Vol. 1, n. 2, ottobre 2024

«Il Metodo Magritte»

Suggestioni per una didattica metacognitiva e cooperativa

Mauro D’Arco1

Sommario

Il metodo Magritte: suggestioni per una didattica metacognitiva e cooperativa è il titolo del mio elaborato finale del percorso TFA VIII Ciclo nonché di un metodo di mia ideazione che prende spunto dal quadro La Chiaroveggenza del celebre pittore surrealista René Magritte. Un quadro nel quadro che vede autoritratto Magritte nell’intento di dipingere un uccello in volo mentre in realtà sta osservando un uovo. Magritte diceva che: «Bisogna che la pittura abbia una funzione diversa dalla pittura» e in continuità con la sua frase, ho riportato le dirompenti suggestioni del quadro in ambito didattico per ricavarne un metodo metacognitivo e cooperativo per lavorare su sé stessi, con un alunno e con un gruppo classe. Approcciarsi a un discente con questo metodo, significa farlo avendo una visione e una progettualità: come insegnanti può esserci utile osservare i nostri ragazzi, non tanto come i gusci chiusi come spesso ci sono presentati (specialmente i diversamente abili), ma per le potenzialità (le diverse abilità nel senso più alto del termine) che, se bene supportati da noi e dalle sinergiche attività della comunità educante tutta, possono dischiudere/disvelare e potenziare. Sperimentato in contesti laboratoriali ha portato sempre risultati importanti e il miglioramento dell’interdipendenza positiva.

Parole chiave

Visione, potenzialità, sviluppo, metacognizione, cooperazione.

The Magritte method

Suggestions for metacognitive and cooperative teaching

Mauro D’Arco2

Abstract

The Magritte method: suggestions for a metacognitive and cooperative didactics is the title of my final paper of the TFA 8th Cycle course, as well as a method of my own devising that is inspired by the painting The Clairvoyance by the famous surrealist painter René Magritte. A painting within a painting that sees Magritte self-portraying a bird in flight while he is actually observing an egg. Magritte said that: «Painting must have a function other than painting» and in continuity with his phrase, I have brought the suggestions of the painting back into the didactic sphere to derive a metacognitive and cooperative method for working on oneself, with a student and for a class group. Approaching a learner with this method means doing so with a vision and a plan: as teachers, it can be useful to observe our students, not so much as ‘closed shells’ as they are often presented to us (especially the differently abled), but for the potential (different abilities in the highest sense of the term) that, if well supported by us and by the synergic activities of the entire educating community, they can unveil/unveil and empower. Experienced in workshop contexts has always brought important results and the improvement of positive interdependence.

Keywords

Vision, potential, empowerment, metacognition, cooperation.

Riflessioni introduttive

Bisogna che la pittura abbia una funzione diversa dalla pittura.

René Magritte

Introduco questo mio articolo3 parlando de La Clairvoyance, La chiaroveggenza, un dipinto a olio realizzato nel 1936 dal pittore surrealista belga René Magritte, al quale sono molto legato. Nonostante forse non sia annoverato tra le opere più conosciute, appartenga a una collezione privata e quindi non è possibile ammirarlo al Museo Magritte di Bruxelles, che ho avuto la fortuna di visitare, l’opera rappresenta per la critica e gli appassionati un tassello fondamentale della produzione surrealista del sabotatore tranquillo, come veniva chiamato l’artista belga. Curiosamente, anche se l’artista si è sempre dichiarato ateo, ho conosciuto l’opera grazie a Don Antonio Parlato, un sacerdote di Piano di Sorrento, che la utilizzò come esempio durante un incontro. Tuttavia proprio René Magritte scriverà che solo l’arte riesce a dire qualcosa del Mistero, a dire Dio. Contraddizioni che raccontano un’anima non ideologica, bensì tormentata dal travaglio di un Oltre a cui non riesce a dare Nome (Riva, 2012). Vedere per la prima volta questo quadro ha generato in me un insight: l’opera poteva avere un potere dirompente se utilizzata in ambito didattico-formativo. Il concetto di insight è stato introdotto da Köhler per indicare una intuizione improvvisa che permette di risolvere un problema insolito. Un tema ripreso da Wertheimer nella sua opera Productive Thinking (Il pensiero produttivo), pubblicata postuma nel 1945, con la quale lo studioso intendeva quell’attività mentale che produce nuova conoscenza nell’individuo; esso si contrappone al pensiero riproduttivo, che è quello che meccanicamente ci porta ad affrontare situazioni già incontrate oppure nuove, con le stesse vecchie soluzioni, senza inquadrare la problematica in modo originale (Crisafulli, 2022).

Sono molto legato al concetto di ricerca quotidiana della migliore versione di sé, un modus vivendi che cerco di trasmettere anche nei laboratori che curo. Ho utilizzato il quadro come strumento di attivazione di processi metacognitivi in laboratori creativi che ho diretto, per far riflettere su ciò che ci troviamo davanti e su ciò che può diventare, su ciò che siamo e su ciò che possiamo essere.

La Chiaroveggenza di René Magritte: un’opera metacognitiva

La Chiaroveggenza (figura 1), un vero e proprio quadro nel quadro, raffigura lo stesso autore, René Magritte, seduto dinanzi al cavalletto e intento nell’atto di dipingere mentre osserva con cura il soggetto del suo lavoro. L’occhio dello spettatore è subito attratto dall’autoritratto di Magritte e dalla tela che raffigura un grande uccello dal piumaggio scuro. Soltanto dopo un secondo sguardo ci si rende conto di un dettaglio di non poco conto: l’autore auto-disegnato sta osservando attentamente un uovo, che troneggia in solitudine sul suo tavolo di lavoro. Guardando quell’uovo, il pittore sta realizzando sulla tela l’uccello, ben formato, adulto, imponente.

Fig. 1 La Clairvoyance, 1936, René Magritte, collezione privata.

Eccola, la chiaroveggenza che ha dato il titolo all’opera surrealista: il pittore osserva l’oggetto del suo studio, il soggetto del suo dipinto, quel semplice uovo candido che si riflette sulla superficie specchiata del tavolo, ma nel suo dipinto lo vede con occhi diversi, già in divenire, frutto di un’evoluzione immaginata e prevista dall’estro dell’artista. Un dipinto a dir poco raffinato, a dir poco meraviglioso, che ci fa riflettere sul nostro modo di concepire la realtà e su cosa voglia dire osservare con sguardo attento. Solo chi è ben disposto nei confronti della vita può avere un pizzico di chiaroveggenza: solo chi è allenato può trovare lo straordinario dentro l’ordinario e trovare la scintilla della rinascita nel buio della notte. Il quadro nel quadro: La chiaroveggenza è un esempio di quel topos che attraversa tutta la storia dell’arte e non solo: in questo caso parliamo di quadro nel quadro, ma in letteratura è il libro nel libro, così come nel cinema è il film nel film e nel teatro la pièce nella pièce: la mise en abyme è un mezzo che funge da amplificatore ai temi fondamentali dell’opera e infonde un forte effetto di straniamento nel fruitore dell’opera (Libreiamo, 2023). Occupandomi di laboratori musicali e creativi il quadro è diventato per me una grande fonte di ispirazione e un grande attivatore di processi riflessivi meta-cognitivi, al punto che non nascondo di averne una stampa in camera e una nello studio di registrazione. La mia intuizione è stata in seguito quella di poter associare le dirompenti suggestioni di questo quadro a una sua applicazione didattica-educativa, attraverso il metodo metacognitivo e cooperativo. Ad esempio, in un laboratorio rap curato per un centro diurno DCA (Disturbi del Comportamento Alimentare) volto a produrre una traccia corale (in modalità cooperative learning) nel gruppo c’era una ragazza che al suo primo incontro non ha letteralmente detto una parola, ma seguiva con estrema attenzione. Grazie a questo approccio, ho potuto vedere in quell’uovo, in quel guscio chiuso, una potenzialità espressiva, e disegnare/progettare delle attività per liberarle, avendo la visione di ciò che sarebbe potuta diventare: la ragazza ha mostrato un grande talento nella scrittura ed è stata affidata a lei la prima parte della prima strofa (quindi l’attacco del brano, tra le parti più importanti di una canzone) nella quale è riuscita a mettere in versi un momento drammatico della sua vita, fortunatamente superato. Durante il corso il quadro è stato di sprono per tutte loro per prendere coscienza dei propri mezzi e avere una visione degli obiettivi da perseguire, in questo caso in modalità cooperativa, ed è stato utilizzato per le riflessioni conclusive di fine laboratorio (auto-valutazione).

Anche durante una lezione del percorso TFA all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, nel modulo sulla didattica metacognitiva e cooperativa tenuto dal professore Pirozzi, ho avuto occasione di mostrare l’opera al professore e ai colleghi corsisti, riscuotendo ottimi feedback su questa mia personale visione-interpretazione dell’opera: a maggior ragione, da insegnanti di sostegno, specialisti delle attività inclusive, può esserci utile osservare i nostri ragazzi, chiamati diversamente abili, non tanto come i gusci chiusi con il quale ci sono presentati, ma per le potenzialità (le diverse abilità nel senso più alto del termine) che, se bene supportato da noi e dalle sinergiche attività della comunità educante tutta, possono dischiudere/disvelare e potenziare. Una sfida sicuramente impegnativa, non scevra di problematicità anche significative, ma che può portare a grandi soddisfazioni e al perseguimento di un visione-obiettivo per le nostre ragazze e i nostri ragazzi.

Per dare un supporto epistemologico a queste suggestioni fornitemi dall’opera di Magritte e poterne ricavare un metodo, uno strumento di attivazione di processi metacognitivi utili in ambito didattico, il prossimo paragrafo sarà dedicato a un excursus sulla didattica metacognitiva e cooperativa.

La didattica metacognitiva e cooperativa

Nessuna persona sensata crede che la psicoanalisi potrebbe chiarire il mistero del mondo.

La natura del mistero è tale da annichilire la curiosità. La psicoanalisi non ha nulla da dire neppure sulle opere d’arte che evocano il mistero del mondo. Forse la psicanalisi è il miglior soggetto da trattare per mezzo della psicoanalisi stessa.

René Magritte

In questo paragrafo porrò l’attenzione sui concetti di metacognizione e cooperazione e sulla loro applicazione in ambito didattico, attraverso la didattica metacognitiva e cooperativa, un approccio combinato che è stato per me di grande interesse durante il mio percorso di studi.

La metacognizione

Il termine metacognizione nasce con gli studi sulla memoria condotti da Flavell negli anni ’70. In seguito fu esteso anche ad altri ambiti della cognizione umana come la comprensione del testo, la memoria, il problem solving, l’attenzione e lo studio.

Da un punto di vista prettamente etimologico, la metacognizione rappresenta la conoscenza della conoscenza, il pensiero del pensiero (dall’unione del prefisso meta, al di là, sopra e cognitio, conoscere). Si parla di metacognizione in riferimento sia alla consapevolezza di un soggetto circa i propri processi cognitivi (conoscenza metacognitiva) sia all’attività di controllo esercitata da un soggetto su questi stessi processi (processi metacognitivi di controllo).

Paour scrive: «Metacognizione significa riflettere su ciò che si è fatto, su come e perché lo si è fatto, per ricavare una regola, un modo di procedere che va oltre la situazione particolare di apprendimento e di per sé tende alla generalizzazione» (Paour, 1998 in Albanese, Doudin e Martin, 2003). Borkowski e Muthukrishna (1994) propongono un loro modello articolato, ben riassunto nello schema che riporto di seguito (figura 2).

Fig. 3 Illustrazione ricostruita dall’immagine contenuta in Borkowsky e Muthukrishna (2011), p. 26.

De Beni (2017) parla di meta-cognizione come di una risultante di processi cognitivi generati da una cognizione fredda (intelligenza, memoria, attenzione, elaborazione, capacità di inibizione, flessibilità) e cognizione calda (emozioni, affetti, auto-percezioni, attribuzioni, obiettivi, motivazioni), interazione che a sua volta genera i processi di apprendimento.

Dalla metacognizione alla didattica metacognitiva il passo è breve. Essa, in ambito scolastico, si pone come obiettivo quello di far sì che l’alunno, attraverso processi di autoregolazione del pensiero e dell’attività, risolva dei problemi imparando a interpretare, organizzare e strutturare le informazioni e a riflettere sui processi per acquisire un livello di autonomia cognitiva migliore. La didattica metacognitiva prevede sei momenti: la presentazione del problema; la valutazione delle preconoscenze dell’allievo rispetto a quella classe di problemi; la capacità di codificare il problema; la formulazione e riformulazione del planning (piano d’azione); il transfer a problemi analoghi; il consolidamento e la generalizzazione (Riva, 2012).

L’apprendimento cooperativo

Per quanto concerne la cooperazione, l’Enciclopedia Treccani ne dà questa definizione: cooperazióne s. f. [dal lat. tardo cooperatio -onis]. – 1. a. Il cooperare, l’atto o il fatto di cooperare; opera prestata ad altri o insieme ad altri per la realizzazione di un’impresa o il conseguimento di un fine: c. attiva, intelligente; c’è bisogno della c. di noi tutti (Treccani, 2024). In ambito didattico l’apprendimento cooperativo o cooperative learning può essere definito come un insieme di tecniche di conduzione della classe, grazie alle quali gli alunni lavorano in piccoli gruppi per attività di apprendimento e ricevono valutazioni in base ai risultati acquisiti (Comoglio e Cardoso, 1996). Si tratta di un vasto movimento educativo che si pone l’obiettivo di migliorare l’apprendimento e il rendimento scolastico, insegnando agli alunni a lavorare insieme. L’elemento che caratterizza il cooperative learning è infatti il lavoro di gruppo, strumento utile per raggiungere obiettivi specifici, particolarmente nelle classi in cui risulta essere presente un’ampia mescolanza di abilità linguistiche e di conoscenze. Il coinvolgimento degli alunni nel processo di apprendimento permette lo sviluppo delle capacità relazionali, il miglioramento del clima della classe e il riconoscimento del gruppo come strumento di crescita. Questo metodo non solo promuove il rendimento scolastico ma migliora anche le competenze sociali e le relazioni interpersonali e ha un’influenza positiva anche su variabili di natura emotivo-emozionale.

L’apprendimento cooperativo, in sintesi, porta gli alunni a ottenere i seguenti risultati:

  1. imparare l’uno dall’altro;
  2. descrivere e sintetizzare oralmente il proprio punto di vista;
  3. prendere consapevolezza delle proprie idee;
  4. produrre un pensiero più alto;
  5. provare orgoglio intellettuale per il risultato raggiunto;
  6. sviluppare abilità cognitive superiori, legate alla comprensione dei concetti astratti e alla soluzione creativa dei problemi.

L’apprendimento cooperativo deve essere quindi collocato in una prospettiva articolata e complessa e deve essere connotato da una visione didattica che rispetti i criteri di:

  1. individualizzazione e personalizzazione dell’insegnamento rispetto ai differenti bisogni formativi;
  2. costruzione di una comunità di apprendimento in grado di creare un senso di appartenenza;
  3. valutazione autentica, ovvero finalizzata a fornire competenze utili al processo di autovalutazione autonoma;
  4. cognizione distribuita, come risposta alle nuove prospettive poste in essere dal costruttivismo;
  5. orientamento formativo (Riva, 2012).

Per fare un brevissimo excursus anche su altri modelli di apprendimento cooperativo e indicarne gli autori si possono citare: il Learning together (di Johnson e Johnson), il Success for all (di Slavin), il Group Investigation (di Sharan e Sharan), lo Structural Approach (di Kagan e Kagan), il Complex Instruction (di Coehn) e lo Scripted Cooperation (di Danserau) (Pirozzi, 2024b). Come visto quindi, nel Cooperative learning il gruppo è composto da più persone impegnate nella realizzazione di un compito che genera una interdipendenza positiva tra i membri del gruppo stesso. Nel Peer tutoring (insegnamento tra pari) l’alunno segue, aiuta e incoraggia il proprio compagno all’apprendimento. Nella Peer collaboration (collaborazione tra pari) gli studenti sono pari di fronte al compito e devono collaborare.

Ho trovato molto interessante il testo di Lidio e Silvia Miato dal titolo La didattica inclusiva. Organizzare l’apprendimento cooperativo metacognitivo che fa da trait d’union tra i due approcci didattici e offre interessantissimi stimoli. Ritengo utile citare un ampio stralcio della prefazione al testo, scritto da due importanti studiosi, come Dario Ianes e Carmen Calovi, che riflettono sul fatto che: «Proprio sul concetto di speciale normalità si basa questo libro, che sintetizza e traduce in metodi e strategie operative i risultati di anni di ricerca educativa e ne intreccia i due filoni più significativi ed efficaci, la metacognizione e l’apprendimento cooperativo, per giungere a un approccio di ampio respiro che considera la persona alunno nella sua globalità e ne promuove il pieno e migliore sviluppo cognitivo, emozionale e relazionale. La speciale normalità è presente negli studi e nelle applicazioni della metacognizione, che hanno dimostrato la molteplicità di intelligenze (e non una sola, quella analitica, tradizionalmente privilegiata dalla scuola) e di stili cognitivi, la necessità di conoscere le risorse, limiti e modalità di pensiero proprie, individuali (e non quelle di un modello ideale astratto di studente o di mente) e l’importanza di riflettere e valutare criticamente. La speciale normalità è presente anche negli studi e nelle applicazioni dell’apprendimento cooperativo, che risponde ai bisogni di normalità (sentirsi accettati, apprezzati, sostenuti, ecc.) proponendo un’organizzazione a piccoli gruppi in cui gli apprendimenti scolastici non possono essere disgiunti da quelli sociali e ai bisogni di specialità dando un ruolo indispensabile all’apporto e al sostegno individuali. Non si può quindi che condividere la prospettiva e l’auspicio degli autori, che «l’attuazione di una didattica cooperativa metacognitiva dovrebbe portarci a una nuova stagione dell’inclusione e della promozione del successo formativo per ciascuno studente» (Miato e Miato, 2023). Ianes evidenzia come in una scuola più rispondente alle attuali necessità, il concetto di inclusione (sentirsi parte di un gruppo che ci riconosce, ci rispetta, ci stima e ci vuole bene) chiama in causa quello di speciale normalità, che comprende sia la normalità intesa come bisogno di essere come gli altri, sia la specialità intesa come accoglimento dei bisogni speciali propri di ciascun ragazzo, specie se disabile (lanes, 2001). Questa normalità e singolarità degli studenti richiede risposte differenziate a livello educativo e didattico. Le linee di intervento possono essere quattro (lanes, 2001):

  1. sulla professionalità degli insegnanti;
  2. sul clima della classe;
  3. sulle modalità apprenditive;
  4. sui contenuti e sugli strumenti,

L’apprendimento cooperativo-metacognitivo

All’interno di un approccio cooperativo metacognitivo, l’insegnante non è più l’attore protagonista, a volte l’unica voce narrante, come nella didattica tradizionale, ma vero e proprio regista, che organizza e lavora dietro le quinte, che mostra agli attori (ragazzi) come devono fare, per poi ritirarsi e lasciare a loro la scena. Volendo usare una metafora sportiva, l’insegnante diventa l’allenatore, il coach della sua squadra, della sua classe: un coach che sa anche spaziare tra vari stili di insegnamento (es. verbale, visuale, globale, analitico) per andare incontro ai vari stili di apprendimento dei suoi ragazzi adattandoli anche per venire incontro agli alunni diversamente abili e/o con Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA), alle loro difficoltà e facilitare l’espressione delle loro potenzialità. In questo scenario un insegnante facilitatore4 può operare per costruire apprendimenti significativi che sviluppino e potenzino le competenze di ciascuno e dell’intero gruppo classe. Questo modo di agire favorisce anche un clima di classe positivo. L’insegnante coach non deve dimenticare che come ogni squadra allenata ogni classe presenta una storia unica e singolare, è un sistema aperto con caratteristiche proprie non riconducibili a quelle dei suoi membri presi singolarmente (ritorna la metafora sportiva): è un gruppo dove continuamente si generano interrelazioni e rappresenta quindi una totalità dinamica che cresce nutrendosi delle interazioni e relazioni tra i suoi componenti.

Per analizzare e intervenire su queste dinamiche Joe Luft e Harry Ingham, due ricercatori americani, hanno proposto La finestra di Johari: un interessante modello che prende il nome dalla fusione dei loro nomi, denominato così perché costruito da una matrice a forma rettangolare a sua volta divisa in quattro quadranti.

Fig. 3 Immagine di mia elaborazione sulla base della classica rappresentazione della Finestra di Johari.

Nella dimensione orizzontale viene riportata la conoscenza che ognuno di noi ha di sé stesso: in particolare, il lato sinistro esprime la parte nota di sé stessi, mentre quello destro la parte sconosciuta di sé. Nella dimensione verticale viene riportata la conoscenza che gli altri hanno noi: più precisamente la parte alta esprime ciò che di noi è noto agli altri e la parte bassa ciò che di noi è sconosciuto agli altri.

I quattro quadranti che si vengono a formare dall’incrocio delle due variabili, Conosciuto/sconosciuto da me e conosciuto/sconosciuto dagli altri, vanno a delineare quattro aree specifiche di situazioni relazionali e comunicative caratterizzanti sia le singole persone, sia un gruppo più in generale:

  1. Area aperta: è l’unica definita, chiara, libera. Qui si collocano le esperienze conosciute da noi stessi e da chi ci sta attorno. Questa area facilita una comunicazione libera e spontanea.
  2. Area occulta: è la parte di noi sconosciuta a noi stessi, però manifesta agli altri. È ciò che i nostri amici sanno di noi, senza che però lo dicano. Gli altri hanno impressioni varie su di noi, però non si sentono di dirle; noi riceviamo da chi ci circonda soltanto consigli e suggerimenti accuratamente selezionati.
  3. Area ignota: ciò che conosciamo di noi stessi e manteniamo occulto agli altri. Queste esperienze o sentimenti li teniamo per noi e non osiamo parlarne. Sono i nostri segreti.
  4. Area inconscia: i fattori della nostra personalità di cui non siamo coscienti noi e nemmeno le persone con cui siamo in relazione. Sono le nostre motivazioni inconsce.

Le interazioni tra i vari quadranti permettono di individuare vari tipi di rapporti intra gruppo e quattro tipi di comunicazione: aperta, cieca, privata e inconscia.

Vi sono varie regole di funzionamento e di utilizzo della finestra di Johari come matrice dinamica tra queste la più importanti, a mio giudizio risultano tre:

  1. Un cambio di grandezza di qualsiasi area determinerà un cambio nelle altre;
  2. La crescita e lo sviluppo del gruppo classe si raggiunge accrescendo l’area aperta o libera;
  3. In un gruppo classe appena formato — o in un alunno appena arrivato — l’area aperta o libera è piccola (Pirozzi, 2024a).

Va da sé che i nostri sforzi devono sempre andare in direzione di accrescere l’area libera e potenziare la comunicazione aperta. Agendo con consapevolezza in questo scenario (gruppo classe) e con le varie modalità evidenziate si può operare in direzione di un cambiamento di prospettiva, dove l’insegnante non si sentirà più solo e unico dispensatore di saperi, ma un facilitatore nell’apprendimento di quegli strumenti che permettono una migliore organizzazione, gestione e valutazione di tutte queste informazioni.

Rispetto ai metodi di insegnamento, un insegnate metacognitivo-cooperativo agirà all’interno di un modello democratico, favorendo la comunicazione interattiva fra i discenti, affinché essi passino da un ruolo passivo, tipico del modello autoritario, a un ruolo più attivo e partecipativo, dove le decisioni vengono prese insieme. In questa cornice, l’insegnante opererà attraverso un atteggiamento assertivo-metacognitivo, un caposaldo della didattica propositiva attiva: l’insegnante non aspetta la maturazione delle capacità dell’alunno, ma la sollecita cercando di collocare la proposta didattica nell’area di sviluppo prossimale (Vygotskij,1934). Con il concetto di zona di sviluppo prossimale Vygotskij intende la distanza tra ciò che un ragazzo (alunno) può fare da solo e ciò che può raggiungere con il supporto di un adulto o di un coetaneo più competente. Questa zona si situa in un punto intermedio tra le capacità attuali del ragazzo e il suo potenziale di sviluppo.

Un atteggiamento assertivo-metacognitivo del docente spinge l’alluno/gruppo classe a prendere consapevolezza del proprio funzionamento cognitivo e delle strategie più adatte a migliorarlo. In merito alla gestione della classe sarà utile concordare le regole e le relative sanzioni riparatorie, agire in modo coerente, condividere con i ragazzi le scelte educative e i criteri di valutazione degli apprendimenti, insegnare le abilità sociali anche attraverso l’interdipendenza positiva dei ruoli.

Trovo il concetto di interdipendenza positiva tra i più importanti che una tale modalità d’azione può sviluppare. In ambito didattico l’interdipendenza positiva viene vista da un alunno come la convinzione di aver bisogno dei compagni per raggiungere un obiettivo che però non può essere realizzato senza il proprio apporto. I ragazzi hanno coscienza che solo unendo le forze e le idee si possono superare meglio i vari problemi e ci si sente importanti per gli altri. L’interdipendenza positiva favorisce la costruzione dell’identità, nel senso che aiuta il ragazzo a scoprire chi è, a sentirsi accettato e riconosciuto dagli altri a scuola, nella classe, nel gruppo di amici, nello sport, in famiglia e nei vari gruppi sociali. La metacognizione promuove il modello plurifunzionale dell’intelligenza, abbracciandola nelle sue varie sfaccettature: analitica, creativa, pratica, emotiva e sociale. Grazie a questo modo di pensare e agire e in associazione a modalità cooperative si promuovono le intelligenze multiple (fulcro delle teorie di Gardner) di ciascuno in modo interdipendente: spaziale, naturalistica, musicale, matematica e logica, esistenziale, interpersonale, cinestetica corporea, linguistica, intrapersonale. Questa interdipendenza è tra i principali benefici del Cooperative Learning, una modalità che inoltre aiuta a costruire relazioni positive e sviluppa l’attitudine a lavorare con gli altri, facilità abilità cognitive di altro livello e promuovere un miglior apprendimento, promuove la fiducia nelle proprie capacità (e il senso di auto-efficacia) e aumenta la motivazione sia degli alunni sia degli insegnanti. Quindi, accanto agli interventi mirati, focalizzati sulla situazione del singolo, ci sono strategie didattiche molto efficaci che hanno la possibilità di rivolgersi utilmente a tutti gli alunni, rispondendo alle loro differenziate esigenze con un repertorio di strategie più ricco, e quindi, per così dire, davvero speciale (Fiorin, 2017). In conclusione trovo molto opportuno questo passaggio, del testo dei Miato, che ben sintetizza questa modalità d’approccio: «La nostra prospettiva può essere definita come apprendimento cooperativo metacognitivo ed è caratterizzata da una modalità di gestione democratica della classe, centrata sulla cooperazione, sulla riflessione sui comportamenti agiti, sull’interdipendenza positiva dei ruoli e sull’uguaglianza delle opportunità di successo formativo per tutti» (Miato e Miato, 2023). I due studiosi tracciano un virtuoso sentiero su cui costruire una didattica metacognitiva-cooperativa che valorizzi le diverse abilità di ciascun componente della classe, includendo, valorizzando e promuovendo in maniera interdipendente anche le peculiarità degli alunni considerati diversamente abili rendendoli co-protagonisti, insieme al gruppo-classe, di processi di apprendimento significativi.

Dopo questo necessario excursus teorico, nell’ultimo paragrafo, unirò le riflessioni sulla didattica metacognitiva-cooperativa a le considerazioni emerse sull’opera La Chiaroveggenza di Magritte per delineare una mia personale interpretazione metacognitiva del quadro che può offrire suggestivi spunti nel suo possibile utilizzo come metodologia didattica.

Il metodo Magritte: Suggestioni per una didattica metacognitiva e cooperativa

Essere surrealista significa bandire dalla mente il già visto e ricerca il non visto.

René Magritte

Proverò a dar corpo all’idea di Magritte: «Bisogna che la pittura abbia una funzione diversa dalla pittura» offrendo ora una lettura della sua opera La Chiaroveggenza in ambito didattico, per delineare il Metodo Magritte, uno strumento utile per agire nella pratica didattica, lasciandomi ispirare dalla sua opera, riproposta di seguito con degli elementi chiave numerati.

Fig. 4 Il Metodo Magritte: gli elementi essenziali per la lettura della Chiaroveggenza di Magritte in ambito didattico.

È evidente che il quadro abbia degli elementi simbolici importanti che ho opportunamente evidenziato graficamente, per facilitarne una lettura in ambito didattico.

  1. L’uovo: la situazione di partenza, l’embrione di un’idea, di una potenzialità, il visto che contiene il non visto.
  2. Il pittore/Magritte: colui che esercitando il suo punto di vista in modo creativo, può riuscire a vedere il non visto nel visto e attraverso la sua abilità, la sua pratica (praxis) allenata quotidianamente, può dar vita al non visto, perseguire la propria visione e realizzare la migliore versione di un’opera. Essendo l’opera un autoritratto e un quadro nel quadro, è evidente il suo potere meta-cognitivo.
  3. La tavolozza di colori e il pennello: gli strumenti, le abilità, le conoscenze che il pittore ha e che mette in gioco per realizzare la sua opera visionaria.
  4. Lo spazio tra l’uovo e l’uccello: nell’opera è la chiaroveggenza dell’autore stesso, la sua visione che sta realizzando, in ambito didattico è la zona di sviluppo prossimale (Vygotskij,1934) o meglio le varie zone di sviluppo prossimale che possono essere raggiunte in senso evolutivo da una situazione di partenza (uovo) a una situazione d’arrivo (uccello in volo). Va considerato anche che l’uovo (potenzialità chiusa) e appoggiato su un tavolo (piano orizzontale) e l’uccello è dipinto su una tela appoggiata su un cavalletto (dimensione verticale), dando ulteriore potenza al concetto alla base dell’opera.
  5. L’uccello: trattandosi di un quadro nel quadro, l’uccello rappresenta l’opera realizzata in uno dei quadri, e parte della totalità d’insieme dell’opera generale (La Chiaroveggenza stessa). L’uccello rappresenta la visione dell’autore realizzata su tela, il non visto portato alla luce, la potenzialità intuita nell’uovo e dipinta su tela;
  6. Il quadro il frutto del lavoro in un determinato contesto.
  7. La tela: trattandosi di un quadro di un quadro, la tela è la visione d’insieme, il totale (per usare un termine cinematografico) della stessa.

Andrò ora a delineare tre possibili applicazioni di questo metodo nella pratica didattica.

  1. Il Metodo di Magritte per sé stessi: avere la visione di un obiettivo, capire i mezzi (tavolozza) e mettersi all’opera (dipingere, come il pittore) per la sua realizzazione. In ambito creativo in senso stretto, l’opera dispiega un suo valore meta-cognitivo nell’ispirare un altro artista nella ricerca della versione migliore di sé e del proprio operato: questi può lasciarsi ispirare partendo dalla sua idea base e avendo la visione di quel che sarà/potrà diventare. Nel caso di una canzone ad esempio, partendo dai primi versi, la bozza di un’idea (uovo), si può generare un processo creativo-metacognitivo importante che aiuti a riflettere e prendere coscienza di cosa l’opera potrà essere (l’uccello) e dei modi per realizzarla (strumenti a disposizione) nel proprio contesto d’azione (la tela). In ambito teatrale vi sono delle convergenze con Il lavoro dell’attore su sé stesso di Stanislavski. Nella pratica quotidiana, chiunque può lasciarsi ispirare dal quadro per perseguire un suo obiettivo, riflettere durante le fasi di realizzazione dello stesso e una volta portata a termine la sua realizzazione. In ambito didattico l’opera può essere d’ispirazione per gli alunni, fornendogli spunti e strumenti per riflettere in modo metacognitivo sul proprio operato, sviluppare capacita di auto-analisi e auto-valutazione e promuovere il senso di auto-efficacia. È chiaro che anche il docente può trarre vantaggio da una simile pratica auto-riflessiva riflettendo anche sui propri stili (strumenti) d’insegnamento e sul come calibrarli al meglio nel suo agire quotidiano in classe (la tela).
  2. Il Metodo Magritte per un altro: in ambito didattico significa approcciarsi al discente avendo la visione di chi può diventare (che riprende il concetto di pensalo adulto di Ianes) dispiegando le proprie potenzialità e, come docente (pittore) empatico, visionario e motivatore, supportarlo step by step in un percorso evolutivo che lo porti dalla zona di sviluppo attuale potenziale prossimale (Vygotskij, 1934) all’acquisizione e padronanza di sempre nuove abilità fino a realizzare l’obiettivo, la visione finale. Tale metodo, oltre a farci riflettere sulla totalità degli alunni (uova) che ci sono affidati in un gruppo classe (la nostra tela), sugli strumenti utili (tavolozza e pennello) per catturarne l’attenzione e sugli stili di insegnamento efficaci da utilizzare con ciascuno di loro è estremamente utile nell’approccio agli alunni diversamente abili sia per gli insegnanti di sostegno sia per gli insegnanti curricolari. Può risultare da stimolo per vedere in un alunno chiuso (uovo) con determinate problematiche, delle potenzialità più che delle difficoltà. Bisogna certo essere consapevoli della situazione di partenza dopo una attenta e coscienziosa lettura della documentazione che ci viene fornita sull’alunno ma nello stesso tempo bandire dalla mente il già visto e ricercare il non visto andando oltre il pregiudizio e capendo, con grande attenzione e professionalità, quali possibili potenzialità possa dispiegare un determinato alunno, delineare un percorso per lui e attraverso l’utilizzo di tutti gli strumenti a disposizione (pennello e colori), calibrati su misura, aiutarlo a realizzare la versione migliore di sé (l’uccello). Pensare quindi non tanto a cosa non può fare data la sua disabilità ma cosa può fare, e anche bene, data la sua diversa abilità.
  3. Il Metodo Magritte per un gruppo: applicare il metodo alla totalità dinamica di una classe significa dispiegarne in pieno il suo potenziale metacognitivo in ambito cooperativo. Nella nostra tela (classe) i nostri elementi uovo-uccello andranno pensati al plurale: dovremo agire per sviluppare la potenzialità di uno stormo (gruppo) classe, favorendo l’interdipendenza positiva che può essere da volano per sviluppare le potenzialità di ciascuno e portarli in una zona di sviluppo prossimale delle proprie individualità e della collettività. In un simile scenario è ancor più importante riflettere sulle modalità di realizzazione (colori: strumenti a disposizione), sull’utilizzo di più stili di insegnamento e sulla messa in campo di tutte le strategie utili per perseguire, insieme, un obiettivo finale: un gruppo classe, uno stormo, che come la natura ci insegna è capace di alzarsi in volo in modo interdipendente e inclusivo per tutti, senza lasciar nessuno indietro. Mostrare il quadro al gruppo classe sin dal primo incontro può essere utile come strumento visivo d’attivazione di processi riflessivi metacognitivi di gruppo: durante e a termine del proprio percorso, la classe, insieme, rifletterà su quanto fatto, sulla situazione di partenza e di arrivo, sulle strategie messe in campo, riuscendo ad auto-valutarsi serenamente e accrescendo il senso di interdipendenza positiva e di auto-efficacia di gruppo (e di ogni suo componente).

Riflessioni conclusive

In conclusione se Magritte era chiamato il sabotatore tranquillo, un buon docente dovrebbe essere un provocatore di cambiamenti, un buon insegnante dovrebbe essere… segnante, riuscendo ad agire in quel caos calmo (per parafrasare il titolo del testo di Scataglini, 2012) che è la normale complessità di un gruppo classe, dove ciascuno gruppo è diverso da un altro. Tre ossimori: sabotatore-tranquillo, caos-calmo, normale-complessità, nei quali sta a noi operare in modo, per aggiungerne un altro, concreto e visionario. Per far questo credo che ragionare con il noi sia già un ottimo punto di partenza, un valore aggiunto e di per sé inclusivo, da far agire nel quotidiano insieme all’ingrediente essenziale di ogni ricetta educativa: l’empatia.

Per riprendere riflessioni fatte grazie a esperienze fatte durante il mio percorso di studi e a laboratori creativi da me diretti, ritengo che il nostro agire da insegnanti (facilitatori) deve essere attento a creare attività accattivanti e coinvolgenti per tutti, anche costruendo contenuti che intercettino stimoli e media a loro congeniali, coinvolgendoli attivamente nelle attività di apprendimento anche attraverso dinamiche cooperative e/o metacognitive, che li aiutino ad apprendere ad apprendere e a riflettere su quanto fatto generando così apprendimenti significativi e concreti. Credo che in questo modo le differenze che per natura ci sono, tra ognuno di noi, diventino una risorsa fondamentale per l’insegnamento e per l’apprendimento. Costruendo più che spiegando, come docenti possiamo essere provocatori di cambiamenti e promotori dello sviluppo di competenze.

Consapevole di questa importante responsabilità punto a viverla sempre con serietà (che è ben altro dalla seriosità) e passione, per perseguire ogni giorno un passo in avanti verso una crescita individuale e collettiva.

Bibliografia

Albanese O., Doudin P.-A. e Martin D. (2003), Metacognizione ed educazione, Milano, FrancoAngeli.

Borkowsky J.G. e Muthukrishna N. (a cura di) (2011), Didattica metacognitiva. Come insegnare strategie efficaci di apprendimento, Lavis (TN), Esperia.

Crisafulli V., (2022), Manuale dei concorsi per TFA sostegno – Scuola secondaria di I e II grado – VII Edizione, Napoli, Edises.

De Beni, R., Zamperlin, C., Fabris, M. e Meneghetti, C. (2015), Studiare meglio e riuscire all’università, Trento, Erickson.

Fiorin I. (2017), La sfida dell’insegnamento. Fondamenti di didattica generale, Milano, Mondadori.

Ianes D. (a cura di) (1996), Metacognizione e insegnamento, Trento, Erickson.

Miato L. e Miato S.A., (2003), La didattica inclusiva. Organizzare l’apprendimento cooperativo metacognitivo, Trento, Erickson.

Scataglini C., (2012), Il sostegno è un caos calmo e io non cambio mestiere, Trento, Erickson.

Vygotskij L.S., (1934, ristampa 1990), Pensiero e linguaggio, Roma, Laterza.

Sitografia e articoli consultati

Libreiamo (redazione) (2023), La chiaroveggenza di René Magritte, un quadro nel quadro che parla di rinascita, https://libreriamo.it/arte/chiaroveggenza-rene-magritte/ (consultato il 9/10/2024).

Ianes D. (2001), Il bisogno di una «speciale normalità» per l’integrazione, «Difficoltà di Apprendimento», vol. ,7 n. 2, pp. 157-164, Trento, Erickson.

Pirozzi G. (2024a), La Gestione del gruppo classe: relazioni, comunicazioni, apprendimenti (materiale didattico del Corso TFA VIII Ciclo), Università degli studi Suor Orsola Benincasa, Napoli.

Pirozzi G. (2024b), Approccio metacognitivo e cooperativo (materiale didattico del Corso TFA VIII Ciclo), Università degli studi Suor Orsola Benincasa, Napoli.

Riva M.G. (16/09/2012), La chiaroveggenza di Magritte per ritrovare la bellezza della vita, «Avvenire», Milano.

Treccani (Enciclopedia), https://www.treccani.it (consultato il 9/10/2024).


1 Sociologo, specializzato come insegnante di sostegno per la scuola secondaria di secondo grado.

2 Sociologo, specializzato come insegnante di sostegno per la scuola secondaria di secondo grado.

3 Questo articolo è una rivisitazione del mio elaborato finale (dal titolo omonimo) del percorso TFA VIII Ciclo all’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa (Napoli).

4 L’idea della facilitazione si sviluppa nella ricerca psicologica di Carl Rogers e nella pedagogia di Malcom Knowles.

Vol. 1, Issue 2, October 2024

 

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