Vol. 8, n. 1, aprile 2022 — pp. 1-3

EDITORIALE

La via pedagogica alla pace

Mentre scrivo queste righe, il conflitto determinato dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia infuoca ormai da due settimane. La guerra, nella sua oscenità morale, è tornata a insanguinare l’Europa. E a colpire la popolazione civile: le donne, i vecchi, i bambini. Al momento attuale, non sono prevedibili gli sviluppi che avrà questa aggressione bellica.

L’analisi dei fattori geopolitici che hanno portato a questa situazione non sembra difficile, ma non compete a una rivista pedagogica. Se il concetto dell’educazione è quello di una crescita dell’umanità dell’uomo, tale crescita può avvenire pienamente solo nella pace. Pertanto, il compito della pedagogia è quello di pensare la pace, in quanto condizione di una piena educazione. E concorrere a una educazione capace di promuovere una cultura di pace. A questo proposito, rappresenta ancora un esempio luminoso il pensiero di Maria Montessori, della quale ricorre quest’anno il settantesimo anniversario della scomparsa.

Nel pieno di quello che Polanyi (in La grande trasformazione, 1944) ha definito come il «cataclisma» sociale e culturale degli Anni Trenta — che sarebbe culminato con la Seconda guerra mondiale —, ella pronunciava una serie di conferenze sulla pace: la prima a Ginevra nel 1932, l’ultima a Londra nel 1939. In tali conferenze, senza negare il ruolo della politica, il raggiungimento della condizione irenica (vista non come mera assenza della belligeranza, ma come situazione di umana concordia) viene affidato risolutamente all’educazione. In particolare, nella Conferenza del 1932, ella indica in un rapporto adulto/bambino liberato da ossessioni autoritarie un viatico per la promozione della pace. Questa, infatti, non può attecchire se i bambini crescono nel quadro del diritto del forte a prevaricare sul debole. Nello stesso torno di tempo, la Montessori enuncia la prospettiva dell’educazione cosmica, che si basa sull’idea dell’armonia universale tra tutti gli esseri viventi. Di fronte alle tenebre che dilagavano, Maria Montessori accese il lume dell’utopia: mentre il mondo scivolava verso l’odio e la guerra, ella esortava alla pace e all’armonia tra gli uomini. Un’utopia che riaffermava la fede nell’educazione per l’edificazione di un mondo nuovo. Ella avrebbe meritato il Nobel per la pace, al quale fu candidata.

Certamente, il pensiero della Montessori — sebbene ispirato a una commovente fede nell’educazione — rimane di natura utopica, e non sarebbe corretto individuare in esso la soluzione del problema della pace. Altri pensatori, invece che sostare nello spazio dell’utopia, hanno preferito cercare di individuare le condizioni oggettive di possibilità della pace. Tra questi è d’obbligo indicare il Kant dell’opera Per la pace perpetua (1795). Secondo questo studioso, lo stato naturale dell’uomo non è la pace, bensì la guerra. La pace richiede di essere istituita attraverso un impegno storico, volto a realizzare le sue condizioni. E se tali condizioni non saranno soddisfatte, non sarà concesso «altro posto alla pace perpetua che non il grande cimitero del genere umano». Parole che suonano come un monito per tutti gli uomini. Le condizioni elaborate da Kant sono di genere politico-giuridico, e riguardano il diritto internazionale e cosmopolitico. Non ci soffermeremo analiticamente su di esse, ma intendiamo evidenziare quello che Veca — nella Prefazione all’edizione del 1995 di questa opera di Kant — indica come il motivo loro sottostante: l’idea di una universalizzazione della giustizia. In altre parole, senza giustizia non è possibile una pace durevole. E questo vale sia per i rapporti entro gli Stati che per quelli tra gli Stati. La giustizia deve assumere una dimensione planetaria. Inoltre, sempre secondo Veca, «nella filosofia di Kant, l’argomento a favore dell’universalismo è connesso al ruolo che si attribuisce alla risorsa della ragione». Il perché l’universalismo sia connesso alla ragione viene chiarito bene da un altro filosofo neokantiano, Hare (Scegliere un’etica, 2006): concretamente, l’universalità corrisponde alla reciprocità, ossia a volere solo quelle situazioni nelle quali si accetterebbe uno scambio di ruolo con l’altro (detto alla buona, al sapersi mettere al posto dell’altro per valutare l’accettabilità di una situazione). Cioè, la ragione consiste nella capacità di riconoscere le ragioni dell’altro, senza la quale non vi può essere reciprocità, né universalismo. Qui la via di Kant è destinata a incontrare quella della Montessori. Perché anche la ragione non è una condizione naturale dell’uomo, ma deve essere attivamente istituita. E l’unico modo per realizzarla è l’educazione. Una educazione alla ragione appare perciò come una condizione per rendere possibili ed efficaci le oggettive condizioni politiche della pace. Solo un uomo coltivato nella ragione può aprirsi a un autentico impegno universalistico per la giustizia su scala planetaria. Ma il tipo di ragione che occorre non è quello semplicemente monologico, bensì quello dialogico. Soltanto nel dialogo vi può essere il riconoscimento reciproco delle rispettive ragioni, e soltanto dal dialogo può nascere la ricerca di una soluzione capace di contemperare le differenti ragioni. La pace non è la semplice assenza di conflitto, e nemmeno una situazione di passiva concordia. Questa, infatti, rischia di scivolare nel quieto vivere agognato dallo spirito bottegaio, che non vuole seccature per potersi dedicare ai suoi affari privati. La pace deve includere la regolazione non violenta del conflitto, del disaccordo, che è un fenomeno ordinario della vita sociale. E la composizione pacifica del disaccordo richiede il dialogo tra agenti ragionevoli, mutuamente disponibili ad ascoltare e a riconoscere le ragioni dell’altro e a cercare insieme una soluzione. Così, l’educazione alla pace non è diretta, bensì indiretta. Mira a coltivare gli abiti che fanno parte delle condizioni di possibilità della pace. L’educazione alla ragione e quella al dialogo sono perciò da considerare tra i suoi aspetti principali. Si tratta di una via che richiede un impegno di lunga durata, e che non può promettere niente di sicuro, perché può soltanto contribuire a creare alcune condizioni per la possibilità della pace. Ma senza queste condizioni lo spettro kantiano del cimitero del genere umano sembra una eventualità reale.

Massimo Baldacci

 

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