Vol. 6, n. 1, aprile 2020
Teoria della formazione: contesti professionali
Iniziare ad apprendere dall’esperienza
Un progetto di peer review per riflettere sull’attività di tirocinio nei corsi di laurea in Scienze dell’educazione
Silvia Fioretti1
Sommario
L’articolo intende valorizzare l’esperienza di tirocinio nei corsi di laurea in Scienze dell’educazione. Le attività di tirocinio rappresentano, per gli studenti, uno strumento efficace per iniziare ad apprendere dall’esperienza e sviluppare una professionalità competente. La scrittura della relazione finale di tirocinio può rappresentare uno strumento di documentazione delle pratiche agite. È anche un valido mezzo per riflettere sulle attività e modellizzare le funzioni più efficaci. Per superare alcune difficoltà connesse alla redazione della relazione di tirocinio si propone un progetto di peer review fondato sul feedback e sulla valutazione sostenibile.
Parole chiave
Apprendere dall’esperienza, Tirocinio, Revisione fra pari, Valutazione sostenibile, Feedback.
THEORY OF TRAINING: PROFESSIONAL CONTEXTS
Begin learning from experience
A peer review project to reflect on the internship activity in the degree courses in Educational Sciences
Silvia Fioretti2
Abstract
The article aims to enhance the internship experience in the degree courses in Educational Sciences. Internship activities are an effective tool for students to begin learning from experience and develop competent professionalism. Writing the final internship report can be a documentary report for the practices. It is also a valid method of reflecting on activities and modelling the most effective functions. To overcome some difficulties associated with the preparation of the internship report it is proposed a peer review project based on feedback and sustainable assessment.
Keywords
Learn from experience, Internship, Peer Review, Sustainable Assessment, Feedback.
Il contributo intende riflettere sulle esperienze di tirocinio, condotte nell’ambito dei corsi di laurea in Scienze dell’educazione, nella prospettiva dello sviluppo di una figura professionale competente. In modo particolare, le attività di tirocinio vengono considerate come simulazioni per iniziare ad apprendere dall’esperienza. In questo senso, la redazione della relazione finale di tirocinio si configura come uno strumento centrale per documentare e riflettere sull’esperienza vissuta, tesaurizzare le attività promosse e astrarre le funzioni costanti (invarianti) che si sono dimostrate efficaci. Al fine di rendere maggiormente consapevoli gli studenti di questa importante fase di riflessione e scrittura si propone l’ipotesi di un progetto basato sulla peer review. Attraverso la revisione fra pari delle relazioni finali il progetto intende: promuovere le conoscenze e le abilità connesse alle attività di tirocinio; sostenere le abilità di valutazione e autovalutazione degli studenti; sviluppare la concettualizzazione e la generalizzazione delle pratiche agite nei contesti educativi per iniziare ad apprendere dall’esperienza.
Apprendere dall’esperienza di tirocinio
I corsi di laurea in Scienze dell’educazione intendono formare professionisti che siano capaci di agire in modo pertinente nelle situazioni e che, soprattutto, siano capaci di comprendere come e perché agiscono in quel modo particolare. In altri termini, il futuro educatore professionista dovrà possedere e gestire una sorta di doppia comprensione: quella del contesto in cui interviene e quella relativa al proprio modo di intervenire. Per riuscire a comprendere una situazione complessa, infatti, è necessario costruirsi una rappresentazione concettuale, una immagine operativa che permetta di agire efficacemente. Prendere le distanze, leggere e interpretare la situazione educativa reale consente di innescare un itinerario, cioè di formulare ipotesi risolutive e sperimentare gli effetti di possibili azioni come suggerito dal modello ipotetico/deduttivo (Popper, 1970). È proprio l’immagine operativa formulata che consente di prendere le distanze dalla situazione, leggerla e interpretarla riuscendo a passare da una situazione indeterminata a una situazione problematica, per formulare poi ipotesi e strategie di risoluzione (Dewey, 1961).
Nei contesti professionali questo passaggio riflessivo è necessario per modellizzare, cioè per far evolvere, in modo flessibile e non stereotipato, gli schemi operatori dell’educatore al fine di poterli trasporre in nuove situazioni. Infatti, in questo ambito l’analisi degli apprendimenti non può essere separata dall’analisi delle attività compiute. In una prospettiva di sviluppo delle competenze professionali è necessario riconoscere una continuità profonda fra l’azione e l’apprendimento. Secondo Vergnaud le competenze professionali si possono osservare in azione sui luoghi di lavoro e soltanto in quel contesto operativo è possibile realizzare la mobilitazione delle risorse possedute dal soggetto che agisce. Richiamando la teoria della concettualizzazione nell’azione, tratta da Piaget, Vergnaud utilizza i concetti di schema e di invarianti operatori per comprendere e indagare come si può sviluppare un’intelligenza dell’azione (Pastré, Mayen e Vergnaud, 2006).
Guy Le Boterf (2000), ispirandosi al ciclo di apprendimento esperienziale di Kolb, presenta un modello circolare per illustrare il processo di apprendimento che, partendo dall’esperienza, conduce ad attivare un comportamento competente, cioè un’azione consapevole sia del contesto sia della propria modalità di intervento. Il modello circolare è articolato in quattro momenti: 1) l’esperienza vissuta; 2) l’esplicitazione caratterizzata dalla narrazione; 3) la modellizzazione intesa come elaborazione dei concetti; 4) il transfer, o trasposizione, interpretato come ritorno al contesto con gli apporti delle conoscenze teoriche e dell’esperienza e dei concetti esogeni.
Il primo momento dell’esperienza vissuta è contraddistinto dall’agire del soggetto, anche se non sempre in modo consapevole. L’educatore è immerso nell’azione, si confronta con le eventualità e con i problemi, realizza progetti, concretizza attività formative. Può riuscire o fallire senza conoscerne le ragioni. L’educatore può acquisire delle routine ma queste resteranno limitate alla ripetizione nello stesso contesto lavorativo.
Il momento dell’esplicitazione è rappresentato dalla narrazione degli avvenimenti. Narrare non significa descrivere, o registrare gli eventi accaduti, gli attori coinvolti. Narrare, per l’educatore, significa costruire una storia, significa collocare gli attori coinvolti al loro posto e configurarli in uno spazio in modo coerente. La vicenda narrata deve essere collegata da una trama intenzionale e dinamica. Per raggiungere questo scopo occorre collocare l’intervento dei fattori, degli attori, delle tappe e dei momenti chiave nei termini di una sceneggiatura, occorre essere consapevoli della modalità specifica che sono state utilizzate nell’azione. In questo modo narrare significa ragionare, non è: «Io faccio e io agisco!», ma diventa: «Racconto come mi sono attivato per fare e agire» anche tramite rielaborazioni scritte (Ong, 1986). La narrazione non è spontanea e tantomeno facile. Sembra necessaria, secondo Le Boterf, la presenza di un mediatore per guidare l’esplicitazione, per guidare la verbalizzazione e la presa di distanza.
Il momento della concettualizzazione (o della modellizzazione) consiste nella costruzione degli «schemi operatori» e degli «invarianti» (ciò che resta stabile quando tutto il resto cambia) per poter comprendere le situazioni incontrate e inquadrare le pratiche professionali. In questo caso occorre non descrivere ma spiegare, in termini universali, le procedure ed elaborarle teoricamente. Si tratta di produrre non delle teorie scientifiche ma un «sapere pragmatico» (Pastré, 2005). Questo passaggio è fondamentale per generalizzare, per liberarsi dall’effetto del contesto e astrarre gli «invarianti». Così come è necessario modellizzare per poter applicare, astrarre e applicare a casi simili o a «famiglie di situazioni». In questo senso, un esempio utile potrebbe essere riferito alla ricerca delle funzioni della stessa struttura che si ritrova come elemento comune in più narrazioni. Prendendo spunto dall’analisi condotta in Morfologia della fiaba di Propp (2000), tutte le esperienze presentano, al di là dei contesti vissuti, degli elementi comuni, cioè la stessa struttura che ritrova al suo interno gli stessi attori che ricoprono le stesse funzioni in relazione allo svolgimento della storia. La modellizzazione di diversi testi narrativi concerne la ricerca della stessa struttura concettuale, dello stesso schema operatorio. Quali funzioni o quali operatori sono invarianti? In altre parole, quali funzioni sono relative alla stessa struttura concettuale? Quali agiscono tramite lo stesso schema operatorio? Alcuni possibili esempi di funzioni invarianti relative alle attività esperte: le tipologie o le classi di problemi incontrati; le variabili-chiave di intervento; le meta-regole applicate; le modalità di azione («se… allora…»); gli attori e i contributi attesi.
Il quarto momento è relativo al transfer o alla trasposizione alle situazioni inedite. È un ritornare ad agire avendo appreso dall’esperienza, prevede di intervenire sulla base delle modellizzazioni elaborate nella fase precedente. Si tratta di mettere alla prova concetti e teorie di azioni ma, soprattutto, di interpretarli in relazione ai nuovi contesti. Nel caso della stessa famiglia di situazioni il transfer potrebbe rilevarsi abbastanza semplice. Si tratta, in questo caso, di combinare le risorse possedute (conoscenze, saper fare, saper pensare) a casi simili assimilando le funzioni agli schemi operatori. Nel caso di situazioni molto differenziate si tratta di adattare gli schemi operatori. Dove è necessario decostruire le rappresentazioni e le concezioni che il professionista aveva acquisito e ricostruire gli schemi operatori e le conoscenze, si parla di trasposizione.
Come apprendere dall’esperienza di tirocinio?
Nell’ambito dei corsi di laurea in Scienze dell’educazione l’esperienza di tirocinio riveste un ruolo estremamente importante nella formazione delle competenze professionali dei futuri educatori. In un’ottica di integrazione complementare, non gerarchica, il tirocinio rappresenta un elemento insostituibile insieme ai corsi curricolari e ai laboratori. I corsi curricolari intendono costruire le strutture concettuali utili a interpretare il contesto educativo e a sostenere la formulazione di ipotesi di intervento formativo. I laboratori hanno lo scopo di sostenere l’unione delle conoscenze concettuali con le cognizioni procedurali per trasformarle in competenze esperte e riflessive. Il tirocinio rappresenta lo spazio d’azione concreto in cui è possibile innescare il circolo virtuoso di osservazione-riflessione-progettualità attraverso l’osservazione delle azioni, il confronto e la collaborazione di educatori esperti, contestualizzando le conoscenze concettuali acquisite durante i corsi e consolidando i principi pragmatici e strategici tipici della professionalità dell’educatore.
L’esperienza di tirocinio non si configura come una sorta di addestramento al lavoro ma vuole essere un’attività per apprendere dalla propria esperienza, in modo intelligente (Dewey, 2004). In questo senso l’esperienza di tirocinio dovrebbe consentire allo studente di porsi domande, di problematizzare la realtà, di prendere decisioni nel corso dell’azione, di intraprendere percorsi di ricerca originali e riflessivi. In tal modo lo studente dei corsi di Scienze dell’educazione, durante le attività di tirocinio, potrebbe sperimentare direttamente le ipotesi formulate, riflettere sui risultati e tornare a porsi domande, inaugurando così prospettive euristiche e flessibili di professionalità educativa di elevata qualità (Fioretti, 2013).
L’esperienza di tirocinio consente anche di approfondire conoscenze, attitudini e interessi personali per potersi orientare alle scelte future. A questo scopo è estremamente importante sottolineare il ruolo del tutor (aziendale e universitario), in quanto si configura come soggetto esperto, competente, che può sostenere e stimolare la riflessione sull’intero processo, il pensiero critico su ciò che si è osservato, sentito, deciso, attuato. Occorre ricordare che il professionista non può trasmettere a un altro la propria competenza, acquisita in un lungo periodo di studi ed esperienze sul campo (Le Boterf, 2008). È necessario un processo di co-trasformazione degli apprendimenti, che possa coinvolgere il tutor esperto e colui che apprende. La doppia trasformazione prevede che l’esperto modifichi e concettualizzi la propria conoscenza, la metta nella forma di sapere costruito, agisca davanti al principiante, gli chieda di imitarlo esplicitando come e perché agisce in quel modo. C’è in questo caso la dimostrazione dell’attività e il commento alla dimostrazione da parte dell’esperto che mette a disposizione i propri schemi operatori. Il soggetto che apprende si appropria di questi apprendimenti, cerca di trasformarli, di ricostruirli, di appropriarsene all’interno dei propri schemi operatori, dei saper fare e delle abilità che possiede in vista di obiettivi e di posizioni che lui giudica interessanti e sensati.
L’intenzionalità è l’elemento che caratterizza il comportamento della persona competente ed è così che ogni nuovo trasferimento diventa un nuovo apprendimento.
Nel caso dello studente del corso di Scienze dell’educazione, il comune denominatore per accertare l’avvenuto processo di co-trasformazione sembrerebbe essere la verifica compiuta tramite l’esperienza, cioè la riflessione sistematica su quanto si è appreso e sulla possibilità di realizzarsi nella professione educativa, una sorta di consapevolezza intenzionale di saper fare l’educatore e di voler diventare educatore. In questo senso, il termine verifica assume un’ampia connotazione. Si tratta di autoverificare: il proprio comportamento personale; la maturazione della propria personalità per integrare un’esperienza di vita e lavoro; la presa di coscienza della dinamicità, plasticità e flessibilità del contesto professionale. Tutto ciò in condizioni protette e limitate quali quelle del tirocinio ma sufficienti per chiamare in causa il quadro di riferimento (la progettualità, l’innovazione, la ricerca), i criteri (la gradualità, la sequenzialità delle esperienze) e le condizioni (dove si svolge l’esperienza), i contenuti (che cosa può fare un tirocinante) e le modalità (come, con quale atteggiamento e stile) utilizzate nell’ambiente professionale. Infatti, una competenza professionale è inseparabile dal suo campo di applicazione. Un educatore competente è capace di agire e reagire in modo pertinente e duraturo all’interno di un settore di situazioni.
La relazione di tirocinio
Una modalità per fissare e consolidare queste potenzialità dell’esperienza di tirocinio è la redazione della relazione finale. La pratica di produrre una relazione scritta dell’attività per certificare il riconoscimento dei crediti è piuttosto comune e diffusa nei percorsi accademici.
La redazione della relazione finale dell’esperienza di tirocinio è un compito complesso e trasversale che richiede una competenza matura e che coinvolge diversi aspetti: alcuni riferibili alle conoscenze possedute (disciplinari, metodologiche, pragmatiche), altri riferibili alle abilità (di osservazione, di rielaborazione, di progettazione, di scrittura professionale); altre di tipo metacognitivo e riflessivo (di generalizzazione e di astrazione dell’esperienza, di rielaborazione delle conoscenze teoriche, di rielaborazione personale).
L’accompagnamento del tutor aziendale e del tutor universitario non sempre riesce a dimostrarsi tempestivo ed efficace e, soprattutto, rischia di limitarsi a una valutazione sommativa finale perdendo così l’occasione di trasformare questa ricca esperienza in uno strumento significativo e valido di acquisizione di competenze.
La scrittura della relazione di tirocinio è un compito articolato e complesso che comprende la capacità: di scrittura; di esplicitazione (non solo descrizione, ma narrazione) dell’esperienza e dell’ambiente vissuto e agito; di rielaborazione, in chiave di concettualizzazione delle funzioni invariabili, per poter operare il transfer o la trasposizione in altri contesti. Gli studenti incontrano tante difficoltà nella redazione della relazione finale così come è documentato da studi e ricerche condotte a livello universitario (Salerni, Sposetti e Szpunar 2013). Pur disponendo di modelli di riferimento, le loro relazioni sono scarsamente argomentate. Si osserva una certa difficoltà a rielaborare l’esperienza, raramente si supera il livello della descrizione degli avvenimenti e della rielaborazione emotiva. La riflessione metacognitiva sulle pratiche agite e sulla loro modellizzazione è pressoché assente, quando non sono addirittura presenti difficoltà nella scrittura.
La peer review per «apprendere dall’esperienza»
Cosa fare per rendere più efficaci le esperienze di tirocinio?
Allo scopo di influire positivamente sull’apprendimento degli studenti universitari, è necessario recuperare la valenza dell’interazione fra i pari e lo strumento della revisione paritaria, anche nell’abito del tirocinio. Dagli studi dei fratelli Johnson (1975), che individuavano l’interazione fra pari come la «variabile trascurata nell’istruzione», il dibattito teorico e la letteratura riconoscono questa pratica fondamentale e ad alto impatto in termini di efficacia. Le interazioni fra pari si sono dimostrate molto importanti per consolidare la comprensione concettuale, per sviluppare la consapevolezza delle pratiche agite e, forse, per iniziare ad «apprendere dall’esperienza».
La scrittura della relazione può promuovere e sostenere l’apprendimento degli studenti e migliorare le loro pratiche?
I meccanismi fondamentali di interazione fra gli studenti per la revisione si realizzano e si verificano attraverso forme di lettura (delle relazioni come esempi, delle relazioni da valutare, dei moduli/schede di revisione) e scrittura (scrittura della propria relazione, scrittura dei moduli/schede di revisione). Scrivere è un atto e uno strumento di apprendimento di grande valenza in tutte le discipline e l’efficacia nella scrittura rappresenta un grande aiuto non solo per l’accesso all’istruzione superiore, per la stabilizzazione delle conoscenze e delle abilità ma, soprattutto, per sviluppare le competenze professionali (Cros, 2006).
La ricerca scientifica suggerisce che le esercitazioni di scrittura possono fornire esperienze di apprendimento avanzate e opportunità pedagogiche di riflessione e di metacognizione (Sposetti e Szpunar, 2018). La scrittura, infatti, può essere una dimensione chiave per creare intersezioni tra l’esperienza di tirocinio e i contesti di istruzione universitaria più tradizionali. In altre parole, la scrittura della relazione di tirocinio potrebbe offrire un punto di ricerca reciproca, uno spazio per aumentare la conoscenza di ciò che sappiamo sull’apprendimento di conoscenze e di abilità professionali degli studenti universitari e sullo sviluppo di competenze metacognitive e riflessive frutto, anche, dell’interazione fra pari. Scrivere significa oggettivare l’attività compiuta, aiuta a sviluppare competenze, a usare il pensiero critico. «Saper scrivere un progetto, predisporre un piano di valutazione, nella consapevolezza e capacità di esplicitazione di modelli e metodi utilizzati, documentare percorsi e processi, essere in grado di condividerli, rappresentano competenze chiave per chi opera nei diversi settori delle scienze dell’educazione» (Sposetti, 2017). Scrivere una relazione finale per riflettere sulle attività di tirocinio, per prenderne le distanze, per leggerne altre, per valutarle in forma scritta, secondo liste di indicatori rappresenta una modalità che può coinvolgere attivamente gli studenti. La revisione tra pari può rendere questo processo non solo attivo ma interattivo. Gli incontri fra studenti e i dialoghi fra studenti e tutor (aziendale e universitario) sono fondamentali per sviluppare un senso di comunità, per migliorare l’apprendimento e la comprensione concettuale profonda.
Quale ruolo riveste la Peer Review?
In prima approssimazione, possiamo considerare la Peer Review (valutazione tra pari) come una forma di valutazione esterna di tipo qualitativo che intende supportare le strutture educative nelle iniziative di sviluppo e porre uno specifico accento sulla promozione del miglioramento continuo. I pari (peers) sono, generalmente, un gruppo esterno di esperti chiamati a valutare la qualità di alcune aree delle strutture educative/formative (o delle ricerche scientifiche). I peer sono esterni ma sono impegnati in contesti simili a quelli della struttura valutata e possiedono esperienza e professionalità specifiche nell’argomento da valutare. Sono indipendenti e si pongono «su base di parità» con le persone delle quali devono essere valutati i prodotti o i rendimenti. I vantaggi di tale pratica possono essere ravvisati nella possibilità di conoscere in dettaglio la qualità rigorosa della struttura o del prodotto e nel contribuire al dibattito scientifico. I principali limiti evidenziati sono relativi alla soggettività dei giudizi espressi, ai costi elevati, ai tempi lunghi e alla possibilità di produrre giudizi non imparziali.
La pratica della revisione paritaria è certamente un elemento centrale dei processi di assessment. E andrebbe sostenuta indipendentemente dall’applicazione di tecniche quantitative, suscettibili di introdurre forti distorsioni interpretative e di incidere negativamente sulla qualità e sull’originalità dei prodotti. Diversi contributi internazionali discutono in merito alle potenzialità offerte dal feedback fra pari (Hattie e Timberley, 2007) e, ad esempio, il numero speciale dedicato dalla rivista «Giornale Italiano della Ricerca Educativa» del maggio 2019 (a cura di V. Grion, A. Serbati, E. Felisatti e L. Li) individua il feedback fra pari come un elemento centrale per supportare la valutazione orientata all’apprendimento.
Il modello circolare di Le Boterf, richiamato in apertura e articolato in quattro momenti (esperienza vissuta, esplicitazione, modellizzazione, transfer), può essere posto in relazione alla classificazione dei feedback realizzata da Hattie e Timperlay (2007).
Al primo livello, il feedback fra pari è focalizzato sul compito, fornisce indicazioni su come è stata svolta l’attività prevista e vissuta, sul grado di correttezza realizzato o meno e, a volte, indica le azioni correttive da intraprendere. Il suo limite è quello di concentrarsi sul compito e di non essere facilmente riutilizzabile in altri contesti.
Il secondo livello di feedback si concentra sui processi (comprensione, relazione, connessioni, ecc.) che il soggetto ha introdotto per risolvere la situazione e svolgere il compito o l’attività. Ha lo scopo di esplicitare le strategie utilizzate o di fornire indicazioni sugli elementi che non sono risultati efficaci.
Il terzo livello è occupato dal feedback di tipo autoregolativo: gli studenti sono invitati a utilizzare le informazioni, i modelli, i concetti che hanno elaborato, generando riflessioni personali, provando, ad esempio, a selezionare le informazioni rilevanti da quelle superflue.
Il quarto livello consiste nel feedback rivolto al sé. Sono espressioni di giudizi sul compito o sull’autore molto presenti ma, purtroppo, troppo frequentemente inefficaci. Sono connessi all’ambito della percezione della competenza e influenzano gli importantissimi meccanismi dell’intenzionalità. Tali elementi sono fondamentali, seppur delicatissimi, per promuovere il transfer delle proprie risorse in altri contesti. La capacità di esprimere giudizi valutativi, così come gestire i processi valutativi e autovalutativi, è una delle competenze più importanti fra i prodotti dell’apprendimento. Per raggiungere questo scopo è necessario: stimare il possesso di criteri valutati adeguati per i contesti specifici in cui ci si trova a operare; interpretare correttamente i feedback in merito alle situazioni problematiche incontrate; stimare e valutare gli strumenti e le situazioni, ma essere anche in grado di anticipare le possibili conseguenze per assumere, in modo consapevole, decisioni ed effettuare scelte (Anderson e Krathwohl, 2001).
Feedback esterno o interno?
Il feedback tradizionale, legato a un modello di insegnamento/apprendimento trasmissivo, ha messo in evidenza alcuni limiti. Ad esempio, in quel contesto di riferimento, il soggetto che apprende è collocato in una situazione di ricezione passiva delle informazioni. In una prospettiva di riferimento di tipo costruttivista la valenza dell’informazione di ritorno è connessa alle capacità di valutare e regolare, o autoregolare, il proprio apprendimento in una prospettiva di sviluppo competente e consapevole del soggetto che apprende. Quindi, l’informazione di ritorno risulta particolarmente efficace quando viene utilizzata per sviluppare autonomia e capacità di valutazione delle situazioni, del proprio apprendimento, del contesto e per avere rapido accesso alla propria struttura esecutiva per modificare tempestivamente ed efficacemente il proprio operato. Per raggiungere questo scopo è indispensabile che gli studenti siano attivi nella ricezione e nell’interpretazione del feedback ma anche nella produzione di feedback che può esercitarsi fra docente e studenti e tra studenti nella prospettiva della peer review. Sembra che l’azione del feedback sia continua mentre si svolgono attività di monitoraggio, valutazione e regolazione o autoregolazione del proprio apprendimento. Anche l’informazione rilasciata dal docente deve essere trasformata in informazione di ritorno con valenza interna per ottenere un’influenza sull’apprendimento (Serbati, Grion e Fanti, 2019). La ricerca recente sulla revisione paritaria individua questa pratica come in grado di produrre autonomamente un’informazione di ritorno, a carattere interno, senza alcun intervento del docente. In modo particolare, attraverso la produzione di un feedback scritto sui compiti prodotti dai propri pari, si innesca un processo di riflessione e di informazione interna del proprio lavoro. Sviluppando e incrementando il feedback interno si sviluppa e incrementa, per gli studenti, la propria capacità autoregolativa e di pensiero autonomo (Nicol, 2018).
Per sostenere il feedback rivolto al sé come autovalutazione degli studenti, una attenzione adeguata dovrebbe essere dedicata all’elaborazione di feedback generativi (formative feedback) (Nicol e Macfarlane-Dick, 2006) che possono essere restituiti, come nell’ipotesi progettuale, in merito alla stesura della relazione finale. È fondamentale che il feedback sia interpretato come un processo generativo di conoscenze e comprensioni inedite sulle questioni, fondato sull’azione valutativa dei pari e sulla formulazione di un giudizio. In particolare, si evidenzia come la produzione scritta di informazioni di ritorno per i propri pari sia produttrice di processi di analisi, revisioni, integrazioni e rielaborazioni delle conoscenze possedute, delle abilità impiegate nell’esperienza, che vengono esplicitate, in modo formale, nella comunicazione scritta inviata ai pari. È importante che il feedback sia specifico e tempestivo. Non deve segnalare la correttezza o meno delle elaborazioni fornite ma riuscire a evidenziare la differenza esistente tra il livello della propria prestazione e il livello considerato adeguato. Soprattutto, un buon feedback deve contenere informazioni su come poter migliorare le prestazioni future, rendere esplicito il processo di apprendimento e sostenere, negli studenti, l’acquisizione di quella competenza trasversale di «imparare a imparare» dall’esperienza.
Le funzioni mentali più elevate hanno origine quando gli studenti interagiscono tra loro o con gli ambienti (Vygotskij, 1987). Indubbiamente queste esperienze di revisione debbono essere in grado di favorire collaborazione, scambio, conoscenza reciproca. Non sempre gli studenti sono abituati a fornire commenti costruttivi e potrebbero interpretare tale richiesta in modo forzato. Occorre mettere a disposizione strumenti, materiali, exemplars di riferimento, tutte le strategie utili a ottenere un «clima valutativo» costruttivo e positivo per poter usufruire dei vantaggi del ricevere e formulare feedback. Soprattutto perché la capacità di offrire e accogliere commenti sulle proprie conoscenze, sulle proprie abilità e sul proprio operato è una competenza richiesta nel mondo professionale proprio perché risulta legata alla possibilità di innovare le conoscenze possedute, le pratiche agite, le procedure attuate, le strategie applicate. Le ricerche evidenziano come la possibilità di assumere il ruolo del valutatore (assessor) e non solo del valutato, cioè di fornire e ricevere feedback, consente di promuovere un esercizio di riflessione utile allo sviluppo di competenze cognitive e metacognitive, in quanto favorisce processi di comprensione e revisione approfonditi (Grion e Tino, 2018).
Il progetto
Il progetto si concentra sulla redazione scritta delle relazioni relative all’esperienza di tirocinio nel corso di laurea in Scienze dell’educazione di Urbino «Carlo Bo». È stato appositamente formulato, in occasione della revisione dell’ordinamento del corso, per offrire maggior sostegno agli studenti e valorizzare l’esperienza di tirocinio. La stesura della relazione finale di tirocinio richiede, infatti, agli studenti dei corsi di laurea in Scienze dell’educazione di selezionare, organizzare, formulare coerentemente le proprie idee in un contesto specifico, di cui conosce l’ambiente, le finalità, gli obiettivi e i destinatari dimostrando di saper contestualizzare le conoscenze (strategiche, metodologiche, progettuali) apprese, di dimostrare capacità di problematizzare criticamente le esperienze incontrate e non soltanto di descriverle.
A questo scopo verrà attivato il progetto peer review, di durata triennale (a.a. 2020-2021, 2021-2022, 2022-2023), allo scopo di osservare e rilevare il modo in cui le attività di revisione paritaria (ricevere e fornire feedback dai pari) possano favorire il consolidamento delle conoscenze e delle abilità e contribuire all’attivazione di modalità di pensiero critico e riflessivo relative alle esperienze di tirocinio.
Se da un lato il dibattito evidenzia le potenzialità, molto documentate, della revisione paritaria nel facilitare l’apprendimento degli studenti, è opportuno ricordare la necessità di affrontare alcune difficoltà relative, ad esempio, alla reticenza, da parte degli studenti, di procedere alla valutazione reciproca. Così come la necessità di impiegare tempi ampi e distesi, per non parlare della difficoltà (o mancanza di conoscenze specifiche) nella comprensione dei criteri di valutazione e nel loro uso.
Per questo fine si propone, in estrema sintesi, la partecipazione degli studenti, su base volontaria, a un progetto di «revisione fra pari a doppio cieco» (double blind peer review), svolto in modo anonimo su piattaforma on line. I materiali richiesti (Diario di bordo e Project Work) che compongono la relazione di tirocinio, resi anonimi, verranno visionati e valutati in modo non vincolante da due studenti revisori selezionati casualmente. Ogni studente, dopo aver valutato due relazioni di altri studenti, dovrebbe avviare un processo di riflessione critica e migliorare la stesura e la redazione della propria relazione di tirocinio. L’autore della relazione riceverà le valutazioni dei suoi pari e apporterà, se necessario, le modifiche opportune.
Questioni ancora aperte…
Il progetto costituisce ancora un’ipotesi parziale ed è necessario interrogarsi su diversi aspetti e questioni non considerati per poter avere un quadro complessivo di una competenza complessa quale l’apprendere dall’esperienza. A titolo di esempio si indicano alcune questioni rilevanti: quale incidenza e quali ripercussioni si hanno sugli allievi meno preparati dal punto di vista delle abilità di scrittura; quale ruolo riveste il livello di partenza degli studenti in merito alle tecniche e alle abilità di scrittura argomentativa; quale utilizzo è possibile fare delle revisioni paritarie nella valutazione del successo formativo dell’esperienza di tirocinio; quale impatto è possibile ravvisare fra la revisione paritaria e il coinvolgimento e l’impegno profuso nell’attività; come la revisione paritaria influenza la motivazione degli studenti.
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