Vol. 6, n. 2 ottobre 2020

Contesti sociali dell’educazione

Il magnetismo del successo

Una ricerca pedagogica sui modelli giovanili contemporanei

Lisa Brambilla1

Sommario

La ricerca qualitativa qui presentata è l’esito di un più ampio impegno di studio dedicato al rapporto tra educazione e territorio e all’analisi pedagogica delle implicazioni connesse alle trasformazioni che interessano la contemporaneità. Tali implicazioni sono state indagate attraverso il vertice analitico della pedagogia sociale, dedicando specifica attenzione a quei modelli, stili di vita e proposte culturali cui la giovane generazione sembra guardare con interesse, entro uno scenario dove traiettorie di vita prestabilite e certe non paiono più disponibili.

La ricerca fornisce un contributo all’esplorazione del portato problematicamente educativo di influenze culturali che, per quanto apparentemente varie, si confermano come, in molta parte, accomunabili entro un frame neoliberista. Essa rappresenta inoltre un accostamento conoscitivo alle letture che i/le giovani coinvolti/e offrono di quei riferimenti e modelli che indicano come significativi per la composizione dei loro percorsi di crescita (e della loro generazione); illuminando, laddove presenti, interpretazioni dotate di una tensione critica. In questo senso, la ricerca condotta offre, al contempo, un punto di accesso per la conoscenza e l’analisi dei loro bisogni educativi, che appare significativo per chi, accademicamente e/o professionalmente, si incarica del loro presidio.

Parole chiave

Educazione sociale, educazione informale, modelli culturali, giovani, biografia formativa.

social contexts of education

The charm of success

A pedagogical review of cultural models for the young generation

Lisa Brambilla2

Abstract

The qualitative research presented here is the result of a wider study commitment dedicated to the relationship between education and the local area and to the pedagogical analysis of the implications related to the transformations that are affecting contemporary life. These implications have been investigated through the social pedagogy analytical frame, paying specific attention to the models, lifestyles and cultural proposals to which the young generation seems to look with interest, within a scenario where predetermined and certain life trajectories seem no longer available.

The research contributes to the exploration of the problematic educational outcome of cultural influences, which, despite their apparent variability, can be mostly confirmed as united within a neoliberal frame. It also represents a useful approach to the interpretations that the young people involved offer of those references and models that they deem significant for their developmental experience (and that of their generation); shedding light on, where needed, interpretations endowed with critical tension. In this sense, the research conducted, at the same time, provides access to awareness and analysis of their educational needs, which is significant for those who, academically and/or professionally, are charged with their supervision.

Keywords

Social education, informal education, cultural models, youths, formative biography.

Disegno e strumenti della ricerca

La presente ricerca3 si colloca all’interno di quell’attenzione pedagogica dedicata alle trasformazioni della contemporaneità e all’analisi delle loro implicazioni sulla composizione delle biografie formative delle nuove generazioni, all’incrocio tra la radicalizzazione dei processi di individualizzazione (Beck, 2000), il dissolvimento delle appartenenze collettive (Bauman, 2000) e l’accelerazione dei cambiamenti sociali (Leccardi, 2009).

Nella ricerca queste implicazioni sono state indagate nel loro profilo informalmente e diffusamente educativo (Tramma, 2009), con particolare riguardo a modelli valoriali, stili di vita e proposte culturali cui i/le giovani sembrano guardare con interesse (per essere a loro volta «guardati» da questi modelli), là dove traiettorie di vita prestabilite hanno lasciato il posto a una moltitudine di riferimenti instabili (Berman, 1985), che aprono a nuove possibilità come a nuovi rischi di frammentazione, incoerenza, disancoramento, fragilità.

In coerenza a un vertice teorico e analitico di riferimento, che guarda alla pedagogia sociale (Tramma, 2019; Santerini, 2019) e alla preliminare revisione della letteratura scientifica sui temi affrontati (Istituto Giuseppe Toniolo, 2019; Buzzi, Cavalli e Lillo, 2007; Colasanto 2013), il gruppo di ricerca ha assunto le molteplici influenze culturali, che sembrano fornire orientamenti (positivi o problematici) nei processi di crescita della nuova generazione, quali esperienze di tipo informalmente educativo. Di esse ha inteso indagare: 1) i contenuti e i valori che sembrano veicolare e/o promuovere; 2) i contesti, gli ambienti e le relazioni entro cui queste esperienze si producono e le didattiche che (informalmente) le caratterizzano; 3) le modalità con cui i/le giovani si accostano ad esse, a partire dalla loro significazione e interpretazione.

Un utile punto di accesso per indagare queste esperienze è stato individuato in quelle persone e/o personaggi nei cui profili i/le giovani ritengono di riconoscersi o di ispirarsi e che, allo stesso tempo, considerano significative per i/le loro pari (in termini positivi o meno). Questi profili, e il corollario di messaggi e valori loro riferiti, possono, infatti, essere ricondotti a quei modelli culturali che, inconsapevolmente, si apprendono (Venturini, 2012). In chiave educativa, questi profili possono essere considerati punti di riferimento mediante cui ciascun individuo misura e valuta prossimità e scostamenti da una «normalità» socialmente definita, mutuandovi un’opportunità di orientamento che, nella complessità dello scenario contemporaneo, acquista una significativa rilevanza, sebbene non sia, di necessità, sempre positivamente assumibile.

L’ampiezza della domanda di ricerca ha fatto sì che si individuasse nel qualitativo un metodo utile per tentare l’accostamento a un oggetto complesso e cangiante, che i/le giovani concretamente vivono e con cui quotidianamente interagiscono (Mortari e Ghirotto, 2019). La scelta dello strumento per indagare le esperienze educative informali connesse ai modelli individuati dai/dalle giovani, «osservandole coi loro occhi» (Colella, 2011, pp. 28-29), è ricaduta sul focus group; scelta inscritta anche nella volontà di offrire l’opportunità — non sempre e non a tutti e tutte egualmente garantita — di mettere a tema, rielaborare e discutere contenuti rilevanti non solo per la ricerca pedagogica e il lavoro educativo, quanto anzitutto per loro (Baldry, 2005, p. 13). Gli 11 focus condotti hanno coinvolto ragazzi e ragazze (tra i 17 e i 22 anni), individuati secondo criteri di eterogeneità (in ordine a sesso, condizione socioeconomica familiare, residenza, formazione scolastica, background culturale) e di opportunità, che ha visto per la loro individuazione il coinvolgimento di alcuni contesti educativi e scolastici da loro frequentati.4 La corposa mole di dati raccolti è stata trattata mediante l’analisi tematica delle conversazioni registrate e trascritte.

I risultati

Un pantheon apparentemente ricco

A un primo sguardo — racchiudendo esempi in grado di sollecitare, a seconda dei casi, una generica fascinazione, un più esplicito desiderio di rispecchiamento e identificazione o una marcata significatività nei/per i percorsi di crescita e di formazione (o di alcuni loro momenti) — l’elenco dei soggetti riferiti e discussi nei focus group è parso rappresentare un pantheon apparentemente ricco e variegato. Esso ha incluso familiari (genitrici in maniera prevalente, insieme a fratelli e sorelle maggiori) come pure personalità pubbliche: molte fashion blogger, molti cantanti, uomini della politica (assai più raramente donne); spaziando tra soggetti con cui si vivono relazioni di grande prossimità e personaggi della cui esistenza e delle cui peculiarità si è appreso in modo mediato, «seguendoli» sui social media. In quest’ultimo caso si tratta di personaggi molto noti, il cui profilo viene condiviso con persone che si frequentano quotidianamente; più raramente, di personaggi di «nicchia», seguiti insieme ad altri followers. Il tentativo di analizzare questo folto novero ha mosso il gruppo di ricerca verso una lettura trasversale di queste presenze. Mediante un lavoro di analisi e definizione di idealtipi, si è così osservato come l’apparente iniziale eterogeneità dei modelli e delle proprietà loro riconosciute, come pure delle motivazioni correlate alla loro scelta e la conseguente messa a tema, potesse in realtà essere ricondotta a tre nuclei tematici.

Il primo di questi è rappresentato dal successo. L’orientamento al successo, individualmente perseguito e goduto, vantato come differenza dagli «altri», interpretato spesso come strumento di rivincita e rivalsa da una condizione di marginalità e/o fatica, rappresenta la tensione cui è stato possibile ricondurre la maggior parte dei contenuti analizzati.

L’attenzione è spesso catturata dallo stile di vita e di consumo di chi ha successo e dai comportamenti correlati. Ciò che attrae è, soprattutto, la condizione di successo. Una condizione che, si immagina, permetta l’accesso a una «libertà» che esonera da vincoli (soprattutto economici), e consenta la preservazione dal giudizio degli altri (o, meglio, dal dover tener conto del suo peso); che dà accesso a quote di potere individualmente esercitato, anche in connessione all’uso della forza e della violenza (come quella di Stato, più volte evocata attraverso i molteplici esempi di «uomini soli al comando»).

Più raramente a interessare è il percorso che ha condotto al successo, come le competenze e le risorse mobilitate per raggiungerlo. Entro la sovrapposizione (spesso rintracciata) tra successo e possibilità di «fare soldi» senza faticare, altri aspetti hanno infatti assunto significatività. È il caso della «genialità», riconosciuta ai personaggi che si ritiene abbiano saputo comprendere e anticipare desiderata e attese d’una popolazione (genericamente intesa) e di averle sapute soddisfare. Una genialità — ascritta ad esempio all’influencer Chiara Ferragni — la cui provenienza non trova mai specificazione sebbene, chiaramente, appaia lontana da quella nobilitazione mutuata dal lavoro e/o dagli sforzi e sacrifici a questo collegati (scolastici e professionali).

Tra il magnetismo della condizione di successo e la vacuità delle indicazioni per raggiungerlo, si collocano le molto citate esperienze dei giovani rapper e trapper (quasi sempre maschi), che, nelle opinioni raccolte, si fanno emblema d’un apice conquistato in assenza di specifiche virtù. Parabole in cui l’approdo si misura nella ricchezza e nella notorietà raggiunte; ma anche nella differenza acquisita rispetto alle persone con cui si condividevano condizioni, contesti, vincoli e tribolazioni che (per quanto messe in musica e capitalizzate) si mostra con piacere di essersi lasciati alle spalle.

La dimensione del successo resta centrale, tuttavia, anche in molte esperienze apparentemente distanti da essa, come nel caso di personaggi storici (Giovanni Falcone o Martin Luther King) o, in alcuni (rari) casi, di attrici e modelle che hanno espresso posizioni riconosciute come femministe. Sebbene esse vengano evocate infatti per le dimensioni valoriali e politiche connesse ai profili accennati, nelle discussioni emerse, il successo resta infatti sempre implicitamente sotteso. Esso si mostra, ad esempio, quale garanzia e premessa alla possibilità di un occuparsi degli altri o di un impegno che, non a caso, assume il contorno della beneficienza e del paternalismo di chi se lo può permettere; così come si presenta quale elemento cardine davanti al quale il valore politico e storico di alcuni profili si smarrisce o si trova a essere inglobato nei meccanismi di mantenimento della propria notorietà. In modo più chiaro, questa logica si evidenzia nei molteplici esempi di calciatori citati per le loro ingenti donazioni.

Al costrutto di successo sono state ricondotte infine anche quelle esperienze prevalentemente riferite come «femminili», ricondotte alla sfera del privato familiare e dei sentimenti. Modelli sono stati rintracciati nei profili di attrici e fotomodelle che hanno saputo «ben gestire» criticità familiari o sentimentali, le cui vicende — tradotte in vere e proprie imprese — sono assurte alle cronache mondane; come pure nel profilo, (ancora) sacrificale e di dedizione totale alla famiglia, tratteggiato guardando alle proprie madri; rese così modelli (idealizzati) di oblatività, fatiche e rinunce.

Nel secondo nucleo sono stati ricompresi i riferimenti a quei soggetti che, secondo i punti di vista raccolti, «aiutano a pensare» o sono in grado di «dare consigli». Sono citati i genitori, o le persone afferenti alla cerchia familiare, cui è stato possibile rivolgersi per dipanare dubbi e problemi. Ma sono ricordati anche quei personaggi pubblici che, sebbene distanti dalla propria quotidianità, vengono percepiti come, in qualche modo, vicini e sensibili a temi e questioni che si vivono nel quotidiano. Hanno trovato qui collocazione alcuni profili della ribalta televisiva, come Maria de Filippi, i cui consigli immaginiamo acquistino un valore aggiunto anche in ragione del suo successo di pubblico e dalla sua notorietà. Così come annoverabili sono quei giovani e meno giovani personaggi pubblici (in massima parte cantanti, uomini e donne) dalla cui biografia messa in musica molti/e giovani ritengono possibile mutuare un messaggio o un esempio di incoraggiamento e una fonte di ispirazione. Ciò che nelle loro canzoni viene narrata è la personale vittoria contro un disagio, una sofferenza (variabilmente connesse ad atti di bullismo subìti, a problemi di dipendenza e abuso di sostanze, malattie, ecc.), aprendo a una rivincita che, ancora una volta, ricomprende il successo ottenuto con il gradimento della stessa canzone.

Nel terzo e ultimo nucleo sono state ricondotte le (non molte) persone che nei focus group sono state riferite e discusse, semplicemente, perché «ci sono» ovvero costituiscono un punto di riferimento percepito come essenziale della propria storia di vita e di formazione. Sono, nuovamente, le madri o i fratelli e le sorelle maggiori e gli zii che hanno svolto una funzione genitoriale vicariante nei propri riguardi. Ma anche i/le pari, i/le fidanzati/e, insieme a quante/i hanno significativamente assistito alla propria crescita, poiché presenti nei suoi momenti più importanti (declinati spesso in senso problematico). Si tratta di presenze di per se stesse significative ma che sembrano acquisire ulteriore rilevanza nell’assenza di altre figure. Assenti, in questo caso, non sono solo i personaggi pubblici (come ricordato, assai presenti altrove) ma, anche quelle figure che, incarnando una dichiarata vocazione educativa (professionalmente espressa o meno), gli/le stessi/e giovani hanno dichiarato in alcune occasioni che si sarebbero attesi/e di accennare.

In estrema sintesi, sebbene certamente non rappresentative della presente giovane generazione, le voci e le discussioni raccolte nei focus group hanno restituito l’immagine significativa di un panorama di riferimenti e modelli che risultano in massima parte (esplicitamente o implicitamente) connessi alla dimensione del successo. Mutuati o riconducibili (in toto o per alcuni loro significativi aspetti) alle logiche, alle regole e alle ragioni del mercato — composte di individualismo, competizione, funzionalità, capitalizzazione, imprenditorialità — tali riferimenti evocano la presenza di un’egemonia culturale neoliberista (Baldacci, 2017). Egemonia ben evidenziata dalla sovrapposizione o dalla prossimità (piccola o grande, esplicita o latente) tra la maggior parte dei riferimenti descritti e discussi con i valori, i miti e gli orientamenti di questa comune radice culturale, che sembra apparire come una cornice ovvia e normalizzata attraverso cui i/le giovani interpellati/e leggono, significano e interpretano il loro quotidiano.

Accanto a tale egemonia si conferma la presenza di un familismo reso obbligatorio dal vuoto lasciato da quei soggetti intermedi rappresentati da associazioni, partiti, sindacati (Magatti e de Benedittis, 2006; Bertuzzi, Caciagli e Caruso, 2019), a cui — ritornando ai contenuti dei focus group — si aggiunge l’assenza di qualsivoglia esperienza a sfondo collettivo, con la sola eccezione della scuola. Si tratta di riferimenti familiari che non costituiscono (non possono costituire) un’alternativa all’egemonia culturale di cui sopra e ai quadri interpretativi da essa promossi, e che rappresentano semmai un suo corollario economico, sociale, oltre che educativo (Tramma, 2015).

I/le giovani in relazione ai modelli e alle loro didattiche

Portando l’attenzione verso i riferimenti su cui maggiormente i/le giovani interpellati/e si sono confrontati/e, il portato educativo più significativo che la ricerca ha restituito è quello di un loro implicito richiamo a un’immobilità. Le molteplici evocazioni del successo sono parse infatti esercitare una forza molto spesso attrattiva (ma in non pochi casi anche repulsiva o di parziale presa di distanza), evocante un movimento che sembrerebbe sospingere e «mettere in moto» verso diverse e alternative direzioni. Direzioni che si definirebbero trasformative e, perciò stesso, educative, sebbene (ovviamente) al netto della qualità che (singolarmente e/o nel loro insieme) possono esprimere. Tuttavia, analizzate nei contenuti e nei valori che sembrano veicolare, come per le didattiche che informalmente le caratterizzano, le esperienze connesse a questi riferimenti paiono preferibilmente lasciare i/le giovani che li osservano in una posizione di staticità.

Il tentativo di accostarci all’«indagine soggettiva» che i/le giovani hanno avviato sulla «complessità sociale» (Sennett, 2006, p. 13) di cui hanno quotidiana esperienza ha permesso di osservare quanto possa risultare effettivamente difficile tentare di individuare e assumere consapevolmente uno specifico e peculiare posizionamento all’interno di un panorama culturale che, se sulla superficie appare estremamente ricco e variegato, è in realtà percorso da medesimi contenuti, valori e priorità, incarnati in personaggi alla cui esistenza mediatizzata si è giocoforza sempre (o quasi) esposti. Sembra mostrare molto bene questa fatica l’apparente impraticabilità di una critica dinnanzi a modelli di successo che, anche quando non si mostra di apprezzare (prima tra tutte la critica, da non pochi/e espressa, al raggiungimento di una notorietà in palese assenza di competenze e meriti), si prosegue infatti variamente a legittimare, assumendo dinnanzi a essi una posizione di neutralità (nella presunta liceità di ogni opinione come di ogni espressione di sé).

Quel che talvolta appare possibile ai/alle giovani è tentare di orientarsi tra quei profili eccentrici, che sembrano cioè «spiccare» tra molti altri, sebbene all’interno (e nel rispetto) di un canone onnipresente. Un tentativo che sembra rispondere al bisogno educativo di tracciare in modo chiaro e coerente il proprio profilo biografico ma che, nelle condizioni accennate, come hanno ricordato molti/e degli/delle stessi/e giovani, rischia di tradursi, nel breve, in un’ulteriore forma di omologazione alla «moda» corrente.

Non sempre inoltre appare chiaro chi o che cosa possa assumere il contorno del modello per altri/e. Per diverse ragioni, che abbiamo tentato di esplorare, implausibile appare l’immagine di un personaggio che sia in grado di incarnare, complessivamente o per un qualche suo aspetto di rilievo, un modello di riferimento; con ricadute importanti in ordine al tentativo di cogliere e comprendere che cosa significhi e cosa implichi scegliere un modello, «seguirlo», tentando di intuirne, se non comprenderne, i lasciti formativi. Restando nell’ambito delle personalità pubbliche, variamente connesse alla dimensione del successo, sono infatti a volte solo singoli aspetti che sembrano attirare l’attenzione dei/delle giovani, che mostrano di non conoscerne (e, forse, di non percepire come significativa) la profondità storica, sociale e politica. È in questo modo che personaggi della storia sono stati scelti per ragioni del tutto superficiali o parziali: Putin attrae per il suo modo di camminare, Martin Luther King per la notorietà raggiunta. Perfino Hitler viene citato per una «genialità» non ben specificata. Senza alcuna mediazione (familiare, scolastica, politica), i/le giovani riferiscono di avere appreso «casualmente» dell’esistenza di questi individui (Salmon, 2008), navigando da soli/e in rete, seguendo «istinti» o collegamenti orientati dal gradimento censito tramite visualizzazioni, condivisioni e like (al più su consiglio di qualche amico/a che ne ha suggerita la visione). Forse, anche in ragione di questa didattica, ad attrarre sono soprattutto aspetti minimali, comunque preferibilmente connessi al profilo personale e intimo del soggetto di volta in volta in questione. Una didattica peraltro nota nel mondo del marketing narrativo che utilizza lo storytelling per scopi di mercato, attirando e fidelizzando la platea dei consumatori mediante la costruzione e la messa in scena di un privato (reso più verosimile e prossimo), che diviene promotore e, allo stesso tempo, termometro di preferenze di consumo e, soprattutto, di stili di vita (Salmon, 2008). Meccanismo, questo, che ha trovato un notevole margine di implementazione grazie alla diretta partecipazione di un pubblico (prosumers) che garantisce al mercato feedback immediati circa i propri gusti. Questa partecipazione, mentre sembra educare all’immagine di una (presunta) prossimità alla vita di questi personaggi, pare cogliere un bisogno di costruzione di relazioni cui connettere la propria biografia (Beck, 2015). Sebbene riconosciuti da molti/e giovani come costruiti ad arte, i personaggi che abitano (prevalentemente) i social riescono ugualmente a sollecitare il loro interesse e una loro partecipazione emotiva alle vicende narrate, dove l’attenzione è orientata verso aspetti e dimensioni del privato. Anche questa (apparente) vicinanza sembra incidere sulla difficoltà di poter esprimere giudizi in grado di scalfire (almeno un po’) l’inoppugnabilità del successo come punto esclusivo o prevalente di riferimento nell’economia della costruzione della propria biografia o nel giudizio su quella altrui. Sono considerate come «giustificabili» le risorse che, a vario titolo, hanno concorso al raggiungimento della notorietà, della ricchezza, del plauso sociale.

Più tranchant, invece, sono stati quei giudizi espressi dinnanzi a chi, anche a fronte di impegno, competenze e sforzi, questi traguardi non ha saputo raggiungere. I giudizi raccolti mostrano molto bene come il successo contribuisca infatti a tracciare un solco piuttosto netto tra chi lo detiene e chi no. Un solco dove le determinanti sociali connesse al contesto economico di appartenenza non solo sono note ma diventano oggetto di apprezzamento e/o invidia (Elettra Lamborghini e le sorelle Khardashian, nate in una famiglia ricca, sono considerate fortunate e ammirate anche in virtù di queste vantaggiose origini). La cognizione intorno alle dimensioni di classe, genere e provenienza territoriale sembra però, in qualche modo, smarrirsi nel momento in cui queste si correlano a esperienze o condizioni di disuguaglianza e marginalità; quando cioè, da risorsa, le proprie appartenenze si trasformano in vincolo. Nei focus group la possibilità di passare da una condizione a un’altra sembra implicitamente presente, costantemente evocata dalla centralità del successo (variamente interpretato) come obiettivo verso cui tendere. Della possibilità di raggiungerlo, dei percorsi da intraprendere, delle competenze da sviluppare o affinare e, soprattutto, dei limiti e delle fatiche che si potrebbero dover fronteggiare, tuttavia è emerso un immaginario del tutto parziale. Al successo si approda grazie a una dote considerata naturale, come riferito per i molti calciatori evocati, o per le fotomodelle, oppure grazie alla forza di volontà, implicitamente considerata dirimente dinnanzi a qualsiasi genere d’ostacolo (in quell’auto-inganno secondo cui «volere è potere»). Nonostante nel quadro mutuato dall’analisi, le ambizioni di successo dovrebbero apparire prive di speranze, l’orientamento a esse non sembra risentirne; complice il sogno realizzato di pochi. Qui il bisogno o la necessità di corrispondere a una (comune) ambizione soverchia la logica della comprensione, invitando ad appellarsi al caso, alla fortuna, seguendo le logiche di un pensiero che sembra farsi magico. È quanto perlomeno sembrano indicare le parabole ascendenti dei/delle giovani assurti/e alla fama, semplicemente parlando (e facendo parlare) di sé. Sono parabole che sono ritornate spesso nelle discussioni, rappresentando emblematicamente il sogno d’una via d’uscita e un’alternativa che pare altrimenti irraggiungibile. Agli occhi dei/delle giovani incontrati/e la scuola non sembra infatti in grado di fornire strumenti o competenze utili al caso (tantomeno modelli considerati alternativi), confermando semmai una segregazione di classe percepita come ancora forte tra licei e istituti professionali, che ricalca pedissequamente quella tra centro e periferia. Qui l’ascensore sociale resta promessa per pochi, mentre la marginalità trova frequenti e rinnovate occasioni di conferma, in linea con quella cecità meritocratica (Boarelli, 2019) che tradisce le ambizioni democratiche delle istanze che ancora vivono nella scuola, pur non godendo evidentemente di buona salute. Il successo dei personaggi accennati è semmai riferito come raggiunto nonostante la scuola o per il tramite di percorsi che non l’hanno prevista; così come appare lontano da un’immagine di lavoro connesso al sacrificio e al risparmio (specialmente agli occhi dei ragazzi).

A smarrirsi, comunicando ancora un segnale di immobilità e impossibilità, è il processo e la sua intrinseca formatività. In effetti, quanto analizzato non sembra evocare il desiderio di essere o diventare come l’altro/a ma di essere l’altro/a. Dove l’altro/a, nello scenario contemporaneo, è tuttavia l’esito di un artificio partorito dal mercato, dove la ricchezza dei processi formativi connessi alla sua formazione, i chiaroscuri che ne ricomprendono errori, fallimenti e fatiche vissute, vincoli attraversati sono ignorati oppure selezionati, riassorbiti e messi a valore nella categoria del successo, fagocitati entro la logica del mercato.

Conclusioni

Mentre aiutano a tratteggiare e aggiornare il portato problematicamente educativo dell’attuale scenario di diseguaglianze e precarietà, la scelta e la messa a tema di modelli e riferimenti per la composizione del proprio divenire permettono di osservare come alcuni/e giovani si relazionino con il proprio tempo, provando strategie di analisi, interpretazione, orientamento, interazione e offrendo indicazioni preziose circa i loro propri bisogni educativi. Il loro ascolto e la loro analisi hanno permesso di osservare infatti quanto sia difficile eludere o svincolarsi da un sistema di cui si intuisce la problematicità di fondo, radicata nella nostra società. È un sistema che si ritiene di poter sfruttare, con imprese del tutto fortuite alla ricerca del successo personale; o di poter ingannare, mediante un’illiceità pagata al prezzo della propria libertà (come hanno ricordato alcuni giovani detenuti che hanno partecipato alla ricerca). Strategie individualmente immaginate o perseguite che, tuttavia, non sono capaci di lasciare intravvedere una reale e percorribile alternativa, la cui assenza, purtuttavia, è lamentata, resa oggetto di speranze e di attese, ancorché individualmente individuate (come, ad esempio, nel profilo atteso di qualche «ribelle» o dei professori che si sarebbe desiderato avere come propri modelli di riferimento). Questa difficoltà è stata interpretata dal gruppo di ricerca come emblematica dell’insufficienza (o pochezza) di strumenti adeguati ad affrontarla e di competenze atte al loro uso. In particolare, tra questi strumenti è parsa mancare la possibilità di sperimentare orientamenti valoriali che non solo esulino dall’economico ma che possano trovare opportunità di trasmissione e condivisione oltre la ristretta cerchia familiare che, insieme a poche altre (i pari e le persone con cui si ha un legame sentimentale), sembra essere la sola a fornire occasioni di comprensione, sostegno, indirizzo. Si nota infatti l’assenza di figure adulte, reali e prossimali laddove, viceversa, abbondano quelle virtuali, nelle vesti di personaggi che sembrano incarnare il lato problematico dell’adultescenza (Marescotti, 2020). Adulti virtuali che mimano (esaltandole) condizioni reali o presunte di una stagione della vita di cui si celebra l’assenza di vincoli e fatiche, la possibilità di piegarsi senza mai spezzarsi, rendendosi non solo aperta al futuro ma, soprattutto, infinitamente malleabile. Personaggi che, nella virtualità, assumono più agilmente una posizione pedagogicamente irresponsabile nei riguardi dei/delle giovani, dinnanzi alla cui realtà paiono indifferenti; come a quella adulta, sempre più gravemente esposta a esperienze di impoverimento, vulnerabilità e fragilità (Palmieri, 2012; Cornacchia e Tramma, 2019). Laddove non integrabili e piegabili a logiche di tipo economico, queste esperienze restano confinate entro il perimetro esistenziale di chi le vive, traducendosi in una sofferenza irrappresentabile e non rappresentata, con cui le giovani generazioni perdono contatto. In un «ecosistema mediale incentrato sul trionfo dell’immagine, dell’emozione, dell’irrilevanza, del frammento e dell’istantaneità» (Di Gregorio, 2019, p. 169), il privato non diventa politico ma si fa mercato, la solleticazione emotiva non si traduce in comprensione ma in credulità e l’altro è un competitor o parte di una massa indistinta. È di un diverso ancoraggio che i/le giovani incontrati/e mostrano di avere bisogno: alle vite (concrete) degli altri e delle altre e ai territori, dove sia possibile educare ed essere educati/e a una elaborazione riflessiva e critica che non sia mai sganciata dalla prassi e dalla responsabilità.

La necessità e l’urgenza di monitorare, da vicino e con costanza, contenuti e didattiche, che in modo irriflesso si respirano e apprendono, delinea un’area di complessità e criticità per un presidio educativo chiamato a comprendere un’educazione sociale che con difficoltà si lascia cogliere e, ancor più difficilmente, governare.

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1 Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione «R. Massa», Università degli Studi di Milano-Bicocca.

2 Università degli Studi di Milano-Bicocca.

3 Il gruppo impegnato in questa ricerca nasce nel 2012 da un percorso di attivazione e autoformazione ideato e promosso dal Prof. Sergio Tramma e collegato all’insegnamento di pedagogia sociale nell’ambito del Corso di Studio in Scienze dell’Educazione dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca. Contestualmente prende avvio il primo progetto di ricerca che ha condotto alla pubblicazione: Brambilla L., De Leo A. e Tramma S. (a cura di) (2014), Vite di città. Trasformazioni territoriali e storie di formazione nel quartiere Bicocca di Milano, FrancoAngeli, Milano. Nel 2018 il gruppo dà avvio a una nuova ricerca, qui presentata. A entrambe hanno partecipato: il Prof. Sergio Tramma (ordinario di pedagogia generale e sociale) e la Dott.ssa Marialisa Rizzo (assegnista di ricerca) che, insieme a me, hanno assunto il coordinamento scientifico dei lavori di ricerca; e poi Matilde Pozzo (Phd), Barbara Barbato (pedagogista e cultrice della materia per l’insegnamento di pedagogia sociale), Giulia Pozzebon (Phd), Chiara Passerini (cultrice della materia per l’insegnamento di pedagogia sociale e interculturale), Simone Romeo (pedagogista) e un piccolo gruppo di studentesse del Corso di Studi di Scienze dell’Educazione dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca. Le studentesse hanno affiancato i lavori di ricerca sia nella fase di raccolta dei dati che in quella dedicata alla loro analisi, prendendo parte a un’esperienza dal significativo valore formativo.

4 In particolare, sono stati coinvolti: Liceo Parini; IIS F. Besta; ENAIP; CAG comune di Cinisello B.mo e CAG q.re Olmi di Milano; oratorio Q.re Baggio di Milano; Comunità di accoglienza per minori stranieri non accompagnati della Cooperativa Sociale Comunità Progetto; Casa di Reclusione di Monza.

Vol. 6, Issue 2, October 2020

 

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