Vol. 9, n. 2, ottobre 2023

TEORIE E MODELLI DIDATTICI

Per un’idea di insegnante

Massimo Baldacci,1Enrico Bocciolesi,2Maria-Chiara Michelini,3Luca Odini4 e Stefano Oliverio5

Sommario

L’articolo pone la necessità di riferire la formazione dei docenti a una precisa idea d’insegnante. Tale idea si presenta tuttavia problematica e la sua definizione può essere soltanto storico-relativa. Tuttavia, tale definizione può essere preparata da una ricognizione nella trama dei possibili modelli della figura del docente, di cui l’articolo propone una serie di esempi.

Parole chiave

Insegnante, Formazione, Modello.

THEORIES AND DIDACTIC MODELS

The Idea of a Teacher

Massimo Baldacci,6Enrico Bocciolesi,7Maria-Chiara Michelini,8Luca Odini,9 and Stefano Oliverio10

Abstract

The article argues for the need to relate teacher education to a precise idea of what a teacher is. This idea is problematic, and its definition can only be relative from a historical point of view. However, such a definition can be prepared by a reconnaissance into the web of potential models of the teaching figure, of which the article proposes a series of examples.

Keywords

Teacher, Teacher training, Model.

Premessa11

Una delle questioni rilevanti per la definizione della professionalità docente è quella dell’idea di insegnante, su cui questa rivista è già intervenuta nell’Editoriale del secondo numero del 2022 (e che viene rilanciata dall’editoriale del presente numero). In quella sede si era posta l’esigenza che la preparazione dei docenti della scuola secondaria non sia ridotta semplicemente alla quantità di crediti da accumulare (i famosi 60 Cfu), ma sia corredata dalla definizione di un’idea d’insegnante capace di rappresentare il punto cardinale per orientare i concreti percorsi formativi.

A questo proposito, veniva evocata la nota metafora secondo cui nessuna impresa edilizia procede semplicemente ammucchiando mattoni (= Cfu), ma muove sempre da un progetto, da un’idea della costruzione da realizzare. Nel delineare questo riferimento concorre anche l’indicazione delle competenze da raggiungere, ma la messa a fuoco di un’idea di insegnante inquadra questi elementi secondo una prospettiva unitaria, fornendo loro un ideale punto di fuga.

Come si diceva in quell’intervento, nel corso della storia della pedagogia sono state suggerite varie metafore per scontornare l’immagine del docente. Prima di passare in rassegna queste possibili figure di docente, dobbiamo però accennare a un problema. Oggi solitamente si definisce il profilo professionale del docente attraverso una lista di competenze che, come si dice nell’Editoriale di questo numero, dovrebbe mantenersi sobria ed essere integrata dall’indicazione di alcune dimensioni di consapevolezza culturale. Il problema è quale sia il rapporto fra tale lista di competenze e l’idea del docente di cui stiamo ora discutendo.

Per chiarire i termini del problema, ricorreremo alla distinzione posta da Eco (2016, pp. 216-229) tra definizione per essenza e definizione per proprietà. La prima enuncia un’idea, una forma compiuta dell’oggetto, incasellabile in un sistema strutturato di categorie, di cui è paradigma la definizione per genere prossimo e differenza specifica. La seconda consiste invece nell’elencazione di una lista di proprietà dell’oggetto, che nel loro insieme ne dà almeno un’immagine sommaria. Quando siamo in difficoltà a indicare una definizione eidetica, tendiamo a ricorrere alla seconda modalità, più empirica, ma spesso sufficiente ai fini pratici.

Rispetto al problema che stiamo discutendo, enunciare un’idea d’insegnante corrisponde alla modalità eidetica, indicare una lista delle sue competenze a quella empirica. Non occorre molto per capire che all’atto pratico raramente una di queste due modalità è autosufficiente, e che la loro integrazione produce esiti nettamente più chiari. Per parafrasare un noto principio: l’idea senza lista di proprietà rimane astratta; la lista di proprietà senza idea è cieca. Ai nostri fini, questo significa che non stiamo suggerendo di sostituire un sobrio elenco di competenze con l’indicazione di un’idea di insegnante. Si tratta piuttosto di integrare questi due aspetti, in modo che l’idea fornisca una prospettiva unitaria e un senso complessivo alla lista delle competenze, e queste diano concretezza a tale idea.

Fatta questa precisazione, possiamo ricordare alcune figure di docente emerse nel corso della storia della pedagogia: ad esempio, l’insegnante come artista (di origine neoidealista, si pensi a Giuseppe Lombardo Radice), che evidenzia il ruolo dell’intuizione e della creatività nel lavoro in classe; l’insegnante come ingegnere (di derivazione tecnologica, si pensi all’insegnante pianificatore delle teorie del curricolo), che sottolinea la funzione della programmazione didattica; l’insegnante come ricercatore (di matrice deweyana), che enfatizza la capacità di fare fronte in modo riflessivo ai problemi della pratica didattica; l’insegnante come intellettuale (di estrazione gramsciana), che mette in primo piano il ruolo della consapevolezza storico-culturale della problematica formativa. E altre.

Ciascuna di queste figure mostra momenti importanti del lavoro docente, ma forse ne oscura altri. Sorge perciò l’esigenza di procedere a una loro tendenziale integrazione, sia pure ponendo una di queste figure come baricentrica rispetto alla professionalità docente (con una scelta storico-relativa). Tuttavia, per favorire un approccio critico e antidogmatico, maggiormente consapevole e illuminato, è opportuno estendere la fenomenologia delle possibili figure d’insegnante.

A questo scopo gli altri autori di questo intervento hanno messo a punto brevi ritratti alternativi a quelli indicati, permettendo di comprendere in maniera più ampia la pluralità dei possibili riferimenti e quindi la problematicità della scelta di un punto riferimento. Illuminata dalla consapevolezza della pluralità delle soluzioni possibili, la definizione dell’idea di insegnante sarà meno soggetta a cadere in soluzioni stereotipate e sostanzialmente dogmatiche. In ogni caso, la scelta va fatta muovendo da un’analisi concreta dell’attuale situazione storico-culturale. E l’indicazione che ne deriva serba una validità relativa soltanto ad essa. Il movimento della storia esige anche il costante ripensamento della figura dell’insegnante.

L’insegnante come agente emancipatore12

La prima riflessione qui proposta è centrata su quanto metodologicamente argomentato dal pedagogista brasiliano Paulo Freire. La sua proposta educativa risponde a un insieme di sollecitazioni e variabili che devono essere tenute in considerazione nei nostri contesti formali, con l’auspicio di permettere ai docenti di divenire dei concreti emancipatori.

La proposta di autonomia, di liberazione e di coscientizzazione dell’autore di Recife si definisce attraverso il ricorso a una proposta che deve confluire in direzione della libertà come consapevolezza e comprensione dell’essere umano, ma soprattutto come possibilità di lettura e scrittura in quanto espressione di una propria consistenza fisica in un contesto sociale e di vita, dunque critica, partecipata e attiva.

Alfabetizzare è un percorso e un obiettivo, non limitato a una comprensione meccanica (Novak, 2001, p. 12), ma orientato alla rielaborazione del processo di conformazione del linguaggio stesso partendo da necessità comuni. In merito a quello che diventerà poi il suo metodo, al termine di un percorso politico e educativo travagliato e spesso additato come proposta di ribellione sociale, a causa del quale passerà dall’essere uno stimato esponente del Ministero dell’Educazione brasiliano al ritrovarsi recluso per queste medesime proposte.

L’importanza di leggere come pratica di alfabetizzazione, scritto da Freire nel 1984, orienta alla temuta pratica della libertà e della pace. Il cammino verso la coscienza delle persone è alquanto difficile ed «è impossibile, tuttavia, pensare di superare l’oppressione, la discriminazione, la passività o la mera ribellione senza acquisire una comprensione critica della storia entro cui queste relazioni interculturali hanno luogo in una forma dialettica. Queste relazioni sono contraddittorie e parte di un processo storico. In secondo luogo, non possiamo pensare di superare l’oppressione senza progetti politico-pedagogici che puntino alla trasformazione o alla reinvenzione del mondo» (Freire, 2008, p. 67).

Secondo quanto affermato nel suo libro Pedagogia dell’oppresso (1968), ci sono due tipologie di educazione, quella addomesticante e quella liberatoria, che sono direttamente opposte. Ora non ci soffermeremo sulla prima, che riconduce alla centralità della richiamata educazione bancaria, dove l’educatore ha il monopolio della conoscenza ed è responsabile di imporre la conoscenza allo studente. Nella prospettiva di liberazione ci troviamo a sviluppare l’educazione problematizzante, che è stata elaborata da Freire con il compito di eliminare la distanza tra educatori e studenti, con l’obiettivo di ridurre la passività di questi ultimi e sollecitarli a trasformare la loro realtà.

In questo contesto, il dialogo assume grande importanza, poiché funziona come strumento di liberazione e costruzione della coscienza critica degli studenti, trasformandoli in creatori e soggetti della propria storia. Il metodo di insegnamento dell’alfabetizzazione proposto da Paulo Freire comprende tre fasi. La prima fase è dedicata allo studio del contesto. In questo primo momento un gruppo di educatori studia il contesto in cui vive la popolazione al fine di determinare il vocabolario comune e i problemi affrontati dalle persone in una particolare area. Quindi emerge la necessità di vivere ed esplorare il luogo della pratica educativa, così da poter individuare le parole che sono ottenute dalla popolazione stessa attraverso conversazioni informali.

La seconda fase è dedicata alla selezione delle parole rintracciate e quindi del vocabolario scoperto. In questo ulteriore momento, tutte le parole suggerite durante le conversazioni informali vengono annotate e valorizzate in base al coinvolgimento emozionale che rappresentano per il contesto d’uso. Queste parole saranno chiamate dallo stesso Freire come «parole generative». La parola genera quando racchiude un significato sociale in sé, e solo in base al suo uso può favorire determinate sollecitazione nell’apprendimento. Invece la terza fase è dedicata a un profondo processo di alfabetizzazione e comprende altre tre sottofasi per sessioni motivazionali, di sviluppo di materiali educativi e la fase di alfabetizzazione come decodifica di quanto compreso. La motivazione ha il fine di sollecitare al dibattito e alla partecipazione critica, i materiali permettono la raffigurazione visiva delle parole, mentre la codifica è il momento di sedimentazione di un linguaggio condiviso e divenuto proprio.

La sessione motivazionale ha a che fare con la presentazione della grafica, senza parole, da parte del coordinatore. Questo con lo scopo di provocare tra gli studenti una sorta di dibattito e discussione sulla situazione (o situazioni) in cui vive la popolazione. In questo modo gli studenti analfabeti si vedono nel processo di apprendimento assistito e di riflessione, al fine di promuovere la coscienza di gruppo. Infine, come afferma Freire, «l’autosvalutazione è una caratteristica tipica degli oppressi, derivante dall’enfasi posta sul giudizio al quale sono sottoposti. Più spesso essi percepiscono da parte degli oppressori la loro incapacità di fare qualsiasi cosa, più finiscono per diventare apatici e poco produttivi, fino a convincersi della loro inutilità nel mondo» (Freire, 1971).

La proposta teorica del pedagogista brasiliano si basa per quanto appena detto sulla necessità e la richiesta sociale di una comunicazione linguisticamente comprensibile per chiunque. Il contesto offerto è di copiosa povertà, accompagnata dall’assenza delle risorse economiche e istituzionali necessarie per poter procedere e promuovere la proposta educativa. A non essere alfabetizzate sono persone di differenti provenienze sociali e nel suo iniziale intervento il primo obiettivo sono le persone adulte.

La necessità di approfondire e favorire il raggiungimento di una base linguistica, comune, è data dalla crescente differenza tra diverse aree della popolazione. Questo nella contemporaneità significa che possiamo partire dalla comprensione di un testo più o meno semplice e strutturato, fino alla conoscenza dei diritti individuali e alla creazione di comunità consapevoli. La proposta metodologica del pedagogista brasiliano scandisce un periodo di profonde riflessioni politiche, sociali e culturali. Critico per l’obiettivo che si pone, riferito alla necessità di poter comprendere attraverso le dinamiche del problem posing, o della ricerca della difficoltà, e quindi tentare di intervenire sulla stessa.

L’insegnante metariflessivo13

In questo paragrafo, ci spostiamo su una diversa figura d’insegnante. Negli ultimi decenni si è cercato di dare un nome alla contemporaneità con definizioni varie (solo per fare alcuni esempi: postmodernità con Lyotard, modernità liquida con Bauman, epoca delle passioni tristi con Benasayag e Schmit, Nuovo Realismo, in Italia approfondito da Ferraris), che hanno trasversalmente e diversamente sottolineato la complessità del nuovo tempo, l’articolazione dei cambiamenti epocali, la vorticosità delle trasformazioni sociali, le rivoluzioni, di fronte alle quali l’umanità viene posta. Si pensi, per stare al momento attuale alla cosiddetta rivoluzione digitale e alle implicazioni di ogni genere dell’Intelligenza Artificiale. Di fronte ad esse i docenti si sono interrogati e continuano a farlo, messi in discussione, attrezzati, tra smarrimento e immancabili entusiasmi.

La competenza riflessiva è stata considerata, più di altre, necessaria a navigare nel mare delle incertezze. Il riferimento cardine è costituito dalla poderosa elaborazione deweyana in ordine al pensiero riflessivo inteso come la miglior forma di pensiero (Dewey, 2006, p. 61), come indagine. Su questa linea Schön (1993) si domanda quale sia l’attività cognitiva tipica nella quale sono impegnati i professionisti competenti e ricerca, in tal senso una nuova epistemologia delle professioni, di cui indaga il rapporto tra agire e pensare, a partire e in vista dell’azione.

L’idea di apprendimento trasformativo introdotto da Mezirow (2003) fa emergere ulteriormente quanto era già presente nell’articolazione in fasi dell’inquiry deweyana, in quella suggerita da Schön (reflection-in-action, reflection-on-action, reflection-on reflection-in-action), così come da Bateson (con particolare riguardo agli apprendimenti 2 e 3), vale a dire la configurazione di livelli logici differenti di riflessione come «processo con cui si valutano criticamente il contenuto, il processo o le premesse dei nostri sforzi finalizzati a interpretare un’esperienza e a darvi significato» (Mezirow, 2003, p. 106).

Il punto cruciale di questa evoluzione è costituito dalla maturazione della capacità di trascendere le dimensioni più legate all’efficienza e all’efficacia dell’agire, per riuscire a prendere coscienza delle proprie formae mentis, che Mezirow chiama schemi di significato e prospettive di significato, sottoponendole al vaglio critico e cambiandole, nel caso si rivelino inadeguate, superate o distorcenti.

Tutti gli autori considerati concordano sulla difficolta di questo passaggio. Schön, ad esempio, afferma che tra i tanti professionisti da lui osservati un’esigua minoranza accede al terzo livello della riflessione, mentre tutti praticano regolarmente i primi due. Mezirow mette in evidenza la creazione di meccanismi di autoinganno, con i quali tendiamo a sfuggire alla trasformazione.

Bateson (1986, p. 333) considera l’apprendimento 3 un evento rarissimo, nel quale il proprio «io» non funge più da argomento cruciale di segmentazione dell’esperienza, e giunge a una sorta di irrilevanza, a seguito della quale possono avvenire la liberazione dalla tirannia degli apprendimenti di tipo 2 e la profonda riorganizzazione del carattere.

Se, da un lato, lo sviluppo dei profili professionali, ivi compreso quello degli insegnanti, ha registrato una forte diffusione di pratiche riflessive dei primi livelli, anche in funzione dei miti performativi del nostro tempo, lo stesso non può essere detto per quello che possiamo definire livello metariflessivo. Le ragioni sono certamente molteplici e sono legate alla sua ineludibile complessità, alla necessità di intenzionalità, di creazione di condizioni e contesti idonei, di accompagnamento prolungato di visione di lungo periodo, tutte dimensioni che chiamano in causa scelte strategiche, politiche e istituzionali forti.

Ciò non di meno riteniamo che le sfide alle quali i docenti sono chiamati non possono prescindere da esso e, in buona parte, oggi l’educare va ripensato alla luce di nuovi paradigmi. Questi investono le premesse culturali, sociali, che stanno alla base dell’operare, impegnando il senso dell’insegnare e dell’apprendere, ben oltre il piano operativo e le convinzioni individuali. Si tratta di coniugare, in direzione metariflessiva, il profilo dell’insegnante ricercatore, di sapore deweyano, che investe prioritariamente e trasversalmente la dimensione professionale, e quello intellettuale, riconducibile a Gramsci, che ci ricorda la portata sociale, politica e culturale dell’educare.

Occorre, come affermato da Baldacci (Baldacci, Nigris e Riva, 2020, p. 37), che l’insegnante vesta gli abiti mentali dell’intellettuale, sviluppando in senso riflessivo la consapevolezza critica (storica ed epistemologica) della problematica formativa. Lo stesso Freire, proponendo la teoria dialogica dell’azione, che connota il carattere culturale e pedagogico della rivoluzione, fa riferimento all’«azione come involucro di una riflessione critica che, organizzando di volta in volta il pensiero, ci porta a superare una conoscenza strettamente naturale della realtà. Questa deve attingere un livello superiore, per cui gli uomini arrivino alla ragione della realtà» (Freire, 1971, p. 214).

Pensiamo, a titolo di esempio, ai problemi posti dall’IA al fare scuola, esigendo la capacità di elaborazione culturale del significato stesso dell’apprendere e dell’insegnare, a partire dalla capacità dei docenti di riconoscere i propri schemi di significato, manifestati nell’agire concreto, di comprenderne le inadeguatezze e di avviare quel processo di trasformazione e di creazione, che investe anzitutto il proprio modo di pensare e si propaga ben al di fuori della scuola, contribuendo ai processi di riflessione e di evoluzione culturale e sociale contemporanee.

Una nostra ricerca (Michelini, 2016) ha confermato la difficoltà dell’esercizio metariflessivo del pensiero dei docenti impegnati nella professione, mostrando l’esistenza di meccanismi di autoinganno, circoli viziosi confermativi e introversivi, resistenze al cambiamento, insieme, però, alla fecondità dell’istituzione di condizioni che lo hanno reso possibile, o quanto meno favorito (conversazione riflessiva con i materiali della situazione, rispecchiamento emancipativo, comunità di pensiero).

Ripensare oggi l’insegnamento significa, a nostro modo di vedere, investire sia in termini formativi che di supporto nei contesti reali, sul complesso sviluppo della competenza metariflessiva che non può essere considerata esclusivamente dote personale, ma un profilo professionale da sostenere e costruire in senso istituzionale.

L’insegnante libertario14

La figura d’insegnante messa fuoco in questo paragrafo muove dalla ricerca di Colin Ward. Ward è stato sicuramente un autore unico e significativo nel Novecento. Architetto di formazione, ha respirato fin da giovane la passione per il mondo educativo e l’impegno politico attraverso la figura del padre, maestro elementare e attivista nelle fila del partito laburista. Saranno proprio questi due aspetti che accompagneranno tutta la sua esistenza all’interno di un percorso che avrà come riferimenti quel filone che va da Kropotkin, Landauer e Goodman, declinato però in maniera del tutto particolare, tanto che Scott-Brown (2022, p. 3) evidenzierà come: «Ward identified as a social anarchist which, situated at the intersection of liberalism and socialism, considers social equality as the necessary precondition for individual liberty».

Il suo approccio non si esaurisce all’interno di un disegno astratto, ma si colloca sempre negli snodi della società, della vita reale della persona. Il suo sguardo diverso, come abbiamo avuto già modo di sostenere (Odini, 2019), parte dal basso e arriva via via a costituirsi come orizzonte attraverso le scelte quotidiane che si dipanano nel mondo dell’educazione, favorendo scelte che contribuiscono a costruire spazi di libertà e di autodeterminazione per il cambiamento della società. In questo contesto la domanda e la provocazione sorgono più che lecite: è possibile immaginare una sorta di modello teorico che sia in grado di tratteggiare le professionalità educative secondo una prospettiva libertaria?

La risposta, a nostro avviso, è chiaramente positiva e passa attraverso alcune caratteristiche che devono necessariamente essere contemplate all’interno di questa prospettiva. La prima è quella che deriva dall’impostazione teorica di Ward. Non è tanto importante che lo sguardo si focalizzi su modelli pedagogici trasmessi attraverso l’operato dell’educatore o sul ruolo dell’educatore in sé, quanto che il «problema» dell’educare passi attraverso il rispetto dell’allievo e del suo sguardo.

Grazie a questo capovolgimento di ottica riusciamo a identificare una seconda caratteristica che deve contraddistinguere ogni professionalità educativa, ovvero quella di essere in grado di cogliere qualunque stimolo come potenzialmente edificante. Per esemplificare questo rovesciamento di paradigma Ward (2018, p. 201) riporta l’esperienza della rivolta dei Mau Mau in Kenya in opposizione al dominio coloniale del Regno Unito.

In tale contesto in cui venivano imprigionati uomini e ragazzi di età diverse, un illuminato comandante dell’esercito britannico trasformò questa prigionia dando l’opportunità ai detenuti di organizzarsi costituendo una vera e propria scuola, tanto che anche chi non era recluso si avvicinava alla prigione per poter ascoltare queste lezioni. L’autore utilizza quest’esperienza per mostrare come quasi di contrappasso, nelle società moderne e civilizzate, le scuole sembrano trasformarsi in prigioni e in luoghi dove gli alunni non vogliono stare e senza nessun contatto con il mondo esterno e con la vita reale. Ward, nel sistematizzare il suo principio di «educazione incidentale», vuole fare esattamente l’opposto: abbattendo i muri della scuola ogni spazio, ogni stimolo può potenzialmente essere educativo.

In questo senso, dunque, si può tratteggiare una seconda caratteristica del modello di educatore secondo Ward, come colui che è in grado di valorizzare l’incidentalità dell’educazione in modo tale da risvegliare il nesso con l’interesse di ogni singolo studente. D’altronde, in un’intervista rilasciata a Tony Gibson (1982) per l’Institute of Social History, Ward sottolinea nuovamente: «I am not a utopian anarchist. I look for day-to-day anarchist solutions» e questa è proprio l’ottica dell’educazione incidentale.

Il principio è che ogni luogo, ogni spazio possa essere usato come stimolo di apprendimento, e per questo l’educatore si configura come un facilitatore perché l’approccio con la conoscenza possa cambiare. Una caratteristica dunque (e una responsabilità) non di poco conto per l’educatore, perché può, attraverso la sua azione, mostrare come ovunque ci sia la possibilità di risvegliare un nesso positivo, edificante e potenzialmente trasformativo e significativo con le cose.

Una terza caratteristica dipende dal rapporto tra l’educazione e lo spazio, ma non in chiave teorica, in chiave del tutto vitale ed emancipativa sia per il mondo dell’educazione che per le singole persone e le comunità. Burke e Jones (2014, p. xviii) mostrano bene quest’aspetto sottolineando come: «Colin Ward was interested in everything that concerned relationship between human beings and the world they have made» ed è proprio in quest’ottica che viene evidenziato il ruolo chiave dell’educatore. Burke e Grosvenor (2008, p. 10) indicano nuovamente come: «rather than viewing the school building — its various rooms, walls, windows, doors, and furniture, together with outdoor «nooks and crannies», gardens and open spaces — as a neutral or passive «container», architects and educators have considered it to be an active agent, shaping the experience of schooling and promoting and even pioneering a particular understanding of education».

Attraverso questi tre elementi quindi si delinea un modello teorico che può caratterizzare tutte le professionalità educative, dal pedagogista all’insegnante, consegnando un profilo che valorizza la competenza e la creatività della professionalità dell’educare, assegnandole un ruolo fondamentale per mostrare ai singoli e alle comunità quanta potenzialità emancipatrice sia nascosta nella capacità di risvegliare uno sguardo diverso che dal basso, attraverso l’educazione incidentale e gli spunti della vita quotidiana, possa valorizzare tutti gli ambienti in cui si trovano a vivere i singoli e la comunità, modificandoli e potenzialmente migliorandoli in chiave emancipativa.

L’insegnante repuerescens15

In questo paragrafo si intende discutere un’intuizione di Erasmo da Rotterdam circa un modello di postura docente, da un lato accennando a come sia stata recuperata nel più recente dibattito pedagogico e, dall’altro, ricontestualizzandola in riferimento alla questione del potenziale emancipativo dell’insegnamento, che ritorna in altri momenti del presente contributo.

Nella sua Declamatio de pueris statim ac liberaliter instituendis (1529), Erasmo afferma che «poiché secondo il vecchio proverbio: il simile si compiace del simile, è opportuno che in un certo qual modo il precettore ritorni fanciullo [repuerescat], affinché sia amato dal fanciullo» (Erasmo, 1966, p. 443). Il pedagogista umanista specifica in via indiretta, per così dire, lo statuto di tale repuerescentia precisando, con accenti che oggi sarebbero tacciati di ageism, che i discenti non devono essere affidati a «vecchi di età estrema e quasi decrepita» perché «questi sono davvero fanciulli, non simulano o fingono la balbuzie ma veramente balbettano»; invece, vi è bisogno di docenti nel fiore dell’età, capaci «di assumere il ruolo di qualsivoglia personaggio [quamvis personam sumere]» (Erasmo, 1966, p. 443).

Isolando il testo dalla più complessiva argomentazione della Declamatio, alcuni punti vanno sottolineati:

  1. le tre età dell’essere umano (fanciullezza, adultità e vecchiaia) sono tutte presenti in un intreccio di relazioni reali e speculari: vi è il rapporto reale (e auspicabile) fra il fanciullo e il docente nel fiore dell’età e quello fra l’alunno e i maestri vecchi (da evitare, invece); e vi è il gioco di rispecchiamento per cui nell’approcciarsi all’allievo il docente adulto «assume il ruolo» del puer, senza esserlo veramente, laddove tale è (ridiventato) il vecchio;
  2. la compresenza testuale delle tre età viene tagliata, quindi, ortogonalmente dall’asse realtà anagrafica effettiva (con le possibili regressioni senili), realtà del personaggio pedagogico che non è un puer ma un adulto repuerescens;
  3. il carattere della pueritia oscilla fra un polo di estrema positività e «amabilità» (uno dei temi del testo) e un polo che appare, invece, negativo, sia pur indirettamente introdotto (attraverso il riferimento ai vecchi): puer è chi balbetta.

Si è evidenziato tale gioco di opposizioni e rapporti (non tematizzato dalla critica) per restituire la densità del testo e dischiuderne significati che eccedono la sua cornice umanistica. Certo, a un primo livello, la tesi è che «il fanciullo non può amare il suo maestro se questi non fa degli sforzi per comprenderlo con la sua psicologia di fanciullo» (Margolin, 1966, p. 568).

D’altro canto, Denis Kambouchner ha fornito una magnifica lettura della repuerescentia per rivendicare il perdurante valore educativo della cultura classica, in un certo senso mostrando come vi possa essere una forma di «puerocentrismo» anche in quei dispositivi pedagogici frettolosamente accusati di tradizionalismo. Infatti, «l’universo classico […] è strutturato come una pedagogia» (Kambouchner, 2013, p. 337) ed è «un universo di gioco» (Kambouchner, 2013, p. 337). Da una parte, il gesto della repuerescentia è la condizione della mediazione didattica: «Più vi è da trasmettere, più grande è il bisogno di mediazione o, detto altrimenti, il bisogno per il simile di ritrovare il simile attraverso la differenza degli statuti e dei gradi di esperienza» (Kambouchner, 2013, p. 339). Dall’altra, perché si possa compiere tale gesto ci vuole una «cultura intensiva» (Kambouchner, 2013, p. 340), ossia una familiarità profonda con il patrimonio delle conoscenze da trasmettere.

La prima è un’interpretazione psicologica, la seconda di filosofia della cultura e ambedue corrispondono alla lettera e allo spirito del testo erasmiano. In conclusione, tuttavia, se ne vuole proporre una terza, che apra la prospettiva della repuerescentia a un orizzonte diverso, lavorando sulle faglie testuali che si sono sopra rilevate. In particolare, né Margolin né Kambouchner prendono sul serio il tema della balbuzie; e, benché Kambouchner sottolinei l’importanza del motivo del personaggio e del gioco/recitazione (rimarcando come per i docenti non si tratti, per dir così, di rimbambinirsi realmente), non esplora oltre il carattere performativo in esso implicito.

Valorizzando tali due motivi si vuole suggerire che l’insegnante repuerescens è chi, nell’atto docente continuamente rinnovato, performa l’irruzione nel mondo costituito di un universo di significati alla maniera del bambino che apprende la sua lingua, di cui parla Jacques Rancière (1987), che riconfigura l’ordine sensibile e così compie un gesto politico (cfr. Bingham e Biesta, 2010, cap. 3).

Avremo così due modi del docente repuerescens. Se la cultura è «una varietà di distinte lingue di comprensione» (Oakeshott, 2002, p. 29), l’insegnamento può, certo, consistere in «inviti a familiarizzare con esse […] non semplicemente come diversi modi di comprendere il mondo ma come le espressioni più sostanziali che abbiamo dell’umana auto-comprensione» (Oakeshott, 2002, p. 29). E, in tal caso, la repuerescentia opera nel senso disegnato da Kambouchner e Margolin quale vettore di iniziazione a un universo simbolico dato.

Ma se, con Rançière, si persegue il progetto di un’educazione emancipatrice, la repuerescentia diviene il modo di svincolarsi dall’ordine della spiegazione (Rancière, 1987, pp. 37 sgg.) e di giocare, nei confronti della propria lingua disciplinare, il personaggio del bambino, i cui barbugliamenti non sono quelli senescenti di una decrepita relazione al mondo della cultura ma quelli di chi lo incontra «con tutta la forza che è implicita in ogni relazione politica di tipo emancipatorio» (Bingham e Biesta, 2010, p. 59). Si tratterebbe di una declinazione diversa dell’assioma rancieriano dell’eguaglianza dell’intelligenza ma conserverebbe l’idea di una (dimensione della) magistralità scissa dalla padronanza e trasmissione della conoscenza quale condizione dell’emancipazione intellettuale.

Le due versioni di repuerescentia rimanderebbero, dunque, a due dimensioni/significati dell’insegnamento, la cui relazione si dovrebbe ulteriormente indagare.

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1 Professore ordinario, M-Ped 01, Università degli Studi di Urbino «Carlo Bo».

2 Ricercatore, M-Ped 01, Università degli Studi di Urbino «Carlo Bo».

3 Professoressa associata, M-Ped 01, Università degli Studi di Urbino «Carlo Bo».

4 Ricercatore, M-Ped 02, Università degli Studi di Urbino «Carlo Bo».

5 Professore associato, M-Ped 01, Università degli Studi di Napoli Federico II.

6 Full professor, M-Ped 01, University of Urbino «Carlo Bo».

7 Researcher, M-Ped 01, University of Urbino «Carlo Bo».

8 Associate Professor, M-Ped 01, University of Urbino «Carlo Bo».

9 Researcher, M-Ped 02, University of Urbino «Carlo Bo».

10 Associate Professor, M-Ped 01, University of Naples Federico II.

11 Questo paragrafo è stato scritto da Massimo Baldacci.

12 Questo paragrafo è stato scritto da Enrico Bocciolesi.

13 Questo paragrafo è stato scritto da Maria-Chiara Michelini.

14 Questo paragrafo è stato scritto da Luca Odini.

15 Questo paragrafo è stato scritto da Stefano Oliverio.

Vol. 9, Issue 2, October 2023

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