Vol. 1, n. 1, luglio 2024

Sentire oltre il corpo

Duplicità e prospettive pedagogiche per una didattica del movimento1

Delfina Stella2, Lucia Pallonetto3 e Carmen Palumbo4

Sommario

Lo scenario di profonda evoluzione dei sistemi umani e non umani conduce i processi educativi ad affrontare sfide e complessità riguardanti non solo la diffusione di competenze digitali di base ma una crescente e necessaria interazione tra diverse intelligenze: quelle plurime (Gardner, 1983) e quelle non umane (Fossa et al, 2021).

Riconoscere e gestire l’impatto significativo delle tecnologie sull’esperienza corporea e sulla concezione stessa dell’ambiente è diventato un tema imperativo per l’educazione e per le sue evoluzioni. Partendo da una visione di arte come tecnologia dell’organizzazione e della comprensione umana (Noë, 2015) si presentano pratiche riconoscibili nell’ambito della danza come esempi per aprire un discorso sulla necessaria ambivalenza tra corpo presente e corpo immaginato (Di Bernardi, 2021), rimettendo al centro la necessità di una scuola che integri l’educazione alla presenza come base per conoscersi con il corpo e oltre il corpo.

Identità, autenticità e creatività sono temi che suscitano riflessioni profonde sulla natura stessa dell’essere umano e sul modo in cui ci rappresentiamo e ci connettiamo nel mondo digitale, un mondo che ci richiede una riflessione critica sulle nostre interazioni, sul modo in cui costruiamo la nostra presenza e sulle implicazioni pedagogiche necessarie per trasmettere valori educativi che contraddistinguono il nostro essere umani.

Parole chiave

Consapevolezza, corporeità, identità, tecnologia, didattica del movimento.

Feeling Beyond the Body

Duality and pedagogical perspectives for movement education5

Delfina Stella6, Lucia Pallonetto7 and Carmen Palumbo8

Abstract

The scenario of the profound evolution of human and non-human systems leads educational processes to face challenges and complexities regarding not only the diffusion of basic digital skills but also a growing and necessary interaction between different intelligences: multiple ones (Gardner, 1983) and non-human ones. human (Fossa et al, 2021). Recognising and managing the significant impact of technologies on bodily experience and on the very conception of the environment has become an imperative theme for education and its evolution.

Starting from a vision of art as a technology of human organisation and understanding (Noë, 2015), recognisable practices in the field of dance are presented as examples to open a discussion on the necessary ambivalence between the present body and the imagined body (Di Bernardi, 2021), putting back at the centre the need for a school that integrates presence education as the basis for knowing oneself with the body and beyond the body.

Identity and authenticity, creativity and interaction are themes that provoke profound reflections on the very nature of the human being and on how we represent ourselves and connect in the digital world. This world requires us to reflect on our interactions critically, how we build our presence, and the pedagogical implications necessary to transmit educational values that distinguish our human beings.

Keywords

Awareness, corporeity, identity, technology, movement teaching.

Introduzione

Nel panorama dell’evoluzione umana occupa un posto importante il concetto di «Homo Posthumanus», dando spunto a una profonda riflessione sul futuro dell’umanità: l’essere umano proiettato oltre i limiti fisici e biologici del proprio corpo, con una nuova porta aperta su un’era di possibilità e sfide non ancora affrontate.

L’avvento delle tecnologie avanzate, come l’intelligenza artificiale, la biotecnologia, la realtà virtuale e l’ingegneria genetica, ha avviato una trasformazione senza precedenti nella concezione stessa di ciò che significa essere umani. Attraverso queste innovazioni, gli esseri umani stanno sperimentando una sorta di «evoluzione accelerata», in cui la linea di demarcazione tra organico e artificiale si fa sempre più sfumata.

Una delle prospettive più significative è la ridefinizione dell’identità umana. Tradizionalmente, questa è stata strettamente legata al corpo fisico e alle sue caratteristiche biologiche e l’avanzamento delle tecnologie induce a rivolgersi non più esclusivamente alle caratteristiche innate dell’uomo ma piuttosto alle sue capacità cognitive, emotive e relazionali, nonché alle scelte che l’Homo Posthumanus compie riguardo alla sua stessa natura. La vera novità nella riflessione è la relazione dell’essere umano con la tecnologia e la sua rivoluzione del futuro che ci aspetta.

«La scienza trova, l’industria applica, l’uomo si adatta» (Zuboff, 2019, p. 25), nelle parole di Zuboff si configura una nuova società. Il progresso delle tecnologie ha dato il via a una nuova rivoluzione copernicana capace di far rinascere l’umanità a partire da un’identità più complessa e più connessa, grazie alla possibilità conquistata di essere «qui e altrove» e, in altre parole, di esistere simultaneamente.

In linea con quanto leggiamo nei documenti dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, si sottolinea nel Report dell’ILO «Global employment trends for youth 2017», che i nativi digitali dovranno essere preparati ai continui cambiamenti nel mercato del lavoro, adeguandosi costantemente alle moderne tecnologie, consentendo di arrivare finalmente a un tasso di occupazione giovanile pieno e produttivo. Rispetto alle precedenti generazioni, essi sono considerati privilegiati perché cresciuti in un contesto avvezzo alla tecnologia che permette loro di avere le abilità necessarie al configurarsi dei nuovi lavori e alla complessità e modernità dei nuovi scenari. In altre parole, i nativi digitali sviluppano un’agilità cognitiva molto più veloce di quella delle generazioni che precedono e sono molto più a loro agio all’interno dell’apprendimento in gruppo e al learnig by doing (Marcone, 2019).

Resta da interrogarsi sull’atteggiamento cognitivo con il quale i nativi digitali dovranno approcciarsi alla quarta rivoluzione industriale e in più tecnologica e digitale, che sta trasformando i sistemi economici e il flusso delle nostre vite. Come evidenziato nel World economic Forum di Davos, attraverso Klaus Schwab, le nuove tecnologie producono delle vere e proprie mutazioni sul concetto di identità e corporeità individuali, che vanno evidenziate e studiate dal punto di vista etico, politico ed educativo (Schwab, 2019).

Identità e corporeità personali, naturale e artificiale, individuale e sociale vedono sfumare i confini e le loro distinzioni in un sistema educativo contemporaneo e attinente alle massicce trasformazioni dei nostri tempi. L’evoluzione dei sistemi umani e non umani ha generato una necessaria interazione tra diverse forme di intelligenza, da quelle umane, come descritte da Howard Gardner nel suo concetto di intelligenze multiple, a quelle non umane, che emergono dall’integrazione sempre più diffusa delle tecnologie digitali nella vita quotidiana (Fossa et al., 2021).

Il ricorso massiccio alle tecnologie, particolarmente diffuso tra i post-millennials (Iavarone, 2022), sta pertanto cambiando radicalmente il nostro modo di percepire il corpo e l’ambiente di apprendimento. Questo fenomeno richiede una riflessione critica sulla natura e sulle implicazioni delle nuove modalità di interazione digitale e sulla loro integrazione nei processi educativi. La quarta rivoluzione industriale (Schwab, 2016), ha introdotto complessità aggiuntive che richiedono un approccio educativo più ampio e interdisciplinare. Questo implica non solo l’acquisizione di competenze tecniche, ma anche la capacità di comprendere e gestire l’interazione tra tecnologie, società e individui.

In questa prospettiva, il corpo assiste a una trasformazione del rapporto con il mondo esterno (Galimberti, 2023), perché proviene da un’esperienza diversa, che si può definire di presenza «assente» nel mondo digitale e da un’assenza «concreta» nel mondo fisico, amplificata e moltiplicata dai processi automatizzati. Esso, tramite i dispositivi tecnologici, si colloca in una nuova «disposizione» strategica del mondo (Cipolletta, 2021), la quale riscrive la natura stessa dell’essere umano e della sua maniera di relazionarsi col mondo materiale e digitale.

Nel considerare la centralità del corpo e della didattica del movimento come veicolo fondante per affrontare queste tematiche, il contributo porta come esempio due progetti artistici partecipativi: Essere Animale e Peaceful Places.

L’invito è quello di aprire una riflessione profonda sulla natura dell’essere e sull’interconnessione tra tutte le forme di vita, proponendo la danza come una forma d’arte che conduce a una profonda riconnessione con sé stessi e con l’ambiente, riscoprendo la bellezza dell’interazione tra corpo e spazio e focalizzandosi su come l’attenzione al movimento possa influenzare e trasformare il nostro modo di conoscere, creando nuove modalità di percezione e interazione.

Pertanto, focus del contributo è quello di mettere in evidenza la duplicità dell’integrazione tra le diverse intelligenze, asserendo la perenne e confermata centralità del corpo, come strumento necessario alla consapevolezza di sé e delle proprie soft skills, con l’obiettivo di educare i giovani alle sfide del presente, mantenendo vive le capacità di relazione, socialità e comunicabilità.

Arte come tecnologia: uno sguardo sul corpo

Ripartiamo ancora una volta dal corpo. La messa in discussione del significato di «essere umano» e il necessario accostamento con il «non umano» ci pone in una condizione ontologica nuova, dove la questione dell’identità si espande «oltre il corpo», includendo nuovi sistemi e nuove modalità di interazione con il mondo, anzi i mondi.

Difendendo e ricercando un approccio rivolto alla coscienza incorporata, ci muoviamo a partire dalla volontà di affermare che per condurre i processi educativi nello sconfinamento del margine tra reale e virtuale è necessario guardare prima di tutto alla didattica come luogo privilegiato della corporeità.

La questione della conoscenza incorporata è ormai integrata in tutti gli ambiti di ricerca: dalle scienze umane fino alle neuroscienze sappiamo che tutto passa dal nostro «essere nel mondo», asserzione filosofica che ci ricorda come l’esperienza apprenditiva avviene nella relazionalità dell’evento soggettivo: io imparo perché agisco nel mondo e perché l’esperienza del mondo si imprime nella mia esperienza. La conoscenza assume la sua vera essenza quando i soggetti la assimilano pienamente e, soprattutto, quando l’esperienza viene integrata, stratificandosi e contribuendo a costruire significati personali per chi apprende. In altre parole, l’apprendimento autentico avviene solo quando si integra completamente nella nostra storia, collettiva e individuale (Ingold, 2004).

A tal riguardo, l’approccio dell’embodied education mira a ridefinire la pedagogia come scienza relazionistica, non solo aprendo la possibilità di conferire senso nell’incontro con l’ambiente e con l’altro da sé (Bertolini, 1988) ma specificando che la scuola deve affidarsi al paradigma della complessità per educare le giovani generazioni al futuro, osservandolo con un senso di prossimità e coraggio.

Se una delle proposte di Schwab (2016) è quella di superare le delimitazioni settoriali e disciplinari, la scuola, intesa come primo passo verso una strutturazione esterna e condivisa della conoscenza, ha questa responsabilità: educare identità che sappiano dialogare con e come esseri «in divenire», mantenendo viva la propria essenza e creando — quasi istintivamente — forme di collaborazione interspecie, mutevoli e intelligibili.

La solo terminologia della parola ibrido, usualmente accostata al corpo per descrivere esperienze di digitalizzazione dell’esperienza, accoglie questa prospettiva multi specie, fatta di incroci e parentele già cari e fortemente approfonditi dalla studiosa Donna Haraway. Nel celebre testo Chthulucene (2016) e con la frase manifesto «restare a contatto con il problema» riassumeva la questione in una soluzione radicale e immaginifica: essere vicini, creare vicinanze e parentele per compostare il proprio sapere e aprirsi al «pensiero tentacolare», ovvero interconnesso e fondato sulle relazioni possibili tra mondi esistenti.

Siamo quindi consapevoli che dobbiamo educare a nuovi scenari, così da dare la possibilità all’individuo di rappresentare se stesso, la realtà e l’ambiente intorno a sé, attraverso una visione diversa, pluriferica (Cipolletta, 2021), dalla quale ognuno possa essere in grado di acquistare consapevolezza e autorialità.

Le arti e tutti gli approcci di educazione art-based rappresentano una piattaforma unica per sviluppare e per mettere in pratica queste visioni perché le tecnologie — proprio come le arti — «sono l’armamentario grazie al quale svolgiamo le nostre attività organizzate [...] sono strutture di organizzazione in evoluzione» (Noë, 2022, p.24).

La tesi di Alva Noë, che qui si utilizza per mettere in connessione la danza al discorso sul corpo post-umano, si sviluppa proprio sul concetto di organizzazione come base per parlare di evoluzione, osservando che l’arte poggia le sue basi proprio su questa caratteristica fondamentale degli esseri umani. Organizzazione come concetto biologico che ci riconduce al fare come un’attività condivisa e socialmente riconosciuta che coglie nella ripetizione e nella condivisione la base per divenire tecnica, technè, dapprima abilità e poi habitus. Marcell Mauss, prima voce dell’antropologia del corpo, scrive: «Il primo e il più naturale strumento tecnico, e allo stesso tempo mezzo tecnico, è il suo corpo» (Mauss, 1936, p. 49).

Condurre percorsi educativi basati su questa prospettiva, ovvero sull’incontro tra sensibilizzazione alla consapevolezza del corpo in movimento e possibilità di organizzare se stessi nell’atto del danzare, è la soluzione proposta dal concetto di dance as art (McCutchen, 2006; Stella, 2021) che propone, non a caso, un’ampia proposta di modelli a cui riferirsi per la creazione di percorsi educativi e didattici di danza a scuola, nominati art models: «Le dimensioni che compongono l’esperienza educativa della danza, secondo gli art models, riguardano in primis l’ingresso nell’esperienza e quindi l’uso delle componenti del movimento e delle sue qualità come vie per una danza — e un danzare — che si genera a partire dalla naturale-e già espressiva-postura e relazione fisica e spaziale con il mondo e con gli altri. Il fare, il creare e il danzare sono i termini utilizzati per definire le prime fasi dell’esperienza, intesa già come attività generatrice che esiste nel suo essere composizione: evento creativo ed espressivo» (Stella, 2021, p.73).

Il corpo a scuola genera una circolarità empatica della relazione e l’apertura assertiva al mondo che non è nient’altro che una strada per accrescere l’intelligenza emotiva. La danza riflette la nostra reattività al tempo e allo spazio, mettendo in mostra la consapevolezza di noi stessi, delle nostre facoltà cinetiche e relazionali attraverso un’organizzazione condivisa; che sia una tecnica universalmente riconosciuta come il balletto classico o che sia una coreografia creata e condivisa da un gruppo ristretto di praticanti. La danza può rappresentare un banco di prova per la nostra attenzione e per la nostra facoltà di «comprensione»: «Quando due persone ballano, il loro movimenti, le loro azioni, i loro pensieri e le loro percezioni sono inglobati nella struttura organizzativa più estesa, che è il ballo stesso» (Noë, 2022, p.16). Nell’atto del danzare, c’è un incontro tra fare e subire e si crea una dimensione di compresenza e di fusione tra due o più stati dell’essere che rappresenta il «qui e ora»: luogo interiore che ci connette al senso più profondo di autopoiesi, ovvero un’organizzazione interagente tra elementi che permette autonomia, chiusura e interdipendenza.

Questa facoltà di «intra-azione» (Barad, 2003) ci connette al fatto che data una specifica tecnologia, le nostre facoltà umane ci permettono di pensare con essa. Ad esempio, quando utilizziamo la nostra tecnologia della parola (il linguaggio scritto o orale) noi pensiamo con esso; non interrompiamo la nostra facoltà soggettiva di pensiero ma anzi la potenziamo arrivando, come nel caso della poesia a un’alterazione di significato e a una manipolazione estetica del concetto per arrivare alla creazione del senso.

Questo per affermare che le tecnologie, fanno già parte delle nostre vite e se ben integrate alla coscienza umana, saranno sempre coordinate con quello che siamo e con quello che sappiamo fare con il nostro bagaglio di conoscenza incorporata del mondo. In altre parole, le tecnologie, non dovrebbero che essere pensate come un potenziamento delle nostre caratteristiche di essere umani.

E infatti: «La teoria dell’evoluzione può contribuire alla nostra comprensione del posto che l’arte occupa nelle nostre vite, ma solo a condizione di considerarla una specie di tecnologia. Lo abbiamo già visto: l’arte assomiglia alla tecnologia. È una tecnologia inutile; le opere d’arte sono strani strumenti. […] La tecnologia serve a degli scopi. L’arte li mette in discussione. L’arte permette la rivelazione, la trasformazione, la riorganizzazione; mette in questione quei valori, quelle regole, quelle convenzioni e quei presupposti che rendono possibile l’uso della tecnologia» (Noë, 2022, p.75).

L’arte, in questo discorso, si propone come «pratica» e come metodo di ricerca per indagare ciò che siamo e come possiamo ri-organizzarlo in una forma inedita e favorevole ai nostri necessari processi di trasformazione ed evoluzione. L’arte offre la possibilità di ampliare la propria percezione sulle cose, donandogli un significato plasmato dalla visione: è una forma di scoperta e di immaginazione del reale e dei suoi possibili percorsi di finzione.

Immaginare di muoversi come se, mimetizzarsi per riprodurre un’immagine statica o in movimento, creare movimenti a partire da uno stato di un’unità tra interno (quello che sento) ed esterno (quello che vedo). La danza può condurci «oltre il corpo» e quindi uno stato di unità, che potremmo ricondurre agli stati primordiali di ek stasis che dal greco εʹξιʹστημι significa «uscire di sé». L’estasi, già accostata dagli studi antropologici -tra le altre- alle pratiche di danza sacra, è definita come una forma particolare di esperienza psicologica, il cui nucleo centrale è costituito dall’impressione che la mente abbandoni il corpo ed entri in altre dimensioni. Mente (consapevolezza, attenzione, memoria) e cervello funzionano in un modo diverso perché rivolte totalmente nell’atto del danzare: creare e immaginare nel e con il corpo.

Mimesi, alterità e assenza: la danza come arte dell’oltre

In continuità, con i principi e obiettivi del presente contributo, si presentano due esempi di come la pratica artistica possa essere un sentiero per preparare gli studenti ad andare oltre il corpo, partendo da se stessi e dalle facoltà di mimesi, immaginazione ed empatia con l’altro da sé.

Con Essere Animale (2023),9 progetto ideato dalla coautrice del testo e coreografa Delfina Stella per l’Accademia sull’arte del gesto di Virgilio Sieni,10 obiettivo è stato quello di abitare il mondo degli animali, partendo da un’indagine sul comportamento e sulla sensologia delle diverse specie, giocando con le stranezze che definiscono comunanza e alterità tra mondo umano e mondo animale.

Il progetto, rivolto a classi di scuola primaria delle scuole di Vaiano (PT), ha visto i gruppi coinvolti in un periodo di quattro settimane attraverso: esperienze laboratoriali di danza, visioni di brevi documentari sul comportamento animale, creazione di sequenze coreografiche, partecipazione a una performance site specific e nella co-creazione di un’opera di video danza sul percorso condiviso.

Pensando agli animali come altro da sé, il focus del progetto è stato posto sul senso di prossimità che la pratica corporea può generare attraverso esperienze di mimesi e di trasformazione dell’alterità in danza.

Brevi sequenze filmiche tratte da documentari raccolti in rete hanno composto la base per la ricerca condivisa: i gruppi-classe sono stati condotti in proposte laboratoriali dove il corpo si faceva muovere dalle informazioni osservate dallo schermo, stimolando da subito (attraverso dialoghi, giochi e spiegazioni) a coglierne attivamente le componenti di movimento e di flusso dinamico, ponendo una lente di ingrandimento non solo sul movimento in sé ma sulle motivazioni che lo generano. Attraverso narrazioni di curiosità e di scoperte fantastiche adattate da libri e albi illustrati per l’infanzia,11 l’idea era proprio quella di considerare l’Umwelt dell’animale come modalità per mettersi nei panni dell’altro, attivando non solo processi empatici sull’esperienza ma anche processi di adattamento e di manipolazione sensoriale del proprio corpo per arrivare a un’espansione totale e condivisa. Sull’idea di Umwelt animale Ed Yong scrive: «A mio avviso […] è un’idea meravigliosamente espansiva. Ci dice che non tutto è ciò che sembra e che tutto ciò di cui facciamo esperienza è solo una versione filtrata di tutto ciò di cui potremmo fare esperienza. Ci ricorda che c’è luce nell’oscurità, rumore nel silenzio, ricchezza nell’insignificanza. Allude al baluginare dell’insolito nel familiare, dello straordinario nel quotidiano, della magnificenza nel triviale. […] Passare da un Umwelt all’altro, o almeno provarci, è come mettere piede su un pianeta alieno» (Yong, 2023, pp. 27-28).

Partendo da questa idea di danza come rito di passaggio da un ambiente a altri e proponendo una sequenza non lineare di integrazione dell’esperienza «dal video al corpo» e «dal corpo al video», il processo ha condotto le bambine e i bambini nel pensarsi animali in azione, ricercando nelle forme e nei comportamenti degli stessi l’esigenza di dinamica e nella genesi evolutiva la risposta ai perché.

La visione dei brevissimi video, stimolava da subito (attraverso dialoghi, giochi e spiegazioni) a un’osservazione attentiva delle componenti di movimento e di flusso dinamico, proponendo un ribaltamento di visione passiva e unilaterale e di relazione non coercitiva con l’altro da sé.

Gli incontri e le attività si sviluppavano sui principi dell’embodied education, cercando di condurre l’esperienza alla ricerca del senso originario ed evolutivo dell’immaginarsi e del percepirsi nello spazio transizionale tra dentro e fuori di sé (Winnicott, 2013). L’esperienza di mimesi come spiega Gallese, coinvolge il sistema corticale motorio, che non è solo una macchina per il movimento, ma una componente integrale del nostro sistema cognitivo in cui: «la qualità primordiale che trasforma spazio, oggetti e comportamenti in oggetti intenzionali è la loro costituzione come oggetti dell’intenzionalità motoria che le potenzialità motorie del nostro corpo esprimono» (Gallese e Gattara, 2021, p.165).

La pratica della danza è così proposta nella scuola come esperienza di «generazione», dove per generazione si intende letteralmente l’installarsi in un qualcosa: da un gesto iniziale di osservazione o di ascolto del corpo ne emergono mille altri per mimesi, per adiacenza, per composizione.

Attraverso l’esperienza danzata il video serve da input per generare vicinanza: obiettivo è quello di somigliare e di far somigliare, creando quasi una parentela fisica che passa dall’organizzazione della danza, proposta come gioco coreografico fatto di intese e di alterità con il video stesso.

L’esito del percorso ha visto la creazione di un documentario dove finalmente i partecipanti (45 bambine e bambini di 8-9 anni) si sono trovati nello schermo e messi in dialogo con i video animali, riconoscendo il percorso che li aveva portati a quei gesti.

Un bambino in un brainstorming finale sull’esperienza dice: «Essere animale è essere animale […] essere è quindi una forma, un modo di fare e di essere sempre diverso e uguale da me». Da questa breve frase emerge come l’esperienza abbia condotto le bambine e i bambini a immedesimarsi e, allo stesso tempo, ad ampliare la consapevolezza della propria unicità e delle proprie capacità di avvicinarsi all’altro, attraverso il potere dell’osservazione e dell’attenzione verso l’altro.

Se in Essere Animale la visione e la creazione di danze per e attraverso lo schermo si propone come potenziamento di presenza per immaginare un dialogo interspecie, nei lavori delle coreografe Margherita Landi e Agnese Lanza12 e nello specifico nel progetto Peaceful Places13 (2021), un unico gesto e la sua presenzaassenza diventano la chiave per ribaltare la stimolazione di necessità e desiderio di empatia e prossimità.

Il setting è questo: persone di tutte le età sono invitate a creare in diretta una performance con l’utilizzo dei visori VR sul tema dell’abbraccio, proposto come vera e propria simbologia di liveness.

Dapprima condotte in un laboratorio di sensibilizzazione ai tempi lenti del corpo e alla ricerca gestuale sulla mimesi, nel video osservano coppie di congiunti riuniti in occasione di una residenza sviluppata nel periodo pandemico. Si tratta di tipologie diverse di abbraccio che sviscerano la sua meccanica e quindi il suo contenuto emozionale e collettivo. I partecipanti sono quindi invitati a indossare il visore e a copiare, ricreando istintivamente l’immagine dell’assenza, presenza di un corpo.

Quello che ne emerge è una duplicità percettiva che coinvolge tanto lo spettatore — che da fuori osserva persone nell’atto solitario dell’abbracciare — quanto il fruitore che invece è assorto nel passaggio e nell’adattamento creativo dell’atto del volgersi a un corpo che vede, immagina e percepisce.

L’idea di base, infatti, consiste nell’utilizzare l’imitazione come strumento per replicare i movimenti delle coppie osservate nel video, percependo l’energia scaturita dal loro contatto e assorbirla nel proprio corpo, al fine di ricreare e interiorizzare l’esperienza stessa.

Peaceful places è un esempio di come l’incontro tra arte e realtà virtuale possa diventare uno strumento per «aumentare» l’esperienza corporea e sensibile. Attraverso l’esperienza con il visore i partecipanti si avvicinano lentamente all’azione dell’abbraccio, ricostruendone un processo di attenzione e di simulazione incarnata. E infatti Landi in un’intervista dice: «Se di solito le esperienze in VR sono pensate per portare il corpo in uno spazio virtuale costruito digitalmente noi invece la usiamo per fare un’esperienza reale. È possibile incontrare nel visore vere coppie con veri legami emotivi, che attraverso un laboratorio hanno offerto i loro abbracci».14

Il processo proposto si configura quasi come un’affermazione della presenza totale che non contrasta con l’utilizzo della tecnologia; anzi, ne emerge come una diretta conseguenza. Il concetto di assenza è proposto sia come condizione di essere altrove, estraneo a tutto, sia come uno spazio di presenza in una sua forma nascosta.

Feedback più comune, raccontano le autrici, è che a seguito dell’esperienza si crea «un bisogno», una tensione verso l’azione concreta e fisica dell’abbracciare; quasi un effort, «l’urgenza dell’organismo a farsi conoscere» (Bartenieff, 1983, p. 51); un gioco tra desiderio e mancanza, in cui la presenza si nutre dell’assenza, mentre la scomparsa genera una inversione prospettica.

In entrambe le esperienze presentate come esempio di una molteplicità di studi e ricerca nel campo della danza in Italia, i temi della mimesi, dell’alterità e dell’assenza sono presentati e trasformati come facoltà di libertà. Attraverso processi di partecipazione sui linguaggi del corpo e della danza, l’esperienza artistica è proposta come esperienza pedagogica perché genera una dinamica relazionale attiva che ci porta a «sentire oltre il corpo»: una strada di avvicinamento e di creazione di senso al binomio reale/virtuale.

L’obiettivo di questo contributo è quello di spingere la ricerca pedagogica verso un’indagine più approfondita sul ruolo del mondo virtuale non solo nell’integrazione del corpo, ma anche nell’arricchimento dell’esperienza educativa, artistica e nel complessivo sviluppo del mondo reale. Ciò ci ricorda che per ampliare i nostri sensi è fondamentale comprenderli. Pertanto, l’uso del digitale a scuola può essere visto come una risorsa che ci permette di continuare a immaginare e non come un motivo per perdere il contatto con la nostra sensibilità.

Conclusioni

L’essere umano non solo ha un corpo, ma è un corpo; il proprio corpo è la dimensione primaria di contatto e accoglienza, sia verso se stessi, che verso l’altro. Partendo da una prospettiva fenomenologica e arrivando ai contributi di approccio neuroscientifico sappiamo che è necessario considerare il corpo non semplicemente come un qualcosa da possedere o che ci possiede, ma piuttosto come lo spazio- tempo in cui è intrinsecamente legato tutto ciò che siamo, pensiamo e conosciamo su noi stessi e sul mondo. Infatti, «la vera conoscenza si ha quando l’informazione è incarnata nell’esperienza: dobbiamo agire nel mondo per comprenderlo» (Lotto, 2018, p. 28). Un modo di fare e di agire che fornisce, attraverso l’esperienza artistica, la possibilità di abitare il mondo. La proposta del «corpo a scuola» attraverso la danza scaturisce dall’intento di fornire un itinerario che conduce all’elaborazione creativa del movimento, ovvero all’espressione di se stessi rispetto al mondo. Creare ambienti di apprendimento che arricchiscono l’esperienza artistica con l’esperienza digitale, ci permette di consolidare l’idea di preparare le nuove generazioni a una cittadinanza attiva e innovativa, per un mondo sempre più flessibile e orientato alla tecnologia.

In questa prospettiva, la danza permette, come poche altre pratiche corporeo-motorie, di incentivare la soggettività, il senso più profondo ed emotivo, la realizzazione originale e unica del sé (Scaramuzzo, 2002, p. 220). Danzare coinvolge corpo e movimento in una dimensione accessibile e gratificante, che determina una correlazione emotiva tra spazio, azione e tutti gli agenti dell’evento educativo. Essa conferisce l’effettiva possibilità di «ricontattare il piacere originario del movimento, di essere un corpo vivo che si relaziona ad altri corpi vivi» (Gamelli, 2011, p.185) e di esprimere la propria personalità al massimo del potenziale, anche in questa nuova rivoluzione digitale. Corpo e movimento danzato (Ceciliani, 2020) diventano oggetto, soggetto e modalità del linguaggio (Palumbo, 2014) e quindi «incarnazione funzionale dell’energia creatrice che porta l’uomo all’altezza della sua specie, animando in lui l’apparato motore. Il movimento non è soltanto l’espressione dell’Io, ma fattore indispensabile per la costruzione della coscienza, essendo l’unico mezzo tangibile che pone l’Io in relazioni ben determinate con la realtà esterna» (Montessori, 1950, p.27).

Oggi questa connessione va estesa anche alla realtà virtuale, dal momento che lo scenario tecnologico ha ridimensionato l’idea dell’identità corporea che, come detto precedentemente, permette di essere qui e altrove, pur partendo dall’esperienza concreta e tangibile del sé. Attraverso la danza portiamo le bambine e i bambini nell’atto creativo, nel saper fare e nel saper immaginare con il nostro corpo. Il corpo contiene e divulga una scienza capace di superare gli schemi mentali, muovendosi in espressioni ludiche, pedagogiche e artistiche, quindi non solo obbedienti alle leggi della biomeccanica, ma portatrici di possibilità originali e di nuove costruzioni di significati.

Tenendo conto di ciò, il movimento danzato diventa il presupposto necessario di qualunque progetto formativo, in cui lo sviluppo del corpo è riconosciuto come portatore di potenzialità educative, soprattutto in età evolutiva.

«Se vogliamo che il bambino diventi una persona creativa, dotata di fantasia sviluppata e non soffocata, dobbiamo fare in modo che memorizzi il maggior numero di dati, nei limiti delle sue possibilità, per permettergli di allacciare più relazioni possibili, permettendogli di oltrepassare i propri ostacoli, ogni volta che se ne presentino» (Munari, 1977, p.30).

La creatività va stimolata attraverso vari strumenti, primo fra i quali quello del corpo, nell’insegnamento dell’espressione libera del quale, il giovane può attivare il pensiero divergente e la circolarità del movimento.

«Ognuno vede ciò che sa» (Munari, 1966, p.70), con questa affermazione si vuole significare che ciascun individuo associa ciò che vede alle proprie conoscenze; pertanto, più conoscenze si accumulano, più si allarga l’orizzonte, avvicinando reale e virtuale e assumendo che non esistono dogmi, ma esperienze da apprendere e da elaborare creativamente. Perché questa è la creatività oggi, elaborare la realtà reale nel collegamento con quella virtuale, consentendo la creazione di nuove ipotesi, nuove storie, nuovi progetti, tutte attività che consentono di amplificare la capacità cognitiva e motoria.

Seguendo questa corrente i docenti, come già scriveva Rodari, devono farsi «promotori di creatività» (Rodari, 1997, p.15) e spontaneità suggerendo di percorrere una strada che utilizzi tutte le discipline e che renda i giovani sia creatori che produttori di cultura. L’educazione è il primo mezzo attraverso il quale la creatività deve essere stimolata, partendo dalla capacità comune a tutti gli esseri umani, che è l’immaginazione (Panizza, 2009). Il punto di inizio è sempre l’esperienza, che sia nel virtuale o nella realtà, l’importante è che incentivi il bambino a «crescere in un ambiente ricco di impulsi e di stimoli, in ogni direzione» (Rodari, 1997, p.178).

L’atteggiamento creativo attraverso la didattica del movimento aiuta i protagonisti dell’evento educativo a diventare Homo posthumanus ancorate e ancorati — ma non prigionieri — alla realtà corporea e concreta, così che saranno in grado di superare oltre i limiti fisici e biologici del corpo stesso. Ancora Rodari scrive: «È creativa una mente sempre al lavoro, sempre a far domande, a scoprire problemi dove gli altri trovano risposte soddisfacenti, a suo agio nelle situazioni fluide nelle quali gli altri fiutano solo pericoli, capace di giudizi autonomi e indipendenti, che rifiuta il codificato, che rimanipola oggetti e concetti senza lasciarsi inibire dai conformismi» (Rodari, 1997, pp.179-180).

L’atteggiamento ludico-espressivo che viene attribuito alla danza, quindi, non è un limite, ma un punto di partenza, nelle prospettive di ricerca future, in quanto «giocare serve a conoscere meglio le cose» (Panizza, 2009, p.9), per superarle e aumentare la quantità e la qualità della conoscenza che si può raggiungere attraverso la rielaborazione personale e attiva. La creatività presuppone e allena l’intelligenza ad essere elastica, libera la mente dai pregiudizi e predispone a nuove opinioni, ove se ne presenti una giudicata più attinente.

Si può concludere che navigare nell’era digitale richiede una riflessione critica sulle interazioni dell’essere umano, sul suo modo di costruire la propria presenza nel mondo e sulle implicazioni pedagogiche necessarie per trasmettere valori educativi che contraddistinguono il nostro essere umani.

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1 Pur essendo l’articolo frutto di una riflessione comune a opera degli autori, si precisa che Delfina Stella stessa è coautrice del lavoro e ha curato in particolare la stesura dei paragrafi «Arte come tecnologia: uno sguardo sul corpo» e «Mimesi, alterità e assenza: la danza come arte dell’oltre»; Lucia Pallonetto è coautrice del lavoro e ha curato in particolare la stesura dei paragrafi «Introduzione» e «Conclusioni»; Carmen Palumbo è co-autrice e coordinatrice scientifica del lavoro.

2 PhD in Psicologia sociale, dello sviluppo e della ricerca educativa.

3 Ricercatore di Metodi e didattiche dell’attività motoria, Università degli studi di Salerno.

4 Professore Associato di Metodi e didattiche dell’attività motoria, Università degli studi di Salerno.

5 Pur essendo l’articolo frutto di una riflessione comune a opera degli autori, si precisa che Delfina Stella stessa è coautrice del lavoro e ha curato in particolare la stesura dei paragrafi «Arte come tecnologia: uno sguardo sul corpo» e «Mimesi, alterità e assenza: la danza come arte dell’oltre»; Lucia Pallonetto è coautrice del lavoro e ha curato in particolare la stesura dei paragrafi «Introduzione» e «Conclusioni»; Carmen Palumbo è co-autrice e coordinatrice scientifica del lavoro.

6 PhD in Psicologia sociale, dello sviluppo e della ricerca educativa.

7 Ricercatore di Metodi e didattiche dell’attività motoria, Università degli studi di Salerno.

8 Professore Associato di Metodi e didattiche dell’attività motoria, Università degli studi di Salerno.

9 Per approfondimenti sul progetto: http://www.virgiliosieni.it/vaiano_essere_animale/ (consultato il 20/7/2024).

10 L’Accademia sull’arte del gesto è un contesto inedito di formazione, creazione e sensibilizzazione culturale fondato su un continuum di progettualità artistiche partecipative che accomunano artisti e cittadini di tutte le età, abilità e provenienza. Creata e diretta dal 2007 da Virgilio Sieni nasce a Firenze in relazione all’esperienza pluriennale di Cango Cantieri Goldonetta, luogo di produzione e sede del Centro di Rilevante Interesse per la danza Virgilio Sieni.

11 Tra i molti si citano: Masters M., 321 cose intelligenti da sapere sugli animali, Rizzoli, Milano 2019, e Maclaine J. e Buzio C., Animali – Lo sapevi?, Usborne, 2022.

12 https://landilanza.com/ (consultato il 10/7/2024).

13 Per approfondimenti sul progetto: https://goldproductions.it/le-produzioni-di-gold/peaceful-places/ (consultato il 10/7/2024).

Vol. 1, Issue 1, July 2024

 

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