Vol. 6, n. 2, ottobre 2020 — pp. 1-3

EDITORIALE

La pandemia e la didattica a distanza

Durante il cosiddetto lockdown, la didattica a distanza (Dad) è stata una necessità. Adesso che la fase acuta dell’emergenza sembra in via di superamento, è il momento per ripensare criticamente questa soluzione. Questo ripensamento ha un doppio scopo: da un lato evitare entusiasmi acritici per la Dad; dall’altro costruire i presupposti per riflettere sul rapporto tra questa e la didattica in presenza.

In questo Editoriale ci limiteremo a indicare tre cornici per pensare criticamente la Dad e per comprendere che — per quanto riguarda la scuola (per la formazione degli adulti il discorso sarebbe diverso) — essa può integrare la didattica in presenza, ma non la può sostituire.

Prima cornice: il senso delle tecnologie della comunicazione. A questo proposito, occorre non smarrire la distinzione tra modernizzazione tecnologica e modernità culturale:1 la prima non coincide con la seconda, e questa non è riducibile a quella. La modernità culturale rinvia all’orizzonte dell’emancipazione umana, alla crescita culturale e intellettuale di tutti i giovani come presupposto della loro autonomia di pensiero; si tratta dell’orizzonte verso cui deve tendere la scuola della Costituzione. Tale orizzonte non è automaticamente garantito dalla modernizzazione tecnologica, che riguarda l’innovazione dei mezzi di comunicazione e non il senso del loro uso. Le nuove tecnologie, infatti, possono anche accrescere gli scarti culturali anziché ridurli. Nell’adozione della Dad, quindi, ci si deve porre la questione della sua collocazione nell’orizzonte dell’emancipazione, chiedersi se e a quali condizioni essa possa contribuire a un progresso culturale e intellettuale di massa.

Seconda cornice: il significato dello spazio educativo. Nel campo della formazione degli adulti, uno dei pregi della Dad è la rottura dei vincoli spazio-temporali che caratterizzano la didattica in presenza. La possibilità di seguire una lezione in remoto e in modo asincrono incrementa indubbiamente le opportunità formative di persone già impegnate professionalmente, e che quindi hanno vincoli di tempo e limiti di spostamento. La questione però cambia in relazione alla scuola e all’età evolutiva. Lo spazio scolastico, la classe, non è soltanto uno spazio fisico: è anche un luogo simbolico. Un luogo in cui si rende percepibile il legame sociale con gli altri, con i compagni di classe e con i docenti, e in cui si sedimenta una memoria condivisa (si pensi all’uso delle pareti dell’aula per cartelloni, elaborati, foto ecc.). E questa condivisione rende il gruppo-classe una comunità, contribuendo a dare senso al lavoro scolastico. La decontestualizzazione della Dad rende invece astratto il suo spazio, il cyberspazio, facendone una sorta di nonluogo,2 nel quale non si sedimenta una memoria condivisa, e in cui il bambino può stentare a cogliere un legame comunitario. Nell’adozione della Dad, occorre perciò porsi la questione delle strategie atte a ricontestualizzare il lavoro scolastico, a ricreare il senso di un legame sociale.

Terza cornice: l’antropologia dei media. In questo caso, la questione non riguarda semplicemente la Dad, ma l’intero uso delle nuove tecnologie nella scuola. I media della comunicazione non sono semplici veicoli di messaggi: influenzano le modalità di funzionamento mentale. Come è noto, ogni medium impone implicitamente i propri presupposti all’utente, e tende a strutturare una forma mentis coerente con le proprie logiche, un certo tipo d’intelligenza. Questo vale per il computer, come per la televisione, come per il libro (la cyber-forma, la forma-schermo, la forma-libro). Ciò premesso, nel processo di allargamento dei media della comunicazione è possibile cogliere una tendenza progressiva, in quanto il passaggio dalla monomedialità alla plurimedialità e alla multimedialità sollecita maggiore flessibilità mentale, una forma mentis poliedrica, un’intelligenza più duttile e mobile. A questo proposito, si è parlato di una mutazione antropologica delle nuove generazioni, prodotta dalla nuova dinamica della comunicazione sociale. In questo quadro, è stata anche avanzata l’ipotesi di riallineare i media della comunicazione scolastica alle tecnologie che sono diventate più familiari alle nuove generazioni. Tuttavia, in merito a ciò, riteniamo che mentre un allagamento delle forme della comunicazione didattica sia positivo e inevitabile, un deciso spostamento verso i nuovi media sarebbe molto discutibile. Il ragionamento da fare va inquadrato nel sistema formativo complessivo, e concerne il rapporto da creare tra la scuola e l’extrascuola. Tale rapporto non va pensato nel senso di una mera continuità, bensì in forma dialettica.3 La scuola non si deve semplicemente accodare alle dinamiche sociali, ma deve porsi in termini complementari rispetto ad esse. Pertanto, se il docente intende lavorare per formare una mentalità più flessibile, non si tratta di adottare i media socialmente più forti, perché questo creerebbe una nuova unilateralità. Al contrario, egli deve garantire lo spazio dei media che tendono a perdere terreno nel sociale, ma che sono culturalmente e intellettualmente rilevanti. Ci riferiamo alla forma-libro, ovviamente. Con le altre forme mentali (la cyber-forma, la forma-schermo) il bambino può familiarizzare anche al di fuori della scuola, ma la forma-libro o la si apprende a scuola, o si rischia di non impararla affatto. Pertanto, se è auspicabile un allargamento delle tecnologie della comunicazione (anche nella scuola), ciò non deve mettere in discussione la centralità scolastica del libro.

Massimo Baldacci


1 Habermas J. (2015), Il discorso filosofico della modernità, Roma-Bari, Laterza.

2 Augé M. (2018), Nonluoghi, Milano, Elèuthera.

3 Gramsci A. (1975), Quaderni del carcere. Quaderno 12, Torino, Einaudi.

 

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