Vol. 9, n. 2, ottobre 2023 — pp. 1-4

EDITORIALE

La professionalità del docente

Sembra ormai diffusa la convinzione secondo la quale alla base della formazione dei docenti debba stare la delineazione di un profilo professionale articolato in una serie di competenze. In tale convinzione c’è indubbiamente del vero. Tutta la formazione professionale, anche quella avanzata, viene ormai pensata secondo il costrutto della competenza. E in fondo quella dell’insegnante è una professione: in ultima analisi egli è un lavoratore, anche se opera in un campo particolare come quello dell’istruzione dei giovani.

Per concepire la professionalità del docente, e come questa vada costruita attraverso opportuni percorsi formativi, appare perciò congruo riferirla a un certo spettro di competenze. Secondo questa concezione, per individuare queste competenze, è sufficiente operare una task analysis: un’analisi dei compiti professionali del docente, sia pure di livello generale.

Procedendo in questo modo, si osserva che il docente deve avere la padronanza della propria disciplina, e quindi deve possedere una competenza culturale; occorre che sia capace di insegnarla, e dunque deve avere una competenza didattica; deve saper interagire con i discenti, pertanto deve essere portatore di una competenza relazionale; ecc. L’individuazione di queste competenze generali è indubbiamente preziosa per non cadere in impostazioni vaghe o unilaterali.

Spesso si ritiene, però, che occorra articolare queste dimensioni generali in competenze specifiche, maggiormente analitiche, e talvolta in sotto-competenze ulteriormente circoscritte. In questa maniera il profilo professionale del docente acquisisce la forma di un’arborescenza fittamente ramificata. Ma appare dubbio che un profilo iper-complicato (non complesso, che è un’altra cosa) possa fornire un orientamento migliore rispetto a un profilo essenziale e più chiaro. Come è noto, «la mappa non è il territorio»,1 non può e non deve essere una riproduzione identica e fedele di questo, altrimenti perde la sua funzione di strumento per guidare gli spostamenti. Una mappa deve marcare le differenze che fanno la differenza,2 le informazioni essenziali per permettere di orientarsi. In una mappa iper-complicata si rischia di non raccapezzarsi, e si può finire per sbagliare strada o addirittura per smarrirsi. Nel disegnare il profilo delle competenze del docente si dovrebbe perciò seguire il principio del Rasoio di Occam, realizzando un profilo sobrio, chiaro ed essenziale, capace di fornire una guida perspicua. A questo proposito, però, qualcuno eccepisce che la critica a un profilo professionale del docente che sia articolato secondo una lunga lista di competenze generali e specifiche non tiene conto della complessità di tale professionalità, che la lunghezza e l’analiticità di tale lista tenderebbero invece a rispecchiare. Tuttavia, occorre rilevare che si tratta di un malinteso. Un profilo sobrio può serbare una logica complessa, e uno prolisso potrebbe essere soltanto inutilmente complicato.

Infatti, «complesso» significa «abbraccio», o anche «tessuto insieme»: sono i nessi, gli intrecci, che generano la complessità (non la complicazione, non il numero degli elementi). E come ha spiegato Morin3 il nucleo logico della complessità è di natura dialogica: è dato dall’intreccio unitario di più logiche, senza che in esso si dissolva la loro distinta individualità.

La complessità della professionalità docente è data dal fatto che nell’insegnamento si devono intrecciare unitariamente distinte competenze: quella culturale, quella didattica e quella relazionale, che tuttavia restano differenziate. Il tirocinio costituisce la fucina in cui si cerca di operare questa fusione.

Tuttavia, se nella convinzione che occorra articolare il profilo professionale del docente in una serie di competenze c’è indubbiamente del vero, nondimeno sarebbe errato ridurre a ciò la concezione della professionalità dell’insegnante. Vi sono almeno altre due grandi questioni da considerare.

La prima questione da porsi è quella di definire un’idea di insegnante capace di dare una prospettiva unitaria ai percorsi formativi. Su ciò questa rivista è già intervenuta nell’Editoriale del secondo numero del 2022, e la riprendiamo in uno degli articoli del presente numero, al quale rinviamo.

In secondo luogo, oltre alla dimensione della competenza occorre considerare quella della consapevolezza che deve caratterizzare un professionista come l’insegnante. Una consapevolezza che si articola in molteplici forme di comprensione, e che dà sostanza a una cultura dell’insegnamento e fa del docente non un mero tecnico ma un intellettuale sui generis.

Una consapevolezza culturale, innanzitutto, che da un lato deve essere consistere nella comprensione epistemologica del rapporto tra il sapere esperto (proprio dei cultori di una disciplina) e il sapere da insegnare a scuola; e dall’altro nella comprensione della dinamica sociale del sapere, del significato rivestito dalla propria disciplina nella società odierna e nelle attività professionali.

Una consapevolezza socio-antropologica delle caratteristiche odierne dei destinatari dell’intervento didattico, poiché la realtà degli studenti è soggetta a variazioni diacroniche e diatopiche. Una consapevolezza pedagogica della realtà e del ruolo della scuola rispetto agli attuali scenari storico-sociali. E altro.

A questo proposito, qualcuno ha però eccepito che fare dell’insegnante una figura intellettuale significa attribuirgli una dimensione «ideologica», ormai anacronistica. Anche in questo caso si tratta di un malinteso. Se con «ideologia» s’intende una concezione del mondo, allora nessun essere umano, e dunque nemmeno l’insegnante, può essere esente da intuizioni di questa natura.

La differenza è tra chi subisce inconsapevolmente un certo senso comune, una data intuizione del mondo — e quindi agisce meccanicamente per la sua riproduzione —, e chi invece ne conquista una consapevolezza critica che gli permette di pensare con la propria testa. Oggi occorre un insegnante capace di effettuare questa riflessione autonoma, in grado di pensare tutte queste problematiche, per avere una scuola democratica al passo con i tempi.

Massimo Baldacci


1 Bateson G. (1984), Mente e natura, Milano, Adelphi, p. 149.

2 Bateson G. (1984), Mente e natura, Milano, Adelphi, p. 301.

3 Morin E. (1988), Le vie della complessità. In G. Bocchi e M. Ceruti, La sfida della complessità, Milano, Mondadori, pp. 56-59.

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