Vol. 8, n. 1, aprile 2022

TEORIA DELLA FORMAZIONE: CONTESTI SCOLASTICI

Scuola italiana e digitalizzazione

Temi e problemi educativi

Tommaso Farina1

Sommario

Durante la pandemia, i contesti educativi si sono dovuti riorganizzare, trasferendo la didattica dai luoghi fisici ai setting virtuali. Ciò ha reso evidente la necessità di ripensare le competenze degli insegnanti, integrando quanto prima nei curricula i saperi teorico-pratici tipici delle ICT. Tra i rischi connessi al mancato trasferimento di competenze informatiche al corpo docente dei diversi ordini scolastici c’è quello che gli importanti investimenti previsti dal PNRR 2021— in termini di dotazioni tecnologiche e digitalizzazione delle scuole italiane — non siano sufficienti a colmare il digital divide del nostro Paese. Si ritiene, pertanto, che tra le attuali sfide della Pedagogia, con particolare riferimento all’istruzione terziaria e all’aggiornamento professionale degli insegnanti, vi sia, da un lato, l’urgenza di riflettere in modo significativo sulla natura dei processi di apprendimento delle generazioni di nativi digitali; dall’altro, la necessità di una co-progettazione pedagogica, tecnologica e didattica di dispositivi sempre più fondati sulle potenzialità informative, collaborative e apprenditive della rete e delle nuove piattaforme online per la Didattica Digitale Integrata.

Parole chiave

Scuola, Internet, Digitalizzazione, Formazione, Divario digitale.

THEORY OF TRAINING: SCHOOL CONTEXTS

Italian School and digitalization

Some questions for the educational contexts

Tommaso Farina2

Abstract

During the pandemic, the educational contexts reorganized themselves and inevitably transferred teaching from physical places to virtual settings. This fact clarified the need to rethink teachers’ skills in a perspective of integration of ICT’s theoretical and practical knowledge in their curricula. In fact, the risk related to the failure of transferring this knowledge to teaching staffs is that technological equipment and school digitalization, as required by the Italian «PNRR 2021» investments plan, will be inadequate to bridge the digital divide in our Country. For this reason, among the main challenges of Pedagogy, particularly referred to tertiary education and the professional teachers’ updating, there is the urgency to significantly reflect on the nature of digital natives’ learning processes. Furthermore, a pedagogical, technological, and didactic co-design of learning devices, increasingly based on the informative and collaborative potential of the Web and the online platforms for DDI is needed.

Keywords

School, Internet, Digitalization, Teacher’s training, Digital divide.

Introduzione

L’impatto della pandemia da SARS-CoV-2 ha avuto, e continua ad avere, forti ripercussioni a livello globale sul piano economico e sociosanitario, così come su quello politico e culturale. Anche nel nostro Paese, i contesti educativi e formativi di ogni ordine e grado hanno dovuto fare i conti con la necessità, da un lato, di ridefinire in brevissimo tempo le metodologie e i processi di insegnamento; dall’altro, di rimodulare i dispositivi didattici in funzione del transito dell’insegnamento curricolare dalle aule fisiche a quelle virtuali. Con non poche difficoltà legate all’utilizzo delle piattaforme online per la Didattica a Distanza, giacché «a parte l’organizzazione visiva, spaziale e temporale di questa metodologia, pure diversi sono gli approcci didattico-relazionali che, nei Paesi più preparati, si realizzano da tempo» (Corsi, 2020, p. 89). Notevoli, altresì, sono le differenze tra Paesi negli investimenti in tecnologie per l’apprendimento e la formazione degli insegnanti, e le applicazioni delle tecnologie dell’informazione nei contesti scolastici, sia dal punto di vista didattico sia da quello delle procedure amministrative (Gaziel e Warnet, 2000, p. 23). Le nuove sfide pedagogiche, dunque, non hanno riguardato solo i discenti, ma anche i docenti, i quali «hanno dovuto riprogettare interventi e costruire e utilizzare nuovi strumenti tecnologici, cercando di garantire comunque il significato pedagogico delle proprie azioni» (Fermani et al., 2020, p. 138). I cambiamenti indotti dagli eventi pandemici nei processi di trasmissione della conoscenza in ambito scolastico, tuttavia, rappresentano anche un’importante opportunità, sia in termini di ridefinizione delle identità professionali dei docenti, sia di verifica dell’efficacia delle scelte pedagogiche e educative dei medesimi. Nondimeno, affrontare la ridefinizione delle dinamiche che regolano i processi di apprendimento, sul piano formativo, significa accrescere la propria consapevolezza sull’importanza del ruolo dei singoli all’interno di un gruppo di lavoro (il corpo docente) o del medesimo gruppo di lavoro all’interno della scuola: un sistema ampio, organizzato e inter-attivo (Wenger, 2006). Da un lato, dunque, i docenti come potenziali agenti di apprendimento e innovazione organizzativa (Rossi, 2011); dall’altro, la scuola come sistema in costante evoluzione, chiamato a identificare infrastrutture, piattaforme e modalità di erogazione dei programmi didattici senza disincentivare i discenti alla fruizione degli stessi, ma valorizzando nuovi strumenti e strategie di trasmissione e socializzazione della conoscenza.

Il nodo gordiano dell’alfabetizzazione digitale in Italia

La progressiva introduzione della DAD e della DDI da parte del Governo italiano in risposta agli eventi pandemici ha confermato le già note difficoltà di adeguamento del nostro Paese agli standard europei di alfabetizzazione digitale. Nel dossier della Conferenza interparlamentare sulla trasformazione digitale nell’istruzione — realizzato congiuntamente, nel dicembre del 2021, dal Servizio Studi Dossier Europei del Senato della Repubblica e dall’Ufficio Rapporti con l’Unione Europea della Camera dei deputati — si sottolinea che, in base all’indice DESI (European Commission, 2021) sulla digitalizzazione dell’economia e della società, l’Italia attualmente si colloca al 20º posto del ranking generale relativo ai 27 Stati membri dell’Unione Europea. Nonostante alcuni piccoli passi avanti in termini di copertura e di diffusione della rete internet sul territorio nazionale, così come nell’utilizzo di servizi di e-government e nell’integrazione di tecnologie digitali da parte delle piccole e medie imprese italiane — si legge nel dossier —, il nostro Paese è ancora significativamente in ritardo rispetto alla media degli altri Stati europei, sia sui livelli di competenze digitali di base sia su quelli avanzati. Nello specifico, in Italia il 42% dei cittadini d’età compresa tra i 16 e i 74 anni è in possesso di competenze digitali di base (su una media UE del 56%), mentre il 22% è in possesso di competenze digitali superiori a quelle di base (su una media UE del 31%). Inoltre, la percentuale di specialisti italiani in tecnologie dell’informazione e della comunicazione sarebbe pari al 3,6% del totale degli occupati, ancora al di sotto della media UE (4,3%), e solo l’1,3% degli studenti universitari italiani sceglierebbe di laurearsi in discipline ICT: un dato, quest’ultimo ben al di sotto del 3,9% della media UE (Senato della Repubblica e Camera dei deputati, 2021, pp. 14-16). I dati appena descritti sono emblematici delle attuali difficoltà nel trasferimento — ai futuri docenti in formazione, così come a quelli in aggiornamento — di conoscenze e competenze informatiche e comunicazionali caratterizzanti le nuove tecnologie digitali, e sembrano affondare le proprie radici in una generalizzata renitenza culturale delle discipline e delle tematiche riguardanti l’Information and Communication Technology. Un’ulteriore conferma arriva dal rapporto pubblicato a febbraio 2021 dal Centro di Ricerca Innocenti dell’UNICEF assieme all’Università Cattolica del Sacro Cuore, nel quale, a partire dai dati OCSE contenuti nella Teaching and Learning International Survey del 2018, si sottolinea come la metà degli insegnanti italiani sostenga di non avere ricevuto un’adeguata formazione sull’utilizzo della tecnologia ai fini didattici o non si senta pronta a utilizzarla (Mascheroni et al., 2021, p. 13). Che la riqualificazione e l’aggiornamento degli insegnanti in materia di nuove tecnologie siano temi chiave per il rilancio del sistema di istruzione italiano lo si evince anche da una lettura delle voci del PNRR (MEF, 2021). Quella dedicata a Didattica digitale integrata e formazione sulla transizione digitale del personale scolastico, infatti, corrisponde alla pianificazione di un investimento significativo: 800 milioni di euro in totale, di cui 30 già spesi nel 2021 e 130 stanziati per il 2022. Inoltre, secondo il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, possibilità concrete di sviluppo delle competenze didattiche digitali degli insegnanti potranno essere garantite anche dall’istituzione di un sistema per la formazione continua e dall’adozione di un quadro di riferimento nazionale volto ad accelerare la transizione digitale in tutte le scuole (MEF, 2021). L’investimento sul capitale umano e, in particolare, sulla formazione del personale docente, quindi, sembra rappresentare una risorsa strategica fondamentale per la tenuta del sistema scolastico negli anni a venire. Ma poiché non sempre a investimenti in formazione e sviluppo tecnologico corrispondono risultati tangibili nel medio periodo, si ritiene fondamentale che le misure adottate in tema di digitalizzazione della scuola e aggiornamento del personale siano parte integrante di una strategia generale — e non esclusivamente di un assetto emergenziale — di miglioramento del sistema scolastico, dove «i risultati attesi dovranno essere precisati, così come le misure che saranno prese per assicurare che la tecnologia apporterà una differenza considerevole nel processo di lavoro della scuola» (Gaziel e Warnet, 2000, p. 24). Da questo punto di vista, tuttavia, il nostro Paese sembrerebbe non rappresentare un esempio virtuoso, né in termini di efficacia nella pianificazione né in termini di efficienza nella traduzione di progetti in programmi attuativi. Basti pensare al Piano Nazionale Scuola Digitale (PNSD), importante documento di indirizzo attraverso il quale, già nel 2007, il MIUR aveva annunciato la sua strategia di innovazione della scuola italiana per un nuovo posizionamento del sistema educativo nell’era di internet. Tra il 2007 e il 2013, grazie ai fondi strutturali europei, il Governo italiano ha investito circa 500 milioni di euro in formazione del personale docente sulle nuove tecnologie (PNSD, 2015, p. 15). E ancora, per il settennio 2014-2020, tra i fondi stanziati dalla legge 107/2105 sulla Buona Scuola e quelli previsti dalla programmazione europea, unitamente a ulteriori fondi stanziati dal MIUR, l’investimento complessivo ha raggiunto la cifra di 1 miliardo e 100 milioni di euro (PNSD, 2015, p. 129). Le numerose azioni programmatiche contemplate dal PNSD prevedevano il raggiungimento — che avrebbe dovuto concretizzarsi nell’arco degli ultimi 15 anni — di obiettivi «considerati critici ma comunque raggiungibili» (PNSD, 2015, pp. 26), tali da consentire un miglioramento complessivo di tutto il sistema scolastico, abbracciando in modo trasversale una pluralità di tematiche: dall’accesso alla rete all’aggiornamento degli spazi e degli ambienti per l’apprendimento; dalla riorganizzazione digitale degli uffici amministrativi all’identità digitale; dall’alfabetizzazione informatica e digitale dei discenti al transito degli stessi dalla scuola e dall’università al mondo del lavoro, con particolare riferimento alle carriere scientifiche in ambito STEAM; dalla produzione di conoscenza attraverso i contenuti digitali fino ad arrivare al nodo critico del trasferimento di nuovi paradigmi metodologici e formativi all’intero personale docente.

Difficoltà legate alla digitalizzazione durante la pandemia

Alla luce delle articolate indicazioni programmatiche e delle significative voci di spesa presenti nel PNSD verrebbe da chiedersi cosa sia effettivamente successo dal 2007 a oggi. Ovvero, seguendo quali direttrici e ottenendo quali risultati siano state utilizzate le risorse economiche elencate nel sopracitato documento d’indirizzo. È evidente, infatti, come dal 4 marzo del 2020 in poi, con la promulgazione del primo DPCM relativo all’introduzione della DAD, l’istruzione scolastica italiana erogata attraverso piattaforme digitali abbia pericolosamente vacillato o, quantomeno, abbia faticosamente retto all’onda d’urto degli eventi pandemici, nonostante da 15 anni a questa parte si stesse lavorando su più fronti al setup di un sistema scolastico 2.0. Anche in questo caso, i dati mettono in luce lacune e fragilità strutturali sul piano dell’alfabetizzazione informatica, che riguardano in egual misura la scuola e le famiglie italiane, confermando che le conseguenze del divario tecnologico, ancorché prevedibili, rischiano di condannare la Didattica a Distanza e la Didattica Digitale Integrata a uno stato di permanente assetto emergenziale, rendendo improbabile un’efficace sistematizzazione delle stesse. Quello italiano non è certo un caso isolato: si stima che nel mondo, durante il primo anno di pandemia, oltre 1 miliardo e 600 milioni di giovani abbiano interrotto le normali attività scolastiche, e che il 12,3% del totale non fosse provvisto di un personal computer o di un dispositivo mobile domestico per seguire le lezioni a distanza (ASviS, 2020, p. 95). Nondimeno, nel già citato rapporto UNICEF si stima che, in base ai dati ISTAT del 2019 sul livello di connettività delle famiglie italiane, circa 3 milioni di giovani tra i 6 e i 17 anni di età si sono trovati in difficoltà nella fruizione di attività formative a distanza durante i periodi di lockdown. Ciò sarebbe dipeso sia dall’instabilità o dalla scarsa velocità della rete fissa sia dalla mancanza di un numero di dispositivi informatici adeguato a soddisfare le necessità — non solo formative ma anche lavorative, considerando i periodi di smart working obbligatorio — di tutti i componenti del nucleo familiare. In particolare, il disagio avrebbe riguardato famiglie numerose, a basso reddito o inserite in contesti socioeconomici svantaggiati (Mascheroni et al., 2021, pp. 6-8) nei quali, generalmente, le stesse hanno «meno disponibilità di dispositivi digitali e di una connessione veloce a internet in casa, oltra a vivere con maggiore probabilità in situazioni di sovraffollamento abitativo: condizione non ottimale per seguire le lezioni a distanza» (Bovini e De Philippis, 2021, p. 4). Rispetto alla continuità dell’istruzione scolastica, dunque, le principali problematiche affrontate dalle famiglie hanno riguardato sia le difficoltà di accesso alla rete internet e la scarsa disponibilità di dispositivi per la fruizione delle lezioni — indipendentemente dalle modalità, sincrona o asincrona — sia la co-gestione (o con-gestione) dello spazio domestico e del tempo formativo/lavorativo. La scuola, d’altra parte, ha dovuto affrontare le difficoltà legate al divario tecnologico — e aggravate dall’emergenza sanitaria — su almeno due fronti: il primo, quello educativo-didattico, attinente all’aggiornamento dei docenti su competenze teorico-pratiche in materia di ICT, nonché alla delicata (e insolita) gestione dell’interazione con i discenti attraverso le piattaforme online; il secondo, quello amministrativo, relativo all’approvvigionamento di nuovi supporti informatici, dispositivi digitali e router, da fornire in comodato d’uso agli studenti meno abbienti o alle scuole che ne fossero sprovviste previo accesso ai fondi stanziati dal Decreto Ristori (MIUR, 2020). Non ultima, a complicare una situazione già delicata si è aggiunta la necessità strategico-organizzativa — legata all’autonomia scolastica — di allestimento degli spazi per le riaperture, di garanzia delle condizioni igienico sanitarie degli istituti e dell’acquisto di dispositivi di protezione e igiene personale (DM 186/2020). Il fronte più sensibile, naturalmente, è risultato essere quello educativo-didattico, in un momento storico in cui, giocoforza, i modelli educativi e didattici tradizionali sono stati messi in discussione. Da questo punto di vista, lo studio promosso nel 2020 dalla Società Italiana di Ricerca Didattica, riguardante le differenti modalità con le quali la DAD è stata adottata sul territorio nazionale durante la pandemia (SIRD, 2020), ha mostrato risultati interessanti. Le principali criticità emerse dalle risposte a un questionario online, somministrato a oltre 16.000 docenti tra scuola dell’infanzia, scuola primaria, scuola secondaria di primo e secondo grado e C.P.I.A., hanno riguardato principalmente due aree. Da un lato, quella della programmazione, che ha visto un aumento generalizzato dei carichi di lavoro legato alle necessità di una sostanziale ridefinizione dell’offerta formativa «sia sul fronte dei contenuti sia su quello delle metodologie/attività didattiche nel passaggio da una didattica in presenza, o blended, nel migliore dei casi, a una didattica interamente a distanza» (Capperucci, 2020, p. 16). Dall’altro, quella dell’alfabetizzazione digitale e delle competenze informatiche di educatori e insegnanti, per una gestione efficace e inclusiva dei dispositivi e delle infrastrutture tecnologiche a disposizione.

Per una rilettura dei processi di apprendimento dei nativi digitali

Considerate le criticità sul versante del digital divide italiano e — dal punto di vista educativo e didattico — le difficoltà del nostro sistema scolastico nell’acquisizione di competenze che consentano ai docenti di sfruttare appieno le potenzialità della rete, si ritiene utile approfondire un ulteriore aspetto legato al tema dell’alfabetizzazione digitale, stavolta relativo ai discenti. Si tratta di capire, cioè, quali siano gli stili di apprendimento dei giovani utilizzatori di linguaggi multimediali e quale la volontà comunicativa e di socializzazione dei medesimi durante l’esplorazione e l’attraversamento di territori virtuali con finalità didattiche. Se per i docenti, infatti, è fondamentale risintonizzarsi con le intenzionalità comunicative, le modalità relazionali e le esigenze formative dei discenti, ciò non può prescindere dalla comprensione dell’approccio fluido e flessibile ai contenuti della conoscenza che le generazioni di nativi digitali, in quanto tali, adottano naturalmente (Romanazzi e Farina, 2021). Da questo punto di vista, le restrizioni imposte dalla pandemia — e la necessità di tradurre il tempo scolastico dell’apprendimento e della socializzazione in un surrogato domestico dello stesso — hanno messo in luce quanto la rete e le tecnologie digitali siano diventate strumenti irrinunciabili di interazione, comunicazione e apprendimento per le nuove generazioni. Se, infatti, consideriamo l’interazione come fenomeno centrale per comprendere internet e la rete come un sistema di azioni, ci renderemo conto che ad accomunare azione e interazione è proprio l’aspetto comunicativo (Ardizzone e Rivoltella, 2003). Da qui l’importanza di comprendere, in veste di educatori e insegnanti, quali siano le forme di comunicazione adottate dalle nuove generazioni e quali le dinamiche relazionali docente-discente in atto durante l’utilizzo di piattaforme digitali. È noto, ad esempio, che i processi di comunicazione multimediale impongano un approccio attentivo pluri-orientato, giacché discontinuo e frammentato a causa dei molteplici stimoli visivi e sonori. Il rischio connesso a questo tipo di stimolazione è che la fruizione dei contenuti risulti più superficiale, sebbene comunque sufficiente a cogliere i significati fondamentali delle informazioni, dei testi o delle spiegazioni (Blezza Picherle, 2015). Inoltre, l’ampia diffusione di contenuti digitali, testuali o visuali, e la conseguente tendenza dei nativi digitali a prediligere questo tipo di dispositivo — sia esso ludico-intrattenitivo o didattico — al libro cartaceo (ISTAT, 2021) stanno contribuendo in modo significativo a trasferire le competenze tipiche della fruizione multimediale ai processi analogici. Basti pensare al modo in cui, a casa così come a scuola, i discenti approcciano un testo scritto con modalità fruitive caratterizzate da browsing, ovvero da una lettura esplorativa, personalizzata e non-lineare, caratterizzata dallo scorrimento rapido delle righe e delle pagine e dall’individuazione di parole chiave. Una modalità che ha come dirette conseguenze sia la difficoltà a seguire la sequenza narrativa sia un rapido calo delle risorse attentive (Blezza Picherle, 2015). In altri termini, i nuovi media stanno consolidando un apprendimento fortemente sbilanciato sulla visione, in cui «l’immagine riveste un ruolo prioritario, di veridicità e di autosufficienza (si guarda e si crede di avere capito), mentre la parola diventa secondaria e si riduce spesso a commentare ciò che viene mostrato» (Blezza Picherle, 2015, p. 24). I rischi connessi a questa modalità apprenditiva sono quelli di un indebolimento delle capacità creative ed espressive del pensiero dei giovani, sempre meno abituati a formarsi attraverso il linguaggio, scritto e parlato, perché attratti (e sedotti) dal mondo delle immagini. Per questa ragione, di fronte alla complessità delle tecnologie dell’informazione — nonché alla naturale predisposizione delle nuove generazioni a interagire e apprendere per mezzo di esse — si ritiene di fondamentale importanza che educatori e insegnanti, presenti e futuri, vengano formati a un uso competente e consapevole degli strumenti digitali. Uno sguardo costantemente rivolto alla fruizione critica e problematizzante della pressoché illimitata quantità di contenuti di cui oggi i giovani possono disporre, consentirà ai setting formativi che caratterizzano la DAD e la DDI di non rinunciare alla propria funzione primaria di contesti cognitivi e relazionali (Rossi, 2009). Si ritiene, inoltre, quanto mai opportuna una co-progettazione pedagogico-tecnologico-didattica di dispositivi che siano in grado, da un lato, di cogliere le capacità informative e apprenditive della ret, dall’altro, di facilitare gli apprendimenti anche attraverso esperienze scolastiche mirate a ridimensionare l’iperstimolazione sensoriale che caratterizza i nuovi media e che sta gradualmente modificando gli stili cognitivi e relazionali dei discenti. Nondimeno, comprendere le modalità attraverso le quali i giovani nativi digitali operano una sovrapposizione tra ambiente fisico e ambiente virtuale — la cui risultante è un unicum nel quale i media tradizionali e i nuovi media sono perfettamente complementari — significa comprendere quali forme di adattamento creativo essi mettano in atto; come riescano a organizzare spazi e tempi tra online e offline mantenendo i due livelli in continua relazione anziché in opposizione; quali strategie mettano in atto per dare forma all’universo digitale (Giaccardi, 2010, p. 2). Scrive ancora la sociologa Chiara Giaccardi, sulle forme di adattamento dei giovani ai nuovi territori virtuali:

Il continente digitale richiede forme specifiche di adattamento e tende a stabilizzare disposizioni durevoli, basate sul primato della percezione, sulla circolazione di etichette che orientano la valutazione, sulla costruzione di corpi socializzati ai modelli di esibizione di sé e riconoscimento sociale, che sollecitano forme imitative. Più che di mutamenti antropologici, si tratta di adattamenti sollecitati da mutamenti ambientali (Giaccardi, 2010, p. 3).

Dal punto di vista pedagogico, gli ambienti online offrono la possibilità di vivere un’esperienza di apprendimento diversa da quella vissuta abitualmente a scuola, ma comunque rappresentano uno spazio «nel quale si entra e dal quale si esce in base a decisioni soggettive e di progetto personale, che si frequenta per porsi in sperimentazione di sé e di una realtà possibile […], all’interno del quale l’esperienza può diventare più intensa in base alla frequenza e alle relazioni che si stabiliscono» (Magnoler, 2009, p. 212). Il transito in questi territori è in grado di originare, educativamente, momenti di cambiamento e trasformazione proprio nel momento in cui «operano delle rotture, fanno emergere dei conflitti sopiti e presentano piste di soluzione, facendo rivedere i vissuti secondo prospettive diverse» (Magnoler, 2009, p. 213). Tuttavia, ciò può avvenire solo se educatori e insegnanti saranno preparati, da un lato, a gestire le piattaforme tecnologiche, dall’altro, a guidare i discenti all’interno delle stesse, gestendo le aule virtuali al pari di quelle fisiche. Fino a un uso competente dell’approccio blended che, per le sue caratteristiche di flessibilità, scalabilità, ibridazione e personalizzazione dell’apprendimento, si configura come una delle forme di trasmissione della conoscenza più adatte a connotare la scuola nella società complessa (Proli, 2020).

Conclusioni: verso una nuova postura professionale

Le potenzialità di cui le ICT si fanno portatrici attraverso i sistemi di comunicazione non si esauriscono solamente nel velocizzare e rendere capillare la diffusione delle informazioni, ma «si moltiplicano generando spazi sociali in cui le interconnessioni si sviluppano, attivando diffusi processi di interazione e di integrazione culturale» (Pignalberi, 2013, p. 30). La varietà e la potenzialità delle tecnologie digitali, tuttavia, fanno sì che esse non possano essere naturalmente metabolizzate: sarà piuttosto il sistema scolastico nel suo complesso a doversi modificare per abbracciarle completamente. Più precisamente, poiché le tecnologie digitali avranno comunque — lo si è visto durante la pandemia — delle ricadute sull’apprendimento, è indispensabile che educatori e insegnanti si mettano nella condizione di padroneggiarne l’uso, sfruttarne le potenzialità e mettere le stesse al servizio dell’educazione (Laurillard, 2012, pp. 16-17). Per ogni nuova tecnologia sarà opportuno chiedersi quali siano le possibilità offerte dalla stessa per il raggiungimento di scopi educativi. Ma poiché quasi tutte le tecnologie digitali sono progettate secondo metodi e approcci distanti da quelli pedagogici e educativi, dovranno essere per primi gli educatori e gli insegnanti ad avere chiaro quali obiettivi raggiungere attraverso il loro utilizzo. Non bisogna dimenticare, inoltre, che le nuove piattaforme digitali per l’apprendimento si configurano come tecnologie della conoscenza, nel senso che intervengono sul nostro rapporto con ciò che viene conosciuto e modificano le modalità con cui si conosce, ovvero modellano ciò che si apprende cambiando come si apprende (Laurillard, 2012, p. 18). Educatori e insegnanti, tuttavia, devono opporsi all’idea che grazie alle nuove tecnologie gli studenti, in quanto nativi digitali, possano agire in completa autonomia. Al contrario, le stesse tecnologie attribuiscono a tutte le professionalità educative un ruolo ancora più importante, che non è semplicemente quello di mediatore di conoscenze già articolate. Piuttosto, si tratta di un ruolo di tutor-facilitatore, con una funzione di supporto agli studenti nell’organizzazione del pensiero e nello sviluppo dei nuovi tipi di competenze di cui essi avranno bisogno per comprendere i materiali digitali (Laurillard, 2021, pp. 19-20). Se, da un lato, i governi, presenti e futuri, saranno in grado di mettere a sistema investimenti a sostegno di ricerche rigorose sugli approcci di Didattica a Distanza, Didattica Digitale Integrata e blended learning, al fine di comprendere come adeguare e migliorare i sistemi educativi (Mascheroni et al., 2021, p. 23); dall’altro, quale dovrà essere l’atteggiamento della scuola — e, con essa, degli educatori e degli insegnanti — per realizzare la tanto auspicata innovazione tecnologica? La scelta — sottolinea Pier Cesare Rivoltella — anzitutto, deve orientarsi verso soluzioni tecnologiche improntate a convergenza e mobilità, con una chiara consapevolezza dei compiti. Sta al sistema scolastico dotarsi di adeguate infrastrutture, sia in termini di connettività sia di dispositivi didattici. I setting educativi dovranno essere caratterizzati da soluzioni improntate al basso impatto e alla naturalizzazione delle tecnologie, mentre le classi dovranno poter cambiare assetto a seconda del tipo di lavoro didattico: frontale per la lezione, a isole per le attività laboratoriali, in cerchio per la discussione e il debriefing metacognitivo (Rivoltella, 2019). Per sfruttare al massimo le opportunità offerte dalla tecnologia, occorrerà orientare la didattica all’integrazione e alla conversazione. Sarà necessario, infine, sviluppare negli educatori e negli insegnanti conoscenze in ambito ICT, affinché essi siano nelle condizioni di ricorrere alle tecnologie nel loro lavoro in maniera inclusiva e consapevole: dal punto di vista strumentale, dei linguaggi e delle potenzialità espressive (Ardizzone e Rivoltella, 2008). Solo quando tali competenze diventeranno di pertinenza di ogni singolo insegnante connoteranno la nuova postura, educativa e professionale, di cui la scuola — di oggi e di domani — ha fortemente bisogno (Rivoltella, 2019).

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1 Dottorando presso il Dipartimento di Scienze della formazione, dei beni culturali e del turismo dell’Università di Macerata.

2 Università di Macerata.

Vol. 8, Issue 1, April 2022

 

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