Test Book

Teorie pedagogiche / Educational Theories

Pedagogia contemplativa: per un’educazione alla sofferenza
Pedagogy contemplative: Education for suffering

Mariarosaria De Simone

Psicologa, psicoterapeuta, dottoranda Università degli Studi di Napoli Federico II



Sommario

Accanto alla spettacolarizzazione del dolore, la civiltà occidentale, per confondere ancora di più i nostri bambini e ragazzi, ha generato e sottoscritto, attraverso la comunità della salute mentale, la “biomedicalizzazione” della vita umana, creando il culto della libertà dalla sofferenza fisica e mentale. Oggi il modello sociale che prevale è quindi quello dell’eterna giovinezza e salute, dove non c’è spazio per il dolore e la sofferenza. Nel presente lavoro si esplora la possibilità di utilizzare, per un’educazione alla sofferenza e al dolore, la mindfulness, che si esprime, nel suo versante prettamente educativo, attraverso la pedagogia contemplativa. Si tratta di un approccio che mira ad accrescere gradatamente il potenziale degli individui, supportando, da un lato, una maggiore padronanza dei processi attentivi, la flessibilità cognitiva e le funzioni esecutive e, dall’altro, il collegamento empatico, la creatività, la compassione e l’altruismo

Parole chiave

Pedagogia contemplativa, mindfulness, educazione alla sofferenza, compassione, flessibilità cognitiva.


Abstract

Turning tragic into a show: the gradual anesthetizing of minds and consciences. Besides the spectacularization of pain, Western society, to confuse even more our children and young people, generated and signed the “biomedicalization” of human life by the mental health community, creating the cult of freedom from physical and mental suffering. Today the prevailing social model is thus to eternal youth and health, where there is no room for pain and suffering. This paper explores the possibility of using, for education about suffering and pain, mindfulness, which is expressed in his purely educational side, through the contemplative pedagogy. This approach aims to increase gradually the potential of individuals, supporting, on the one hand, a better management of attentional processes, cognitive flexibility and executive functions, and, from the other hand, the empatich connection, creativity, compassion and altruism.

Keywords

Contemplative pedagogy, mindfulness, education for suffering, compassion, cognitive flexibility.


Introduzione

La spettacolarizzazione dell’informazione permette a molti telegiornali e programmi del piccolo schermo di aumentare i propri ascolti e fidelizzare il proprio bacino di utenza. A tal proposito è stato coniato il termine infotainment, neologismo di matrice anglosassone e di ambito radio-televisivo nato dalla fusione delle parole information (informazione) ed entertainment (intrattenimento). L'infotainment ha origine dalla mescolanza di più generi per andare incontro all'instabile livello d'attenzione del pubblico. Si realizza introducendo schemi appartenenti al genere spettacolo nei programmi d'informazione. Quello dell’infotainment è un giornalismo i cui contenuti sono resi sempre più popolari e accattivanti proprio a causa della nuova ottica commerciale che, nel campo dei mass-media, ha soppiantato, ormai da tempo, quella pedagogica.

Il mercato televisivo ha finito per imporre le sue leggi anche alle reti pubbliche che hanno cominciato a imitare le reti private. E, grazie alla nascita della cosiddetta TV del dolore, si è arrivati alla spettacolarizzazione del dramma: per fare audience si prediligono i contenuti che possono suscitare forti emozioni, e da questo nasce la tendenza a fare dei sentimenti delle persone l’oggetto dello spettacolo televisivo, un’informazione giornalistica che vuole mostrare la sofferenza a tutti i costi. Il tutto amplificato all’ennesima potenza dall’esplosione dell'informazione mediatica nella quale ci troviamo immersi in questa era digitale, dove il pubblico è bombardato da informazioni di ogni tipo e risulta quindi soggetto a fenomeni di sovraccarico; di conseguenza, una notizia, per poter emergere e richiamare l'attenzione, deve essere spettacolarizzata.

L’avvento del digitale sta inevitabilmente cambiando le nostre abitudini e anche il nostro modo di reperire informazioni e di rapportarci ad esse. Internet ci sta lentamente disabituando alla lettura, ci bombarda con frammenti, pezzi di informazioni, ci porta a navigare, a cliccare freneticamente e compulsivamente. Siamo come trascinati e ci soffermiamo solo pochi secondi alla volta su di un argomento, spinti dall’ansia del click successivo. La cosa sconcertante è l’effetto disumanizzante di tale sovraccarico: quando apriamo la nostra pagina Facebook troviamo, tra un selfie e una citazione saggia, l’immagine di una catastrofe con dei like, o i commenti al profilo di una persona scomparsa da poco pieni di tristi faccine emoticon e una sfilza di frettolosi R.I.P.

 

La televisione del dolore

Dall’Osservatorio Media Research di Pavia, in collaborazione con il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, è stata svolta una ricerca con l’obiettivo di comprendere e descrivere le modalità di rappresentazione/narrazione messe in atto nella cosiddetta “TV del dolore”, ovvero programmi televisivi che affrontano casi di cronaca nera o giudiziaria oppure vicende centrate su situazioni di disagio, declinandoli in un senso che molto concede allo spettacolo del dramma personale o collettivo. Verificando, innanzitutto, quanta parte del palinsesto giornaliero è rivolta a questi argomenti; quali sono i programmi maggiormente impegnati a focalizzare l’attenzione del telespettatore su queste storie più o meno drammatiche e drammatizzate; quali sono, soprattutto, le modalità, le tecniche narrative, gli strumenti retorici che ne sorreggono il racconto e se sussistono delle “cattive pratiche” nella loro ricostruzione.

Il campione è stato costituito dalla programmazione televisiva a contenuto informativo (a esclusione dei TG e delle loro rubriche): programmi che coniugano, intrecciano, elementi tipici del genere “informazione” ad altri più propri dell’“intrattenimento”. Sono stati esaminati i programmi dalle caratteristiche citate presenti sulle sette reti televisive nazionali generaliste Rai 1, Rai 2, Rai 3, Rete 4, Canale 5, Italia 1 e La7.

Il periodo considerato è stato il trimestre compreso tra il 15 settembre e il 15 dicembre 2014.

Per ciascun programma sono state analizzate tutte le parti pertinenti (servizi, discussioni in studio o in collegamento esterno, reportage, ecc.) dedicate alla rappresentazione delle vicende di cronaca nera/giudiziaria o dei diversi casi di disagio individuale/sociale. Ne è emerso un corpus di quasi 300 ore, sottoposto ad analisi qualitativa. Ne è emerso, altresì, che il 96% circa di questa programmazione si concentra in 10 trasmissioni e precisamente, in ordine decrescente per spazio dedicato: Storie Vere, Pomeriggio Cinque, La Vita in diretta, Mattino Cinque, Quarto Grado, Chi l’ha visto?, Amore Criminale, I Fatti Vostri, Uno Mattina e Domenica Live.

Una prima indagine sui suddetti programmi, effettuata tenendo conto anche della normativa in materia, dei codici di autoregolamentazione e delle raccomandazioni degli organi e degli istituti di garanzia e vigilanza sui media, ha consentito di individuare le categorie di riferimento per effettuare l’analisi vera e propria. Sono state rilevate sette aree di criticità:

«1. La raffigurazione strumentale del dolore: l’esibizione del dolore (pianti, volti affranti, violenza, accanimenti morbosi e voyeuristici, soggetti deboli etc.)

  1. Lo spettacolo nel dolore: le forme inappropriate del racconto, toni e semantiche inappropriate (litigi, atteggiamenti irrispettosi, generalizzazioni, pregiudizi, sessismo, istigazione all'odio etc.), dibattiti e intrattenimento, gli ossimori pericolosi (omicidio passionale), riempimenti di contorno (i dettagli inutili, le testimonianze superflue etc.)
  2. L'eccesso patemico nel racconto: la poetica, immagini e testi allarmanti, effetti sonori amplificanti, suspense, serialità, domande retoriche etc.
  3. La narrazione empatica: la costruzione dell'empatia, immagini segnale, cinematografiche e sguardo, miscela di finzione e realtà, coinvolgimento emotivo.
  4. Il processo virtuale: processo in TV, TV nel processo, il reality del processo, valutazione delle perizie, credibilità dei testimoni, partecipazione avvocati delle parti etc.
  5. L’accanimento mediatico (the show must go on, se il fine giustifica i mezzi): violazione della privacy e aggressività di reporter.
  6. La logica assorbente dell'infotainment: tv di servizio, finto intento pedagogico, denuncia sociale, indignazione, sdegno, apporto investigativo, condivisione della morale etc.»[1]

La ricerca ha individuato una pluralità di aree critiche, zone del racconto che manifestano delle “cattive pratiche”, rispetto alle norme e ai principi previsti, oltre che nella legislazione, dai diversi codici a tutela dei soggetti della cronaca e degli utenti della televisione (delibere AGCOM, Carta dei doveri del giornalista, Codice in materia di rappresentazione delle vicende giudiziarie nelle trasmissioni radiotelevisive, Codice TV e minori, Carta di Treviso ecc.).

Inoltre, dalla ricerca sono emerse alcune categorie di soggetti che, o in quanto minori o per ragioni sociali, economiche e culturali, si configurano come “soggetti deboli” della cronaca. Oltre ai minori, quindi, anche donne vittime di reato, malati e disabili, familiari delle vittime e, in ultima analisi, il pubblico stesso, soprattutto i minori davanti alla TV. Infatti, pur non essendo, questi, programmi adatti, vanno in onda proprio “nelle fasce orarie di programmazione in cui si presume che l’ascolto da parte del pubblico in età minore non sia supportato dalla presenza di un adulto (fascia oraria di programmazione dalle 16.00 alle 19.00” (Codice TV e minori).

Sebbene i talk-show a contenuto informativo, come quelli precedentemente descritti, si trovino sempre in bilico tra informazione e intrattenimento, è lo stesso concetto di informazione televisiva ad essere cambiato: «Macrogenere televisivo, comprendente tutti i programmi a finalità informativa, quali i telegiornali, le rubriche di approfondimento, gli speciali, i rotocalchi, i documentari, le inchieste, i dibattiti, i talk show» (Grasso, 1996). Per cui risulta difficile distinguere tra informazione e intrattenimento, anche all’interno dei programmi di informazione come i TG stessi, con conseguente perdita di credibilità.

Piuttosto che soffermarsi su metodiche volte a lavorare sulle competenze critiche in età evolutiva, aspetto tralaltro importantissimo, il presente contributo intende affrontare il problema da una prospettiva differente. Prospettiva che riguarda, nello specifico, una visione di quella che possiamo considerare un'educazione integrale, attenta non solamente alla dimensione cognitiva, ma anche a quella emotiva e spirituale, appartenendo, la pratica della consapevolezza, sia ai domini psicologici che a quelli spirituali.

 

Educare al dolore e alla sofferenza: mindfulness e pratiche contemplative

Accanto alla spettacolarizzazione del dolore, la civiltà occidentale, per confondere ancora di più i nostri bambini e ragazzi, ha generato e sottoscritto, attraverso la comunità della salute mentale, la “biomedicalizzazione” della vita umana, creando il culto della libertà dalla sofferenza fisica e mentale.

La medicina moderna ha convinto le persone che la guarigione sia l’origine della salute sia fisica che mentale: «pensieri angoscianti, sentimenti, ricordi o sensazioni fisiche hanno finito per essere visti prevalentemente come sintomi […]. L’idea che la sofferenza sia meglio descritta in termini di anomalia biologica neurochimica costituisce il lato superficialmente attraente della medaglia, cioè che salute e felicità sono stati omeostatici naturali dell’esistenza umana. Questa tesi di una sana normalità è alla base dei tradizionali approcci medici per la salute fisica» (Hayes, Strosahl e Wilson, 2013, pp. 5-6).

Oggi il modello sociale che prevale è quindi quello dell’eterna giovinezza e salute, dove non c’è spazio per il dolore e la sofferenza. La medicina e la tecnologia ci regalano l’illusione dell’immortalità.

Prendiamo ad esempio il rapporto dei bambini con la morte.

Da un lato, come abbiamo visto, la nostra società tende ad allontanare l’idea della morte, e lo fa esorcizzandola attraverso i media, in un modo talmente spettacolarizzato da apparire come una finzione. Ma la morte spettacolarizzata non ha niente di misterioso e di sacro, a questa morte è tolta ogni forma di pietas, rinforzando i nostri meccanismi di negazione e allontanamento: la finzione non conduce a intensificare il senso di realtà, ma genera solo indifferenza proprio per la sua modalità di fruizione, possiamo sempre evitarla semplicemente cambiando canale.

Molto spesso accade la situazione paradossale che il bambino viene tenuto lontano dalla morte reale, ma viene poi lasciato solo davanti alla tv, oppure anche se l’adulto è presente manca il commento, attraverso cui l’emozione passa e viene elaborata. Cosa che avveniva in passato, quando la morte e il lutto erano un’esperienza socializzata e i bambini venivano coinvolti al pari degli adulti nel rapporto diretto con la morte, consentendo loro di incontrare insieme sia il morto che le emozioni degli adulti, e rafforzando i legami parentali e amicali. Mentre oggi si sottolinea solo l’aspetto doloroso del lutto, e quindi gli adulti tendono a “proteggere” i bambini in modo eccessivo, e col passare del tempo, ciò che prima era considerato normale, come la familiarità del bambino con la morte, diventa anormale.

Ma come agire a livello educativo?

Un approccio che potrebbe aiutare gli adulti, genitori o insegnanti che siano, a lavorare con bambini e ragazzi per un’educazione alla sofferenza e al dolore, doppiamente importante per gli aspetti precedentemente descritti, è la mindfulness, che si esprime, nel suo versante prettamente educativo, attraverso la pedagogia contemplativa.

La mindfulness è una pratica, o per meglio dire un insieme di pratiche, che ha come finalità una trasformazione della coscienza attraverso lo sviluppo della consapevolezza e l'uso sistematico dell'attenzione.

Per contemplative pedagogy si intende un movimento sorto all’inizio del secolo in America e diffusosi rapidamente nel resto del mondo che, utilizzando pratiche mindfulness quali ad esempio la meditazione, mira ad accrescere gradatamente il potenziale mentale degli individui, ne supporta una maggior padronanza dei processi attentivi, la flessibilità cognitiva e le varie funzioni che consentono di raccogliere ed elaborare le informazioni. Su un piano emotivo promuove il collegamento empatico, la creatività, la compassione e l’altruismo. Gli studiosi che sostengono e incoraggiano la pedagogia contemplativa riconoscono l’importanza di educare gli studenti, non solo per l’apprendimento delle discipline impartite, ma di educarli per la vita: si mira a renderli discenti indipendenti e membri di una società in cui si può cooperare insieme in modo positivo.

Esistono ormai numerose evidenze scientifiche sull’utilità di tale approccio nell’educazione dei bambini, già a partire dall’età prescolare.

Interessante, a tal proposito, è la rassegna sistematica basata sull’evidenza di Waters, Barsky, Ridd e Allen (2015), che ha mostrato risultati incoraggianti, attraverso la valutazione in peer-review di 15 studi di programmi di meditazione scolastici, rispetto a al benessere, alla competenza sociale e al rendimento scolastico.

A titolo esemplificativo basti citare la ricerca di Kennedy, Whiting e Dixon (2014), che hanno esaminato gli effetti dell’utilizzo di un protocollo mindfulness denominato ACT (Acceptance and Commitment Therapy), finalizzato a favorire il cambiamento nei comportamenti alimentari, nella direzione di cibi più sani, in bambini dai 3 ai 5 anni. Gli autori concludono sull’importanza di aiutare i bambini a individuare i propri valori e a compiere azioni impegnate in tal senso, caratteristiche fondamentali per favorire i cambiamenti di comportamento in giovane età. Infatti l’Acceptance and Commitment Therapy (più sinteticamente ACT), creato da Hayes (2004), è uno dei protocolli mindfulness maggiormente riconosciuti negli ultimi anni, e rientra nelle terapie definite di terza generazione che costituiscono la più recente evoluzione della terapia del comportamento. Essa fa ampio uso di strumenti linguistici come metafore e paradossi, abilità di mindfulness e svariati esercizi esperienziali, come esercizi di meditazione associatici ai tradizionali interventi comportamentali. La sua efficacia è dimostrata sperimentalmente per una vasta gamma di condizioni cliniche (Baer, 2012). Il protocollo ACT si basa su tre punti fondamentali: accettazione, impegno e vita basata sui valori.
L’accettazione si basa sulla nozione che, di norma, tentando di sbarazzarsi del proprio dolore si arriva solamente ad amplificarlo, intrappolandosi ancora di più in esso. L’ACT opera una chiara distinzione tra dolore e sofferenza. Per la natura del linguaggio umano, quando ci si trova di fronte a un problema, la tendenza generale è di capire come attaccarlo. In realtà però le esperienze interne non sono uguali agli eventi esterni e i metodi per cercare di eliminarle non funzionano. Per cui l’accettazione, come viene intesa in questo contesto, non è un atteggiamento nichilistico-distruttivo, né un tollerare il proprio dolore, o il sopportarlo, ma è un vitale e consapevole contatto con la propria esperienza.

Per quanto riguarda l'impegno e la vita basata sui valori occorre evidenziare che, quando si è coinvolti nella lotta contro i problemi psicologici, spesso si mette la vita in attesa, credendo che il proprio dolore debba diminuire, prima di iniziare nuovamente a vivere. L’ACT invita a uscire dalla propria mente ed entrare nella propria vita intraprendendo azioni impegnate in direzione di quelli che sono i propri valori.

In generale, l’obiettivo che ci si pone in un intervento ACT è quello di aumentare la flessibilità psicologica permettendo di acquisire la capacità di mettere in atto azioni consapevoli, di valore ed efficaci e di essere disponibile ad affrontare emozioni e pensieri spiacevoli.

 

Conclusioni 

La pedagogia contemplativa potrebbe rappresentare, nell’era digitale in cui ci troviamo immersi, un modo innovativo di concepire l’educazione che miri a sviluppare gradatamente la sfera intellettuale ed emotiva degli individui, consentendogli di esprimersi e vivere al meglio delle loro possibilità, un’educazione, quindi, rivolta alla persona nella sua totalità.

Negli ultimi tre decenni, l’interesse per le pratiche contemplative o delle “scienze interiori”, come vengono spesso chiamate, è in costante espansione nella cultura occidentale e vi è una letteratura fiorente, a livello sia accademico che divulgativo. Un numero sempre maggiore di insegnanti occidentali e studenti esplorano come le tecniche meditative possano essere incorporate all’interno di contesti educativi, frequentando seminari e conferenze per imparare e condividere le loro conoscenze ed esperienze. Nell’insegnamento, infatti, devono essere considerati a parità di importanza sia l’intelletto che l’emotività e la spiritualità, come afferma Palmer (1998, p. 4): “Ridurre l'insegnamento all'intelletto diverrebbe un'astrazione fredda; ridurlo alle emozioni diverrebbe narcisistica; ridurlo alla spiritualità e perderebbe il suo ancoraggio al mondo. Intelletto, emozione e spirito dipendono reciprocamente. Essi si intrecciano nel sé umano e nell'istruzione.[2]
E di fatto, se da un lato, il viaggio scientifico della meditazione nella scuola è solo ai suoi esordi, non dobbiamo dimenticare che la pratica contemplativa ha origini antichissime. Molto spesso, infatti, l'origine buddista della mindfulness risulta marginale, tutt’al più una nota introduttiva all’interno degli articoli scientifici e clinici, con il rischio di scorporare il concetto stesso di mindfulness da un ricco sistema di idee, metodi e conoscenze pratiche all’interno del quale ha avuto origine.

E, anche attraverso una lettura non approfondita dei testi di tradizione buddhista, appare subito evidente che il Buddismo è piuttosto diverso dalle altre tradizioni spirituali, in quanto nei suoi insegnamenti il Buddha si è molto più occupato di esplorare la dimensione mentale e sensoriale dell’uomo, rivelandosi un acuto e raffinato studioso dei molteplici stati di coscienza, piuttosto che della dimensione dell’anima e della sua relazione con una qualche entità sovrannaturale.

È questo il contesto d’indagine entro cui l'uso della meditazione ha trovato la sua strada nella società occidentale contemporanea sotto il nome di mindfulness: è la mancanza di comprensione del nostro vissuto personale ed esistenziale che provoca avversione e desiderio, e che si traduce in avidità, odio e di fatto in tutti quegli stati di inquietudine, ansia, rabbia e depressione che ci troviamo spesso a esperire.

Si tratta di una visione di quella che possiamo considerare un'educazione integrale, cioè un'educazione del corpo, delle emozioni, della mente e dello spirito. Una visione che, andando al di là della sola sfera cognitiva, troppo a lungo “sovrastimata”, ha il coraggio di utilizzare un approccio “ecclettico”, delle aree storicamente e culturalmente più trascurate: corpo, emozioni e spirito.

Accettare la sofferenza, a partire dalla propria, aiuta a sviluppare compassione: «spesso la compassione non ha un solido fondamento senza l’esperienza e l’accettazione della sofferenza. L’empatia rende la compassione sincera e autentica. Per essere veramente spirituale, un praticante ha bisogno tanto di compassione amorevole quanto di saggezza. Esse sono considerate come due gambe che conducono all’illuminazione. Sovente la saggezza proviene dalle esperienze legate alla sofferenza. La sofferenza è una grande fonte di motivazione. La sofferenza crea una sfida, e la saggezza decide come risolvere il problema. Amore e compassione nascono dal riconoscimento dell’uguaglianza tra sé e gli altri. Ciascuno in egual modo desidera la felicità e si augura di non soffrire; la consapevolezza di questo punto è la premessa dell’empatia, della compassione e dell’altruismo (Jhampa Shaneman e Jan V. Angel, 2004, p. 35)».

Vorrei concludere con un esempio concreto su come i genitori, anche se non sono buddisti dato che la pratica non ha nulla di confessionale, possano insegnare ai propri bambini a praticare metta, una parola pali che significa gentilezza amorevole non condizionata ed è una delle dieci paramita, ovvero comportamenti virtuosi e positivi illuminati dalla consapevolezza e dalla conoscenza superiori, della scuola buddhista therevada. L'oggetto della meditazione di metta è quello di sviluppare gentilezza, amichevolezza e compassione verso tutti gli esseri. La pratica solitamente inizia con la coltivazione della compassione e dell'amore per se stessi, poi per le persone amate, gli amici, gli estranei e, infine, per i nemici.

Gregory Kramer (1997), da molti anni praticante e insegnante di meditazione buddista in USA e padre di tre ragazzi, spiega come i sottili ma precisi aggiustamenti della pratica ordinaria di metta siano opportuni per ancorarla nella vita dei figli:[3] innanzitutto egli adatta la pratica all’età e allo stato d’animo, in modo che la meditazione diventi qualcosa che abbia un rapporto diretto ed emotivo con ogni bambino e che si modifichi in maniera congruente al modo in cui il mondo del bambino cresce. Secondariamente l’autore ha stabilito tempi e modi per praticare questa meditazione, creando un passaggio dall’ascolto di storie alla concentrazione sul sentire dei bambini e poi al crescere di questi sentimenti attraverso l’amore, con l’utilizzo di parole diverse attraverso cui irradiare la gentilezza amorevole verso ogni singola persona, gruppo o regione che sia, in modo da aiutare la pratica a rimanere viva e pertinente, e non semplice routine.

Nella pratica si fanno sorgere sentimenti di amore nel suolo più fertile, ovvero le persone più vicine e più amate, come i genitori o anche animali o piante, estendendoli agli altri che amiamo, come i fratelli, poi a coloro che ci piacciono, come amici o compagni di scuola, o per lo meno a coloro che sentiamo come esserci indifferenti. Diversamente dalla pratica con gli adulti, Kramer consiglia di non forzare i bambini nell’estendere la gentilezza amorevole alle persone per cui essi provano qualche turbamento, ma di aggiungere, occasionalmente, le persone verso cui possono provare rabbia.

Infine è utile aggiungere qualche elemento di improvvisazione nel modo in cui si conduce questa pratica: se si sente che il bambino è in un particolare stato di amore, si può focalizzare di più l’irraggiare amore ai loro insegnanti per aiutarli a vederli come esseri umani, con una vita al di fuori della classe e non senza errori ed emozioni, oppure si può concentrare l’attenzione su una gentilezza amorevole extra rivolta a chi è in difficoltà, come una zia ammalata, in modo da aiutare i bambini a vedere che, quando è necessario, si può essere ancora più altruisti. Kramer spiega che, quando suo figlio maggiore maturò e la sua comprensione emotiva si ampliò, egli gradualmente ampliò la meditazione alla compassione, che dopotutto è un’estensione dell’amore per cui, dopo aver mandato gentilezza amorevole a tutti gli esseri istruì suo figlio, con delicatezza e non in modo dogmatico, a provare a sentire la sofferenza degli altri, e a lasciare che il suo cuore entrasse in risonanza con il dolore degli altri.

 

Bibliografia

Baer R. (a cura di) (2012), Come funziona la mindfulness. Teoria, ricerca, strumenti, Milano, Raffaello Cortina.

Grasso A. (1996), Enciclopedia della televisione, Milano, Garzanti.

Hayes S.C. (2004), Acceptance and Commitment Therapy and the new behavior therapies. Mindfulness, acceptance and relationship. In S.C. Hayes, V.M. Follette e M. Linehan (a cura di), Mindfulness and acceptance. Expanding the cognitive behavioral tradition, New York, Guilford, pp. 1-29.

Hayes S.C., Strosahl K.D. e Wilson K.G. (2013), ACT. Teoria e pratica dell'Acceptance and Commitment Therapy, Milano, Raffaello Cortina.

Jhampa Shaneman e Jan V. Angel (2003), Buddhist Astrology. Chart interpretation from a buddhist perspective, Llewellyn Publications St. Paul, USA. Trad. it., Astrologia Buddhista. L’interpretazione del tema natale secondo la visione buddhista, Roma, Edizioni Mediterranee, 2004.

Kennedy E., Whiting S.W. e Dixon M.R. (2014), Improving novel food choices in preschool children using acceptance and commitment therapy, “Journal of Contextual Behavioral Science”, vol. 3, n. 4, pp. 228-235.

Kramer G. (1997), Seeding the heart. Loving-kidness practice with children. An Inward Journey Book, Penang, Malaysia, Inwardpath Publisher.

Waters L., Barsky A., Ridd A. e Allen K. (2014), Contemplative Education: A Systematic, Evidence-Based Review of the effect of Meditation Interventions in Schools, “Educational Psychology Review”, vol. 27, pp. 103-134.

 

[1]http://www.odg.it/files/ricerca%20La%20Televisione%20del%20Dolore.pdf (consultato il 30 agosto 2018).

[2]http://www.couragerenewal.org/PDFs/Parker-Palmer_The-Heart-of-a-Teacher.pdf (consultato il 30 agosto 2018).

[3]http://www.liber-rebil.it/wp-content/uploads/2011/11/METTERE_SEMI_NEL_CUORE.pdf (consultato il 30 agosto 2018).




Autore per la corrispondenza

Mariarosaria De Simone
Indirizzo e-mail: mrdesimone@libero.it
Dipartimenti Studi Umanistici, Via Porta di Massa, 1 - 80133 Napoli


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ISSN 2421-2946. Pedagogia PIU' didattica.
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