Test Book

Teorie e pratiche dell’inclusione / Theories and practices of inclusion

Metodo degli EAS e didattica inclusiva nella scuola delle competenze
EAS method and inclusive didactic in a competence-oriented school

Simona Perfetti

Professore Associato



Sommario

Il metodo degli EAS, Episodi di Apprendimento Situato, messo a punto da Rivoltella, dai ricercatori del CREMIT e dagli insegnanti dal 2014, si propone come un modello differente di far scuola. Un EAS è costruito su tre periodi principali: un momento anticipatorio, cioè un compito che viene consegnato alla classe e che può essere un video da guardare o un’esperienza da fare solitamente in modalità flipped, da svolgere a casa; un momento operativo in cui la classe deve sviluppare una micro-attività individuale o di gruppo nella quale bisogna produrre un artefatto (una mappa concettuale, un breve video); un momento di ristrutturazione, cioè il debriefing, ovvero una riflessione critica sui processi attivati e che si può realizzare sia attraverso un brainstorming, sia tramite metodologie di analisi più strutturate. L’insegnante conclude, poi, con una breve lezione in cui fissa i concetti-chiave e pone ulteriori approfondimenti. Lavorare con gli EAS vuole dire partire da un’accurata progettazione del docente (Lesson Plan) che proporrà agli studenti esperienze di apprendimento situato e significativo che dovranno concludersi con la realizzazione di artefatti digitali favorendo, in tal modo, sia un’appropriazione personale dei contenuti, sia la cooperazione e la condivisione.

Parole chiave

EAS, Inclusione, Scuola, Cooperazione


Abstract

The method of the EAS, Episodes of Sited Learning, developed by Rivoltella in 2014 together with CREMIT researchers and teachers, is proposed as a different model of schooling. An EAS is built on three main periods: an anticipatory moment, that is a task that is delivered to the classroom and that can be a video to watch or an experience to do, usually in flipped mode, to be done at home; an operative moment in which the class has to develop an individual or group micro-activity in which it is necessary to produce an artifact, (a conceptual map, a short video); a moment of restructuring i.e. debriefing, or a critical reflection on the processes activated and that can be achieved either through a brainstorming, or through more structured analysis methodologies. The teacher then concludes with a brief lesson in which he sets the key concepts and puts further details. This is because when you work for EAS on the one hand you leave room for discovery and problem solving, group work, the production and issue of artifacts are encouraged, and on the other hand you aim at an inclusive teaching, that is, how a teaching that bets on those strategies and methods can enhance, educatively, the personal profile of the students.

Keywords

EAS, Inclusion, School, Cooperation


Introduzione

La necessità educativa di portare avanti una riflessione su una metodologia di insegnamento innovativa come quella degli EAS, chiama in causa direttamente la crisi che da tempo sta attraversando l’istituzione scolastica. La società è passata dalla problematicità del modello autoritario tradizionale esploso negli anni Settanta con la protesta giovanile a un contesto, quello attuale, in cui predomina l’incapacità della scuola e della famiglia di porre regole e orientare i giovani verso progetti di vita. In tale direzione Baldacci (2014), riflettendo sulla crescita intellettuale e interiore delle giovani generazioni, affronta la questione della necessità di un’idea di scuola che concepisca politiche scolastiche e metodi di apprendimento che puntino a un concreto funzionamento del sistema istruzione. Pensare oggi a un’idea di scuola adatta alle sollecitazioni culturali del presente è un’impresa educativa complessa in quanto uno dei tratti distintivi dei nativi digitali è l’utilizzo intenso e continuato dei media; i giovani, perennemente connessi, vedono nelle nuove tecnologie un ambiente cognitivo in grado di aumentare sia la loro dimensione sociale e relazionale, sia il loro bagaglio culturale. Ecco perché appare sempre più urgente la necessità educativa di pensare ai media digitali come a una possibilità per iniziare un ripensamento dell’essenza stessa dell’educare, ovvero leggerli come nuove opportunità educative nel cui ambito la relazionalità e la cooperazione si coordinano con la cognizione. In questa ottica Rivoltella (2018a) ha sottolineato un cambio di paradigma, dalle «tecnologie a distanza» alle «tecnologie di gruppo». L’espressione «tecnologie di gruppo» significa che l’uso delle tecnologie può offrire nuove possibilità di lavorare in gruppo; i giovani si scambiano opinioni, discutono su un argomento, cercano di orientarsi in una situazione e, eventualmente, risolvere un problema, così come possono anche decidere come organizzare il lavoro del gruppo stesso. Il focus, dunque, riguarda la gestione delle differenti interazioni in quanto, all’inizio di un’esperienza didattica, nel lavoro di gruppo c’è maggiore cooperazione (Parmigiani, 2009).

Un’altra questione di grande rilevanza riguarda sia un cambio di concettualizzazione del binomio educazione-media, poiché le tecnologie si presentano, ormai, come un normale ambiente delle pratiche scolastiche (Rivoltella, 2018a), sia il vedere la tecnologia come «luogo e prolungamento della relazione stessa».[1] Insegnanti e alunni, infatti, sono in grado tanto di rimanere in contatto fuori dall’ambiente scolastico grazie, appunto, alle tecnologie, quanto costruire un ambiente virtuale nel quale incontrarsi e realizzare vere e proprie comunità di apprendimento.

Alla luce di queste considerazioni preliminari, la riflessione che guiderà queste pagine riguarderà la possibilità di lavorare al meglio sulle opportunità offerte dalle tecnologie e, tra queste, quella di orientare la didattica verso i principi dell’integrazione, della collaborazione e dell’inclusione. Il metodo degli EAS può, così, rappresentare una bussola orientativa per gli insegnanti e per i giovani poiché, tale metodo, messo a punto da Rivoltella, dai ricercatori del CREMIT e dagli insegnanti dal 2014, si propone come un modello differente di fare scuola.

Operativamente tale metodo individua un determinato argomento per realizzare una lezione interattiva grazie anche alla tecnologia; si tratta di un sapere che si organizza progressivamente e in maniera collaborativa nel cui ambito il ruolo dell’insegnante diventa quello di programmare e coordinare. I presupposti teorici della metodologia degli EAS rispecchiano da una parte un richiamo alla tradizione con la scuola del fare di Freinet, e dall’altra la necessità di una didattica innovativa con la Flipped Lesson di Mazur il quale già dal 1991 usò la Flipped Classroom con i suoi alunni proponendo loro un compito da svolgere a casa. L’attualità del metodo EAS risiede anche nel fatto che si tratta di una metodologia ispirata alla prospettiva del microlearning, ovvero un percorso di apprendimento informale che riguarda quei fenomeni che attraversano l’attuale cultura mediale, quali la frammentazione e la ricombinazione dei formati testuali.

Di seguito la struttura dell’EAS:[2]

Fasi EAS

Azioni dell’insegnante

Azioni dello studente

Logica didattica

Preparatoria

· Assegna compiti.

· Disegna ed espone un framework concettuale.

· Fornisce uno stimolo.

· Dà una consegna.

· Svolge i compiti assegnati.

· Ascolta, legge e comprende.

 

Problem setting

Operativa

· Definisce i tempi dell’attività.

· Organizza il lavoro individuale e/o di gruppo.

· Produce e condivide un artefatto.

Learning by doing

Ristrutturativa

· Valuta gli artefatti.

· Corregge le misconception.

· Analizza criticamente gli artefatti.

· Sviluppa riflessione sui processi attivati.

Reflective Learning

 

L’insegnante che lavora con gli EAS si troverà a svolgere un’attività di supporto che si completerà, in un secondo momento, con una sorta di lezione conclusiva in cui oltre a correggere gli errori, focalizzerà l’attenzione sulle argomentazioni principali.

Ora, al di là dell’aspetto operativo degli EAS, da un punto di vista pedagogico tale metodologia punta a una didattica inclusiva, una didattica che, facendo leva sulla diversità degli alunni, mira a un’idea di scuola democratica nel cui ambito valorizzare i talenti significa garantire una forma di merito non basata sulla competitività ma sul riconoscimento delle differenti competenze di ogni studente nella classe.

 

Educare ai media. Scuola, giovani e futuro

Nella scuola odierna le nuove tecnologie rappresentano sicuramente un grande sostegno alla progettazione didattica e in tale senso la metodologia degli EAS si pone sul livello operativo dell’apprendimento perché tale utilizzo vede nelle tecnologie mezzi per attivare percorsi di inclusione, condivisione e confronto. Stiamo vivendo la terza età dei media cioè quella in cui i media diventano una sorta di tessuto connettivo (Rivoltella, 2018a), una specie di «sistema nervoso» che attraversa la nostra corporeità. Rivoltella domandandosi quale sia il senso ultimo della scuola nel digitale, individua alcuni ambiti di riflessione che riguardano la formazione in relazione ai media.

Uno degli aspetti più evidenti ha a che fare con la dematerializzazione dei flussi documentali tanto in ambito scolastico quanto fuori dalle mura della scuola. Il registro elettronico, la posta certificata, le comunità virtuali create dagli insegnanti ma anche dagli alunni per restare in contatto fuori dall’orario scolastico, danno vita a una nuova dimensione comunicativa relativa al rapporto scuola-famiglia, scuola-territorio, scuola-insegnanti.

Un altro aspetto riguarda i digital device in quanto la scuola, oggi, dispone di materiali didattici tecnologici, come ad esempio tablet e LIM, che offrono un supporto ai processi di apprendimento e di insegnamento che punta su aspetti come la cooperazione e la collaborazione.

Un’altra dimensione che interessa la scuola digitale concerne la possibilità di sfruttare le opportunità offerte dal distance learning, cioè opportunità legate a una didattica innovativa fatta di servizi di virtual classroom, di piattaforme online per organizzare l’insegnamento/apprendimento, di sistemi di videocomunicazione. Questi aspetti «facilitano il lavoro collaborativo, consentono all’insegnante di orientare meglio il lavoro svolto a casa dagli studenti, favoriscono l’inclusione dei bambini e dei ragazzi che si trovano momentaneamente in ospedale o in istruzione domiciliare, consentono alle classi dei piccoli plessi di rimanere in contatto con la sede principale, rendono possibile il gemellaggio tra scuole, in Italia e all’estero».[3] Infine la scuola digitale deve anche fare i conti con la realtà della narrazione che si è modificata e ampliata rispetto al passato poiché i modi di raccontarsi avvengono anche attraverso i social media, dilatando le dimensioni entro cui esperire i vissuti. D’accordo con Genette[4] potremmo definire la narrazione come quella «pratica sociale in cui due o più persone mettono in comune una storia»;[5] la narrazione, pertanto, è una «rappresentazione che connette».[6] Per afferrarne il senso è, dunque, necessario guardare sia al contesto culturale e relazionale in cui si realizza, sia alla condizione soggettiva ed emotiva di chi narra.

Nella società di oggi la narrazione, che avviene tramite immagini e varie forme di testualità, si è allargata a dismisura finendo col modificare il nostro tempo sociale e individuale. Le nuove tecnologie[7] concorrono, tramite strutture simboliche mediate, alla costruzione identitaria personale diventando veri e propri realizzatori di raffigurazioni socio-narrative della realtà. Uno degli aspetti sui quali il mondo dell’educativo in generale e la scuola in particolare dovrebbe interrogarsi è la retorica dell’esposizione (Rivoltella, 2010), cioè la tendenza che hanno le persone di esporre nella pubblica piazza della rete ciò che in passato veniva considerato e tutelato come intimo.

«Ecco perché, la sfera privata invece di ritirarsi da quella pubblica, esplode in essa facendo della nostra, una “società estroflessa”, una società in cui il “personale” è sempre più spesso “pubblico”».[8] Dinanzi a tali sfide l’istituzione scolastica dovrà cercare di costruire dei percorsi che siano in grado valorizzare l’impatto di tutto quello che potrebbe rivelarsi costruttivo da un punto di vista educativo come, ad esempio, il riuscire a porsi come momento coagulante tra le narrazioni informali dei giovani e le proprie narrazioni formali. Per tentare di concretizzare tale percorso chi si occupa di educazione dovrebbe provare a realizzare nella scuola una vera e propria «cultura della narrazione» una cultura, cioè, in grado di declinarsi nel legare l’apprendimento dei giovani alla cultura mediale poiché una grande dimestichezza nell’usabilità non corrisponde a un impiego responsabile delle nuove tecnologie. Basti pensare, ad esempio, al fenomeno dell’hate speech, espressione sviluppata dalla giurisprudenza americana che indica un genere di parole e discorsi impiegati per diffondere pregiudizi e manifestare odio nei confronti di una persona o di un gruppo. Si tratta di un fenomeno sociale presente già nelle prime forme di interazione attraverso la rete e che, grazie all’esplosione dei social media interessa, ormai, sempre più persone. Studi scientifici sull’argomento, come ad esempio le riflessioni di Davide Bennato,[9] sottolineano come le persone che manifestano violenza nella vita quotidiana, lo fanno anche nella vita online. L’Autore suggerisce di considerare alcune dimensioni sociali offline amplificate, online, dai social media. Una dimensione ha a che fare con l’adesione a modelli condivisi di intolleranza, un’altra riguarda il sentirsi parte di un gruppo che, idealmente e culturalmente, condivide determinati valori, infine il soggetto violento deve avere la percezione di una qualche forma di legittimazione sociale dei valori che condivide. Tutto questo, nel mondo dei social media, troverebbe un terreno fertile di espansione in quanto, tali comportamenti, si amplificherebbero grazie ai seguenti processi:

  1. l’effetto filter bubble, ovvero le persone che utilizzano, per esprimersi online, contenuti violenti ricevono costantemente informazioni legate alla violenza grazie alla strutturazione degli algoritmi di personalizzazione come Google suggest o Edgeran;
  2. l’omofilia (inteso nel senso più ampio del termine) cioè le persone hanno la possibilità di creare network sociali e virtuali con altri con cui poter condividere comportamenti violenti;
  3. infine vi è l’effetto spirale del silenzio che riguarda la percezione, da parte di chi agisce violenza, di un clima sociale sempre più ampio di legittimazione alle proprie azioni.

In tale direzione la scuola potrebbe davvero fungere da bussola orientativa per le giovani generazioni perché insegnare i linguaggi mediali vuole anche dire richiamare l’attenzione sul senso critico e sul principio di responsabilità. «Leggere criticamente le immagini è uno dei compiti classici della Media Education: nella misura in cui i testi mediali sono delle costruzioni, essi celano iscrizioni e intenzioni ideologiche. Questa opacità necessita di essere messa in discussione attraverso l’esercizio dell’analisi: insegnare agli studenti ad essere critici significa insegnare loro a dubitare di quel che appare, a mettere in discussione il senso che si organizza alla superficie […] Essere responsabili nei confronti delle proprie narrazioni significa avere consapevolezza di cosa significhi affidarle allo spazio pubblico e assumersene le conseguenze. Educare ai media nella scuola, significa educare alla cittadinanza».[10]

Il metodo degli EAS, argomento di riflessione di queste pagine, è un modo di fare scuola che potrebbe rispondere con chiarezza alla complessità della società attuale muovendosi in quello che Alain Berthoz (2012) ha definito come il paradigma della semplessità, paradigma che non indica un sinonimo di semplicità, quanto piuttosto una caratteristica degli esseri viventi di aver sviluppato, nel corso del tempo la capacità, grazie a dispositivi intermedi, di trovare soluzioni «semplici» rispetto a realtà complesse. In tal senso la scuola si trova ad assumersi il compito di aiutare il giovane a fronteggiare la complessità della società incaricandosi di svolgere una funzione di mediazione, selezionando tutta una serie di informazioni e, in questo caso, l’EAS può essere inteso come un dispositivo semplesso.[11]

A valle di queste considerazioni il sistema scolastico, grazie a un utilizzo critico dei media attraverso la metodologia degli EAS, sarà anche in grado di potenziare quelle azioni che possano valorizzazione la riflessività e la comunicazione nell’ambiente digitale, scommettendo sulla dimensione relazionale degli alunni. La relazionalità, infatti, se saggiamente orientata da chi si occupa di educazione, potrà spingere i giovani verso la necessità di confrontarsi al fine di riflettere sull’approfondimento di situazioni e contenuti in un continuo dialogo con l’altro. Basti pensare, ad esempio, al momento operatorio e a quello ristrutturativo di un EAS. Nel momento operatorio gli alunni devono svolgere una micro-attività di gruppo nella quale dovranno produrre un artefatto lavorando insieme; nel momento ristrutturativo, il debriefing, l’attenzione è volta a quei processi che si sono attivati nei momenti precedenti e che servono a fissare gli elementi, fornendo uno sfondo concettuale al lavoro esperienziale degli studenti.

 

Una nuova idea di scuola. Inclusione e metodo degli EAS

Un nuovo modello di scuola democratico, oggi, deve contemplare alcune dimensioni educative fondamentali affinché si possano realizzare quelle relazioni etiche in grado di affrontare le ormai imprevedibili sfide formative della società. Innanzitutto il mondo dell’educativo dovrebbe organizzare la scuola tenendo conto delle differenze di ogni alunno e valorizzare il pieno sviluppo delle potenzialità inespresse di ognuno. Ma una scuola democratica deve anche diventare sempre più «globale» (Spadafora, 2018) ovvero deve avere la capacità sia di crescere nella specificità dei territori, sia avere un’apertura alle problematiche culturali globali perché, solo realizzando queste dimensioni, tale istituzione sarà in grado di orientare i giovani verso un progetto di vita adatto a contenere forme di disagio e a realizzare un possibile percorso di vita in equilibrio tra la tensione alle legittime aspirazioni e la consapevolezza della fallibilità. Perrenoud (2017) afferma quanto sia importante, per l’insegnante, interrogarsi sulla propria attività e sulla relazione educativa con i giovani anche in un processo di osservazione che la scuola stessa può intraprendere nell’ambito di un percorso di autovalutazione complessiva. Un’organizzazione didattica dai contenuti interdisciplinari, infatti, deve contemplare, per poter funzionare, la competenza culturale dell’insegnante ma anche del dirigente che dovranno considerare l’alunno una «differenza» verso cui «decentrarsi empaticamente per favorire lo sviluppo delle sue potenzialità inespresse».[12] Alla luce di queste osservazioni sul futuro del sistema scolastico, il metodo degli EAS può essere inteso come un modo di fare scuola che riesce a conciliare quelle che sono le due necessità principali dell’insegnante oggi: ridurre il gap che separa le pratiche dei contesti informali dei giovani dalle pratiche formali della scuola e riflettere concretamente, attraverso il metodo, sulla questione della didattica. Gli EAS, infatti, si pongono come una sorta di mediatori didattici «nella direzione di un avvicinamento delle pratiche attraverso le quali gli studenti nei loro contesti informali accostano le informazioni, le scambiano, se ne appropriano. Quando si lavora per EAS si lascia spazio alla scoperta e al problem solving, si ricorre al lavoro di gruppo, si organizza la classe come un gruppo di affinità, si stimolano la produzione e la pubblicazione di artefatti, e tutto questo certamente trae vantaggio dalla disponibilità di dispositivi digitali in modalità one-to-one (che naturalizzano ancor di più dentro la scuola strumenti con i quali i ragazzi quotidianamente gestiscono le loro relazioni e occupano il tempo libero)».[13]

Gli EAS non si pongono solo come mediatori didattici ma assolvono anche al compito di organizzare professionalmente l’attività di chi si occupa di educazione nel senso che praticare gli EAS vuole anche dire, per il docente, riflettere criticamente sulle proprie pratiche, progettare, valutare e creare una relazione comunicativa con gli alunni. In altri termini tale modello didattico, integrando sia strumenti analogici, sia strumenti digitali implica, da una parte una sorta di revisione delle azioni principali delle pratiche didattiche, cioè la progettazione e la comunicazione, poiché lavorare con gli EAS richiede una logica di problem solving e di pensiero breve, e dall’altra punta a una didattica inclusiva intesa, cioè, come una didattica che scommette su quelle strategie e quei metodi in grado di valorizzare, educativamente, il profilo personale degli alunni. Anche se la categoria dell’inclusione è una categoria molto ampia e adattabile a moltissimi fenomeni educativi e sociali, ai fini della nostra riflessione è utile prendere in considerazione due aspetti, quello sociale e l’aspetto culturale. Per quanto concerne l’aspetto sociale (Acone, 2011) esso si declina muovendosi tra due poli, quello dell’autoreferenzialità e quello della prossimità, cioè apertura e chiusura nei confronti dell’altro. Questa sorta di dialettica è riscontrabile in molti ambiti educativi da quelli macro, come la decisone di una scuola di relazionarsi o meno con il territorio o con le altre scuole avvertite come antagoniste nella pianificazione formativa, a quelli micro come, ad esempio, un gruppo di alunni che invece di accogliere i nuovi compagni si dimostra chiuso a qualsiasi forma di integrazione.

L’aspetto culturale dell’inclusione è direttamente proporzionale a quello sociale in quanto ha a che fare con le dimensioni dell’alterità e dell’identità poiché la questione dell’inclusione riguarda l’educazione in quanto tale, «allargandosi dal piano individuale (una mentalità inclusiva è probabilmente qualcosa che va sviluppato in ogni studente) a quello politico e di cittadinanza. Letto in questa prospettiva il problema dell’inclusione nasce con la comparsa dell’altro, un’esperienza antropologica fondamentale su cui le scienze umane hanno riflettuto a lungo».[14] L’inclusione dell’altro, dunque, trova nella didattica per EAS un luogo di esplicitazione sia attraverso l’esperienza del montaggio di oggetti culturali (Rivoltella, 2013), sia valorizzando lo sviluppo di narrazioni comuni per il cui tramite i soggetti possono rappresentare narrativamente la propria identità condividendo con altri tale narrazione.

Per quanto riguarda l’importanza che gli EAS possono svolgere nella progettazione del curricolo, è utile ricordare che ogni istituto scolastico realizza il proprio curricolo riferendosi alle Indicazioni Nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione che vengono, poi, integrate con le decisioni autonome di ogni singola scuola. A partire da tale progettazione si costruiscono le ulteriori iniziative di stesura della programmazione periodica, accompagnata da criteri di condivisione di valutazione. I traguardi raggiunti per lo sviluppo delle competenze devono essere, poi, valorizzati portando avanti una didattica collaborativa che metta al centro sia la creatività dell’alunno, sia la collaborazione tra docenti. L’EAS, in tale direzione, è uno strumento in grado di rispondere a queste esigenze in quanto, progettare per EAS, significa valutare quelle esperienze di apprendimento in grado di favorire la riflessione metacognitiva del giovane al fine di orientarlo verso un pensiero critico e flessibile.

Vediamo ora, operativamente, alcuni passaggi pratici per la realizzazione di un EAS da collocare all’interno della disciplina di Storia della classe seconda della Scuola Primaria:[15]

Titolo EAS

Racconto: Dove sono andato in vacanza

Classe

Scuola Primaria, classe seconda

Argomento

Il paesaggio delle mie vacanze

Discipline coinvolte

Geografia/Storia/Musica

Intenzionalità educativa

Gli alunni, attraverso il racconto delle loro esperienze, individuano le caratteristiche dei diversi paesaggi, stabiliscono delle relazioni tra attività possibili riflettendo sul paesaggio e sul cambio di stagione. I bambini riflettono sugli spazi in cui hanno potuto giocare, sugli elementi naturali e artificiali presenti.

Obiettivi di apprendimento

Discipline di riferimento

· Ordinare fatti ed esperienze vissute in vacanza e riconoscere rapporti di successione esistenti fra loro.

· Ricavare da fonti di tipo diverso informazioni e conoscenze, dirette e inferenziali, relative a un tema.

Storia

· Individuare le caratteristiche del paesaggio.

· Individuare le differenze tra un paesaggio e l’altro attraverso immagini e descrizioni.

· Individuare le attività possibili nei diversi tipi di paesaggio.

Geografia

· Individuare i suoni e i rumori di un paesaggio tramite l’ascolto di registrazioni.

Musica

Conoscenze che gli studenti devono possedere per affrontare l’EAS

Per poter fruire con successo di questo EAS gli studenti dovranno essere in grado di:

· reperire il materiale necessario (fotografie, risposte dei genitori);

· partecipare a una semplice conversazione;

· partecipare ai giochi e alle attività di gruppo.

 

Setting

Strumenti

Gli alunni svolgono le attività previste in aula in modalità individuale e di gruppo.

LIM, fotografie digitali, registrazioni.

Sviluppo EAS

Fase 1 – Preparatoria

Azioni dell’insegnante

Azioni dell’alunno

Logica didattica

· Assegna compiti.

· Realizza la mappa concettuale.

· Fornisce uno stimolo.

· Dà la consegna.

· Svolge i compiti assegnati.

· Ascolta, legge e comprende.

PROBLEM SOLVING

(Elaborazione di strategie di soluzione)

L’insegnante, dopo aver aperto la conversazione sui luoghi delle vacanze, chiede agli alunni di:

· portare una cartolina, una fotografia digitale o un video delle loro vacanze;

· predispone un Popplet che i bambini possono completare insieme ai loro genitori.

COMPITO INDIVIDUALE

L’alunno:

· selezione e porta a scuola le testimonianze richieste;

· compila il Popplet assegnato insieme ai propri genitori o insieme alle persone che sono andate in vacanza con lui. Qualora fosse stato in più luoghi si può richiedere di completare più Popplet.

La rielaborazione a posteriori aiuterà il bambino a collocare meglio i luoghi visitati e a farsi delle domande sulle caratteristiche di quel paesaggio.

Le domande relative ai mezzi di trasporto utilizzati, sulla sua percezione di vicino/lontano lo porteranno a voler raccogliere ancora più informazioni.

 

Tempo di attuazione: 4 ore

 

Fase 2 – Operativa

Azioni dell’insegnante

Azioni dell’alunno

Logica didattica

· Definisce i modi e i tempi di realizzazione delle attività.

· Organizza il lavoro individuale e di gruppo.

Produce e condivide un artefatto.

APPRENDERE ATTRAVERSO IL FARE

(Laboratorio)

L’insegnante:

· introduce la lezione chiedendo ai bambini che tipo di paesaggi hanno visitato;

· suddivide i bambini in base ai luoghi che hanno visitato: mare, montagna, lago, città, campagna.

Consegnerà a ogni gruppo la struttura dello stesso Popplet consegnata per il compito;

· assegna a ciascun gruppo un colore e predispone sulla LIM la cartina politica dell’Italia o d’Europa;

· chiede di scrivere tutte le attività possibili svolte nell’ambiente vissuto e quali lavori svolgevano le persone che abitavano lì.

Ogni piccolo gruppo avrà a disposizione un PC.

COMPITO COLLETTIVO

I bambini dopo essersi confrontati e aver letto i Popplet dei loro compagni dovranno:

· selezionare le notizie più significative relative a quell’ambiente completando nuovamente il Popplet;

· fare l’upload (caricamento) delle immagini digitali portate da casa;

· segnare con una bandierina i luoghi visitati (con l’aiuto dell’insegnante).

Il confronto con bambini che sono stati nello stesso tipo di paesaggio li aiuterà a conoscere le caratteristiche degli ambienti.

 

Localizzare i posti in cui hanno soggiornato su una cartina geografica li renderà più responsabili nell’affermare se il luogo in cui sono stati era vicino o lontano rispetto alla propria città.

 

Tempo di attuazione: 4 ore

 

Fase 3 ­– Ristrutturativa

Azioni dell’insegnante

Azioni dell’Alunno

Logica didattica

· Valuta il lavoro svolto.

· Corregge le miscredenze.

· Fissa i concetti.

· Analizza criticamente il lavoro svolto.

· Sviluppa riflessione e metacognizione rispetto ai processi attivati.

RIFLETTERE SU QUANTO SI È APPRESO

(Didattica metacognitiva)

L’insegnante:

· ascolta la presentazione degli artefatti di ogni gruppo;

· utilizza un filo colorato per ciascun gruppo per evidenziare sulla cartina europea il paesaggio più lontano e più vicino dal luogo in cui abitano gli alunni;

· fa ascoltare suoni e rumori relativi a ciascun paesaggio;

· attraverso la LIM dopo aver salvato le immagini dei paesaggi conosciuti dai bambini, li invita a ripassarne i contorni.

COMPITO COLLETTIVO

I bambini:

· commentano il loro Popplet collettivo;

· mostrano agli altri bambini le caratteristiche del loro paesaggio e i luoghi dove sono stati sulla cartina;

· illustrano le attività lavorative degli abitanti di quella zona;

· cercano di riconoscere e commentano i suoni ascoltati;

· ripassano i contorni degli elementi paesaggistici utilizzando lo strumento pennarello della LIM.

I bambini rifletteranno sulle differenze di ciascun paesaggio e, particolarmente coinvolti nello stabilire chi si sia allontanato di più, inizieranno a familiarizzare con una cartina geografica.

Inoltre si concentrano sul chi e sul che cosa produce quel suono/rumore (elementi naturali/elementi antropici).

 

Tempo di attuazione: 6 ore[16]

 

 

Concludendo, appare chiaro come l’importanza dell’essere in situazione per la didattica trova nella metodologia degli EAS uno spazio di chiara esplicitazione in quanto lavorare insieme su cose da realizzare rende possibile l’accadere della comunicazione, dell’inclusione e la concretizzazione di nuove modalità di stare insieme. Tutto questo va ad arricchire l’esperienza della categoria della differenza poiché in una scuola, tale categoria appunto, viene attraversata anche da vettori per così dire «strutturali» legati, cioè, alle trasformazioni della società globalizzata e complessa dell’oggi. In tale direzione, ad esempio, le azioni dell’insegnante possono riguardare le dimensioni:

  • multiculturali, nel cui ambito l’insegnante potrà valorizzare le specificità culturali e i differenti codici di comunicazione degli alunni stranieri;
  • di diversità di genere; l’azione dell’insegnante potrà essere quella di riflettere criticamente su problematiche ampie come i conflitti tra bambini e bambine e la conseguente valorizzazione di una cultura del rispetto reciproco sia in età adolescenziale, sia per quel che concerne la questione della formazione dell’identità sessuale e di genere nei termini di inclusione anche nei casi di identità differenti da quelle eterosessuali.[17]

Come afferma Dovigo una didattica operativamente inclusiva, al di là dei presupposti teorici, implica

«non semplicemente “fare posto” alle differenze — in nome di un astratto principio di tolleranza della diversità — ma piuttosto affermarle, metterle al centro dell’azione educativa in quanto nucleo generativo dei processi vitali che si sviluppano proprio attraverso lo scarto di prospettiva derivante dalle molteplici differenze di cultura, abilità, genere e sensibilità che attraversano il contesto scolastico».[18]

 

Bibliografia

Acone G. (2011), Globalizzazione e formazione della persona, «Pedagogia e vita», vol. LXIX, n. 1, pp. 13-28.

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Dovigo, F. (2008), L’Index per l’inclusione: una proposta per lo sviluppo inclusivo della scuola. In T. Booth e M. Ainscow (a cura di), L’Index per l’inclusione, Trento, Erickson.

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Rivoltella P.C. (2010), Il volto sociale di Facebook. Rappresentazione e costruzione identitaria nella società estroflessa. In D. Vinci (a cura di), Il volto nel pensiero contemporaneo, Trapani, Pozzo di Giacobbe.

Rivoltella P.C. (2013), Fare didattica con gli EAS. Episodi di Apprendimento Situato, Brescia, La Scuola.

Rivoltella P.C. (2018a), Didattica inclusiva con gli EAS, Brescia, Editrice La Scuola.

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Sacchella A. (2018), EAS e progettazione del curricolo. In P. C. Rivoltella (a cura di), Didattica inclusiva con gli EAS, Brescia, Editrice La Scuola.

Spadafora G. (2018), Processi didattici per una scuola democratica, Roma, Anicia.

 

[1] Cfr. P.C. Rivoltella (2018b), Didattica inclusiva con gli EAS, op. cit.

[2] F. Dovigo (2008), L’Index per l’inclusione: una proposta per lo sviluppo inclusivo della scuola. In T. Booth e M. Ainscow (a cura di), L’Index per l’inclusione, Trento, Erickson, 2008, p. 17.

[3] P.C. Rivoltella, Un’idea di scuola, op. cit., p. 100.

[4] Cfr. G. Genette (1976), Figure III. Discorso del racconto, Torino, Einaudi.

[5] P. Jedlowski (2000), Storie comuni. La narrazione nella vita quotidiana, Milano, Bruno Mondadori, p. 66.

[6] Cfr. P. Ricoeur (1994), Tempo e racconto, Milano, Jaca Book.

[7] Cfr. G. Di Fraia (2004), Storie con-fuse. Pensiero narrativo, sociologia e media, Milano, FrancoAngeli.

[8] P.C. Rivoltella (2010), Il volto sociale di Facebook. Rappresentazione e costruzione identitaria nella società estroflessa. In D. Vinci (a cura di), Il volto nel pensiero contemporaneo, Trapani, Pozzo di Giacobbe, p. 513.

[9] Si fa riferimento ad una relazione dal titolo Sociologia dell’odio digitale e dello hate speech, presentata da Davide Bennato al «Web Marketing Festival» (2015), e poi riportata nel blog «Tecnoetica»: http://www.tecnoetica.it/2015/06/21/sociologia-dellodio-digitale-e-dello-hate-speech/(consultato il  30 settembre 2019).

[10] P.C. Rivoltella, (2018a), Un’idea di scuola, op. cit. p. 121.

[11] Cfr. P.C. Rivoltella (2018b), Didattica inclusiva con gli EAS, Brescia, Editrice La Scuola.

[12] G. Spadafora (2018), Processi didattici per una scuola democratica, Roma, Anicia, p. 101.

[13] P.C. Rivoltella (2018b), Didattica inclusiva con gli EAS, op. cit., pp. 19-20.

[14] P.C. Rivoltella (2018b), Didattica inclusiva con gli EAS, op. cit., p. 82.

[15] L’EAS dal titolo Racconto dove sono stato in vacanza è scaricabile all’URL: https://www.blendspace.com/lessons.

[16] A. Sacchella (2018), EAS e progettazione del curricolo. In P.C. Rivoltella, Didattica inclusiva con gli EAS, op. cit., pp. 292-295.

[17] P.C. Rivoltella, (2018a), Un’idea di scuola, Brescia, Editrice Morcelliana, p. 105.

[18] P.C. Rivoltella, Un’idea di scuola, op. cit., p. 24.

 




Autore per la corrispondenza

Simona Perfetti
Indirizzo e-mail: simona.perfetti@unical.it
Università della Calabria, Via Umberto Tancredi n. 13, 87100, Cosenza


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