Vol. 8, n. 2, ottobre 2022
FILOSOFIA DELL’EDUCAZIONE
Il concetto di «interesse» nella teoria pedagogica di Antonio Labriola
Luca Odini1
Sommario
Il contributo intende indagare il ruolo che riveste l’«interesse» nella teoria pedagogica di Labriola. In particolare, attraverso l’analisi del suo saggio Dell’insegnamento della storia del 1876, si intende inquadrare l’ampiezza e la profondità di questo concetto per mostrarne tutte le connessioni e implicazioni in particolare con la storia, l’educazione e la comunità. In questo modo si cercherà di evidenziare come questa nozione contenga in sé tutti i nuclei concettuali e tematici che l’autore svilupperà nel suo percorso teoretico da Herbart fino a Marx ed Engels.
Parole chiave
Labriola, Interesse, Storia della pedagogia, Storia, Educazione, Emancipazione.
PHILOSOPHY OF EDUCATION
The concept of «interest» in Antonio Labriola’s pedagogical theory
Luca Odini2
Abstract
The contribution aims to investigate the role of interest in Labriola’s pedagogical theory. In specific, through the analysis of his 1876 essay Dell’insegnamento della storia (On the Teaching of History) we intend to set out the depth of this construct in order to show all its connections with history, education and community. In this way, the aim is to highlight how this notion contains within itself all the conceptual cores that the author will develop in his theoretical path from Herbart to Marx and Engels.
Keywords
Labriola, Interest, History of Pedagogy, History, Education, Emancipation.
Introduzione
Nelle pagine che seguono prenderò in considerazione il concetto di «interesse» che compare nell’opera di Antonio Labriola, per cercare di chiarire quale sia il ruolo che questo svolge all’interno del suo pensiero filosofico e pedagogico.
Al di là dei più recenti studi che hanno contribuito a inquadrare storicamente l’autore grazie al vasto materiale archivistico disponibile,3 il mio proposito è quello di stabilire se il concetto di interesse rappresenti, nella riflessione di Labriola, una sorta di categoria ponte che connette la sua filosofia alla sua pedagogia e che consenta, quindi, di individuare una possibile linea interpretativa che fornisca una chiave di lettura in grado di connettere la sua prospettiva pedagogica con il suo sistema speculativo.
Per perseguire questo fine è necessario prima di tutto individuare cosa abbia veramente sostenuto Labriola quando utilizzava il termine «interesse» e quale fosse l’ampiezza e la profondità di questo concetto. Una volta effettuato questo passaggio, che è effettivamente il principale intento di questo lavoro, cercherò di delineare due prospettive. La prima si propone di cogliere come la tematica pedagogica possa essere interpretata con una chiave di lettura che renda ragione della complessità dell’impianto teoretico di Labriola, e non solo come un elemento settoriale d’indagine, legato ad alcune contingenze storiche della sua vita. La seconda riporta all’evidenza come un filone e una tradizione di pensiero, che tra l’Ottocento e il Novecento ha influenzato il pensiero filosofico, pedagogico e sociale, abbia ancora qualcosa da dire al mondo dell’educazione e della pedagogia.
Si tratta quindi di riuscire a individuare una chiave di lettura, per le opere di Labriola, che possa fare da filo conduttore per gli scritti che si collocano in questo lasso di tempo. D’altronde anche Siciliani De Cumis prospetta come «nel Labriola docente e direttore del Museo sia da rintracciarsi un’originale linea pedagogica in sviluppo, che si mantiene a suo modo coerentemente intatta nel corso dei trent’anni del suo insegnamento romano» (2011, p. 215), e allarga ancora di più il campo sostenendo come «nel Labriola di tutt’intera la propria vita, compreso il Labriola storicamente più noto e importante della concezione materialistica della storia”, i motivi di riflessione metodologica e didattica siano pur sempre presenti e evidenti. E facciano comunque sentire il peso della loro ulteriore incidenza formativa come traducibilità pedagogica e didattica non dismessa e, se mai, convertibile in altre forme di attività e possibilità operative» (2011, p. 215).
Il concetto di interesse in Labriola
Per gettare luce sullo spettro semantico e soprattutto sulla portata teoretica che Labriola attribuisce al concetto di interesse, mi avvarrò dell’opera Dell’insegnamento della storia, che avrebbe dovuto essere il primo di una serie di scritti in cui l’autore si proponeva di affrontare tematiche di carattere squisitamente pedagogico (Labriola, 2014, p. 927). La stesura di questi saggi risale al 1876, cioè a dire tre anni dopo l’arrivo di Labriola a Roma come professore straordinario di filosofia morale e di pedagogia.
Come sottolinea anche Siciliani De Cumis (2011, p. 216), Labriola mette esplicitamente in relazione Dell’insegnamento della storia con i Saggi sul materialismo storico, invitando quindi a studiare queste due opere in correlazione. Inoltre, è necessario tenere conto di quelle che sono, in questo periodo, sia le vicende biografiche del filosofo, sia la fase attraversata dallo sviluppo del suo pensiero. Labriola, infatti, in questi anni, prende decisamente ed esplicitamente le distanze da quello scolasticismo che si rivela nella tendenza a scadere in schematismi a priori. Nonostante ciò, analizzando i testi, è possibile cogliere in più parti un rimando all’elaborazione del pensiero pedagogico di Herbart, che trova nell’interesse un punto cardine del suo pensiero pedagogico. Questo collegamento è evidente in una continua attenzione al tema declinato come causa primaria dell’apprendimento ma anche, nemmeno troppo sottotraccia, nei diversi passaggi in cui Labriola analizza analiticamente l’interesse riprendendo categorie herbartiane, seppur con uno spirito che incomincia ad essere innervato da una sensibilità, soprattutto teoretica, di tipo diverso. Di questo suo nuovo orientamento egli parla in una lettera del 21 maggio del 1892 a Engels, in cui spiega come abbia ormai abbandonato le tesi filosofiche hegeliane della scuola di Bertrando Spaventa, dove si era formato. Non gli bastano più la contemplazione speculativa astratta e gli studi da erudito: sono inaccettabili, sia dal punto di vista umano che teoretico, dimodoché sempre più avverte l’esigenza di passare dall’idealismo al realismo (Labriola, 1983, p. 370). Siciliani De Cumis fa notare come questa esigenza si riveli anche nel modo in cui Labriola concepisce la didattica, che egli intende «come adesione positiva alle cose degli uomini e alla loro storia. Una didattica eticamente politica e politicamente etica, che viene quindi svolgendosi come dimensione costitutiva, essenziale, del proprio liberalismo autocritico e, dunque, come laboratorio delle sue stesse conseguenti prese di posizione dal liberalismo al radicalismo, al socialismo e al marxismo» (2011, p. 217). A tale concezione della didattica risponde anche l’attività svolta da Labriola in qualità di direttore del Museo d’istruzione e di educazione, che, come hanno mostrato gli studi di Sanzo (2012), restituisce un modello di docente e di insegnamento di tipo propriamente socratico, ovvero incentrato sulla capacità, di cui dovrebbe disporre l’insegnante, di stimolare nell’allievo un processo autonomo di apprendimento, basato sulla virtù generativa dei concetti.
È qui che l’interesse che l’insegnante riesce a suscitare nell’allievo mostra un ruolo di assoluta centralità nel processo educativo. Spiega Labriola: se si vuole che l’intervento educativo abbia effetti duraturi negli allievi, si deve prestare particolare attenzione a come si insegna. Se, infatti, le discipline venissero insegnate come un «nudo obietto del sapere e del pensare» (2014, p. 934) non rivestirebbero alcun significato per la pratica educativa. Questo perché il fine ultimo dell’educazione non consiste nell’acquisizione, da parte dell’allievo, di un insieme di conoscenze, ma nella «formazione degli stati dell’animo in cui si preparano di lunga mano i moventi del volere» (2014, p. 935).
Il filosofo definisce l’interesse come «quella movenza interiore in cui il conoscere e l’operare sono ancora implicati l’uno nell’altro, perché fanno uno nelle apprensioni, nei giudizi e negli apprezzamenti che lo spirito, sotto l’influsso della coltura, viene poco per volta formando dentro di sé come per viva e ingenita virtù propria» (2014, p. 936). Queste parole mostrano che Labriola non concepisce la psiche dell’educando come una tabula rasa, ma ha chiaro il fatto che questa, in qualche misura, è già stata plasmata e viene continuamente modellata dall’ambiente socio-culturale. È necessario, quindi, che l’insegnante eserciti «su l’animo dell’educando una certa pressione, perché in esso non s’ingenerino di quelle tendenze che possono per avventura presentare ostacolo alla vera e propria azione educativa» (2014, p. 936).
Da ciò emerge la necessità di tenere saldato quanto più possibile, durante l’atto educativo, l’aspetto didattico con il contesto socioculturale, in modo tale da rendere evidente come questi due elementi s’intersechino. In quest’ottica, le esigenze disciplinari esercitano «su l’animo dell’educando una certa pressione, perché in esso non s’ingenerino di quelle tendenze che possono per avventura presentare ostacolo alla vera e propria azione educativa» che consiste nel dare «certa, sicura e stabile forma alle movenze interiori del conoscere e del simpatizzare» (2014, p. 936). L’autore si preoccupa di specificare, poche righe dopo, come non intenda, in questa sorta di stabilità e di fissazione delle movenze interiori, dei principi o delle sovrastrutture universali. Intende semplicemente sottolineare come la natura del fine educativo che ha individuato sia volta a «suscitare in ciascun individuo il senso vivo e complesso di tutto quello che umanamente è nobile e degno» (2014, p. 936).
L’universalità, dunque, consiste in una forma interiore dello spirito che si piega a conoscere, non in un obiettivo da raggiungere, ma nella formazione di quello che Labriola chiama un «atteggiarsi dello spirito nel conoscere e nel simpatizzare» (2014, p. 936). Per essere del tutto chiaro e non lasciar spazio a fraintendimenti, Labriola specifica ulteriormente come l’universalità che ha immaginato — nelle forme interiori che indicano l’atteggiarsi dello spirito nel conoscere e nel simpatizzare — conserva il carattere dell’individuazione: è un’universalità che è calata nell’individualità della persona in cui i diversi aspetti dell’interesse a conoscere si articolano nelle funzioni che l’animo esercita sulle cose come attività d’indagine, di esplorazione e di conoscenza.
È proprio attraverso questi concetti che si concentra e si esaurisce il compito didattico: «per mezzo dell’istruzione suscitare l’interesse immediato, multiforme e concentrato per le cose del mondo interiore ed esteriore» (2014, p. 937). Il campo dell’educazione allora non si configura con una sensibilità che si esplicita in un carattere intellettualistico o astratto, ma anzi, si cala in una didattica che, come afferma Siciliani De Cumis «egli [Labriola] intende praticamente, come adesione positiva alle cose degli uomini e alla loro storia» (2011, p. 217).
Le caratteristiche del concetto
Per Labriola, l’interesse si costituisce di tre aspetti che lo caratterizzano: il primo è l’immediatezza. L’interesse, infatti, suscita un’adesione diretta e libera agli oggetti conosciuti e pensati «prima che questi divengano per rispetto alla volontà operante semplici mezzi per i fini della utilità» (2014, p. 937). Il secondo è quello dell’essere multiforme: quando si conosce qualcosa, lo si fa secondo forme fondamentali per i quali non è possibile che vi siano riduzioni; ciascuno conosce sentendo, godendo o apprezzando in modo del tutto particolare, e in un modo che non può essere ridotto o diminuito. E la ragione è data dal fatto che «non nelle cose in quanto esistenti fuori di noi, ma in noi in quanto le conosciamo e le apprezziamo, è la cagione dei vari interessi» (2014, p. 937). In questo senso, dunque, si individua il terzo aspetto, quello della concentrazione, «causata» dall’unità personale del soggetto che apprende, dalla sua singolarità e unicità.
Partendo da questa analisi, Labriola evidenzia come le varie materie che si insegnano a scuola, se guardate in sé e da un punto di vista strettamente educativo, sono insignificanti (2014, p. 937). Dovrebbero, invece, essere utilizzate come strumenti per suscitare l’interesse che, sebbene multilaterale, non è per ciò stesso indefinito. Per spiegare meglio questo aspetto, inizia nel testo una disamina per comprendere il modo di comportarsi e di apprendere attraverso le cose. Questa forma di conoscenza, alla fine, si riduce alla conoscenza del modo d’essere delle cose stesse e del modo con cui le cose operano e agiscono, tra loro e nel nostro sentire, e il nostro sentire apprenderà le cose come parti in relazione tra di loro e in relazione all’appercezione stessa.
A questo proposito viene individuato un tipo di conoscenza che egli chiama empirica, perché riguarda «la indicazione, connotazione e intuizione degli obbietti», mentre viene chiamata razionale quella conoscenza che prende in considerazione i legami tra le cose di carattere causale e finale. Prende invece il nome di estetica quella conoscenza che mira a circoscrivere le forme di bellezza o meno delle cose, mentre chiama simpatia, o appropriazione, la conoscenza «se rimane limitata alla riproduzione dei sentimenti degli esseri capaci di averne». Tutte queste forme di conoscenza si trasformeranno in socialità se saranno in grado di suscitare, nel discente, il senso della comune dipendenza reciproca che caratterizza i membri della comunità umana (2014, p. 937).
Labriola, tuttavia, nota come sia nel conoscere che nel simpatizzare rimanga aperto il problema non tanto di un errore, quanto di un’inadeguatezza e di un’incongruenza delle conoscenze apprese che evidenziano limiti al sapere stesso e al proseguire della conoscenza. Per questo sostiene come sorga naturale nello spirito dell’uomo una nuova forma d’interesse che può essere di carattere religioso, se condurrà a conclusioni che attengono al mondo della fede, mentre si chiamerà interesse speculativo se le conclusioni a cui condurrà atterranno al mondo delle giustificazioni di carattere scientifico (2014, p. 937).
Il cassinate termina questa disamina sull’interesse sottolineando come il vero e proprio compito dell’istruzione educativa sia quello di utilizzare le materie dell’insegnamento come grimaldello perché queste forme di interesse spirituale possano rinsaldarsi nell’animo, e diventare come dei veri e propri abiti mentali nella speculazione e nell’utilizzo dell’intelligenza. Come individua anche Siciliani De Cumis, quando Labriola propone qualche delimitazione di carattere funzionale tra le discipline, queste vengono sempre ridimensionate e superate nella «concretezza e unitarietà del rapporto genetico formativo, “morfologico” reale» (2011, p. 218).
Dove ritrovare il concetto dell’interesse
Labriola sostiene che i grandi oggetti dell’educare rientrano nelle sfere del naturale e dell’umano, ma tra le due, sottolinea come tutto ciò che riguarda l’uomo avrà più possibilità di stimolare l’interesse negli studenti. L’autore specifica: «quando si dice cose umane si dice storia» (2014, p. 940).
Non è però sufficiente «dire storia» perché s’inneschi l’interesse per le cose umane. Labriola chiarisce che c’è un modo di fare storia da cui non ci si può aspettare nessun frutto educativo, e questo è il modo che normalmente si usa nei manuali: ordinare una serie di date e di nomi attraverso una «nuda narrazione» dei fatti. Grazie a questa modalità, però, sono esclusi esiti significativi dal punto di vista educativo, perché il materiale appreso ricadrà nell’essere un «nudo obbietto di considerazione scientifica». Nell’ottica di Labriola, le varie distinzioni scientifiche si costituiscono come un sussidio, come uno strumento per far prendere vita alle cose, in modo tale che queste possano muovere lo spirito interessandolo. L’esempio che l’autore fa è quello della grammatica, che serve per poter parlare e comunicare correttamente, per cui dovrebbe essere insegnata come un’arte ed essere messa in relazione con le lettere, in modo tale da suscitare e risvegliare il senso logico ed estetico, e che questo risvegli immediatamente l’attenzione e l’interesse per il bello.
Chiarito nuovamente che ogni singola disciplina, in sé, non costituisce l’obiettivo dell’educazione, Labriola passa ad analizzare come la storia acquisti un significato particolare solo se viene insegnata in modo tale da restituire la complessità delle relazioni sociali e del vivere umano che va a costituirsi come il vero oggetto di chi vuole apprendere. Per questo bisogna tener presente che il centro, il fulcro di ogni azione didattica si costituisce «nell’individualità dell’educando» (2014, p. 941).
Labriola riporta l’attenzione sul fatto che ogni azione educativa si muove dall’interesse e si svolge sempre su tre livelli. Il primo livello viene individuato negli strumenti didattici che si utilizzano. Non si può prescindere da questo, e abbiamo già evidenziato tutta l’importanza di tale approccio, perché impiegando gli strumenti didattici giusti si potrà essere in grado di smuovere l’interesse — secondo livello —, che si costituisce come il vero motore di ogni azione educativa. Il terzo è un livello sociale in cui sfociano e ritornano tutti gli sforzi educativi individuati. In Labriola, l’esito di ogni insegnamento non è mai quello dell’apprendimento di ogni singolo contenuto disciplinare, ma la ricaduta di questo nesso con la sfera sociale.
In questo senso, si tratta di lavorare su due forme del conoscere. La prima è lo sviluppo del valore educativo dell’interesse empirico, che non consiste nel fatto che «delle cose in gran copia vengano introdotte nello spirito» (2014, p. 944), ma in quanto sia maturato nel discente il senso della multiforme varietà delle cose, cosicché la curiosità di apprendere diventi il primo elemento di libertà nella creazione e nell’esplorazione dei nessi tra le cose. E di pari passo con l’interesse empirico si dovrà sviluppare la seconda forma del conoscere, quella che Labriola chiama il sentimento, o il pensiero critico, che consiste nella capacità di «ricollegare i fatti di più persone fra loro, perché appariscano evidenti i limiti che la natura peculiare di una data società pone all’opera separata di ciascuno, e i motivi comuni si rivelino come cause vere onde si deriva la dipendenza correlativa di tutti» (2014, p. 946).
La storia, quindi, è il luogo privilegiato in cui possono emergere non solo una molteplicità infinita di sfaccettature dell’animo umano e delle passioni che hanno attraversato gli eventi, muovendo l’interesse empirico prima e quello razionale poi, ma è funzionale per coltivare quei sentimenti di simpatia e di comunanza con gli altri esseri umani che sono un sicuro fondamento del vivere sociale. Nell’azione educativa bisognerà evitare che questo sentimento trascenda in commozione, per non confondere piani diversi. Inoltre, sarebbe opportuno bandire dall’insegnamento della storia «ogni sorta d’interpretazioni moralistiche». Labriola ritiene infatti che, una volta generata l’emozione, l’apprezzamento verrà a mano a mano da sé e non bisogna anticiparlo o promuoverlo con la mentalità degli adulti, perché l’animo dei giovanetti «per non esser ancora guasto dall’uso della volontà per fini egoistici del benessere, vuol liberamente espandersi nella partecipazione simpatetica» (2014, p. 949). Per questo motivo è proprio grazie agli stimoli dell’azione educativa che si potrà costruire e ricorrere all’immagine della vita sociale.
La storia, allora, può favorire la comprensione della complessità delle trame della vita sociale, che non si realizza facilmente, come specifica l’autore stesso, ma viene a formarsi, passo dopo passo, grazie all’azione educativa. E sarà proprio grazie all’azione educativa che si potrà analizzare l’immagine dei rapporti sociali come sono realmente, senza lasciarsi invischiare eccessivamente dalle passioni, che corrono il rischio di rendere l’evidenza dei legami storici meno chiara. Attraverso l’interesse si potrà quindi raggiungere il fine educativo sperato: «il gran sistema della vita sociale, che racchiude dentro di sé tanti particolari sistemi e mette capo nell’autorità dello stato, non sarà presentato alla considerazione dei discenti come ordinamento astratto di concetti, ma sì bene come viva immagine di naturali e di morali necessità» (2014, p. 952).
Gioverà a questo punto sottolineare come per l’autore si tratta di distinguere almeno tre diversi gradi d’interesse. Seguendo il principio dell’intensità crescente, si partirà con l’interesse empirico, il quale, notando la grande varietà delle forme e delle distinzioni del genere umano, tenderà a spingere l’intelletto a ricercare un principio ultimo che giustifichi le cose che si stanno esaminando. Una volta smosso questo livello si potrà passare all’interesse razionale, il quale ha il compito di evidenziare, seguendo stringenti principi razionali, le successioni e le connessioni degli avvenimenti, in modo tale da comprendere cause e connessioni di quanto si sta analizzando. Per ultimo arriva l’interesse sociale, cioè l’interesse per la collettività tutta degli uomini.
L’interesse, quindi, conduce l’educando ad appassionarsi a molteplici fatti, ma quello che appare veramente stimolante, dal punto di vista educativo, è il passaggio successivo. Se l’interesse è fondamentale per smuovere l’animo degli studenti allo studio delle cose degli uomini, un secondo aspetto appare altrettanto importante: quello di mettere in grado gli studenti di comprendere rettamente quello che stanno vedendo e analizzando. Lo spiega in maniera molto sottile: il compito dell’insegnante non è quello di catechizzare gli studenti o di adattare gli insegnamenti o le interpretazioni di ciò che studia a seconda della società in cui si trova a vivere e dei costumi di questa. Il ruolo precipuo dell’insegnante è quello di riuscire a instillare il dubbio negli studenti riguardo alle forme degli avvenimenti e degli eventi umani che hanno suscitato l’interesse. L’obiettivo finale è sempre quello di utilizzare il criterio della ragione come setaccio definitivo per individuare i problemi e porli correttamente, uno spirito critico, una forza che tenda a problematizzare quello che l’interesse ha suscitato.
Il passaggio è veramente interessante e conviene riproporlo: «perché se dipende in gran parte dalle condizioni peculiari della società e dei tempi in cui si vive, che ai problemi su l’umano destino si dia or una or un’altra soluzione, sarà sempre imperfetta quella istruzione che non procuri di metter lo spirito in condizione di proporseli con piena evidenza» (2014, p. 955). Questo, specifica, è il fine ultimo a cui bisogna mirare con l’insegnamento della storia. Ma per essere sicuro di essere stato correttamente compreso, chiarisce ulteriormente come le singole materie in cui si distinguono i vari insegnamenti non sono tanto importanti, quanto il fatto che l’insegnante abbia assimilato ed elaborato personalmente la sua materia d’insegnamento e che sia in grado di riuscire a declinarla a seconda delle varie forme dell’interesse. Questo è il vero e principale compito che spetta all’insegnante.
Le conseguenze didattiche del concetto dell’interesse
Passiamo ora a identificare quali siano le conseguenze e le ricadute didattiche del concetto dell’interesse elaborato da Labriola. L’autore inizia la sua disamina constatando che non tutti i fatti presenti nei libri di storia possono essere facilmente utilizzati come mezzo certo d’istruzione educativa. Sottolinea inoltre l’importanza che la narrazione dei fatti e degli eventi storici sia posta in relazione con tutte le altre discipline che possono contribuire a darle «chiarezza e compimento» (2014, p. 956).
Se l’educatore vorrà tenere in conto quanto si è fin qui guadagnato, dovrà sempre aver presente, nella sua azione didattica, due elementi. In primo luogo, il fine e l’obiettivo ultimo dell’educazione e, in secondo luogo, la normale crescita e sviluppo dell’attività interiore dell’educando. L’arte della didattica si innesta proprio a questo punto, ovvero «nel tener ben distinti i due ordini di fatti, e nel trovar modo che nell’uno s’ingeneri, direi, naturalmente l’altro, consiste il difficile e l’attraente dell’arte didattica» (2014, p. 956).
Se quindi la didattica viene intesa in questi termini assume tutte le caratteristiche di una rigorosa e rigida disciplina scientifica dotata di contorni ben delimitati e competenze chiare ed evidenti. Tali aspetti richiederanno attenzioni peculiari che varieranno da aspetti apparentemente insignificanti o secondari come gli orari e i libri di testo, ad altri che invece richiederanno un impegno di rielaborazione teorica maggiore come le suddivisioni dei corsi da inserire nel piano di studi. Labriola sottolinea che, se si vuole muovere veramente l’interesse ed essere fedeli allo scopo ultimo dell’educazione, non è possibile accettare che l’insegnamento della storia venga effettuato e recepito come si è sempre fatto nei termini propri della manualistica. Nei diversi fatti storici avvenuti che si studiano in questo modo, non c’è forza sufficiente per sviluppare la molla dell’interesse spirituale che favorisce lo studio. La storia come materia da insegnare dovrebbe essere, invece, distillata dall’educatore, che deve elaborare quanto vuol comunicare e renderlo suo, così da comunicarlo ai discenti nella miglior forma possibile.
In questo caso, Labriola riprende un tema già emerso ma a cui, evidentemente, deve tenere molto. Si preoccupa infatti di evidenziare come questa elaborazione, che compie in via preliminare il docente, non sia un filtro di carattere ideologico o interpretativo a priori del fatto storico che si vuole esaminare e spiegare. L’attenzione è completamente diversa. L’insegnante deve essere in grado di presentare al meglio i fatti così come sono, ordinandoli secondo due direzioni: quella che riguarda il fine ultimo dell’educazione, e quella che riguarda l’ordine logico da seguire nell’argomentazione. In tal modo lo studente sarà in grado di leggere la spiegazione intrinseca che si può trovare nei fatti «il quale ordinamento dee pigliare i criteri direttivi della considerazione dello svolgimento normale dell’animo dei discenti» (2014, p. 957). Si potranno così formare negli studenti quegli abiti mentali che consentiranno di apprendere le cose a seconda dell’interesse che li muove, e ordinarle, in un secondo momento, contestualizzandole. Le materie storiche possono allora diventare veri e propri «mezzi di coltura».
Labriola sottolinea, quasi ossessivamente, come il movimento debba sempre essere quello che va «dalle parti al tutto e non viceversa». Così è per l’interesse che costituisce il motore primo per qualsiasi voglia di sapere, quello che chiama «il primo addentellato alla esposizione delle cose assenti e passate» ma così dev’essere per la cultura e il sapere in generale. Per questo specifica ancora come l’insegnamento della storia non debba svolgersi seguendo schemi cronologici, perché quell’ordine non segue l’ordine con cui l’interesse li suscita in ciascun discente e non favorisce nemmeno la connessioni tra i fatti e gli eventi che se ne possono ricavare grazie all’utilizzo della ragione e dell’analisi storica: «l’intelligenza delle cose, che all’educatore importa di promuovere, gli è quella che si sviluppa per interiore virtù di successive apprensioni; cioè a dire per naturale applicazione degl’interessi alla materia conoscibile» (2014, p. 957).
Per l’autore, ci sono due categorie di fatti storici. I primi, per le loro caratteristiche intrinseche e peculiari, sono materia propria dell’istruzione educativa perché, senza un eccessivo sforzo di intellettualizzazione e di categorizzazione, sono in grado di suscitare l’interesse. I secondi, invece, si possono affrontare una volta che si sia sviluppata la propria educazione e si sia quindi in grado di utilizzare quel metodo critico e razionale che consente di far diventare quegli stessi fatti oggetto di studio, e quindi di contestualizzarli all’interno della fitta trama delle connessioni sociali in cui debbono essere inscritti.
A questo punto Labriola passa a identificare cinque criteri che devono regolamentare la scelta delle materie storiche. Il primo criterio afferma che i fatti presi in analisi possono essere chiariti o trovando un riferimento con l’esperienza vissuta dallo studente in quel preciso momento o grazie all’ausilio di altri studi compiuti. Il secondo criterio afferma che questi fatti, una volta chiariti per il loro essere facilmente intuibili, possono diventare non solo oggetto di una argomentazione ordinata e rigorosa, ma anche essere rappresentati con precisione nei singoli aspetti particolari e nell’ottica generale dell’insieme. Un terzo aspetto, conseguenza delle tipologie dei fatti scelti, è legato all’ampia varietà di elementi che possono suscitare interesse, o per la modalità con cui vengono esposti, o per l’evidenza stessa dei fatti che racchiudono e che si prestano ad essere interpretati secondo molteplici sfaccettature. Nel quarto criterio ritorna la preoccupazione (che abbiamo ormai inteso fondamentale per Labriola) di rimandare alle connessioni con la «potenza sociale», a quelle cause che restituiscono la spiegazione e l’interpretazione del fatto storico come la risultante di una complessa interazione di vari elementi sociali. Il quinto e ultimo criterio prescrive come la scelta delle materie storiche debba essere fatta facendo concorrere il gusto, in modo tale che lo spirito sia in grado di discernere e individuare «senza sforzo le forme di estetica convenienza» (2014, p. 959).
Le conseguenze didattiche del concetto di interesse che emergono da questo scritto hanno condotto a un paio di considerazioni da sottolineare prima di avviarci alle considerazioni conclusive. La prima riguarda la necessità di cogliere i singoli fatti storici legandoli agli eventi della società e della comunità di tutti gli uomini, evidenziandone i nessi e stabilendone, grazie all’utilizzo dell’intelligenza e del metodo critico delle connessioni. La seconda ci invita a tenere in considerazione le naturali inclinazioni dell’animo umano e a volte anche dei contesti e delle sensibilità che in ogni singolo Paese si possono trovare per determinati eventi. Ciò vale non tanto perché questi aspetti si costituiscano come importanti in sé, ma perché possono essere funzionali nel suscitare un maggiore interesse e quindi una maggior voglia di conoscere e di applicare quel pensiero critico che consentirà di svolgere un’analisi sempre più accurata e scientifica.
Conclusioni
Giunto a questo punto mi pare di aver assolto almeno il primo compito che mi ero proposto, ovvero quello di fornire un’interpretazione del testo di Labriola per restituire la ricchezza delle forme e degli spunti che il costrutto dell’interesse ci fornisce. Come ho evidenziato, è un costrutto dalle molteplici sfaccettature. Per quanto riguarda l’uso di questo testo (Eco, 1990, p. 32), mi riservo di compiere, in passaggi successivi, una interrogazione degli ulteriori scritti di Labriola che ho accennato, per coglierne la prospettiva pedagogica interna al suo pensiero (Baldacci, 2017, p. 19). D’altronde, in questo primo momento, l’obiettivo è stato quello di far emergere esclusivamente la ricchezza del concetto di interesse elaborato da Labriola, per cogliere lo sviluppo delle sue idee all’interno delle sue opere, partendo dalla chiara fonte herbartiana fino a legarlo allo svolgimento della storia delle idee filosofiche e pedagogiche di un determinato periodo.
È proprio in questo senso che ho letto, nel concetto dell’interesse di Labriola, uno di quei nuclei concettuali germinativi che mi consente di seguirne, passo dopo passo, la coerenza e lo sviluppo dei diversi approdi. Garin stesso ci ricorda la complessità e l’evoluzione di questo autore: «dalla faticosa conquista del suo “socialismo”, del lungo viaggio dallo Hegel di Spaventa a un Marx aperto alle possibilità dell’avvenire e pronto ad essere “superato”, Labriola è ben consapevole della sua “eterna” inquietudine» (1983, p. 26). D’altronde, è un’inquietudine che guadagna via via consapevolezza e si dimostra tutta, come fa notare anche Bertoni Jovine (1961),nella convinzione più strenua che il progresso sociale e la possibilità di emancipazione delle donne e degli uomini passi attraverso la conoscenza e il sapere, perché senza questa possibilità, gli uomini non saranno popolo e nemmeno cittadini. È proprio per questa spinta emancipativa che Labriola riconosce alla cultura il concetto dell’interesse, ed è proprio attraverso la scuola, e in una scuola popolare, che individua la chiave di volta per la rottura delle catene che condannano l’uomo a uno stato subalterno.
Posso quindi sostenere come in questi scritti dedicati alla teoria pedagogica e alla storia sia già tutta presente, seppur in nuce, quella tensione che mira a modificare le condizioni di vita delle persone, perché attraverso l’educazione molte delle condizioni ambientali e sociali che determinano la vita degli uomini possono essere modificate in meglio. Nel concetto dell’interesse si può ritrovare, sebbene per molti versi ancora in potenza, tutta questa forza e tutta questa consapevolezza, che vuol fornire, attraverso un rinnovato alfabeto educativo e attraverso l’uso della ragione che costantemente critica il senso comune, la vera chiave di volta per una speranza di emancipazione di tutte le donne e di tutti gli uomini. Per questo è l’umanità nel suo insieme che torna ad essere protagonista, e trova nell’assillo per l’educazione l’urgenza di formare i più giovani a giudicare le cose, comprendendo così il mondo e i suoi meccanismi, nella speranza di poterli modificare e di dare, attraverso la cultura, una possibilità di uscire dalla subalternità e trovare una strada di emancipazione e di sviluppo per tutti.
Si apre, a questo punto, l’opportunità di mettere alla prova i nuclei concettuali dell’interesse con gli scritti che si occupano della concezione materialistica della storia, esplicitando una traccia di pensiero che dal suo punto di partenza, Herbart, giunge fino a Marx ed Engels, ma l’economia del presente lavoro non mi consente un approfondimento adeguato, che mi impegno tuttavia a sviluppare successivamente. In questo modo si potranno rinvigorire gli studi su quel filone storico che lega Labriola e Gramsci, sottolineando come questi apporti abbiano fornito degli spunti di interesse non solo per il campo storico, ma possano contribuire a leggere anche l’attualità con una consapevolezza più chiara e più matura dei processi che hanno condotto a tale costruzione. Questa è una storia che attraverso le sue radici rinnova sempre la sua utilità perché, fin quando si avrà come mira la consapevolezza di un sapere colto come occasione di progresso e di emancipazione umana, attraverso la molla dell’interesse e grazie all’utilizzo critico della ragione si potranno riscoprire quei nessi di causa effetto che legano gli eventi e guidano i processi storici attraverso le loro conquiste, per la creazione di una società sempre più giusta, per una società e una comunità umana che, riformulando le parole che si rincorrono tra Marx e Labriola, possa garantire il libero sviluppo di ciascuno come condizione del libero sviluppo di tutti.
Bibliografia
Baldacci M. (2017), Oltre la subalternità. Praxis e educazione in Gramsci, Roma, Carocci.
Bertoni Jovine D. (1961), Introduzione. In A. Labriola, Scritti di pedagogia e politica scolastica, Roma, Editori Riuniti.
Bondì D. (2013), La teoria della storia. Pasquale Villari e Antonio Labriola, Milano, Unicopli.
Borbone G. (2012), La rivoluzione culturale di Antonio Labriola. L’innesto creativo del marxismo nella tradizione della cultura italiana, Roma, Aracne.
Burgio A. (2005), Antonio Labriola nella storia e nella cultura della nuova Italia, Macerata, Quodlibet.
Eco U. (1990), I limiti dell’interpretazione, Milano, Bompiani.
Labriola A. (1983), Epistolario (3 voll.), Roma, Editori Riuniti.
Labriola A. (2014), Tutti gli scritti filosofici e di teoria dell’educazione, Milano, Bompiani.
Miccolis S. (2010), Antonio Labriola: saggi per una biografia politica, Milano, Unicopli.
Sanzo A. (2012), L’opera pedagogico-museale di Antonio Labriola e il Museo d’istruzione e di educazione, Roma, Nuova Cultura.
Siciliani De Cumis N. (2007), Antonio Labriola e la Sapienza: tra testi, contesti, pretesti, Roma, Nuova Cultura.
Siciliani De Cumis N. (2011), Labriola dopo Labriola. Tra nuove carte d’archivio, ricerche, didattica, Pisa, Edizioni ETS.
Szpunar G. (2008), Le carte di Antonio Labriola: archivio dell’Università degli Studi di Roma «La Sapienza», Roma, Nuova Cultura.
1 Ricercatore RtdB M-Ped/02, Università degli Studi di Urbino «Carlo Bo».
2 Università degli Studi di Urbino «Carlo Bo».
3 Penso, tra gli ultimi, a studi come: Bondì D. (2013), La teoria della storia. Pasquale Villari e Antonio Labriola, Milano, Unicopli; Borbone G. (2012), La rivoluzione culturale di Antonio Labriola. L’innesto creativo del marxismo nella tradizione della cultura italiana, Roma, Aracne; Burgio A. (2005), Antonio Labriola nella storia e nella cultura della nuova Italia, Macerata, Quodlibet; Miccolis S. (2010), Antonio Labriola: saggi per una biografia politica, Milano, Unicopli; Sanzo A. (2012), L’opera pedagogico-museale di Antonio Labriola e il Museo d’istruzione e di educazione, Roma, Nuova Cultura; Siciliani De Cumis N. (2007), Antonio Labriola e la Sapienza: tra testi, contesti, pretesti, Roma, Nuova Cultura; Siciliani De Cumis N. (2011), Labriola dopo Labriola. Tra nuove carte d’archivio, ricerche, didattica, Pisa, Edizioni ETS; Szpunar G. (2008), Le carte di Antonio Labriola: archivio dell’Università degli Studi di Roma «La Sapienza», Roma, Nuova Cultura.
Vol. 8, Issue 2, October 2022