Vol. 6, n. 1, aprile 2020

Modelli educativi

Elementi di discussione critica sull’educazione alla cittadinanza nel curricolo scolastico

Maria Chiara Michelini1

Sommario

Non senza enfasi, con la Legge 20 agosto 2019, n. 92 il parlamento italiano quasi all’unanimità ha introdotto il cosiddetto insegnamento scolastico dell’educazione civica. Il testo sottende una pedagogia implicita che affida alla scuola un mandato sociale che discuteremo criticamente in questo contributo, anche in riferimento alle Indicazioni Nazionali del 2012 e al Documento reinterpretativo delle medesime, elaborato nel 2018 a cura del Comitato Scientifico Nazionale per le Indicazioni Nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione. Vedremo anche come questi documenti, che dovrebbero costituire un quadro coerente e organico, offrendo alle scuole autonome la cornice unitaria entro la quale elaborare le proprie scelte e le proprie progettualità, in realtà rispondono a visioni educative differenti e scarsamente integrabili. In questa cornice, anche il parere negativo del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione alla sperimentazione della Legge 92/2019 a decorrere dall’a.s. 2019/2020 offre elementi di valutazione critica, che vanno al di là di un’angolatura necessariamente tecnica. Il ragionamento complessivo cercherà di portare in luce la più ampia questione dell’educazione alla cittadinanza in un’ottica di formazione multilaterale dell’uomo e del cittadino all’interno del curricolo scolastico.

Parole chiave

Educazione alla cittadinanza, curricolo scolastico, insegnamento.

EDUCATIONAL MODELS

Elements of critical discussion on citizenship education in the school curriculum

Maria Chiara Michelini2

Abstract

With Law 92/2019 the Italian Parliament formally introduced citizenship education in schools. The law gives schools a social mandate that will be discussed critically, also with reference to the 2012 Indicazioni Nazionali and to the Documento reinterpretativo, published in 2018 by the «Comitato Scientifico Nazionale per le Indicazioni Nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione». These documents build a unitary and organic framework within which schools can autonomously make their choices and elaborate their projects, thereby catering for different educational visions. Against this background, the negative opinion of the Higher Council of Education on the experimentation of Law 92/2019 from academic year 2019/2020 offers elements of critical evaluation. The essay will seek to highlight the wider issue of citizenship education in a multifaceted perspective within the school curriculum.

Keywords

Citizenship education, school curricula, teaching.

Uno sguardo critico al quadro normativo

La Legge 92/2019 affida alle istituzioni del sistema di istruzione e formazione la promozione «dell’insegnamento trasversale dell’educazione civica, che sviluppa la conoscenza e la comprensione delle strutture e dei profili sociali, economici, giuridici, civici e ambientali della società» (art. 2). La norma conferisce alla scuola un mandato sociale indicato dall’articolo 1, comma 1: «L’educazione civica contribuisce a formare cittadini responsabili e attivi e a promuovere la partecipazione piena e consapevole alla vita civica, culturale e sociale delle comunità, nel rispetto delle regole, dei diritti e dei doveri».

Da questo punto di vista le finalità sembrano sovrapponibili a quelle storicamente assegnate alla scuola in ordine alla formazione dell’uomo e del cittadino, ivi comprese le Indicazioni Nazionali del 2012, attualmente in vigore, che già nella loro premessa sottolineano come la scuola sia investita di un duplice compito, soggetta a una duplice «domanda, che comprende insieme l’apprendimento e il “saper stare nel mondo”». Il tutto nel segno della centralità dello studente rispetto all’azione educativa «in tutti i suoi aspetti: cognitivi, affettivi, relazionali, corporei, estetici, etici, spirituali e religiosi», ciò in seno alla finalità generale della scuola, vale a dire lo sviluppo armonico e integrale della persona, all’interno dei principi della Costituzione Italiana, anche con richiamo alla tradizione europea.

Il correlato della complessità e unitarietà del compito consiste nell’invocazione del ruolo della scuola che, in quanto comunità educante, genera una diffusa convivialità relazionale, intessuta di linguaggi affettivi ed emotivi, ed è anche in grado di promuovere la condivisione di quei valori che fanno sentire i membri della società come parte di una comunità vera e propria. La scuola affianca al compito «dell’insegnare ad apprendere» quello dell’«insegnare a essere» (dal paragrafo della Premessa: «Per una nuova cittadinanza»).

Insistendo sul quadro complessivo emergente dal testo delle Indicazioni Nazionali si rintraccia un ulteriore elemento che sta alla base del mandato globalmente assegnato alle scuole, vale a dire la complessità del paesaggio educativo sia in senso generale (riferito ai mutamenti sociali in atto) sia in riferimento al rischio di irrilevanza o di abdicazione delle figure educative adulte, quando non di difetto della capacità di presidio delle regole e del senso del limite. L’orizzonte articolato delle Indicazioni Nazionali 2012 sostanzia un ragionamento complessivo che dà conto delle intenzioni originarie e delle consegne specifiche affidate alla scuola, anche in ordine all’educazione morale e civica delle future generazioni.

Non può essere detto lo stesso per la Legge 92/2019, che rinuncia all’esplicitazione delle premesse del proprio mandato e delle eventuali connessioni tra questo e il complesso delle finalità affidate alla scuola.

Questa compressione testuale risulta essere tanto più significativa quanto più la sostanziale unanimità parlamentare nell’approvazione della legge sembra intercettare una volontà politica estremamente chiara e incisiva. In verità, l’attenzione al tema dell’educazione civica era viva da tempo, tanto che era stata oggetto di disegni di legge provenienti dai diversi orientamenti politici presenti in parlamento e non era mancata, al riguardo, una consistente attenzione mediatica anche sostenuta dalla preoccupazione per fenomeni giovanili di grande impatto come il cyberbullismo e i comportamenti antisociali. Profilo analogo, in tal senso, è rintracciabile nella legge precedente (Legge 30 ottobre 2008, n. 169, «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1° settembre 2008, n. 137, recante disposizioni urgenti in materia di istruzione e università») che introduceva azioni di sensibilizzazione e formazione del personale per il conseguimento, nei due cicli dell’istruzione, di conoscenze e competenze relative a «Cittadinanza e Costituzione» nell’ambito dell’area storico-geografica e storico-sociale e del monte ore complessivo previsto per le medesime. Conoscenze e competenze, peraltro, non esplicitamente indicate tanto che si è dovuto attendere il marzo 2009, affinché il MIUR, a seguito della circolare ministeriale 11 dicembre 2008 n. 100 con le prime informazioni sull’insegnamento di «Cittadinanza e Costituzione», sollecitasse le scuole ad approfondire temi, valori e regole a fondamento della convivenza civile e a inserirli, per quanto possibile, nella programmazione degli interventi formativi, diramando il documento di indirizzo per la sperimentazione dell’insegnamento di «Cittadinanza e Costituzione». Questo illustrava i nuclei tematici e gli obiettivi di apprendimento caratterizzanti l’insegnamento, affidando alle scuole e ai docenti il compito di distribuire i contenuti declinati nell’arco dei diversi anni di corso:

  • per la scuola dell’infanzia, conoscenze e abilità specifiche da trasmettere riguardavano il concetto di famiglia, scuola e gruppo come comunità di vita;
  • per la scuola primaria, si prevedeva l’insegnamento delle prime nozioni sulla Costituzione e sulla convivenza, i diritti fondamentali dell’uomo, il significato delle formazioni sociali, l’importanza della tutela del paesaggio, alcune basilari nozioni di sicurezza stradale, la salvaguardia della salute, il valore del rispetto delle regole;
  • per la scuola secondaria, si prevedeva lo studio della Costituzione, con una particolare attenzione ai diritti e ai doveri del cittadino e il diritto internazionale in materia di diritti umani.

Gli elementi da noi offerti in questa ricostruzione, al di là del dettaglio, permettono di interpretare criticamente le intenzioni dei legislatori e il mandato da loro affidato alle scuole.

Emergono grossolanamente due scenari.

Nel primo, che include l’esperienza delle Indicazioni Nazionali 2012, ci troviamo di fronte a un discorso finalizzato a sostenere le scuole nel doveroso compito di progettazione curricolare, evidenziando anche gli elementi del contesto socio-culturale di cui tale attività deve tenere necessariamente conto. L’intenzione degli estensori è quello di offrire alle scuole chiavi di lettura di tipo pedagogico per l’interpretazione del proprio compito istituzionale, a partire da elementi caratterizzanti la congiuntura storica. Si noti bene, gli elementi proposti vengono interpretati nel segno della complessità, connessa alla potenzialità positiva, in ordine all’educazione. Si evidenziano rischi e possibilità. Si tratta di un’operazione che considera le scuole agenti autonomi nell’elaborazione di proposte di formazione, entro il quadro dei principi costituzionali, delle istanze sociali, oltre che dei saperi, di cui al momento non ci occuperemo, per promuovere conoscenze e competenze. Al tempo stesso intende il ruolo e il compito del legislatore nel senso di farsi interprete autorevole sia delle istanze sociali, che delle cornici costituzionali. In tal senso opera scelte di indirizzo che spiega e motiva.

Il secondo scenario, quello a cui possiamo ascrivere le due leggi su «Cittadinanza e Costituzione» e «Insegnamento dell’Educazione civica», è molto più legato ai temi dell’emergenza sociale, non espressamente richiamata, ma, come già detto, caratterizzante il clima che le ha originate, ivi compresa l’attenzione mediatica, il cui risvolto più evidente è costituito dall’ art. 5, «Educazione alla Cittadinanza digitale» della legge 92/2019. La percezione di emergenza educativa spiega, probabilmente, la sostanziale unanimità nell’approvazione, nonostante i disegni di legge precedenti esprimessero orientamenti e interpretazioni differenti. Sembra di poter ravvisare, in tal senso, un’intenzione estremamente chiara che si traduce nella delega tout court alla scuola di azioni mirate alla soluzione delle problematiche pressanti. Alla scuola si chiede che «insegni» la cittadinanza e la cittadinanza globale. In questa delega sono presenti tutti gli elementi di cogenza formale, che ascrivono alla scuola il ruolo di erogatore di risposte per le istanze sociali urgenti.

Sappiamo bene che questa tendenza va ben al di là di questo ambito, e si è fatta strada nel tempo ogni qual volta un’emergenza sociale fosse al centro della scena, che si trattasse di legalità, di mafie, di affettività patologiche, di problemi ambientali ecc. Parallelamente a tale tendenza, al tempo stesso, si è progressivamente eroso il riconoscimento al ruolo delle figure educative e della scuola, in particolare, incrementando l’asimmetria tra cogenza e rilevanza dei fini e investimento (anche fiduciario) sul piano dei mezzi e di quanti sono delegati a perseguire quei fini.

Il disinvestimento, peraltro, sembrerebbe considerare taumaturgica la soluzione di problemi avvertiti come urgenti e importanti.

Questa riduzione del ruolo della scuola a esecutore operativo di risposte risolutive a questioni sociali pressanti incide anche sulla riflessione teoretica sull’educazione, riconducibile alla pedagogia, il cui ruolo viene ulteriormente ridotto: se gli operatori dell’educazione sono delegati a risolvere i problemi sociali, la riflessione pedagogica potrà essere riconosciuta solo nella sua capacità di fornire attrezzi del mestiere che risultino funzionali ed efficaci. La pedagogia verrebbe così ridotta alla dimensione dello studio della tecnica dell’educare, isolata da quella di una più ampia elaborazione scientifica, capace di tenere insieme i fini e i mezzi dell’educare.

In questo quadro complessivo va letta, a nostro modo di vedere, la scelta della Legge 92/2019 di intendere l’educazione civica come un insegnamento. L’approccio riduzionistico e disancorato da una riflessione culturale e pedagogica in senso ampio trova in questa intitolazione l’esito forse più significativo. Nella Legge Gelmini (Legge 169/2008) questo era stato un passaggio secondario. La legge, infatti, di per sé non esplicitava l’istituzione di un insegnamento, ma l’attivazione di azioni di sensibilizzazione e di formazione del personale finalizzate all’acquisizione nel primo e nel secondo ciclo di istruzione delle conoscenze e delle competenze relative a «Cittadinanza e Costituzione». La denominazione «insegnamento» compare solo a partire dalla circolare ministeriale 100/2008 la quale, giustamente, elabora un progetto di sperimentazione che pone l’innovazione curricolare al centro della norma. In quanto tale, l’innovazione dovrà essere sostenuta e accompagnata da opportune azioni di aggiornamento e formazione del personale, corredata dall’adozione di misure metodologiche e tecniche coerenti con i più elevati standard europei e, soprattutto, ispirata alla messa a punto di un approccio culturalmente appropriato. Su questo ultimo aspetto, in particolare, la circolare ministeriale 100/2008 sollecita l’individuazione, nelle Indicazioni e nei programmi vigenti, di quegli elementi che sviluppano principi, temi e valori della Costituzione, nonché le norme concernenti l’esercizio di una cittadinanza attiva e responsabile in un’ottica di pluralismo istituzionale. Di qui l’invocazione di iniziative di studio sui profili più rilevanti dei temi in esame. In fase di verifica in itinere si sottolinea la necessità di inserire alcuni elementi specifici nella programmazione dell’area storico-geografica e storico-sociale, indicate dalla norma come ambiti di inserimento privilegiato di tale insegnamento, oltre agli argomenti di carattere trasversale.

Viene inoltre ricostruita in questo contesto la necessità di raccordo e interlocuzione con le famiglie, gli enti locali e le agenzie culturali operanti nel territorio. La circolare ministeriale 100/2008, sostanzialmente, recupera il senso comunitario dell’educazione alla cittadinanza e il suo forte ancoraggio al curricolo scolastico per come è descritto dalle Indicazioni Nazionali. Il riferimento ai fenomeni sociali di bullismo e offesa alla dignità della persona vengono sottolineati al termine come ulteriore sollecitazione alla riflessione, nel quadro complessivo tracciato. Con la circolare ministeriale 100/2008 siamo di fronte a una ricomposizione del senso comunitario e complesso della scuola, e a un mandato il cui senso è innestare la formazione alla cittadinanza entro il curricolo scolastico, attraverso una valorizzazione e un approfondimento del valore formativo delle discipline in tal senso. Questa operazione di ricomposizione è resa possibile più da quanto non espressamente detto, che da quanto esplicitato dalla legge madre (il decreto legislativo 137/2008). Non è un caso che il Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione sullo schema di Legge 92/2019 sull’Educazione Civica, evidenziando una serie di elementi critici, denuncia l’incompatibilità fra la sperimentazione prevista da questa e la permanenza in vigore della Legge 169/2019. Il rilievo ha carattere giuridico formale, ma si articola e si sostanzia di aspetti ben più essenziali: rileva l’equiparazione nel testo della Legge 92/2019 di «comportamenti, capacità, conoscenze e comprensione, rendendo non chiara la differenza fra gli stessi termini, né facilitando la comprensione di quali risultati si vogliano ottenere, in termini di conoscenze, competenze e capacità da parte degli studenti». Incertezza questa che inficia la valutazione degli esiti di apprendimento, con particolare riguardo all’assegnazione del voto espresso in decimi, anche svincolando dal punto di vista valutativo la questione da quella del comportamento espresso con un giudizio collegiale, come previsto dal decreto legislativo 62/2017. Il Parere del CSPI apre implicitamente al vero vulnus della legge in questione che considera, senza neppure adeguata riflessione e argomentazione, l’educazione civica un insegnamento formalmente autonomo, sia pure di tipo trasversale, al quale il curricolo scolastico dedichi un tempo definito (non meno di 33 ore annue inserite tra quelle obbligatorie del curricolo), con affidamento, nelle scuole del primo ciclo, alla contitolarità dei docenti, in quelle del secondo ciclo ai docenti abilitati all’insegnamento delle discipline giuridiche ed economiche.

Lo scenario dell’educazione civica come delega alla scuola imbocca in tal senso una scorciatoia che sa di banalizzazione e di invocazione retorica. Non escludendo certamente l’opportunità di individuare nel curricolo momenti specificamente dedicati alla conoscenza della costituzione, piuttosto che delle principali istituzioni europee, occorre recuperare il senso più ampio e autentico dell’educazione alla cittadinanza in un’ottica di formazione multilaterale dell’uomo e del cittadino all’interno del curricolo scolastico.

Educazione alla cittadinanza e formazione multilaterale dell’uomo e del cittadino

Il tema dell’educazione alla cittadinanza, in effetti, presenta una notevole complessità, su cui esiste una letteratura molto ricca, che chiama in causa questioni nodali su cui la storia del pensiero occidentale si è lungamente impegnata (ad esempio il rapporto tra morale e politica, il loro impatto sull’istruzione delle giovani generazioni, il rapporto tra dimensione pubblica e dimensione privata dell’ethos, ecc.). La stessa storia dell’educazione civica nella scuola italiana, ben prima e ben al di là dei più recenti pronunciamenti politici, rappresenta lo specchio di antichi problemi e delle loro evoluzioni nei vari periodi storici attorno alle questioni nodali coinvolte nell’idea del buon cittadino, partecipe alla vita di uno stato in continuo mutamento anche istituzionale. Nell’economia del presente saggio desideriamo soltanto focalizzare alcuni aspetti che ci consentono peraltro di meglio intendere le questioni sottese ai modelli impliciti nelle norme evocate. Le molteplici implicazioni e trasformazioni d’ordine sociale, culturale ed economico dell’attuale contesto si riverberano, infatti, nella multidimensionalità e complessità della cittadinanza e dell’educazione ad essa. L’insistenza sulla dimensione della cittadinanza digitale della Legge 92/2019, cui abbiamo già fatto riferimento, ne è un indicatore significativo. A maggior ragione, in virtù di questa constatazione elementare e di senso comune, ci sembra ingenuo ritenere che possa essere sostenibile ed efficace un modello che riduca l’educazione alla cittadinanza a un insegnamento riconducibile a poche ore in un anno, a carico di un singolo docente, il cui profilo sia affine solo per alcuni aspetti e, comunque, in assenza di una corposa azione formativa in tal senso. Ci sembra, ad esempio, più coerente con un obiettivo di questa portata un modello che può essere definito olistico (Santerini, 2010, p. 62) nel senso indicato, ad esempio, da Cogan e Derricott, 1998), facente capo a un’idea multidimensionale di cittadinanza, riferibile a obiettivi quali:

  • approccio ai problemi in qualità di membri di una società globale;
  • assunzione di responsabilità;
  • comprensione e apprezzamento delle differenze culturali;
  • pensiero critico;
  • disponibilità alla soluzione non violenta del conflitto;
  • cambiamento di stile di vita per la difesa dell’ambiente;
  • sensibilità verso la difesa dei diritti umani;
  • partecipazione politica a livello locale, nazionale e internazionale (Cogan e Derricott, 1998, p. 116).

I singoli elementi del modello appena esposto sono caratterizzati da una profonda correlazione, tale per cui ciascuno non può essere pensato in maniera indipendente dagli altri: senza assunzione di responsabilità non si difendono i diritti umani, né si partecipa attivamente alla vita civile. Può essere utile al riguardo richiamare anche la definizione e la proposta di France Gagnon e Michel Pagè, elaborate nell’ambito del rapporto dell’International Comparative Research Gruoup (1999) di un quadro concettuale, capace di descrivere e connettere il complesso degli elementi connessi alla cittadinanza. Gagnon e Pagè rappresentano quattro macro-concetti, disposti su due assi, identità e uguaglianza, al centro dei quali sta il concetto di cittadinanza. Ai due poli dell’asse verticale, pone l’identità nazionale e le appartenenze sociali, culturali e sovranazionali. Agli estremi dell’asse orizzontale troviamo il regime effettivo dei diritti, e, all’opposto la partecipazione politica e civile.

Questo esempio intuitivamente suggerisce come sul piano educativo non si possa non pensare a un modello multidimensionale di educazione alla cittadinanza, non riducibile a percorsi segmentati e isolati riferiti a singole conoscenze, siano pure esse importanti ai fini del disegno complessivo. Al tempo stesso suggerisce l’estrema interdipendenza dei percorsi che complessivamente contribuiscono allo sviluppo dell’identità civica. La chiave di lettura di un modello di questo tipo consiste nel sostanziare la necessità che l’educazione alla cittadinanza non possa essere traducibile semplicemente nella conoscenza dei principi e delle norme che regolano il vivere civile in un determinato contesto, ma debba sostanziarsi della formazione di abiti democratici, virtù comunicative necessarie a una discussione democratica e capacità di ragionamento morale. Quella alla cittadinanza è, appunto, un’educazione che chiama in causa lo sviluppo multilaterale della persona, non soltanto la sfera cognitiva, il sapere, ma anche la dimensione etica, quella affettiva, quella relazionale. Si tratta di motivare non solo a conoscere le regole della convivenza, ma anche a partecipare alla vita sociale, nella logica del bene comune, chiedendo a ciascuno di svolgere un compito per la sua realizzazione. Formare abiti di questo genere significa sviluppare attitudini quali la solidarietà, l’altruismo, la tolleranza, l’accettazione del conflitto e delle differenze, la lealtà, lo spirito critico e costruttivo, la giustizia.3 Tutto ciò: «Non significa negare l’importanza del dato cognitivo; tuttavia quest’ultimo non costituisce una condizione sufficiente per poter determinare le qualità di un buon cittadino» (Naval, in Balduzzi, 2012, p. X). Al tempo stesso questi abiti a scuola si nutrono del potenziale formativo delle discipline insegnate e apprese normalmente nel percorso curricolare. Meglio ancora i saperi acquisiti a scuola, nei loro contenuti specifici e nelle metodologie proprie, consentono lo sviluppo degli abiti di cui si fonda l’esercizio della cittadinanza.

In questa direzione, il documento Indicazioni Nazionali e Nuovi Scenari del 2018, partendo dal mandato delle Indicazioni del 2012, mette in evidenza la necessità di assicurare nel curricolo scolastico una stretta connessione tra educazione civica ed etica della responsabilità personale e sociale, spingendosi a dire che: «i docenti sono chiamati non a insegnare cose diverse o straordinarie, ma a selezionare le informazioni essenziali che devono divenire conoscenze durevoli, a predisporre percorsi e ambienti di apprendimento affinché le conoscenze alimentino abilità e competenze culturali, metacognitive, metodologiche e sociali per nutrire la cittadinanza attiva» (par. 3).

Da questo punto di vista questo documento, non strettamente necessario e prevedibile, sembra proprio fare da monito a una tendenza che si stava già facendo strada prima della Legge 92/2019, vale a dire quella di interpretare l’offerta formativa scolastica come una risposta specifica, e perciò segmentata e riduttiva, alle grandi problematiche sociali emergenti, piuttosto che una proposta di profilo alto circa il ruolo della scuola oltre che dell’allievo che si intende formare. Ricordiamo infatti che nelle Indicazioni Nazionali si parlava di «Nuovo Umanesimo», di orientamento morale, di comunità planetaria, cittadinanza come attenzione alle dimensioni etiche e morali (Indicazioni Nazionali, 2012, p. 37), tutte sollecitazioni nella direzione di una scuola impegnata globalmente a formare sia l’uomo che il cittadino del terzo millennio.

In sostanza, il documento del 2018 sembra portare in chiaro la necessità di una formazione che, guardando al futuro, attraverso lo specifico dell’istruzione tenga insieme dialetticamente il senso, la conoscenza e l’esperienza dell’ethos condiviso dalla comunità di riferimento, sedimentato nelle sue norme, nei suoi costumi e nelle sue tradizioni, e la moralità, intesa come ragionamento interiore, autonomo su cosa sia e cosa non sia giusto fare nelle specifiche situazioni della vita. Una formazione capace di sviluppare il giudizio morale personale di ciascuno, sulla base di principi della comunità di appartenenza.

«Obiettivi irrinunciabili dell’educazione alla cittadinanza sono la costruzione del senso di legalità e lo sviluppo di un’etica di responsabilità» (Indicazioni Nazionali e Nuovi Scenari, par. 3). Questo documento sembra insomma richiamare la necessità di far coesistere in un medesimo percorso formativo sia la conoscenza del patrimonio etico di una comunità che la coltivazione delle capacità di ragionamento e giudizio morale personali, sulla base, appunto dei principi dell’eticità della comunità di appartenenza. Nella prospettiva dell’educazione alla cittadinanza, per come l’abbiamo intesa, il curricolo scolastico deve intrecciare e sostenere i percorsi formativi capaci di sviluppare la capacità di ragionamento morale autonomo nell’individuo, congiuntamente alla conoscenza, valorizzazione e partecipazione attiva all’ethos e alla vita della comunità di appartenenza.

Analogamente, il Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, nel parere espresso nel settembre 2019, sintetizza le valutazioni critiche con un’affermazione emblematica: «servirebbe una strategia diversa» (Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, Espressione di parere, 2009, p. 4)4 individuandone i tratti caratterizzanti, a partire proprio dal recupero della tradizione della scuola italiana degli ultimi sessant’anni che ha inteso l’educazione civica come insegnamento trasversale e non come «autonoma disciplina». A partire da questo principio di fondo il documento chiede di evitare improvvisazioni, affidando a vere sperimentazioni la ricerca di strade nuove e inedite. Invoca un impegno formativo massiccio rivolto a docenti e dirigenti, oltre che incrementi finanziari e organici, anziché affidare ancora una volta alla buona volontà dei docenti imprese titaniche. Invoca, inoltre, la valorizzazione di quanto le scuole hanno già realizzato sul tema, anche in riferimento all’accertamento di «Cittadinanza e Costituzione» in sede di esami di Stato, piuttosto che prevedere la creazione di un fantomatico albo delle buone pratiche. Invoca, infine, un rapporto molto più stretto con il territorio, in un autentico esercizio di corresponsabilità.

In sintesi, quella dell’educazione alla cittadinanza si profila come una prospettiva di lungo periodo, legata a obiettivi di secondo livello, come lo sviluppo di formae mentis e di abiti mentali idonei alla partecipazione attiva di ciascuno alla polis. Nutrimento importante di tali abiti saranno certamente conoscenze specifiche, ma anche capacità trasversali, come ad esempio l’esercizio del pensiero critico, le quali si sviluppano a scuola grazie al potenziale formativo di diverse discipline, il cui concorso sarà tanto più valorizzato, quanto più capace di raccordi trasversali, così come atteggiamenti e abitudini cooperative, oblative, alla tolleranza. Anche questi ultimi obiettivi sono riferibili non tanto a percorsi specifici, quanto alla creazione di ambienti di apprendimento strutturalmente organizzati in stile democratico, in cui lo scambio e la cooperazione rappresentino la consuetudine propria delle attività proposte in seno agli itinerari curricolari delle singole discipline e ispirino complessivamente la proposta della scuola, anche da un punto di vista metodologico. Il baricentro dell’educazione alla cittadinanza sembra trovare difficilmente casa in formule circoscritte di insegnamento diretto, necessitando di riferirsi a contesti ampi e intenzionalmente ispirati alla formazione di abiti di un certo tipo, vale dire ad ambienti educativi in senso deweyano, il quale che ci ricorda che «noi non educhiamo mai direttamente, ma indirettamente, per mezzo dell’ambiente» (Dewey, 2000, p. 24). Di questo ambiente quel patrimonio conoscitivo individuale e collettivo, necessario alla crescita dello spirito e della vita, che chiamiamo «saperi», così come sono insegnati a scuola, costituisce l’ossatura, il proprium formativo.

Bibliografia

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1 Professore Associato di Pedagogia Generale e Sociale M-Ped/01, Università degli Studi di Urbino Carlo Bo.

2 Associate Professor, General and social Pedagogy, Università degli Studi di Urbino Carlo Bo.

3 Su questo versante, richiamiamo le diverse interpretazioni della pratica didattica per lo sviluppo del carattere morale nelle società democratiche (Moral Education, Character Education, Civic and Citizenship education), sulle quali, nell’economia del presente lavoro, non è opportuno soffermarsi.

4 Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione (2009), Espressione di parere sullo Schema di decreto relativo alla sperimentazione nazionale in merito all’insegnamento trasversale dell’educazione civica in tutte le scuole del primo e secondo ciclo di istruzione del sistema nazionale di istruzione, http://m.flcgil.it/files/pdf/20190911/parere-cspi-su-educazione-civica-dell-11-settembre-2019.pdf (consultato il 16 marzo 2020).

Vol. 6, Issue 1, April 2020

 

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