Test Book

Teorie e modelli didattici / Theories and teaching models

Il principio del capovolgimento. Problematicità e potenzialità dell’approccio Flipped Classroom
Flipping principle. Problematics and potentialities of a Flipped Classroom approach

Silvia Fioretti

Ricercatrice, Università di Urbino



Sommario

L’analisi del principio del capovolgimento consente di rintracciare ed evidenziare alcuni elementi di contrapposizione fra l’approccio Flipped e la didattica tradizionale. Il contributo intende prendere in esame il dibattito relativo al modello didattico Flipped Classroom, condurre un’analisi critica degli aspetti problematici e delle potenzialità, allo scopo di evidenziare l’opportunità di integrare il principio del capovolgimento all’interno delle prassi didattiche.

Parole chiave

Modelli didattici, Classe capovolta, Pratiche educative.


Abstract

Through the analysis of the concept of flipping, it’s possible to trace and highlight the differences between the Flipped Classroom approach and the traditional one. The article considers the current debate on the Flipped Classroom didactic model, breaking down its potentialities and difficulties, showing how to integrate didactic practice with this approach.

Keywords

Didactic models, Flipped classroom, Educational praxis.


Introduzione

La scuola, intesa come sistema scolastico di un Paese, sembra essere un organismo estremamente complesso, alla ricerca costante di un equilibrio frutto della mediazione di diverse forze e tanti apporti. Ci sono mode didattiche che hanno attraversato periodicamente questo organismo, in alcuni casi senza troppo penetrare lo stato superficiale delle pratiche quotidiane. L’approccio Flipped, vivendo un’ampia diffusione testimoniata dalla partecipazione degli insegnanti agli incontri e ai convegni dedicati e dall’attivarsi di numerose esperienze diffuse a livello di progettazione in diversi ordini e gradi scolastici, sembra essere una di queste mode. In quanto moda corre il rischio di occultare il vero significato della proposta. Tullio De Mauro sostiene che l’approccio Flipped Classroom non sia una moda ma, per giocare con le parole, «[…] è un modo nuovo di rispondere a esigenze che nelle scuole, tra chi insegna e chi apprende, sono presenti da tempo» (in Presentazione a Cecchinato e Papa, 2016, p. IX).

Negli ultimi anni si nota un aumento delle pubblicazioni e dei siti dedicati all’argomento. All’interno di queste proposte e riflessioni si osserva, a una prima approssimazione, il delinearsi di tre aree principali.

La prima, promossa in modo entusiastico ma acritico dai fautori del Flipped, è rappresentata da un’adesione totale alle caratteristiche dell’approccio (si vedano, ad esempio, Maglioni e Biscaro, 2014; Bettoni e Mangiavini, 2016).

La seconda è dedicata ad approfondire le basi teoriche e le prospettive operative e pratiche, attraverso una riflessione specifica e una ricerca critica e produttiva, delle modalità più opportune di valorizzazione della proposta (Cecchinato e Papa, 2016; Longo, 2016).

La terza è volta a comparare e integrare, valorizzando alcune caratteristiche specifiche, l’approccio Flipped all’interno di prospettive e riflessioni più ampie sull’insegnamento e sull’apprendimento (Rivoltella, 2013; Lebrun e Lecoq, 2015; Rossi e Giaconi, 2016; Castoldi, 2017).

Il contributo intende considerare l’approccio Flipped, analizzare il principio del capovolgimento, condurre un’analisi delle criticità e delle potenzialità, per favorire un’applicazione critica e un’integrazione delle pratiche del capovolgimento nell’ambito di proposte formative più ampie.

 

L’approccio Flipped

La disponibilità di risorse digitali educative offre la possibilità di introdurre diverse modalità di condivisione e di rielaborazione dei contenuti nei contesti scolastici favorendo la partecipazione attiva degli studenti. Nell’approccio Flipped Classroom (apprendimento capovolto), la tradizionale impostazione di insegnamento svolta in classe viene «rovesciata» dall’applicazione di una modalità di insegnamento in cui risultano mutati i tempi e le attività scolastiche attraverso il ricorso a risorse tecnologiche. È, quindi, una pratica orientata a capovolgere (to flip) la tradizionale impostazione della proposta educativa, organizzata nella lezione frontale e seguita dallo studio individuale. Questa pratica prevede, grazie alla disponibilità di video lezioni e di prodotti multimediali e interattivi, di fruire dei contenuti in modo anticipato e al di fuori delle mura scolastiche, mentre la fase di riflessione, approfondimento e applicazione è collocata all’interno dell’aula, con la guida del docente.

Si affidano i tempi di insegnamento dei contenuti basilari, che non utilizzano particolari differenziazioni, alle risorse tecnologiche e multimediali (video, documenti in power point, ebook, libri, ecc.) da impiegare al di fuori della classe. Lo studente, in modo preliminare, si confronta con i contenuti proposti dai video, consulta materiali e si applica in esercizi per appropriarsi dei concetti fondamentali. I video messi a disposizione degli allievi consentono un utilizzo autonomo e individuale. Successivamente, in modo originale rispetto alla tradizionale impostazione, gli studenti e l’insegnante si incontrano in classe e possono utilizzare diversamente il tempo a disposizione. L’innovazione è data dall’aumento del tempo dedicato in classe all’interazione e alla promozione di attività connesse con le operazioni cognitive complesse (Bergmann e Sams, 2012; Bergmann e Sams, 2014).

 

Il principio del capovolgimento

Il nucleo centrale dell’approccio Flipped si concretizza nel principio del «capovolgimento». Il capovolgimento non rappresenta una particolare novità nelle proposte didattiche. Ancora De Mauro ha opportunamente sottolineato nella prefazione a un volume sulla classe capovolta «[…] l’insegnamento capovolto raccoglie antiche istanze. A rintracciarlo non basta nemmeno risalire a Vico, alla sua idea che non c’è verum se non siamo noi a costruirlo e a farne un factum. Bisogna risalire assai più indietro nel tempo, nella piazza d’Atene dove Socrate, con le sue domande terra terra e dialogando senza montare in cattedra, scuoteva le certezze del sapere preconfezionato e apriva nuove vie alla conoscenza consapevole; più indietro ancora, alle grandi città greche dell’Anatolia, dove Eraclito insegnava a diffidare della polymathía, del sapere o credere di sapere tante cose senza capirle o possederle. Ma non sono solo istanze di venerabile antichità» (in Maglioni e Biscaro, 2014, p. 10).

La caratteristica più significativa del principio del capovolgimento, cioè l’occasione di provare a pensare di sollecitare l’apprendimento come un processo autonomo, attivo, significativo, ha possibilità di svilupparsi attraverso il coinvolgimento personale dello studente, promuovendo il suo interesse. Tutto questo, secondo i sostenitori dell’approccio Flipped, è dovuto al fatto che gli allievi entrano in classe conoscendo, almeno in parte, l’argomento che verrà affrontato.

La prassi di assegnare la lettura preventiva, o prelettura, dei contenuti e degli argomenti che andranno affrontati come compito a casa è piuttosto nota. È una pratica di capovolgimento, di buon senso e di indubbia efficacia, e costituisce, o dovrebbe costituire, un caposaldo delle pratiche didattiche. È in genere connessa a strategie indirette quali, ad esempio: non fornire le soluzioni delle questioni e dei problemi avanzati; esercitare sistematicamente il dubbio; contestualizzare i concetti a partire da punti di vista diversi. Le attività connesse, realizzate poi in aula, sono volte a favorire negli studenti aspetti piuttosto complessi, ad esempio: saper gestire il programma di studio e organizzarsi nei tempi; essere in grado di orientarsi fra le informazioni pertinenti; scegliere le conoscenze; porre domande e approfondire concetti; avanzare ipotesi e obiezioni coerenti.

Il senso della lezione effettuata a posteriori assume così maggior rilevanza. Secondo Rivoltella, in presenza di allievi già informati sui contenuti: «Il sapere esperto dell’insegnante è pienamente messo a profitto nella misura in cui viene interpellato dagli allievi, coinvolto nella soluzione dei problemi, richiamato a fornire il suo punto di vista nella discussione di un caso» (2013, p. 48). Il docente interviene, chiarisce, spiega e approfondisce. Seguire una lezione avendo già una certa consapevolezza dei contenuti che saranno presentati, dei concetti più importanti e delle questioni relative non può che favorire la comprensione. La questione problematica è, in questo caso, connessa alla possibilità di realizzare compiutamente ed efficacemente il principio del capovolgimento.

Per questo scopo lo stesso De Mauro nota come forse, oggi, non sia più sufficiente il libro, il manuale di uso scolastico: «[…] forse basta all’università, per materie umanistiche, forse per matematica, specie in corsi avanzati. Non basta per materie laboratoriali e in corsi di grado inferiore e per l’allievo all’inizio d’un cammino (e dove non ci sono biblioteche e non ci sono libri in casa…). E poi un testo scritto non è stato tagliato nel modo desiderabile per una lezione a quella classe, a quegli studenti» (in Maglioni e Biscaro, 2014, p. 11).

Nell’approccio Flipped la possibilità di utilizzare anche fonti digitali a carattere divulgativo di ottima qualità, ad esempio i video del canale Arte o dei divulgatori Piero e Alberto Angela, (come indicato da De Mauro in Cecchinato, Papa, 2016) fa nettamente pendere la bilancia a favore dei video, costruiti da professionisti, con contenuti illustrati con chiarezza e materiali selezionati e curati su di un certo argomento. Perché, è importante sottolinearlo seguendo ancora il tracciato indicato da De Mauro, il docente ha una grande responsabilità, in quanto «la rete ci obbliga a farci più intelligenti e più cauti nell’accogliere un’informazione, un concetto, un’idea» (De Mauro in Cecchinato e Papa, 2016, p. XI). Mettere in discussione l’insegnamento frontale spalanca spazi di collaborazione, offre opportunità di selezione delle informazioni e degli argomenti più diversi e più pertinenti, apre al confronto fra diverse risorse e molteplici fonti. In questo caso l’aula può trasformarsi, diventare un laboratorio, uno spazio di attività produttiva, un luogo in cui rendere la proposta formativa visibile e concreta, con insegnanti e allievi cooperanti.

 

Problematicità e potenzialità dell’approccio Flipped

L’importante principio del capovolgimento potrebbe trovare, anche grazie all’approccio Flipped, un’importante e indispensabile valorizzazione all’interno delle pratiche didattiche. L’approccio Flipped viene infatti adottato, provato, attuato in diverse forme, più o meno sistematiche e organizzate, ma piuttosto spontanee e volontarie nei contesti scolastici. Sembra quindi possibile tracciare alcune prime riflessioni in merito alle problematicità e alle potenzialità della proposta allo scopo di valorizzare una loro integrazione nelle pratiche didattiche. In particolare verranno presi in esame: gli aspetti teorici e le basi scientifiche della proposta; la contrapposizione fra la proposta tradizionale e l’aspirazione all’innovazione; le modalità del contrasto alle disuguaglianze; gli aspetti motivazionali.

 

I precursori

In tante pubblicazioni sull’approccio Flipped si trovano riferimenti ai cosiddetti precursori. Alcuni di questi riferimenti sembrano rispondere all’esigenza di connettere questo approccio a basi scientifiche di rilievo, in altri casi gli stessi riferimenti assumono caratteristiche narrative adottate quasi a giustificare la semplicità e funzionalità dell’approccio.

In primo luogo si trova il riferimento a Eric Mazur e al suo modello di insegnamento fondato sulla peer education (Crouch e Mazur, 2001). Questo modello, indirizzato a studenti universitari di fisica di Harvard e sperimentato sin dagli anni Novanta, presenta diverse analogie con l’approccio Flipped.

In particolare, secondo Mazur, gli studenti anticipano i contenuti che saranno trattati a lezione attraverso la visione di un video, ascoltano podcast, leggono articoli, consultano testi e monografie, formulano domande che si riferiscono alle loro conoscenze pregresse; sono poi invitati a riflettere su ciò che hanno imparato e a organizzare domande sulle aree critiche; attraverso strumenti di connessione sociale condividono con il docente i loro interrogativi e i loro quesiti. Il docente calibra quindi la lezione sulle aree critiche e utilizza il tempo della lezione per introdurre interazioni, conversazioni critiche, attività di gruppo, approfondimenti, elaborazioni concettuali personali e critiche. La trasferibilità di questo modello potrebbe porre alcune questioni. Sembra chiaro, ad esempio, che le conoscenze pregresse e le abilità possedute dagli studenti di fisica di Harvard potrebbero non essere comparabili con altri studenti. Così come l’applicazione delle stesse modalità potrebbe incontrare difficoltà con studenti di ordini di scuola diversi.

In secondo luogo, forse con un maggior successo in termini di divulgazione, troviamo l’esperienza della Kahn Academy. Si tratta di un grande archivio di video su tutte le tematiche disciplinari, di ottima qualità grafica e sonora. Il fondatore dichiara di aver iniziato a registrare video piuttosto casualmente, per aiutare una cugina in difficoltà in matematica (Khan, 2013). La trasformazione di questa attività iniziale in un grande contenitore con migliaia di video disponibili in tantissime lingue è dovuta anche ai finanziamenti ricevuti dalla fondazione Gates per promuovere la formazione e renderla disponibile gratuitamente online. Anche in questo caso si potrebbe osservare che i video presenti nella Khan Academy presentano un’ottima visualizzazione dei dettagli ma risultano piuttosto carenti per differenziazione della modalità della proposta. In pratica utilizzano la stessa modalità di presentazione del contenuto senza prevedere una varietà di approcci. Per favorire la comprensione e ottimizzare l’apprendimento sembra auspicabile una variazione delle modalità di presentazione offerte agli studenti.

Sempre in modo casuale sembra essersi originata l’esperienza di Bergmann e Sams (2012, pp. 3-11), due docenti di chimica del Colorado, considerati i principali ideatori e promotori dell’approccio Flipped. Questi docenti dichiarano di aver iniziato a registrare le loro lezioni condividendole sulla piattaforma YouTube per consentire un recupero tempestivo dei contenuti trattati agli allievi assenti. Hanno molto presto osservato gli effetti positivi di questa condivisione. I video erano fruiti non solo dagli assenti ma, in breve tempo, tutti gli allievi erano soliti riguardare i video per meglio prepararsi in occasione delle verifiche. Le esperienze realizzate mettono in evidenza come non sia poi così scontato e semplice, per gli studenti, riferirsi ai video per acquisire informazioni e conoscenze. Far diventare una pratica efficiente la visione dei video richiede tempi estesi e modalità progettuali e organizzative di qualità.

 

Innovazione vs tradizione

I sostenitori dell’approccio Flipped presentano tale approccio come innovatore rispetto alla didattica tradizionale. La modalità di intendere la proposta tradizionale (si insegna in presenza e si apprende a distanza) e la proposta Flipped (si insegna a distanza e si apprende in presenza) risultano talmente semplificate da non risultare attendibili. In questa interpretazione dell’approccio tradizionale si suppone, in modo riduttivo, che il docente insegni in presenza di allievi che non apprendono nulla, che non si appropriano delle conoscenze, mentre l’elemento essenziale, l’apprendimento, sarebbe totalmente rinviato alle attività svolte a casa, in autonomia, e gli allievi sarebbero totalmente responsabili dell’appropriazione dei contenuti. La rivoluzione copernicana, sostenuta dai fautori dell’approccio Flipped, sembra così appoggiarsi sulla netta separazione fra proposta tradizionale e proposta Flipped, in particolare sull’interpretazione riduttiva data alla proposta tradizionale non meglio definita. È improprio pensare a una proposta tradizionale fondata sulla pura trasmissione delle conoscenze tramite la lezione frontale, in cui l’allievo è impegnato esclusivamente a memorizzare, in modo passivo, dei contenuti. Così come sembra ugualmente impropria l’idea che l’approccio Flipped sia collegato esclusivamente all’innovazione, alla pedagogia attiva, agli allievi attivi e motivati, allo sviluppo delle competenze, al saper fare, alle attività cooperative, alla dimensione trasversale dei saperi.

Il dibattito è sicuramente molto ampio e i limiti del presente contributo non consentono di approfondire adeguatamente la questione ma «[…] quale che sia l’attività di trasmissione — familiare, scolastica, che si realizzi in un club o in un museo, davanti a un computer, a uno spettacolo o ad un libro —, richiede una dimensione propriamente pedagogica che deve essere indentificata e i cui problemi ed esiti debbono essere ricercati. In una classe ogni singolo gesto ha una portata educativa: dice qualcosa di ciò che si sta costruendo in merito al rapporto con il sapere e, in termini ancora più ampi, di ciò che si profila come tipologia di esseri umani e di società» (Meirieu, 2018, p. 138).

Per certi aspetti sembra che nell’ambito dell’approccio Flipped le finalità che si intendono raggiungere (maggior coinvolgimento, motivazione, interesse degli allievi, miglioramento delle conoscenze e delle abilità, sviluppo delle competenze) siano affiancate a delle pratiche, considerate innovative (lavoro cooperativo, discussione, applicazione, ecc.) senza accertare se e come queste pratiche possano perseguire e realizzare le finalità desiderate.

Ad esempio, nel caso del lavoro di gruppo, si è certi che le attività cooperative conducano al raggiungimento delle finalità auspicate? All’interno di un gruppo di lavoro occorre una rete di comunicazione piuttosto omogenea, ogni partecipante deve offrire un proprio contributo perché l’attività collettiva non può effettuarsi correttamente senza coinvolgere tutti. Le intenzioni generose dei sostenitori dell’approccio Flipped non sembrano garantire l’efficacia del dispositivo. Occorre che il dispositivo relativo alle pratiche sia, ad esempio: progettato alla luce delle effettive conoscenze e abilità degli allievi presenti in aula; consideri le modalità, più o meno esperte, di interazioni fra i pari; valuti il rapporto fra gli obiettivi di apprendimento di ciascuno e gli scopi da realizzare per tutti.

In questo senso la lezione frontale è in grado di porre in un confronto diretto e formativo il sapere del docente che spiega e le intelligenze degli allievi che lo comprendono. Riuscire a suscitare una dialettica feconda fra lo spiegare e il comprendere, capace di favorire per tutti l’appropriazione degli elementi culturali più impegnativi è essenziale e insostituibile e nessun sistema scolastico può permettersi di perdere questa forma di trasmissione. Il problema è, ovviamente, legato alle condizioni della sua efficacia.

L’approccio Flipped si presenta in modo semplice e chiaro e, per questo, praticabile e applicabile nei diversi contesti scolastici. Si chiede agli studenti di appropriarsi dei contenuti prima di una lezione, per dedicare poi il tempo in aula alle spiegazioni del docente, a degli esercizi, a delle attività cooperative e collaborative. A una osservazione attenta però non sfugge che il sapere viene presentato a freddo, in quanto le attività preparatorie si limitano a riprodurre i contenuti in video. Seguendo questa metodologia si rischia di sostenere e di privilegiare una attitudine di appropriazione dei contenuti ancora legata alla memorizzazione, alla ricerca continua di somiglianze e di corrispondenze, tipica dell’approccio tradizionale. In modo particolare, soprattutto per il segmento della scuola di base, associando in modo reiterato la visione dei video e la memorizzazione dei contenuti relativi, si rischia di sostenere il formarsi, a lungo andare (ossia tramite il processo di deutero-apprendimento; Bateson, 1976), di una attitudine alla memorizzazione (Baldacci, 2010) e di una scarsa riflessione critica relativa alle informazioni che provengono anche dal mondo dei media.

Nelle proposte Flipped la proposta tradizionale è associata a un modello di insegnamento centrato sul docente mentre l’innovazione è rappresentata da un modello di apprendimento centrato sull’allievo. Questo passaggio è fondamentale per offrire una risposta ai bisogni individuali espressi dagli allievi, attraverso il tempo dedicato in classe al lavoro cooperativo, alle attività di approfondimento e di interazione in presenza. Con questo passaggio andrebbe a operarsi anche una trasformazione relativa al ruolo del docente. L’insegnante verrebbe ad assumere così la funzione di accompagnatore, di guida dei gruppi, di sostegno e aiuto nell’indirizzare le attività. Questa passaggio sembra però realizzabile soltanto in parte. Lo strumento essenziale dell’accesso al sapere rimane sempre il video in cui l’insegnante fornisce, in modo tradizionale e frontale, le risposte alle stesse questioni che pone. Nonostante le buone proposte di fonti digitali presenti sui canali divulgativi è, infatti, consigliabile che gli stessi insegnanti siano i fautori dei video che propongono per consentire agli allievi una maggiore familiarizzazione con le modalità già conosciute. Continuare a costruire i video allo stesso modo con cui si sosterrebbe una lezione frontale rappresenta sicuramente una prima forma di approccio Flipped, ma non cambia le procedure che rimangono simili alle lezioni tradizionali. Cambiare e differenziare le modalità di fare lezione, ad esempio utilizzando procedure deduttive piuttosto che induttive, non è semplice e, forse, è ancora meno semplice rendere questa differenziazione in forma di video brevi.

 

Il contrasto alle disuguaglianze

I sostenitori dell’approccio Flipped (Bergmann e Sams, 2012 e 2014), riferendosi esplicitamente alle proposte del Mastery Learning («apprendimento per padronanza»), sostengono che l’approccio Flipped contribuisca a lottare contro le disuguaglianze. Viene infatti offerta agli studenti la possibilità di differenziare e individualizzare le attività in classe, avere l’aiuto e il sostegno del docente, fruire di tempi differenziati e di attività di recupero. Utilizzare strategie Flipped per organizzare la proposta di insegnamento in modo diversificato e contrastare la formazione delle disuguaglianze in termini di profitto ottimizzando l’apprendimento costituisce indubbiamente un elemento estremamente interessante (Fioretti, 2013), soprattutto in una prospettiva di integrazione dell’approccio Flipped nelle prassi didattiche.

È necessario considerare con attenzione un elemento essenziale. Il dibattito sull’uguaglianza delle opportunità formative ha da tempo chiarito il modo in cui il trattamento uniforme, indifferente alle differenze, messo in atto a scuola, trasformi queste differenze in disuguaglianze. Le differenze di attitudini cognitive degli studenti, dovute a una molteplicità di cause e di fattori, sono ratificate dalla scuola che non è in grado di adattarsi alle stesse. Tutti gli allievi, indipendentemente dalle attitudini cognitive dimostrate, hanno bisogno di trasformare e migliorare le loro modalità conoscitive appropriandosi dell’attitudine cognitiva richiesta a scuola e propria della cultura del contesto sociale in cui si è inseriti. In altre parole, non è sempre opportuno sostituire la lettura di un testo scritto con la visione del video, o la lettura del docente o di un altro allievo, in una prospettiva dispensativa o compensativa. A lungo andare l’allievo rischia di non apprendere a decodificare le informazioni che vengono fornite dal testo scritto, incrementando le differenze iniziali e approfondendo le disuguaglianze non solo in termini di profitto scolastico. Non riconoscere le diversità, o assecondarle, nel tentativo di non creare discriminazioni, rischia di aumentare, in modo progressivo, le differenze iniziali.

 

Motivazione e apprendimento

La questione della motivazione degli allievi e della loro partecipazione attiva come mezzo di apprendimento efficace è sostenuta dai promotori dell’approccio Flipped. In opposizione ai corsi tradizionali e noiosi l’approccio Flipped, attraverso l’utilizzo delle tecnologie, permetterebbe di rendere gli allievi attivi e motivati. In quest’ottica, favorire la partecipazione degli allievi per motivarli diventa centrale. Si sostiene frequentemente che gli alunni abbiano familiarità con gli schermi digitali e il solo fatto di passare dai corsi dei docenti alle forme digitali e liquide (schermo del telefono, del tablet o del computer) motiverebbe gli allievi. «Il vecchio materiale didattico, però, fatto di libri e fotocopie, non è certamente lo strumento più coinvolgente per i cosiddetti nativi digitali. […] Leggere, ripetere, studiare e trascrivere può annoiare e spegnere questi giovani cervelli tecnologicamente modificati» (Maglioni e Biscaro, 2014, p. 27). Sarebbe interessante comprendere come la motivazione dimostrata per i videogiochi possa essere trasferita, in modo automatico o per analogia, alla visione di un video in cui vengono spiegati dei contenuti scolastici. E non sempre una motivazione apparente risulta essere correlata o predittiva di apprendimenti reali e stabili nel tempo.

In una prospettiva che dedica tanta enfasi «alla familiarizzazione degli alunni con gli schermi digitali» un certo livello di attenzione dovrebbe essere posto anche alla possibilità, non così semplice e lineare, di attingere alle informazioni rese facilmente raggiungibili dall’ampio mondo della rete.

Il funzionamento dei motori di ricerca più diffusi rischia di condurre a dei documenti che consolidano le credenze molto comuni, oggetto di numerose ricerche, che appaiono in modo privilegiato (Morozov, 2013). Ad esempio, una ricerca sul termine «astrologia» fa apparire immediatamente molte informazioni sull’astrologia (articoli favorevoli, siti commerciali, ecc.) ma le risorse relative agli articoli scientifici relativi all’astrologia non sembrano essere immediatamente raggiungibili. Da non dimenticare, in un’ottica di integrazione dell’approccio Flipped, è il fatto che non tutte le informazioni facilmente disponibili online sono dei saperi scientifici. Per distinguerli occorre già padroneggiare dei saperi. Le risorse che la rete mette a disposizione sono utilissime per chi dispone già, in un ambito dato, di conoscenze sufficienti mentre rischia di procurare ai neofiti un’abbondanza di informazioni difficili da gestire. L’insegnamento di tecniche trasversali di ricerche documentaristiche non sembra sufficiente. Ad esempio, uno storico potrà riconoscere facilmente, all’interno del suo dominio, le risorse deboli da quelle che non lo sono ma, probabilmente, posto a confronto con delle opere relative alla fisica, incontrerà grandi difficoltà a selezionare quelle scientificamente corrette. Sembra sempre più necessario distinguere fra «educare con i media», nel senso di servirsi di prodotti e documenti a supporto della didattica, e «educare ai media» per sviluppare il pensiero critico sui contenuti mediali (Rivoltella e Rossi, 2019, p. 133).

Quindi, i saperi (articoli riviste scientifiche, atti convegni, archivi, dati statistici, ecc.) e le informazioni sono disponibili e accessibili online ma non sono alla portata delle conoscenze che gli allievi possono apprendere. In questo caso il ruolo del docente è quello di individuare gli ostacoli agli apprendimenti e di fornire agli allievi i mezzi per superarli. Nell’approccio Flipped il passaggio di trasformazione dei saperi in conoscenze viene inizialmente esternalizzato e limitato alla ricezione delle informazioni tramite la visione del video. Nella fase di accesso ai saperi l’allievo è solo davanti al suo schermo e poi, in un secondo momento, interagisce con l’insegnante e con gli altri per applicarsi a delle questioni che vengono considerate come acquisite. Il rischio è di mettere in difficoltà gli studenti più deboli, probabilmente coloro che non beneficiano di un contesto familiare o di sostegni e strumenti che permettano di superare l’assenza dei docenti. Nel momento in cui si arriva in classe, infatti, agli studenti che padroneggiano adeguatamente i saperi vengono affidate delle attività di approfondimento mentre agli altri, a coloro che non sono riusciti ad assimilare i contenuti tramite la visione dei video, verrebbero affidati compiti di minor impegno cognitivo. Gli allievi debbono appropriarsi dei saperi e non semplicemente limitarsi a restituirli per poter affrontare attività cooperative, di discussione, di costruzione cognitiva. La restituzione dei contenuti non garantisce la padronanza necessaria a promuovere una dimensione competente, a unire alle conoscenze e alle abilità la consapevolezza del come e del perché lo si fa, ad adottare una dimensione riflessiva e critica.

 

Conclusioni

Allo stato attuale non sembrano evidenziarsi studi decisivi che attestino l’efficacia, in termini di profitto cognitivo e di stabilità degli apprendimenti, per gli studenti che seguono percorsi di Flipped Classroom rispetto a quelli tradizionali. Alcune ricerche attestano una maggiore soddisfazione degli studenti ed è interessante notare come si evidenzi una correlazione fra la miglior percezione di agio in classe, intesa nei termini di ambiente mediatico digitale disponibile per gli studenti, e il profitto conseguito (Roach, 2014; Jacot, Zane e Berge, 2014). Gli stessi studi mettono anche in evidenza come la costruzione di percorsi ottimali a carattere capovolto, in relazione alla preparazione dei materiali digitali e alla organizzazione degli arredi d’aula necessari a favorire consultazioni, scambi, interazioni e lavori di gruppo, comporti un aumento dei tempi necessari e soprattutto dei costi relativi (Jacot, Zane e Berge, 2014).

Gli spazi di criticità individuati non possono far dimenticare che le pratiche didattiche rappresentano un panorama estremamente vasto, sono costituite da prassi effettive e da riferimenti spesso semplificati e molto frequentemente impliciti. La ricerca del cambiamento e dell’innovazione di queste pratiche effettive, che possono essere denominate tradizionali, motivata dalle tante lacune e difficoltà che presentano, accelera, e in qualche modo determina, l’evoluzione delle idee e delle strategie didattiche. Questo ricerca di innovazione, anche ingenua, promossa e perseguita dagli insegnanti stessi attraverso l’approccio Flipped, rappresenta una sorta di emergenza propulsiva, merita di essere sistematizzata e organizzata da un punto di vista teorico e operativo. In questo senso, il principio del capovolgimento consente agli allievi di familiarizzare con le risorse cognitive ed è sicuramente pertinente in certi momenti e in una prospettiva di integrazione con le migliori pratiche.

 

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Autore per la corrispondenza

Silvia Fioretti
Indirizzo e-mail: silvia.fioretti@uniurb.it
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ISSN 2421-2946. Pedagogia PIU' didattica.
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