovani generazioni, spesso incapaci di domare gli schermi e di utilizzare, quindi, il digitale in maniera consapevole e fruttuosa. Da disciplina di nicchia, oggi la Media Education è normalizzata e attraversi tutti gli ambiti della vita dell’umanità. Le prospettive dell’intelligenza artificiale, l’iperconnessione, il cambiamento di molte professioni alla luce dei costanti sviluppi tecnologici impongono cambi di paradigma anche all’educazione. La rivoluzione digitale (Elliott, 2021) è direttamente legata al funzionamento dell’identità che, spesso, online si trasforma e subisce irrimediabili mutamenti. Tali mutamenti si riflettono nella dimensione onlife, fino a qualche tempo fa definita «vita reale». La selfie culture, non solo online, sembra aver preso il posto della self culture, ossia della incessante necessità, tipicamente umana, di strutturare la cultura di sé, unica consapevolezza che l’uomo dovrebbe possedere per stare bene con se stesso e con l’altro da sé. La cultura dei selfie, senza differenza di età e di estrazione sociale o territoriale, induce a una ricerca di bellezza e successo a ogni costo e a fenomeni di scrolling, talvolta compulsivi, che determinano il bisogno di sentirsi considerati e seguiti da followers che non saranno mai «amici» e che non favoriranno certamente benessere e coscienza di sé. La cultura del sé, invece, permette lo stare bene al mondo, l’autodeterminazione, le relazioni prosociali e propositive, l’ulteriorità (Rigobello, 2009). Passare dalla selfie alla self culture significa attraversare il complesso universo della consapevolezza emotiva, percorso da strutturare in ambito educativo — formale, non formale e informale — per garantire la costruzione di una solida identità, anche virtuale, nella prospettiva del lifelong learning, del lifewide e del lifedeep learning. Così, l’identità reale e virtuale, considera le prospettive del digitale e dell’intelligenza artificiale come possibilità per generare la sapienza del cuore (Corrado e Pasta, 2024). Dall’identità personale, quindi, è necessario muovere verso l’ulteriorità per prefigurare futuri sociali nei quali anche le tecnologie di comunità possano contribuire alla determinazione di contesti per lo sviluppo del sentimento di sé (Rivoltella, 2017). Un’attenta progettazione, pedagogica e andragogica, può certamente favorire forme di orientamento per alfabetizzare all’uso consapevole del digitale come nuovo senso dell’esistenza umana.

Oltre le Colonne d’Ercole

«Non plus ultra», non più oltre. Ercole, figlio di di Zeus e di Alcmena, giunto su un monte agli estremi confini del mondo, decise di erigere due colonne. Un limite estremo che segnava la fine del mondo conosciuto e la finitudine umana. Le Colonne d’Ercole simboleggiano il limite invalicabile per la conoscenza umana. L’interpretazione mitologica si fa sempre più viva se si immaginano le Colonne d’Ercole, nel postumanesimo, come limite estremo e invalicabile, con riferimento alle nuove tecnologie digitali. Pervasive, sono solo in parte conosciute e sperimentate dall’uomo postmoderno che non ne scopre le potenzialità e non sempre le utilizza in maniera corretta e fruttuosa per la propria dimensione conoscitiva ed esperienziale.

Le nuove tecnologie digitali rappresentano ormai una importante risorsa per la formazione, per l’implementazione del sapere, per la socializzazione. Il rapporto BES — Benessere equo e sostenibile in Italia —, relativo all’anno 2023 (Istat, 2024) riferisce che il 45,9% delle persone possiede competenze digitali almeno di base. Ciononostante, è evidente che l’utilizzo di strumenti digitali non sempre corrisponde alla consapevolezza critica circa le potenzialità e i rischi del web. Si assiste spesso a fenomeni inarrestabili di sexting, hate speeching, cyberbullismo che minacciano non solo chi ne è vittima, ma un’intera società incapace di fronteggiare tali fenomeni o, addirittura, inerme. Sono noti, soprattutto sulla piattaforma TikTok, frequenti episodi di minacce, dilagante odio sociale che coinvolgono adulti, giovani e meno giovani in vere e proprie faide virtuali. Tali episodi creano addirittura share, o, per utilizzare il lessico proprio della suddetta piattaforma, diventano trend che poi altri content creator utilizzano per aumentare il numero dei propri followers e la propria popolarità. Le ore trascorse con lo smartphone in mano, in età preadolescenziale e adolescenziale, sono aumentate esponenzialmente senza però migliorare la qualità della vita, dell’apprendimento, delle relazioni. Se nella letteratura classica le Colonne d’Ercole rappresentavano il limite del mondo conosciuto, nel postumanesimo è difficile andare oltre le proprie convinzioni e utilizzare le tecnologie digitali sfruttandone ogni potenzialità e abbattendo i rischi connessi con l’uso distorto, manieristico e compulsivo. Ciò si riflette sulla vita onlife, sul benessere personale, sulle relazioni e crea un atteggiamento di inquietudine e provvisorietà che non giova alla dimensione esistenziale della persona (Malavasi e Riva, 2022). La mancanza di rispecchiamento emotivo (Eugeni, 2015), inteso come il meccanismo per il quale si può entrare in contatto con l’interlocutore più efficacemente e più proficuamente di quanto si può fare se ci si affida al solo linguaggio verbale, genera il sentimento della provvisorietà e della incapacità di gestire la dimensione etica della vita online (La Marca, 2024). Anche la dimensione onlife viene minacciata se non adeguatamente sostenuta dall’opera educativa. Oltre le Colonne d’Ercole delle proprie congetture e delle proprie esperienze vi è un mondo di possibilità che consentirebbe alle nuove tecnologie digitali di pervadere, tutta intera, la corporeità e le esperienze vitali in positivo. Basti pensare alla possibilità di costruire comunità servendosi proprio dei media, ristrutturare le relazioni, trasmettere esperienze di appartenenza culturale e ideologica (Rivoltella, 2021). Grazie alle tecnologie è possibile, quindi, costruire o ricostruire la comunità e ciò è stato evidente sin dalle prime ore della Pandemia da Covid 19, quando si è utilizzato il digitale per continuare a mantenere vivi i rapporti, per implementare le proprie conoscenze, per frequentare lezioni scolastiche o universitarie. Prima di allora si faceva ancora fatica a concepire una comunità virtuale — che non fosse rappresentata solo dagli «amici» di Facebook o dai followers di Instagram — capace di generare e condividere idee, contenuti culturali e apprenditivi. In questa direzione, però, è necessario che l’identità della persona abbia un posto cruciale poiché è fondamentale strutturare un sé digitale capace tanto di andare oltre l’ovvietà delle Colonne d’Ercole, quanto di proporsi come modello per la comunità. La rivoluzione digitale (Elliott, 2021) porta con sé la necessità di rivoluzionare anche il proprio sé, online e onlife, per costruire l’identità individuale e la condivisione. L’avvento del sé digitale non può essere compreso adeguatamente solo in termini di mondo virtuale e mondo reale, poiché le tecnologie digitali e le innovazioni dell’intelligenza artificiale stanno mutando il senso della formazione individuale e dell’esperienza di sé (Elliott, 2016). Una descrizione accurata del sé deve essere sviluppata nel più ampio quadro della costruzione dell’individuo nell’epoca contemporanea. La deumanizzazione (Volpato, 2021) e il disimpegno morale (Bandura, 2017), condizioni pervasive della postmodernità, condizionano lo sviluppo della personalità e determino atteggiamenti, più o meno rischiosi, per sé e per gli altri. L’uomo che non si riconosce in quanto persona nella sua unicità può correre il rischio di vivere a immagine e somiglianza di modelli spesso fatui e poco rappresentativi, tutt’altro rispetto all’apprendimento per imitazione, in questo senso, più che mai, necessario. Quanto più la tecnologia si diffonde nella società, tanto più l’identità dell’individuo si ridisegna a immagine e somiglianza del digitale, alla luce del fatto che l’identità si nutre delle esperienze con il mondo del reale: oggi la realtà è declinabile anche in termini virtuali, dunque, l’innovazione tecnologica ha un impatto molto forte sui processi di costruzione e consolidamento dell’identità. Non si tratta di un’identità immediatamente reattiva, se le persone operano sulla base di reazioni soggettive pre-programmate, ma occorre che ognuno si adatti, reagisca e resista ai numerosi cambiamenti tecnologici della contemporaneità. Diversamente, anche la persona, come gli spazi nei quali non sono possibili le attività e le relazioni, diventa non-luogo esistenziale (Iaquinta, 2019) e ciò genera sempre più smarrimento, inquietudine, sfiducia e porta a rifugiarsi nelle dinamiche errate della rete, facendo ombra a tutte le potenzialità che invece la rete offre. Basti pensare alla FOMO (Dossery, 2014), letteralmente fear of missing out, paura di perdere qualcosa. Questa condizione è tipica di chi vive ansia sociale e preoccupazione compulsiva di perdere l’opportunità di interazione sociale, popolarità e share sui social network con conseguenze negative sul benessere e sulla salute mentale. Chi sperimenta la FOMO si sente obbligato a controllare il propri feed sui social media e partecipa compulsivamente a tutte le attività sociali proposte dalla rete, perdendo di vista la prospettiva realistica sui propri desideri e sulle proprie possibilità, prioritari per la dimensione tipicamente umana. Paradossale è il fenomeno degli Hikikomori, vera e propria sindrome culturale (Lancini,2019), il quale colpisce le persone che si isolano dalle dinamiche sociali e restano chiuse in casa per mesi o anni. Tale condizione, dilagante sin dai primi anni del nuovo secolo, coinvolge per lo più adolescenti e giovani che sperimentano la dipendenza da internet e si rifugiano in una vita online immersiva volontariamente, allontanandosi da ogni forma di relazione e di interazione. Tanto la FOMO, quanto il ritiro sociale degli Hikikomori, inducono a una riflessione specificatamente educativa che richiama al potere della prevenzione, in ambito scolastico e non solo, per fronteggiare ogni difficoltà e favorire l’uso corretto del digitale in età evolutiva. Oltre le Colonne d’Ercole, quindi, per andare al di là del già conosciuto e scoprire, mediante il potere generativo dell’educazione, piste esplorative di senso, osservare e saper discernere senza perdere se stessi.

L’esercito del selfie

Nel 2017, il gruppo Tagagi e Ketra, ha registrato grande successo con il brano «Siamo l’esercito del selfie». Parole forti e significative che, anche inconsapevolmente, giovani e meno giovani cantavano sotto l’ombrellone, in casa o con gli amici. Il brano richiamava all’atteggiamento tipico e preoccupante di scattare selfie in ogni momento e a ogni costo, alla assenza di contatti reali nella vita privata ed emotiva, alla iperconnessione, alla necessità di controllare il numero dei like sui propri post, alla infelicità provata per l’assenza di relazioni fisiche e stabili.

«Selfie», parola dell’anno 2013 per l’Oxford Dictionary, è uno dei termini più diffusi tra giovani e meno giovani che utilizzano le nuove tecnologie digitali. Scattare un selfie è pratica ormai comune, talora compulsiva, e risponde al bisogno di andare oltre i vincoli di comunicazione naturale per sconfinare in modalità innovative che permettano al villaggio globale (McLuhan, 1996) di estendersi e ampliarsi oltre i confini già noti. I selfie diventano mezzi per auto esprimersi e auto rappresentarsi per creare diverse sfumature di sé e molteplici identità da condividere costantemente sui social media. Tutto il corpo è coinvolto in questa pratica e, spesso, le dinamiche social si riflettono sulla vita onlife con non pochi rischi per il proprio sé. La selfie culture (Victoria, 2021) è emersa come risultato naturale dello sviluppo degli smartphone e dei social media che hanno permesso di scattare e condividere foto, simultaneamente o quasi, per documentare le proprie attività e mostrare il proprio corpo in qualsiasi contesto e in qualsiasi momento della giornata. Diffondendosi rapidamente in tutto il mondo, il selfie è diventato una pratica comune per la struttura sociale della contemporaneità, ma non è detto che ciò favorisca la connessione consapevole con le esperienze vitali. Non è sempre possibile rilevare quale immagine di sé si vuole promuovere mediante i selfie poiché, soprattutto tra i più giovani, vi è una rincorsa alla bellezza esteriore, alla perfezione estetica e alla felicità a tutti i costi che non fa ben sperare. Con la cultura dei selfie ci si avvia alla generazione di nuove forme di auto-rivelazione di sé che influenzano la costruzione delle identità individuali e gli standard di bellezza esistenti nelle società postmoderne. Addirittura, si può pensare che l’immagine di sé venga falsata, anche grazie alle modifiche effettuabili online, e si alimentino così sentimenti di disistima e di preoccupazione malsana per il proprio aspetto fisico. I modelli di riferimento, in questo senso, si presentano con corpi scolpiti e perfetti che inducono i giovani a voler rincorrere un ideale di perfezione malsano e infruttuoso per il proprio sé e per la propria individualità. Circolano in rete istruzioni che portano gli utenti a poter scattare il selfie migliore in base alla angolazione della fotocamera e si genera così una prossemica del selfie. A seguito della rapida diffusione dei selfie, permessa soprattutto dai social media, le aziende di telefonia mobile hanno iniziato a sviluppare prodotti più performanti che enfatizzano le ricche funzionalità della fotocamera, la possibilità di ritoccare le foto, il miglioramento automatico della bellezza e una maggiore usabilità. Così come l’ambrosia, elisir di lunga vita del mondo greco, i selfie ritoccati diventano solvente miracoloso per eliminare i segni del tempo e restituire un’immagine di bellezza adatta a ciò che si aspetta la contemporaneità per essere più performanti, conformi ai cliché e capaci di trovare un posto nel mondo digitale. Ciò non coinvolge solo gli adolescenti e i giovani, anzi. L’esercito del selfie è costituito anche da tanti adultescenti (Iaquinta, 2022) che tendono a voler simulare l’adolescenza mediante pratiche tipiche di quella età, ricorrendo alla chirurgia plastica e richiedendo di assomigliare ai modelli proposti dai filtri presenti sui social network. La cultura del selfie, che attesta l’incapacità di gestire la propria vita emotiva, è pervasiva, coinvolge la corporeità e rappresenta un vero fenomeno sociale da arginare. Senza ombra di dubbio, anche in questo caso, interviene la self culture, ovvero la cultura di sé, capace di generare benessere personale e sociale, capacità di relazioni, online e onlife, resistenza e ulteriorità (Bauman, 2012). Il concetto di sé, formalmente definito come un insieme di auto-percezioni personali derivanti dal l’esperienza e dal l’interpretazione del proprio ambiente, corrisponde al modo in cui ogni persona percepisce i propri comportamenti, capacità e caratteristiche; è alimentato da interazioni con l’ambiente, confronti interpersonali, risultati in termini di successi e fallimenti. Queste percezioni individuali sono una combinazione di esperienze vissute in contesti di vita e l’interpretazione di tali esperienze. Quindi, il sentimento di sé, essendo il risultato dell’auto consapevolezza, può deviare dalla realtà oggettiva o dal modo in cui gli altri percepiscono, corrisponde a una realtà soggettiva con un impatto significativo sul pensiero e sull’azione umana. Educare alla consapevolezza di sé, in un tempo caratterizzato da smarrimento e confusione d’identità, sembra l’unico modo praticabile per recuperare i valori e i principi fondanti della vita e delle relazioni. Ciò è ancor più significativo se si educa alla rappresentazione reale di se stessi negli spazi reali e digitali (Digennaro, 2024). In ogni epoca la storia del mondo propone studi e riflessioni che cercano di rispondere alle domande esistenziali dell’uomo e all’ineluttabile necessità di conoscersi per entrare in rapporto con l’Altro e stabilire un contatto con la propria coscienza. Il bisogno incessante della persona di conoscere se stessa si estende alla conoscenza delle cose, delle persone e del mondo. Per rendere possibile l’educazione alla consapevolezza di sé, è necessario considerare la relazione educativa (Mariani, 2020). Il rapporto che lega ogni soggetto alle sue esperienze di vita, alle persone, ai contesti, è riempito di educazione. Le possibilità educative si manifestano dalla nascita, l’ambiente le influenza e le coordina fino a quando la persona diventa autonoma di pensiero, azione e scelta. Come è noto, l’io diviene attraverso il noi (Buber, 1993) e nessuno può dirsi adeguatamente autonomo se non dopo aver sperimentato la relazione. Tutto ciò che avviene insieme agli altri mette alla prova la coscienza di sé che nel frattempo si forma, si modifica e si stabilisce. Essere insieme con l’altro è un atteggiamento tipicamente umano, il rapporto reciproco con gli altri genera condivisione e comunione, ma dà anche solidità all’identità umana e alla consapevolezza di sé. Ogni contesto educativo, a partire dalla scuola, dovrebbe considerare la necessità di promuovere paesaggi di apprendimento esplorativo che possano sostenere lo sviluppo dell’autoconsapevolezza attraverso un approccio pedagogico strutturato sul dialogo che consenta una partecipazione attiva ai processi di crescita, di mutuo aiuto e di reciprocità. L’impegno educativo diventa così una missione e un compito primario per lo sviluppo di menti e coscienze critiche che mirano a guardare a se stessi e all’altro da sé, alla trasformazione della propria identità e del proprio sé con determinazione lungo tutto il corso della vita. In questo senso, lo sviluppo del sé scolastico, parte del concetto di sé in generale, è importante. È un costrutto più grande che si declina in varie aree della vita individuale, dal fisico all’emotivo, dal sociale alla scuola. Il concetto di sé è definito come l’insieme delle percezioni personali che derivano dal l’esperienza e dal l’interpretazione del proprio ambiente (Shavelson, 1976). Corrisponde, quindi, al modo in cui ogni persona percepisce il proprio comportamento, le proprie capacità e caratteristiche, sulla base dell’autovalutazione, ma anche sull’interpretazione dei rinforzi e delle valutazioni ricevute dagli altri. Queste percezioni individuali sono una combinazione di esperienze quotidiane e interpretazione nei contesti. Quindi il concetto di sé, essendo frutto di attribuzioni di sé, può deviare dalla realtà oggettiva e corrisponde piuttosto a una realtà soggettiva con un impatto importante sul pensiero e sull’azione. Il concetto di sé scolastico, invece, riguarda le percezioni e le interpretazioni di sé di quelle competenze che si sviluppano nel contesto educativo e corrisponde alla visione soggettiva del sé come studente rispetto agli altri e alle prove affrontate. In questo rapporto non risiede solo il successo educativo, ma anche la determinazione della consapevolezza di sé e dell’ulteriorità.

Il muro di Berlino

L’epoca delle passioni tristi (Benasayag e Schmit, 2013), caratterizzata da incertezza e impotenza emotiva, cela un inarrestabile bisogno di educabilità, unica cifra che rende l’uomo capace di sostenere le difficoltà e progredire. Tristi, ma anche liquide (Bauman, 2002), le vite online devono abbattere le barriere per scoprire che dall’altra parte del muro di Berlino vi è una possibilità di costruire futuri sociali proprio a partire dalla strutturazione di comunità autentiche mediante le tecnologie. L’incontro con l’Altro da sé, reale e virtuale, è l’unica soluzione per favorire un uso consapevole del digitale. Tra gli strumenti per affrontare e sostenere un’adeguata vita onlife, riveste un ruolo di primaria importanza la corporeità. L’educazione digitale è, anzitutto, educazione corporea. Il corpo, sin dagli anni ’70 del secolo scorso, è stato inteso come una tavolozza hippy (Iavarone, 2010): nudo, libero, naturale e costantemente esposto. L’esaltazione del corpo, intesa anche come rivoluzione del corpo (Digennaro, 2021), deve trovare un giusto equilibro nel disciplinamento del corpo e nel disciplinamento emotivo (Bruzzone, 2022). L’elemento emozionale diviene caratteristica antropologica emergente (Bellingreri, 2021), nonostante l’esperienza soggettiva e oggettiva della corporeità richiami a un vero e proprio dramma identitario (Botturi, 2009) e il culto del corpo ne rappresenta un esempio. Diete dissennate, esercizi di fitness massacranti, interventi di chirurgia estetica estrema, ricerca di emozioni forti a ogni costo. Da qui emergono condizioni sempre più frequenti che vanno da forme di autolesionismo, alle varie dipendenze. Ciò è determinato da una mancanza di riconoscimento da parte dell’altro che conduce a una malattia del corpo e alla sua morte.

Il dramma identitario della corporeità può trovare adeguato sostegno nella consistenza di sé (Bellingreri, 2011), cioè nel riconoscimento dei propri limiti e dei propri confini che portano a riconoscere come vivente il corpo online e onlife. Gli studi delle neuroscienze che tendono a valorizzare la corporeità hanno portato all’elaborazione della teoria dell’Embodied Cognitive Science (Caruana e Borghi, 2013), la quale riconosce nella corporeità la dimensione primaria dei processi tendenti a orientare e influenzare i cambiamenti dei comportamenti umani. La teoria dell’Embodied Cognition (EC) spiega come ogni forma di conoscenza e cognizione umana sia incarnata e come anche le cognizioni più astratte sono, in realtà, collegate all’esperienza corporea. Pertanto, l’educazione alla corporeità è un valido strumento nello sviluppo di competenze cognitive capaci di sostenere ogni forma di apprendimento anche digitale. Vi sono tre forme di EC: un primo modello è quello fenomenologico dove prevale la valorizzazione della percezione. Il concetto di embodiment è ripreso dalla filosofia della corporeità di Merleau-Ponty (2003) che definisce la mente come costitutivamente incorporata, cioè incarnata nel corpo vivo, in cui scorrono la sensibilità, l’intenzionalità e la volontà che sono proprie della coscienza. Caruana e Borghi (2013) asseriscono che alla percezione sono dedicate pagine cruciali della fenomenologia. Questa predilezione per il primato della percezione è riscontrabile anche nei fenomenologi contemporanei, i quali sostegno che relativamente alla cognizione e all’azione in generale, la percezione è basilare e ha la precedenza (Gallagher e Zahavi, 2009). Un secondo modello è quello pragmatico, dove prevale l’attenzione sull’azione motoria. Secondo questa visione, frutto del pragmatismo americano (Dewey, 1938), l’approccio ecologico di Gibson e il comportamentismo logico di Ryle (Gomez Paloma, 2013), i concetti non sono semplici rappresentazioni di oggetti ma qualcosa di più simile alle istruzioni utili per interagire con quegli oggetti e, quindi, finalizzati all’azione. La terza forma di EC concerne il comportamentismo logico. Ryle (1949), Wittgenstein (1953) incentrano la loro critica sul concetto di rappresentazione asserendo, anche in sua assenza, la possibilità della presenza dell’intelligenza. Ryle in particolare fonda la sua critica sulla distinzione della conoscenza tra how know e how that, promuovendo la prima, fondata sull’esperienza e contrapponendo la seconda, centrata, invece, su regole e procedure operative di stampo rappresentazionale. La teoria dell’EC viene avvalorata dalla teoria dei neuroni specchio (Rizzolatti e Senigallia, 2006), così chiamati perché si attivano quando su compie una data azione in prima persona sia quando la stessa azione la si vede eseguire negli altri. Così, ogni azione motoria è inserita in catene motorie che codificano l’intera azione. L’EC potrebbe anche neutralizzare gli effetti di deep learning, apprendimento profondo, permessi dagli sviluppi dell’Intelligenza Artificiale favorendo la consapevolezza secondo cui non è possibile comprendere l’intelligenza avulsa del corpo fisico ed è anzi il corpo stesso a produrre piani di azione capaci di conquistare scoperte successive. Mente e corpo, quindi, si influenzano a vicenda e permettono di percepire la persona nella sua totalità, determinando processi mentali e cognitivi. Pertanto, è necessario configurare percorsi esplorativi e di apprendimento capaci di sostenere un’adeguata educazione alla corporeità tutta intera in modo da fronteggiare anche i rischi connessi con l’uso distorto del digitale.

L’uomo venuto dal futuro

Educare alla cittadinanza digitale diventa garanzia per la vita onlife e permette il miglioramento dell’autoconsapevolezza, della motivazione e della qualità delle relazioni. I processi educativi, quindi, devono subire significativi cambiamenti per mantenere la propria rilevanza nell’era digitale. Sia sul piano della progettualità didattica che sul versante delle nuove competenze digitali è necessario elaborare soluzioni e suggerimenti d’uso in grado di rispondere alle istanze del digital age. Grass e Weber (2016) ritengono che il 90% delle professioni richiederà in futuro competenze digitali; perciò, è opportuno richiamarsi al costrutto di social networking skills, riconducibile alla digital literacy (Rivoltella, 2020). Nell’era del Web 4.0 tali competenze sostengono docenti e studenti nell’uso critico e costruttivo delle tecnologie per mettere gli individui nelle condizioni di gestire al meglio la ricerca di un equilibrio funzionale al conseguimento dei benefici e al contenimento delle criticità dell’uso del networking (Ranieri e Manca, 2013). Così facendo si riduce il gap generazionale e si impara a trarre il meglio dal mondo digitale, riducendone gli aspetti negativi e trasferendo le competenze alla dimensione onlife. Inoltre, gli adulti hanno necessità, così come gli adolescenti e i giovani, di un intervento educativo volto a migliorare il rapporto con i media (Rivoltella, 2006).

La digital literacy è stata ampiamente trattata negli ultimi decenni (Buckingam, 2007; Calvani, 2010). Ranieri e Manca (2013), con riguardo al modello di Calvani (2012), individuano quattro dimensioni che permettono agli utenti di diventare abili fruitori della rete.

  1. Dimensione tecnologica. Consente di saper comprendere e utilizzare la logica e il linguaggio dei social network, sviluppare le competenze per muoversi consapevolmente nella rete, riconoscendone opportunità e rischi. Ciò permette di valorizzare le potenzialità del networking e utilizzare la rete come sostegno per affrontare la vita quotidiana.
  2. Dimensione cognitiva. Concerne la capacità di determinare e valutare l’attendibilità di contenuti e informazioni presenti in rete. Ciò permette di imparare a utilizzare in maniera critica il networking, trovando strategie per riconoscere la validità dei contenuti.
  3. Dimensione etica. Permette di saper tutelare la propria privacy e assumere un atteggiamento rispettoso nei confronti di sé e degli altri. Ciò permette di imparare a gestire le informazioni personali e riflettere sui contenuti che è bene condividere sul web.
  4. Dimensione sociale. Comprende la capacità di collaborare e comunicare in modo adeguato e rispettoso con gli altri utenti, partecipando attivamente a reti di interessi.

Sulla base di tali dimensioni, Ranieri e Manca (2013) individuano percorsi didattici specifici che stimolino la maturazione di competenze sul piano applicativo, la sensibilità e la curiosità di docenti e studenti e che li preparino a un uso consapevole della rete. Tra le proposte di Ranieri e Manca risulta essere avvincente, con riguardo alla prima dimensione succitata, il problem solving tecnologico che consiste nel sottoporre agli studenti una situazione verosimile da affrontare utilizzando i social network. Così, è possibile far riflettere gli studenti sul potenziale dei social quali strumenti per trovare soluzioni ai problemi della vita quotidiana. Per la dimensione cognitiva, invece, sarebbe utile proporre la creazione e la condivisione di contenuti per favorire la riflessione secondo cui i social network non sono solo ambienti di fruizione, ma anche di condivisione di informazioni o contenuti autoprodotti. Per predisporre il contenuto, è necessario sollecitare la combinazione di una pluralità di linguaggi mediali — testo, immagine, video — e riutilizzare risorse presenti già nel web. È importante anche tenere conto del pubblico al quale è rivolto il contenuto da produrre e condividerlo, successivamente, a seconda del target prescelto. Per la dimensione etica si potrebbero proporre giochi di ruolo (Bruner, 1964) in cui siano delineati il personaggio-vittima e il personaggio-carnefice mediante la simulazione di una vicenda di cyberbullismo. Si potrebbe chiedere al gruppo, dopo aver simulato l’episodio, di discutere su ciò che la vittima potrebbe fare per interrompere i comportamenti persecutori, su quali conseguenze avrebbe il carnefice e a quali sanzioni incorrerebbe eventualmente. Per la dimensione sociale sarebbe opportuno promuovere il lavoro cooperativo e collaborativo, quindi proporre un’attività di gruppo da svolgere online. Creati i gruppi, si procede illustrando il compito, definendo i ruoli e negoziando le regole comunicative e la netiquette. A questo proposito, è importante sollecitare un atteggiamento attivo da parte degli studenti, richiamando l’attenzione sull’importanza di avanzare proposte attraverso i post, leggere i contenuti altrui, commentare i post altrui, essere aperti alla critica. La discussione, il lavoro in piccoli gruppi e la partecipazione sociale consentono di maturare una consapevolezza sui doveri che si hanno nei riguardi dei destinatari della propria comunicazione online.

La promozione della digital literacy non riguarda solo l’ambiente scolastico, anzi, si rivolge a tutti i contesti educativi poiché diventa capace di far acquisire competenze necessarie a rapportarsi con la rete e con i linguaggi digitali. Con riguardo alla formazione di educatori e docenti, Rivoltella (2006) individua tre livelli di abilità propri della formazione andragogica (Chiosso, 2018) volti allo sviluppo del lifedeep learning:

  1. Livello base delle competenze tecnologiche, acquisire alfabeti mediali;
  2. Livello progredito delle competenze didattiche, saper usare i media come supporti per l’insegnamento dei contenuti;
  3. Livello avanzato delle competenze media — educative, promuovere la riflessione e il senso critico sull’uso dei media.

L’avanzamento dei tre livelli consente di diventare adulti consapevoli capaci di orientare le giovani generazioni a un adeguato equilibrio tra dimensione online e dimensione onlife e sviluppare percorsi di apprendimento capaci di promuovere un’educazione civica digitale che si rifletta nella vita quotidiana e nelle relazioni.

Per ciò che riguarda l’accompagnamento all’uso degli schermi, Tisseron (2016) immagina una dietetica degli schermi capace di proporre pratiche virtuose piuttosto che denunciarne i pericoli, cercando di tenere in considerazione la complessità delle relazioni con il digitale. Vengono così proposti tre principi: autoregolazione, alternanza e accompagnamento che costituiscono le tre azioni chiave della screen education. L’autoregolazione consiste nell’educare bambini e ragazzi a un uso moderato delle tecnologie che includono schermi digitali e regolare, quindi, scelte e consumi in maniera autonoma. L’alternanza si configura come una strategia essenziale che implica la varietà di scelte da proporre a bambini e ragazzi. In questo caso, si propongono gli schermi alternandoli con strumenti analogici. L’accompagnamento permette di non abbandonare bambini e ragazzi davanti agli schermi, ma stimolarli con domande che possano farli riflettere su ciò che vedono nel mondo digitale. A tal proposito, è bene non assumere un atteggiamento proibitivo o di divieto, ma attuare la regola definita da Tisseron (2016) «3-6-9-12», ovvero i quattro stati sostanziali dell’introduzione degli schermi nella vita dei bambini e dei ragazzi. Questi stadi, se ben attraversati, influiscono positivamente sullo sviluppo e sull’utilizzo futuro dei media anche per la dimensione onlife dell’esistenza. Si tratta di una introduzione progressiva degli schermi e si lega con i gradi e gli ordini scolastici: prima dei tre anni, dai tre ai sei anni, dai sei a nove anni, dai nove ai dodici anni. In particolare, dopo i dodici anni, gli adolescenti imparano a essere autonomi e guadagnano un significativo spazio di libertà.

Pasta (2019), per ciò che concerne il modo di relazionarsi a seguito dell’utilizzo dei media, riflette sull’importanza di educare a sostenere conversazioni online che si concentrano sulla capacità di riconoscer e sperimentare emozioni, nel tentativo di suscitare empatia. Si tratta di mettersi nei panni dell’altro, del non essere indifferenti e di manifestare un atteggiamento maggiormente riflessivo anche nelle relazioni senza corpo. Nel momento in cui l’interazione mediata dagli schermi sostituisce l’esperienza diretta dell’incontro tra i corpi, si attivano meccanismi di simulazione corporea che riducono la capacità di attivate neuroni specchio per comprendere l’altro attraverso l’empatia. In questo modo, gli adolescenti provano emozioni svariate, cortocircuiti emozionali (Lucangeli, 2020), mediate dagli schermi, ma disincarnate, divenendo meno in grado di discernere le proprie emozioni e riconoscere quelle degli altri. Le emozioni dei «senza volto» non sempre vengono riconosciute, in quanto online vi è l’assenza di sguardo e di rispecchiamento emotivo; la persona è così priva di un punto di riferimento nel processo di apprendimento e comprensione delle emozioni. Si tratta di una tendenza caratterizzata da tre elementi: assenza di consapevolezza e di controllo delle proprie emozioni e dei comportamenti associati a esse, mancanza di consapevolezza per la quale si provano quelle emozioni, incapacità di relazionarsi con le emozioni altrui e con i comportamenti che ne scaturiscono (Pasta, 2019). È necessario educare allo spirito critico e alla responsabilità, tenendo presente che le conversazioni online sono diverse da quelle face to face (Rivoltella, 2018) e bisogna quindi insegnare ai ragazzi a essere responsabili delle proprie narrazioni, ossia avere consapevolezza di cosa significhi affidarle allo spazio pubblico e assumerne le conseguenze. La pedagogia narrativa (Demetrio, 1996) online e onlife diventa spazio educativo di intervento significativo. La narrazione di sé aiuta le persone a verbalizzare ciò che sentono e produce autoconsapevolezza, permette di capire che al di là dello schermo vi è una persona in carne e ossa. Il volto dell’altro (Levinas, 1987) aiuta a comprendere la responsabilità personale in quanto l’io assume un obbligo nei confronti dell’altro in una concezione della responsabilità relazionale. Con riferimento alla percezione corporea, Lancini (2015) ricorda che la scuola ha per troppo tempo trascurato la centralità del corpo e sarebbe auspicabile che nell’istruzione scolastica si discutesse circa l’esasperazione di valori estetici che provoca un’insoddisfazione corporea negli adolescenti con conseguente diminuzione dell’autostima ed esclusione dal gruppo dei pari a causa della inadeguatezza ai canoni proposti dai social media. Ancora una volta, la pedagogia diventa preventiva per attuare interventi volti a sensibilizzare gli adolescenti sulla propria immagine corporea e favorire la riflessione all’interno del gruppo. Riva (2007) propone modelli preventivi tali da proposte di intervento che mirino a favorire il dialogo tra i compiti evolutivi adolescenziali e i valori affettivi. Si tratta di modelli che coinvolgono attivamente gli studenti in modo da sconfiggere le barriere relative all’immagine corporea distorta, alla disistima e alla insoddisfazione generale. Il primo modello, socio cognitivo, è di carattere educativo e didattico e vuole intervenire sui fattori di rischio che risiedono nelle influenze esercitate dai media e dal gruppo dei pari nei fattori individuali, rappresentati da valori e atteggiamenti, nella percezione dell’immagine corporea da parte dell’adolescente. L’intervento preventivo mira a una migliore accettazione di sé, allo sviluppo dell’autostima e dell’immagine corporea, alla resistenza contro le pressioni esterne. I docenti, in tale proposta, devono mirare al miglioramento della relazione con gli studenti e a una forma di dialogo maturo capace di ristabilire equilibri e miglioramento della qualità della vita. Il secondo modello elimina ogni riferimento ai condizionamenti sociali esterni e si focalizza sul legame tra immagine corporea negativa e scarsa autostima. Obiettivo di questo intervento è aumentare il livello di soddisfazione circa la percezione del proprio corpo. Il terzo modello, in prospettiva socio-critica, si riferisce a un giudizio di valori della società contemporanea, in modo da suscitare nei ragazzi la capacità di assumere un comportamento attivo contro i messaggi provenienti dai media, facendoli diventare più assertivi e solidali nei riguardi del proprio corpo.

Tutte le prospettive educative della contemporaneità, quindi, devono tenere conto della centralità del soggetto e delle sue emozioni all’interno dei processi di apprendimento. Le nuove forme di relazione educativa in prospettiva contemporanea devono promuovere l’accompagnamento a farsi sé all’interno di un contesto di relazione (Mariani, 2022). Prendersi cura delle relazioni diventa garanzia per l’equilibrio e l’attenzione nei riguardi delle regole condivise, della gestione emotiva e della dimensione multimodale dell’apprendimento in cui le nuove tecnologie diventano supporto per la scoperta e lo sviluppo delle proprie potenzialità. Lo spazio digitale, così come quello fisico dell’aula, diventa un openspace innovativo in cui favorire lo sviluppo di tutte le dimensioni della personalità. per favorire ciò è necessario che la formazione trovi un orientamento di senso nella Peer & Media Education (Rivoltella, 2020) che rappresenta una metodologia di prevenzione del rischio e costituisce una valida alternativa ai metodi classici, basati sull’informazione da parte di specialisti. Il vantaggio della Peer Education è rappresentato dal fatto che i destinatari non siano un terminale passivo di informazioni e che se sono pari età a promuovere certi comportamenti, essi risultano più convincenti di adulti percepiti come lontani e sempre eccessivamente preoccupati. L’obiettivo della Peer & Media Education, che si colloca nella dimensione onlife, risiede nella necessità di evitare il rischio e costruire consapevolezza e ciò è possibile solo nella dinamica formativa dell’età evolutiva. La prevenzione sviluppa le skills e permette di avanzare nuove ipotesi interpretative e nuove progettualità che si configurano come vere e proprie istanze culturali per l’elaborazione concettuale. Questa prospettiva vede la necessità della strutturazione del Curricolo digitale che promuove lo sviluppo e l’integrazione tra saperi diversi per l’educazione razionale emotiva (Di Pietro, 1992) con strategie di Coping Power che agiscano anche sul Locus of Control degli individui. Il Coping Power (Lochman e Wells, 2002) prevede sezioni specifiche di lavoro per lo sviluppo della competenza emotiva e prosociale, è sviluppato in due percorsi complementari trattati in modo parallelo. In uno dei percorsi si potenziano e si implementano le strategie di gestione delle emozioni, nell’altro vi è la stipulazione di un contratto educativo fondato sulla Token Economy. Particolarità di tale programma è l’integrazione in digitale della dimensione emotiva con quella cognitiva dell’apprendimento. Il Locus of Control (Rotter, 1966), invece, permette di valutare soggettivamente i fattori cui si attribuisce la causa di eventi, fatti ed esiti, influenzati da forze più o meno controllabili. Questo atteggiamento determina lo sviluppo della personalità e la capacità della persona di gestire le proprie reazioni emotive alle circostanze della vita, anche quelle che coinvolgono la vita digitale.

Altra prospettiva interessante per favorire la corretta integrazione tra vita digitale e dimensione onlife è rappresentata dal SEL, Social and Emotional Learning (Cavioni e Grazzani, 2023), ossia l’apprendimento sociale-emotivo. Secondo il CASEL (2019) vi sono cinque aree di competenza interrelate che compongono il SEL:

  1. Autoconsapevolezza (self-awareness), ossia la capacità di identificare e riconoscere le proprie emozioni e i propri pensieri e di comprendere come questi influenzano il comportamento.
  2. Autogestione (self-management), ossia essere in grado di gestire le proprie emozioni e i propri impulsi, gestire lo stress e stabilire obiettivi personali.
  3. Consapevolezza sociale (social-awareness), ossia avere empatia e rispetto per gli altri e capacità di assumere prospettive diverse.
  4. Capacità relazionali (relation skills), ossia avere la capacità di stabilire e mantenere relazioni sane e di supporto.
  5. Decisioni responsabili (responsible decision making), ossia la capacità di fare scelte etiche e costruttive riguardo al comportamento personale e alle interazioni sociali.

Il Social and Emotional Learning punta quindi a sviluppare le competenze non cognitive (Gentile e Pisanu, 2022) fondamentali per il benessere personale e sociale. La novità del SEL non è fondata su particolari dotazioni da mettere a disposizione del gruppo, ma si riferisce all’attuazione di strategie e processi innovativi nell’apprendimento che promuovano competenze comunicative e di consapevolezza emotiva in ambito interpersonale e intrapersonale. Si tratta di aspetti sociali ed emotivi fondamentali per il benessere individuale oltre che per l’apprendimento. Creare benessere emotivo ha lo scopo di diffondere un clima sereno per facilitare l’apprendimento, sviluppare la solidarietà e curare la formazione di tutti (Polito, 2005) e rendere gli studenti pronti ad affrontare le frustrazioni, potenziare l’autostima, ma anche coinvolgerli in scelte didattiche consapevoli.

Prefigurando la necessità di immaginare futuri sociali, in ottica del lifedeep e lifewide learning, è necessario promuovere un clima accogliente che favorisca lo sviluppo cognitivo ed emotivo. Realtà aumentata, potenzialità dell’Intelligenza Artificiale e vita nel metaverso (Griffin, 2022) permetteranno di aggiungere e potenziare conoscenze e competenze che rivoluzionano lo stare al mondo e separano, sempre più, i confini tra uomo e macchina. Ciò si riflette sulla vita onlife e permette di potenziare la coesione sociale e la realizzazione di attività collettive che tendano allo stare insieme, a generare nuove forme di cooperazione e a strutturare il futuro dell’umanità con la sapienza del cuore (Corrado e Pasta, 2024), unica speranza per il futuro dell’umanità.

Conclusioni

Il presente contributo, senza pretesa di completezza e veridicità, ha inteso effettuare un’analisi della letteratura scientifica contemporanea circa il rapporto tra uso delle nuove tecnologie digitali e vita onlife. Molte risultano essere le istanze che l’epistemologia e l’ermeneutica pedagogica suggeriscono a chi ha scritto queste pagine, tante certamente le domande aperte. Chi è l’uomo digitale? Esiste ancora la nuova umanità prefigurata dai teorici del secolo scorso o è stata già sostituita dall’intelligenza artificiale? Cosa deve e può fare la scuola, in ottica preventiva, per favorire l’uso consapevole del digitale e minimizzare i rischi? Quali sono le connessioni tra vita digitale e dimensione onlife? Quale corporeità online e onlife? Questi e altri interrogativi hanno trovato spazio nella riflessione e nell’analisi succitata e permettono di comprendere, ancora e per sempre, quanto la pedagogia, scienza della prevenzione e della educazione, scienza dalla molte dimensioni (Parricchi, 2021) e dalle tante certezze, sia capace di rispondere in maniera significativa alle grandi domande della contemporaneità e alla configurazione di futuri sociali che, con e senza cultura digitale, abbiano come fondamento l’educazione per cambiare le sorti dell’umanità.

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  1. 1 Solo per ragioni di responsabilità scientifica, si specifica che Pasquale Gallo è autore dei paragrafi: «Oltre le Colonne d’Ercole» e «L’esercito del selfie»; Teresa Iona è autrice dei paragrafi: «Il Muro di Berlino» e «L’uomo venuto dal futuro». L’abstract, l’introduzione e le conclusioni sono da attribuire ad entrambi gli autori.

  2. 2 Università Magna Graecia di Catanzaro.

  3. 3 Università Magna Graecia di Catanzaro.

  4. 4 Solo per ragioni di responsabilità scientifica, si specifica che Pasquale Gallo è autore dei paragrafi: «Oltre le Colonne d’Ercole» e «L’esercito del selfie»; Teresa Iona è autrice dei paragrafi: «Il Muro di Berlino» e «L’uomo venuto dal futuro». L’abstract, l’introduzione e le conclusioni sono da attribuire ad entrambi gli autori.

  5. 5 Università Magna Graecia di Catanzaro.

  6. 6 Università Magna Graecia di Catanzaro.

Vol. 2, Issue 1, April 2025

 

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