© Edizioni Centro Studi Erickson, Trento, 2024 — Corpo, Società, Educazione

Vol. 1, n. 0, marzo 2024

Corpo, memoria, rappresentazione: radici classiche di un tema contemporaneo1

Eugenio Polito2

Sommario

Il tema del corpo ha conosciuto un risveglio d’interesse negli ultimi decenni anche negli studi classici, dopo un lungo periodo di oblio dovuto in gran parte all’appropriazione del nudo greco-romano da parte dei nazionalismi del ’900. Solo attraverso lo strumentario ermeneutico delle scienze umane è stato possibile mettere nuovamente a fuoco le valenze del corpo nella cultura classica, evitando il rischio di un estetismo fuori tempo. La cronaca recente ha mostrato quanta forza dirompente possa ancora esercitare l’immagine classica del corpo. Ripercorrendo brevemente la storia del corpo nudo rappresentato nell’immaginario collettivo dall’età classica al presente, si suggerisce che esso possa ancora stimolare una riflessione utile sul modello formativo classico in rapporto agli interrogativi posti dalla contemporaneità.

Parole chiave

Corpo nudo, arte classica, paideia, formazione, censura.

Body, memory, representation: classical roots of a contemporary theme3

Eugenio Polito4

Abstract

The subject of the body has experienced a revival of interest in recent decades even in classical studies, after a long period of oblivion due largely to the appropriation of the Greco-Roman nude by 20th century nationalisms. Only through the hermeneutic toolkit of human sciences has it been possible to refocus the meanings of the body in classical culture, thus avoiding the risk of an out-of-time aestheticism. Recent news reports have shown how much disruptive force the classical image of the naked body can still exert. By briefly reviewing the history of the nude body in the collective imagination from the classical age to the present, it is suggested that it can still stimulate useful reflection on the classical educational pattern in relation to questions posed by the present times.

Keywords

Naked body, classical art, paideia, education, censorship.

Il risveglio dell’interesse per il corpo classico

Dallo scorcio del millennio passato il generale risveglio di interesse per il tema del corpo non ha risparmiato gli studi classici. Dopo una lunga eclisse, dovuta in gran parte all’usurpazione da parte dei nazionalismi e dei totalitarismi del ventesimo secolo, che ne aveva determinato l’identificazione con il simbolo della purezza della razza, il corpo classico è tornato a essere oggetto di attenzione attraverso gli ormai sempre più diffusi strumentari forniti dalle scienze umane e sociali: psicologia, antropologia e sociologia hanno contribuito a riposizionare il corpo classico nel quadro di riflessioni moderne sulla società e sulla cultura greco-romana (Porter, 1999; Moreau, 2002; Cairns, 2005; Bodiou, Frère e Mehl, 2006; Franzoni, 2006; Prost e Wilgaux, 2006; Dasen e Wilgaux, 2008; Haug, 2012: da vedere con la recensione di Moraw, 2015; Garofalo, 2015; Gherchanoc, 2015; Lee, 2015; Buchheim, Meissner e Wachsmann, 2016; Grundmann, 2019).5 In questo processo l’immagine canonica del nudo atletico, irrigidita nei tanti classicismi succedutisi fino alla metà del secolo scorso, ha stentato e stenta ancora a liberarsi della patina antiquata e dall’aura di sospetto di cui lo hanno ammantato decenni di intenzionale oblio (Stewart, 1997; Daehner, 2005; Hallett, 2005; Jenkins, Farge e Turner, 2015).

Inattese reazioni: il corpo classico censurato

Eppure, recenti vicende di cronaca, apparentemente rilevanti solo nella dimensione del costume contemporaneo, suggeriscono invece che il potere dirompente del corpo classico non è ancora stato disinnescato. Fra i tanti e spesso surreali casi di censura dal basso che emergono soprattutto dagli Stati Uniti — una minima parte di quelli reali — spicca la vicenda della preside di una scuola della Florida, indotta alle dimissioni per aver consentito che venissero mostrate ad alunni fra gli undici e i dodici anni immagini del David di Michelangelo.6 La celeberrima statua — forse meno di quel che si crede — sarebbe stata definita da un genitore addirittura «pornographic». Va da sé che l’opera michelangiolesca, pur nella sua autonomia e individualità artistica, si inserisce in una lunga serie di nudi scultorei risalente al VII-VI secolo a.C. e nata nelle botteghe di scultori greci che lavoravano il marmo delle isole egee; e innesca a sua volta un’ininterrotta tradizione di corpi marmorei nudi che giunge fino al neoclassicismo sette-ottocentesco e sopravvive in parte, travalicando il confine del Novecento, fino ai nostri giorni. Non è dunque inopportuno domandarsi come sia stato possibile che un’immagine come il David michelangiolesco, considerata «iconica» nel linguaggio contemporaneo — ad onta della tautologia — ma certo non fenomeno isolato nell’immaginario di una parte del mondo negli ultimi tre millenni, possa avere suscitato tanto scalpore e tanta vis censoria in un paese che si ritiene comunemente all’avanguardia nell’evoluzione del costume. Istruttiva a questo proposito è la polemica insorta alcuni anni fa per un progetto di mostra americana sul nudo, poi abortito proprio a causa dell’ostilità suscitata e ripreso altrove, non senza suscitare ulteriore scandalo.7

La percezione del corpo nell’antica Grecia: prime contraddizioni

In questa ricerca ci vengono in soccorso i tanti studi sulla valenza culturale del corpo dall’antichità ai nostri giorni che abbiamo appena evocato. Grazie ad essi abbiamo preso coscienza del fatto che, a partire dall’«invenzione del corpo» nella Grecia arcaica, la percezione della posizione del corpo nei diversi orizzonti culturali succedutisi e affiancatisi negli ultimi tre millenni è stata tutt’altra che univoca. Il mondo greco arcaico, erede della tradizione minoico-micenea e attento ai modelli del vicino Oriente e dell’Egitto, che già avevano elaborato formulazioni altamente simboliche del corpo umano (Kootz, 2021; sul rapporto fra corpo egizio e greco: Höckmann, 2005), pose effettivamente al centro del suo immaginario il corpo maschile giovanile nudo in quanto espressione icastica di una cultura che aveva come obiettivo della formazione la creazione di efficaci e coese compagini militari di fanteria — la cosiddetta falange oplitica, cardine delle oligarchie aristocratiche dominanti nelle città-stato greche — attraverso l’allenamento del corpo (Angeli Bernardini, 2016; Zerjadtke, 2023)

Il traumatico passaggio delle guerre persiane (490-480 a.C.), confronto epocale e decisivo quant’altri mai nella definizione della direzione presa dalla storia che ancora viviamo (Burn, 1984; Cawkwell, 2005; Will, 2019) non mise in discussione altro che parzialmente l’immaginario delle aristocrazie arcaiche, simboleggiate dai meravigliosi kouroi, i giovani nudi dai lunghi capelli eternamente sorridenti nelle loro forme rigorosamente stilizzate (Schneider, 2010; D’Onofrio, 2012): privati delle ricche acconciature e umanizzati attraverso un’accurata selezione di tratti realistici, i corpi nudi di marmo e ormai anche di bronzo finirono per identificare non più solo la ristretta classe aristocratica, ma anche la più ampia base sociale degli uomini liberi dell’Atene democratica, in un processo imitativo del resto non ignoto anche ad altre epoche e culture: così ad esempio la cultura borghese del XIX secolo e degli inizi del XX echeggiava in piccolo nei suoi appartamenti l’immaginario e gli usi delle dimore dell’Ancien régime.

Le istituzioni formative arcaiche, i ginnasi, dal nome parlante — gymnos in greco significa nudo e all’interno di essi si praticava lo sport come componente essenziale della formazione — continuarono a prosperare fino alla fine dell’antichità nelle città di lingua greca dell’impero romano, tanto da costituire un elemento dell’autodefinizione culturale dei loro abitanti, che chiamavano sé stessi «quelli del ginnasio» (Mania e Trümper, 2018). Si era così creato un modello stabile nel tempo: ai kouroi arcaici, immagini di giovani aristocratici allenati a combattere nelle file degli eserciti cittadini, successero le immagini di atleti, anch’essi figli del ginnasio e simboli di vittoria e fama che travalicava i confini dello sport come lo intendiamo oggi, per riverberarsi sulle comunità cittadine di appartenenza (Rausa, 1994).

Fu così che, in una società per altri aspetti tutt’altro che aperta, dove la sfera maschile e quella femminile erano rigidamente separate (Barbera, 2023, pp. 31-69), le città e i santuari della Grecia si popolarono di immagini di corpi maschili nudi; con risultati talvolta paradossali: se le donne non erano ammesse alle grandi competizioni sportive come le Olimpiadi neppure come spettatrici,8 nulla vietava che frequentassero santuari e agorai, le piazze delle città greche, dove campeggiavano innumerevoli immagini maschili nude.9 Il corpo femminile tardò del resto a liberarsi degli abiti che lo avvolgevano per mostrarsi nudo (Stewart, 1997): qui, più che il richiamo alla pratica atletica dei ginnasi, fu decisivo lo sviluppo del pensiero nel senso dei concetti astratti come la charis, la grazia, che una volta elaborata come nozione fu nuovamente oggettivizzata traducendola in statue divine quali l’Afrodite di Prassitele, ormai del IV secolo a.C., capostipite di una serie infinita di Veneri, Ninfe e altre divinità nude che saranno imitate ancora dai maestri neoclassici dell’Ottocento (Havelock, 1995).

Per questa via il corpo nudo è entrato di diritto nell’immaginario di una larga parte della cultura occidentale come fatto scontato (Weiermair 2004): nessuno, saremmo portati a dire, si può scandalizzare per un «nudo artistico»; i nostri musei, ma anche i nostri palazzi, gli spazi pubblici e talvolta perfino le chiese sono popolati di immagini nude che paiono alla maggior parte dei fruitori come elementi del tutto naturali di questi spazi, quando anche non ne siano, o non ne siano più, l’elemento principale, come è invece ancora il caso della statua del David di Michelangelo nella tribuna della Galleria dell’Accademia di Firenze. Eppure, se l’esposizione del corpo non è ancora oggi un fatto scontato, come le cronache recenti insegnano, non lo era in realtà neppure nell’antichità. Mentre i luoghi pubblici della Grecia pullulavano di statue di corpi nudi, già nel IV secolo a.C. il pensiero di Platone metteva in dubbio l’unità di corpo e spirito fino ad allora apparentemente indiscussa: per la prima volta si insinuava l’idea di una superiorità del logos, dell’intelletto, sulla corporeità (Wagoner, 2019). Ciò non inficiò minimamente la fiducia della maggior parte dei Greci nel ginnasio e in quella peculiare forma di educazione — la paideia — che curava in parallelo e senza distinzione corpo e intelletto.10 Ma le scuole filosofiche — non solo quella platonica, ma anche gli epicurei, i cinici, gli stoici — non faranno che approfondire il solco fra corpo e intelletto, creando così una concezione parallela della realtà, che conviveva con quella tradizionale.

Accanto ai filosofi, una figura nodale nello sviluppo di questa duplice linea culturale fu senz’altro Alessandro Magno. Questi, esponente di una monarchia fino ad allora marginale rispetto al mondo delle città-stato greche, assurto al potere giovanissimo, con il suo successo globale — diremmo oggi — rese improvvisamente obsoleta l’immagine dello statista fino ad allora prevalente, fatta di elementi connotanti maturità, autorità e forza, come l’elmo e la folta barba del ritratto di Pericle. Per la sua giovane età l’unico modello rappresentativo era quello dell’atleta nudo, che aveva dalla sua anche la connotazione come vincitore, perfettamente calzante per il giovane re macedone (Himmelmann, 1989; Trofimova, 2012; Kovacs, 2015). L’immagine di Alessandro divenne in breve la più ambita e imitata del mondo allora toccato dalla cultura greca; attraverso l’imitazione di Alessandro, ampiamente praticata dai suoi successori e finanche da generali e imperatori romani in quanto modello di potere carismatico per eccellenza, l’idea del corpo nudo si associò indissolubilmente all’idea eroica di potere che il giovane sovrano aveva impersonato: così per gli statisti suoi successori come per gli esponenti delle nuove aristocrazie, quelle dei regni ellenistici nati sulle ceneri dell’impero del Macedone e soprattutto quelle italiche e romane, che aderirono, pur non senza dubbi e distinguo, a questo modello rappresentativo.

Il corpo nel mondo romano: adesione e contrasto

Nel mondo romano la rappresentazione del corpo nudo si affianca all’immagine togata e a quella vestita di abiti militari, andando a occupare una parte del vasto spazio semantico della rappresentazione pubblica: conosciamo immagini nude o parzialmente nude — qualche ritrosia è comunque evidente — di condottieri, di ricchi notabili e di imperatori, che venivano inopinatamente dotati di improbabili corpi atletici, pedissequamente copiati da statue greche di atleti e dei, e identificati da teste ritraenti spesso impietosamente tratti somatici incompatibili con i corpi stessi (Hallett, 2005). La pervasività del nudo nell’immaginario mitologico d’impronta greca, onnipresente nel mondo romano, fece il resto: anche le matrone, cui si attribuiva la virtù della grazia (la «venustà»), finirono per essere rappresentate come Veneri nude, al contempo sfoggiando orgogliosamente le complesse acconciature di moda nelle varie epoche.11

Ma all’ostentazione del corpo nudo nell’arte non corrispondeva, come in Grecia, una realtà sociale: la cultura romana guardava con sospetto lo sport greco e la pratica della nudità nei ginnasi, che in effetti nel mondo romano non esistevano. Se si eccettuano i lupanari e in generale l’ambito erotico-dionisiaco, in cui il corpo ostentato nelle immagini corrispondeva evidentemente a una realtà, e gli spazi termali, dove però ci si allenava a scopo sanitario (Rambaldi, 2003; Bruun, 2020). i cittadini romani erano disinteressati allo sport come pratica sociale, mentre ne apprezzavano alcune forme come spettatori; lo sport veniva praticato in forma grandiosa negli stadi e nei circhi come spettacolo, spesso con atleti professionisti provenienti dalla metà orientale dell’impero.

La stessa filosofia dell’epoca romana, riprendendo i giudizi di quella greca e innestandosi su un terreno culturale già tendenzialmente ostile, riprovava l’ostentazione del corpo come segno di mollezza tipico dei Greci, ammirati per la loro cultura ma sovente disprezzati per la loro debolezza politica (Bettini, 1999). Nasce dunque una separazione fra realtà sociale e immaginario simbolico ancora più netta che in Grecia: il corpo nudo rappresentato invade gli spazi pubblici e privati grazie al suo potenziale simbolico, ma all’interno di una società che non pratica e anzi osteggia l’esibizione del corpo. È qui che nasce quella doppia morale che ancora oggi caratterizza la nostra società: nella quale il corpo nudo è ammesso solo parzialmente e in determinate condizioni, mentre è tollerato senza problemi nell’immaginario artistico, senza che la contraddizione venga in genere tematizzata.

Il corpo nudo nell’immaginario medievale e moderno

Nella tarda antichità gli sviluppi del pensiero neoplatonico s’innestarono sul nascente pensiero cristiano generando una totale svalutazione del corpo, prigione dell’anima, e dunque un sostanziale rigetto della raffigurazione del corpo nudo (Feichtinger e Seng, 2004; Nasrallah, 2010, pp. 171-302). Accanto agli idoli abbattuti nasceva il repertorio dell’arte paleocristiana, in cui il corpo, comunque coperto, tornava ad essere fortemente stilizzato. Durante il Medioevo il corpo, che pure si caricava di nuove valenze simboliche, anche sdoppiandosi — si pensi al corpo del re — o divenendo reliquia (Le Goff e Truong, 2003), viene di rado mostrato: ne sono pretesto le raffigurazioni mostruose dei capitelli romanici, l’esigenza di rappresentare i più atroci martirî e le scene di giudizio universale; fa eccezione il Cristo, che stenterà comunque a lungo a liberarsi delle vesti che nascondevano le sofferenze del corpo.

L’esplosione del nudo rinascimentale precede largamente il David di Michelangelo (Burke, 2018; Kren et al., 2018). Dall’azzardo di Nanni di Banco, il giovane contemporaneo di Donatello che nella Porta della Mandorla di Santa Maria del Fiore a Firenze rappresenta un piccolo Ercole classico in altorilievo, al Davide dello stesso Donatello, attraverso Adamo ed Eva della Cappella Brancacci di Masaccio e fino alle varie versioni mantegnesche del San Sebastiano e del Cristo, la strada era spianata. Eppure, come noto, mentre nell’atmosfera del primo umanesimo il nudo, sacro o profano che fosse, conquistava con apparente facilità il suo spazio, nell’atmosfera della controriforma poté nascere la perversa idea di far coprire i nudi della Sistina dal pennello di Daniele da Volterra, passato alla storia suo malgrado con il soprannome di «Braghettone» (bibliografia in Romani, 2016). Nasceva l’estetica della foglia di fico, ancora oggi proverbiale ogni qual volta si voglia stigmatizzare un maldestro tentativo di coprire la realtà. Fino a tutto l’Ottocento diverrà comune applicare queste infelici coperture a migliaia di statue sparse nei musei e nei palazzi.

Il corpo nudo non scomparirà però certo dall’arte: anzi, il Rinascimento e la stessa età barocca vedranno alcune delle formulazioni più sensuali e meno canoniche del corpo nudo; si pensi solo alle Veneri di Giorgione e Tiziano o ai concitati e prorompenti nudi di Rubens. Con l’avvento del neoclassicismo12 il tentativo di riesumare la valenza politica del corpo nudo da parte di Canova, realizzato nel Napoleone di Brera, non incontrò però i favori dello stesso imperatore, che non apprezzò la scelta iconografica del grande scultore veneto (Johns, 1994). L’Ottocento sarà un secolo popolato di statue nude, ossequenti ai dettami dei modelli classici, ma anche di sempre nuove foglie di fico e di polemiche e severi giudizi moralistici, sebbene insufficienti a far recedere i maestri di sicura fede accademica dai loro nudi: si pensi alla curiosa vicenda della «Tinted Venus», una statua di Venere nuda esposta a Londra nel 1862, in piena età vittoriana, realizzata dallo scultore gallese John Gibson, che ebbe il torto di sperimentare il colore sulla superficie bianca del marmo, in linea con contemporanee scoperte di tracce di colore sui marmi greco-romani (Hatt, 2014); la scelta, escludendo il biancore purificante del marmo che aveva reso accettabile fino a quel momento (e non da tutti) il corpo nudo e conferendo sensualità e quasi vitalità alla scultura, finì per scatenare aspre polemiche moralistiche sulla stampa e presso alcuni dei letterati più in vista del tempo, come Elizabeth Barrett Browning o Nathaniel Hawthorne. Del resto, anche i corpi nudi rappresentati dai pittori francesi come Courbet o gli impressionisti, che rompevano completamente col canone classico, suscitarono polemiche altrettanto aspre.

Il corpo classico oggi: una presenza controversa ma stimolante?

La storia del nudo classico giunge fino al Novecento, materializzandosi ad esempio nelle sculture del Foro Italico di Roma, in cui si alternano corpi integralmente nudi e altri dotati di foglie di fico o improbabili brache, che fanno emergere ancora una volta l’ambiguità del rapporto col nudo generato dalla tradizione classica (Panzetta, 2005; Giorio, 2019). In fondo nulla di diverso ci dice l’ormai post-bellica coppia di Barbie e Ken, bambole nude ma asessuate consegnate nelle mani di milioni di bambine, ancora oggi capaci di attirare milioni di spettatori nelle altrimenti deserte sale cinematografiche. Il nudo classico, riecheggiato nelle foto di alcuni fra i più celebri fotografi del mondo — si pensi a Robert Mapplethorpe (Celant et al., 2004) — e riprodotto in ogni possibile contesto, sopravvive come sospeso nell’immaginario collettivo di una notevole parte del mondo, partecipe di un modello di formazione occidentale che dal classico traeva ispirazione e fondamento. Ma la cronaca ci insegna che l’ovvietà del corpo nudo non è tale per una parte della stessa cultura «occidentale»; e non lo è per un’altra larga fetta del mondo, presso cui quel modello culturale e di formazione comprendente il corpo come fatto simbolico prima, scontato poi, è del tutto assente, o tutt’al più è penetrato, indirettamente e non senza censure, attraverso l’industria mondiale dell’intrattenimento.

Oggi, piuttosto che indignarci per un rifiuto del corpo esposto, in realtà notoriamente tipico di diverse altre religioni — si ricorderà la polemica seguita alla scelta di coprire le statue nude dei Musei Capitolini di Roma in occasione della visita del presidente iraniano Rohani13 — oltre che di frange forse non così minoritarie dell’estremismo cristiano, non sarà inopportuno chiederci se quei corpi classici, fossili superstiti di un lunghissimo ciclo culturale, non siano ancora lì a parlarci di uno dei più straordinari esperimenti pedagogici di ogni tempo: quello del ginnasio greco, capace di combinare la formazione intellettuale, spirituale e sociale con quella fisica in un sistema senza gerarchie. E di un approccio forse schematico, ma certo anche problematico e aperto, alla realtà fisica e corporea, che ha attraversato i millenni rimanendo ancora oggi emblematico della possibilità di superare barriere, censure e tabù.

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Zerjadtke M. (a cura di) (2023), Der griechische Hoplit. Alltag, Ausrüstung und Kriegsführung (Antike Welt. Sonderheft, 2023, 16), Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft.

Sitografia

https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2016/01/25/rohani-a-romacoperte-alcune-statue-di-nudi-musei-capitolini_aee03593-589b-427c-bf2e-6e1ee69e2845.html (consultato il 9 novembre 2023).

https://www.huffpost.com/entry/florida-principal-out-after-viewing-of-michelangelos-david-upsets-parents_n_641c621ee4b0fef15248d867 (consultato il 9 novembre 2023).

https://thealdrich.org/exhibitions/the-nude-in-contemporary-art (consultato il 3 dicembre 2023).

https://www.lemonde.fr/societe/article/2023/12/11/dans-les-yvelines-un-college-alerte-sur-un-point-de-rupture-apres-un-incident-en-cours-de-francais_6205237_3224.html (consultato il 18 dicembre 2023).


1 Questo articolo è stato concepito nell’ambito del progetto PRIN 2020 «Space and Memory. How places and monuments of memory built social and cultural identity in the first-millennium BCE Italy», finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica.

2 Università di Cassino e del Lazio Meridionale – Dipartimento di Scienze Umane, Sociali e della Salute, eugenio.polito@unicas.it

3 Questo articolo è stato concepito nell’ambito del progetto PRIN 2020 «Space and Memory. How places and monuments of memory built social and cultural identity in the first-millennium BCE Italy», finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica.

4 Università di Cassino e del Lazio Meridionale – Dipartimento di Scienze Umane, Sociali e della Salute, eugenio.polito@unicas.it

5 Ma tra gli studi pionieristici ricordiamo anche Schneider (1975). Curiosamente la monumentale Histoire du corps curata appena pochi anni fa da Alain Corbin, Jean-Jacques Courtine e Georges Vigarello (Corbin, Courtine e Vigarello, 2005-2006) comincia col Rinascimento, escludendo il Medioevo — forse per rispetto al magistero di Jacques Le Goff, che aveva concentrato la sua attenzione sul corpo medievale (Le Goff e Truong, 2003) — e l’antichità.

7 https://thealdrich.org/exhibitions/the-nude-in-contemporary-art (consultato il 3 dicembre 2023; vi si trova una breve esposizione della vicenda).

8 Pausania, Guida della Grecia, V, 6, 7-8. Faceva eccezione la sacerdotessa di Demetra.

9 Si pensi solo alle dame che assistevano alla festa di Adone in un celebre poemetto dello scrittore greco Teocrito (Adoniazousai).

10 Il classico saggio di Werner Jaeger, Paideia (Jaeger, 1934-1947), ovviamente da vedere nella prospettiva storica del ’900, si può leggere nella traduzione italiana corredata dell’introduzione di Giovanni Reale (più di recente, e in una prospettiva più ampia, si vedano ad esempio Sola, 2016; Gennari, 2017).

11 Un’invenzione romana? Si veda Hallet (2005).

12 Per il nudo dal Neoclassicismo a oggi si veda ad esempio Weiermair (2004).

13 https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2016/01/25/rohani-a-romacoperte-alcune-statue-di-nudi-musei-capitolini_aee03593-589b-427c-bf2e-6e1ee69e2845.html (consultato il 9 novembre 2023); si segnala anche la recentissima vicenda della contestazione di studenti di una scuola francese nei confronti di un docente che aveva mostrato a lezione un quadro del Cavalier d’Arpino contenente nudi: https://www.lemonde.fr/societe/article/2023/12/11/dans-les-yvelines-un-college-alerte-sur-un-point-de-rupture-apres-un-incident-en-cours-de-francais_6205237_3224.html (consultato il 18 dicembre 2023).

Vol. 1, Issue 0, March 2024

   

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