Test Book

Teorie e pratiche dell’inclusione / Theories and practices of inclusion

Ludolinguistica e apprendimento della letto-scrittura
Ludolinguistica and learning about reading

Donatella Fantozzi

Ricercatore T.D. A -Università di Pisa



Sommario

L’importanza che da sempre assume la competenza nella lettura, competenza che si ripercuote sulla capacità di scrivere (e di saper scrivere), impone oggi la necessità di indagare quali siano gli insuccessi generati dalle strategie e dai metodi utilizzati dalla scuola, prima ancora di andare a verificare se la mancata acquisizione non dipenda invece da criticità e fragilità tipiche dello studente. La ludolinguistica offre numerosi spunti di lavoro nella direzione del metodo fono-sillabico riconosciuto, ormai in maniera incontestabile, come il più appropriato alle funzioni cognitive deputate a decifrare i segni convenzionali che universalmente definiamo “scrittura”.

Parole chiave

Lettura, apprendimento, metodo fono-sillabico, ludolinguistica.


Abstract

The importance that has always acquired competence in reading, which has an impact on the ability to write (and to be able to write), today requires the need to investigate the failures generated by the strategies and methods used by the school before even going to verify if the lack of acquisition does not depend on the student's typical criticisms and fragilities. The ludolinguistica offers a number of ways of working in the direction of the phono-syllabic method recognized in an indisputable way, as the most appropriate to the cognitive functions to decipher the conventional signs that universally define 'writing'.

Keywords

Reading, learning, phono-syllabic method, ludolinguistica.


Introduzione

Il linguaggio è la più alta specializzazione motoria che l’essere umano possa raggiungere; sia la qualità che la quantità della produzione linguistica non rappresentano soltanto il riflesso del livello culturale raggiunto, ma sono anche fortemente indicativi delle potenzialità cognitive e dell’eventuale presenza di criticità. Tale capacità rappresenta un elemento fondamentale e dirimente per individuare il livello qualitativo di sviluppo delle funzioni cognitive, tant’è che la mancata acquisizione rappresenta uno dei primi segnali che, insieme alla mancata coordinazione motoria, deve insospettire la famiglia e gli esperti.

Parallelamente (anche se successivamente) al linguaggio orale si sviluppano la lettura e la scrittura. Sono tre vie che si intersecano costantemente senza soluzione di continuità, interdipendenti e interconnesse: moltissime patologie anche acquisite dopo l’età evolutiva ci dimostrano che una caduta del linguaggio già appreso corrisponde sempre anche a un deterioramento delle altre funzioni, ovvero della lettura e della scrittura; ciò accade anche al contrario, tranne nei casi di Disturbo Specifico di Apprendimento per i quali le disfunzionalità registrate non sono assolutamente legate a carenze dei processi intellettivi.

La mancata acquisizione, la perdita e il non adeguato sviluppo di tale competenza influenzano negativamente anche il lessico e tutte le altre caratteristiche (sintattiche, semantiche, ortografiche), rappresentando veri e propri elementi di distinzione ai fini di una diagnosi differenziale.

L’acquisizione della letto-scrittura ha segnato un guado dirimente a livello storico marcando il passaggio da un lunghissimo periodo in cui era presente un notevole divario fra una ristretta élite che, potendo leggere e scrivere, “dettava legge” e coloro che, essendo analfabeti, potevano limitarsi soltanto a obbedire. Il passo de I Promessi Sposi in cui Renzo replica a Don Abbondio “che vuole che me ne faccia del suo latinorum?” rende l’idea di quanto il non saper leggere e scrivere abbia determinato, nei secoli, la sottomissione incondizionata di intere popolazioni alla volontà di pochi.

Saper e poter leggere e scrivere dilata i tempi di espressione del nostro pensare, permette una riflessione intima e un confronto costante e dinamico tra ciò che si scrive e ciò che si pensa; ci concede di gestire il tempo, sia della domanda che della risposta; ci dà la possibilità di leggere ma anche di ri-leggere ciò che è scritto, di poterci rispecchiare in un pensiero fissato nero su bianco e di poterci inserire anche fra le righe.

 

Il ruolo della scuola

Apprendere a leggere e a scrivere non è un’esigenza naturale ma un costrutto antropico determinato dal bisogno di comunicare e di stringere relazioni, dalla necessità di tramandare e di lasciare al futuro; tuttavia il suo utilizzo è divenuto fortunatamente indispensabile, per questo l’agenzia deputata in primis alla sua promozione e al suo sviluppo, la scuola, deve attrarre tutte le strategie possibili affinché tali funzioni siano accessibili al maggior numero di persone e nel miglior modo possibile.

Inoltre restano fondamentali e ineludibili il compito e il dovere della scuola di formare (e non solo di istruire e educare) le nuove generazioni ad affrontare il mondo; il mondo sociale, quello civile, quello economico e quello del lavoro, sviluppando tutte le competenze possibili, in bilico fra la personalizzazione e l’individualizzazione delle strategie didattiche da mettere in campo; di dotarli di abitudini intelligenti, dispositivi necessari affinché la trasmissione delle conoscenze e la formazione delle competenze si intreccino a spirale per ottenere l’affrancamento dello sviluppo umano da quello del capitale umano (Baldacci, 2014).

Gli studi ci dimostrano che la letto-scrittura, pur essendo un bisogno indotto, trova nel cervello umano tutti i presupposti per svilupparsi nel periodo che coincide con l’inizio dell’età scolare.

Allo stesso modo dalle indagini e ricerche scientifiche emerge che l’apprendimento è non solo più agevole e più veloce, ma anche più naturale, più adatto alle strutture neurologiche umane, se sviluppato attraverso il metodo fonico-sillabico anziché attraverso metodologie che si rifanno al globalismo e/o comunque a schemi attraverso i quali si ritiene erroneamente di facilitare il percorso ponendo al bambino la richiesta di apprendere attraverso parole intere se non addirittura frasi.

In questo senso gli studi di Ferreiro e Teberosky (1985) mettono in evidenza la peculiarità di quello che viene definito il livello sillabico dell’approccio alla lettura, attraverso un’elaborazione continua e a spirale delle singole lettere fino a giungere all’adeguata associazione segno-suono-significato; occorre inoltre evidenziare che gli esiti delle ricerche di Ehri (1987) puntano a segnalare l’importanza della cosiddetta lettura per indici incisivi, tramite la quale l’essere umano bambino e ancora analfabeta “gioca” a ipotizzare possibili costruzioni di parole, suo malgrado.

Anche gli studi di Uta Frith (1985) dimostrano che nelle connessioni attivate fin dalle prime fasi dell’apprendimento, spontanee quanto necessarie, il bambino adotta esercizi di vera e propria discriminazione delle varie lettere che compongono una parola. Infine, grazie ai contributi delle scienze psicologiche e neurologiche, recentemente si è giunti alla definizione del modello a due vie (Sartori, 1985) che distingue un parallelo tra lo sviluppo dell’approccio fonologico e quello lessicale: il primo consente di associare il grafema al fonema corrispondente e quindi di pronunciarlo indipendentemente dal significato, il secondo si appoggia al recupero mentale del riconoscimento delle lettere, del loro suono e di conseguenza del significato delle parole che vanno a comporre.

Sulla scorta di ciò, il metodo fonico-sillabico è in grado di assicurare la riduzione al minimo degli errori ortografici proprio per la sua caratteristica induttiva dal singolo elemento (fonema/grafema) all’associazione di più elementi (prima sillaba, quindi parola), contrapponendosi al metodo globale che percorre il processo contrario. Ed è proprio per queste prerogative che esso produce maggiori risultati anche con giovani studenti con criticità nell’apprendimento, siano esse dipendenti da carenze intellettive, da disturbi sensoriali o da DSA.

Inoltre, già Trisciuzzi (1993, p. 148) ci segnalava che “[…] molti insegnanti ritengono che per imparare a scrivere si debba partire dal movimento prassico, nel senso che la scrittura sia la continuazione del grafismo, solo di più complessa esecuzione. Nulla di meno vero: l’apprendimento della scrittura richiede come prerequisito essenziale una capacità intellettiva e un livello di immagine mentale tali da accettare il segno grafico (le lettere dell’alfabeto per intenderci) come rappresentante del rispettivo suono linguistico. […] Tradurre in segni grafici (anche copiando) un suono della voce e ritenerlo identico ai fini della comunicazione, è un atto culturale, il quale implica una elevata, anche se comune, capacità mentale”.

Vale a dire che quanto continua ad accadere nelle aule scolastiche, dove possiamo facilmente e troppo frequentemente verificare l’uso di un metodo che parte dal cosiddetto apprendimento strumentale, ovvero dalla memorizzazione grafica del segno da associare contestualmente al corrispettivo fonemico, è esattamente l’inverso di ciò che dovremmo fare, ovvero partire dalla concettualizzazione del trinomio inscindibile suono-segno-simbolo.

“Lettura e scrittura sono attività mentali complesse, che procedono sulla linea di una complessificazione sempre maggiore della capacità rappresentativa, fino alla simbolizzazione capace di mettere in corrispondenza un significante e un significato, dove il significante, al contrario del significato, non ha alcun rapporto diretto con la realtà circostante o con il mondo interiore del bambino. Il significante, da intendersi sia come le lettere scritte, sia come fonemi pronunciati, è collegato del tutto arbitrariamente e convenzionalmente al significato che esso assume nel comporsi in parole e frasi (Zappaterra, 2012, p. 49)”.

Il riconoscimento che lo sviluppo della funzione del saper leggere e scrivere dipenda non tanto da un addestramento motorio-strumentale, quanto piuttosto da una concettualizzazione del senso semantico che viene assegnato a un tratto grafico, è efficacemente dimostrato dagli studi di Dehaene (2009); i risultati delle ricerche portate avanti dalla neuropsicologia circa le conseguenze delle lesioni cerebrali in soggetti precedentemente nella norma ci dimostrano che le due vie di lettura, quella diretta o lessicale e quella indiretta o fonologica “cospirano e collaborano l’una con l’altra” (Dehaene, 2009, p. 47): la via diretta o lessicale emerge nella lettura di parole già conosciute ma ci abbandona davanti a parole nuove, e potrebbe quindi essere definita quella più strumentale, cioè che entra in gioco in maniera economica dopo che si è imparato a leggere; invece quella indiretta o fonologica è indispensabile di fronte a parole nuove, quindi si appoggia sulla consapevolezza, sul riconoscimento del significato, fa riferimento a strutture cognitive che aprono l’apprendimento al semantico passando dal segno al suono al senso contemporaneamente.

Infine, una recente ricerca condotta da G. Handjaras, E. Ricciardi. P. Pietrini et al. (2016) ha indagato in quale misura le informazioni sensoriali (percettive, quindi visive e uditive) influenzino e contribuiscano all'organizzazione della conoscenza concettuale, e quindi alla rappresentazione in categorie semantiche a livello cerebrale, misurando, attraverso le tecniche di neuroimmagine, la costruzione dei concetti in soggetti non vedenti dalla nascita. Gli esiti sono stati comparati con quanto avviene in soggetti vedenti riportando evidenze scientifiche che testimoniano quanto sia irrilevante la pregressa esperienza percettivo/sensibile (visiva, in questo caso) per la categorizzazione semantica dei termini, quindi per il riconoscimento meta-fonologico e per l’associazione simbolo-suono-segno.

Nonostante i risultati sopraesposti purtroppo l’editoria scolastica, e in particolare proprio quella dedicata alla scuola primaria, segmento destinato in maniera privilegiata all’insegnamento della letto-scrittura, sembra scollarsi totalmente dalle evidenze scientifiche continuando a produrre manuali che presentano attività le quali, più o meno velatamente, riconducono quasi sempre al metodo globale (Calvani e Ventriglia, 2017; Fantozzi, 2016).

Negli esercizi proposti dai testi scolastici prevalgono le richieste di “addestramento” piuttosto che di comprensione e di connessione tra il senso convenzionale del segno e quello concettuale del significato. Proprio questo aspetto potrebbe trovare un’ottima soluzione nell’utilizzo sistematico della ludolinguistica, capace di racchiudere in sé l’apparente leggerezza dell’attività ludiforme e la sostanziale risposta all’apprendimento tramite la via indiretta.

 

Gioco e apprendimento

L’importanza del gioco nello sviluppo dell’essere umano non ha ancora assunto il ruolo che gli compete. Da una parte le certezze scientifiche affermate e difese da luminari storici come Freud (1920), che individua nel gioco la funzione catartica rispetto alle esperienze dolorose e traumatiche; Piaget (1945), che riconosce in particolare al gioco simbolico una fondamentale importanza nella costruzione dell’immagine mentale; Vygotskij (2010, p. 155, ed. or. 1930), il quale afferma che “nel gioco il bambino è sempre al di sopra della propria età media, del proprio comportamento quotidiano; nel gioco è come se egli crescesse di un palmo. Come il fuoco di una lente di ingrandimento, il gioco contiene tutte le tendenze dello sviluppo in forma condensata”; Dewey (1933), che riesce a individuare il nesso profondo tra gioco e lavoro e tra questi e la motivazione, tanto che esorta gli educatori a non esaurire l'attività ludica solo nell'aspetto del divertimento e del fantastico ma a calarla nella realtà, sottolineando quanto il gioco, manifestandosi come un’attività essenzialmente libera quindi intrisa di motivazione, possa essere il preliminare dell’attività lavorativa se questa è significativa e quindi interessante per il soggetto, marcando tuttavia una differenza rilevante: mentre il gioco è un’azione definalizzata dove il processo (e non il prodotto) determina tutto, nel lavoro lo scopo è la produzione; Montessori (1948), che vede nel gioco una sorta di addestramento all’attività sensoriale, percettiva e mentale, tutte competenze necessarie poi anche nello svolgimento del lavoro.

Anche eminenti studiosi contemporanei come Trisciuzzi (1993), Cambi (Cambi e Staccioli, 2007), Besio (2017) e Zappaterra (2017) hanno focalizzato l’attenzione sul gioco come elemento imprescindibile per garantire un’adeguata costruzione dei referenti mentali astratti corrispondenti alla realtà in tutte le sue componenti adattive, a prescindere dal fatto che esse siano di natura relazionale; ed esso continua ad avere la stessa fondamentale importanza per tutta la vita.

Dall’altra parte troviamo quelle che potremmo definire credenze popolari ma che sono assunte anche dai genitori e (purtroppo) da molti professionisti della scuola: il gioco può sembrare addirittura una perdita di tempo, al limite un passatempo o un momento di relax, ma non viene mai abbinato all’apprendimento in maniera sistematica a strutturata. Ne è la prova il fatto che davanti a un ragazzino che gioca capita di sentir dire tuttora troppo spesso la frase: “Ormai sei grande per giocare”, mortificando così contemporaneamente sia la funzione che il soggetto.

Proprio in riferimento alla didattica tesa all’apprendimento della letto-scrittura, merita ricordare quanto affermato da Trisciuzzi (1993, p. 205): “Poiché il linguaggio forma e trasforma, ma anche deforma l’immagine mentale, e quindi il pensiero, un programma didattico va svolto usando ‘materiali’ come figure, lettere, espressioni linguistiche e così via, cercando di dare al bambino una certa consapevolezza delle qualità sociali e convenzionali del mezzo. Giochi semplici di anagrammi gli consentono di rendersi conto della funzione delle singole lettere; le espressioni allegoriche sono ‘giochi’ di pensiero che, come veri giocattoli, aiutano a superare barriere altrimenti invalicabili”.

A questo punto è necessario un riferimento alla distinzione fra azione ludica e azione ludiforme, così come viene magistralmente chiarita da Visalberghi (1958): mentre l’attività ludica si autodefinisce e si autodetermina, ponendosi in un tempo e in uno spazio entrambi riservati esclusivamente al gioco per il gioco, l’attività ludiforme si pone come obiettivo l’apprendimento perseguendolo attraverso il veicolo del gioco. Da qui emerge quindi la definizione di attività ludica, dove il gioco è lo scopo, per dirla con Bruner: è il prevalere dei mezzi sui fini (Bruner, Jolly e Sylva, 1976), diversamente dall’attività ludiforme, dove il gioco diventa strumento; per parafrasare Bruner: è il prevalere del fine sui mezzi.

Queste azioni sono indispensabili alla stessa stregua nel processo di apprendimento, l’una perché stimola la curiosità spontanea, l’altra perché, appoggiandosi sulla prima, veicola e sviluppa azioni finalizzate attraverso modalità accettate proprio perché assimilate al gioco.

Un altrettanto importantissimo e necessario riferimento meritano gli studi di Besio (2017) circa la rilevanza ineludibile che il gioco riviste per lo sviluppo cognitivo-affettivo e sociale dei bambini con disabilità: la particolare caratteristica del gioco per il gioco, quella della libertà, porta con sé in maniera spontanea la concentrazione e l’intensità dell’impegno associati al piacere e al divertimento; è questo un cambiamento sia di prospettiva che di paradigmi circa il senso e la valutazione del modo di perseguire gli obiettivi, anche quando tutto ciò è riferito a un contesto che riguarda studenti con criticità o fragilità.

Nonostante ciò purtroppo la scuola si avvale molto poco delle attività ludiformi, tantomeno delle attività ludiche, e anche quando vengono utilizzate spesso sono relegate a momenti di relax o di svago, non integrate realmente e sistematicamente nella progettazione volta a favorire e incoraggiare sia l’insegnamento che ovviamente l’apprendimento. Distratta da programmi, valutazioni e prescrizioni, la scuola sottovaluta e trascura che “il Moderno ha, quindi, riscattato il ludico e ne ha legittimata la centralità sociale […], per arrivare poi a delineare nel gioco il paradigma più proprio della specifica formazione umana (Bildung) dell’uomo: paradigma fin qui inattuato in tutto il suo potenziale, di farsi modello di una società estetica ma che, se è pure regolativo e/o utopico, deve essere costantemente coltivato (e nelle prassi e nella teoria) proprio perché possa essere un modello-di-uscita della nostra civiltà, ormai resa criticamente accorta e delle proprie alienazioni e del proprio disagio e ri-chiamata a ripensarsi secondo libertà, secondo liberazione, secondo anche l’ottica della gioia (di cui il gioco è, alla Fink, un’“oasi protetta”) (Cambi e Staccioli, 2007, p. 60).

 

Gli strumenti della ludolinguistica

 

Il cruciverba

La caratteristica peculiare del cruciverba è il vincolo che pone la sua stessa struttura: poiché a ogni casella corrisponde una lettera è possibile acquisire subito consapevolezza di un eventuale errore. Inoltre, la necessità di scrivere una lettera alla volta (nei modelli più complessi è possibile passare anche alla scrittura di sillabe) predispone all’attivazione della consapevolezza metafonologica: prima ancora di scrivere, il soggetto deve rievocare il suono e quindi il grafema.

Ai fini dell’arricchimento lessicale e semantico, fin dai primi cruciverba è possibile orientare il soggetto alla ricerca di soluzioni ma anche di definizioni corrette ed esatte (nel caso in cui il soggetto sia coinvolto nella costruzione del cruciverba) anche attraverso l’uso del dizionario.

 

Il rebus

Il rebus offre la possibilità, attraverso l’intreccio di immagini e lettere, di analizzare in anteprima la parola che comparirà; anche in questo caso la consapevolezza metafonologica è indispensabile poiché il gioco si basa sulla rievocazione di nomi/parole che poi vanno analizzati nei singoli grafemi per verificare l’esattezza o meno della risposta.

Inoltre, il fatto di avere come indicazione il numero di parole e il numero di lettere che compongono la soluzione aiuta a tendere ad annullare la possibilità di errore.

Infine, la costruzione di un rebus impone la scomposizione di ogni singolo termine e la ricerca di nuove creative possibilità.

 

Lo scarto, la sciarada, il logogrifo, la zeppa, il cambio, il metagramma

Anche in questi casi le potenzialità didattiche offerte da questi giochi sono totalmente legate alla metodologia di insegnamento/apprendimento della letto-scrittura che fonda il proprio impianto sulle evidenze scientifiche a supporto di quanto la via indiretta sia la più aderente alle strutture cognitive umane.

Attraverso il gioco dello scarto si tolgono lettere o sillabe all’inizio, alla fine o nel mezzo di una parola, con lo scopo di ottenerne un’altra di significato diverso.

Nel gioco della sciarada l’attività consiste nel dividere le parole in due o più parole di senso compiuto. Il Logogrifo si basa sulla capacità di cercare, all’interno di una parola, altre parole formate con tutte o solo alcune delle lettere contenute nel termine iniziale (a differenza dell’anagramma le lettere possono essere utilizzate anche più volte e non è necessario usarle tutte, è quindi più adatto ai bambini più piccoli o comunque alle prime armi).

Anche i giochi denominati “zeppa” e “cambio” consistono in una rielaborazione di un termine dato nel quale inserire o cambiare una lettera per ottenerne un altro di significato diverso.

Il metagramma, infine, consiste nel graduale passaggio da una parola all’altra attraverso una successione di cambi di lettera.

I giochi linguistici, siano essi utilizzati per il solo divertimento fine a se stesso oppure orientati a potenziare lo sviluppo lessicale e semantico del linguaggio, rappresentano un esercizio presente fin dall’antichità (Cambi e Staccioli, 2007; Lepri, 2013); sono stati e sono tuttora oggetto di studi scientifici filosofici, psicologici e pedagogici, eppure ancora non riescono ad affrancarsi dell’errata etichetta di passatempo nella sua accezione negativa, ed assegnata loro proprio dai programmi scolastici, dai libri di testo, dai docenti.

In particolare in questo contesto è interessante evidenziare quanto la ludolinguistica sia sottovalutata, nonostante l’evidente sostegno “attivo” possa dare alle metodologie didattiche che mirano all’apprendimento della letto-scrittura attraverso il metodo fonico-sillabico.

Mollica (2010) ci presenta un’esauriente analisi delle potenzialità insite nella ludolinguistica e di quanto essa possa essere un ottimo strumento metodologico per favorire e sviluppare l’apprendimento.

I rebus, ma anche altri giochi simili quali l’incastro, la zeppa, lo scarto, il cambio, il cruciverba, l’anagramma, generano direttamente l’attivazione della funzione conosciuta come consapevolezza metafonologica.

Per consapevolezza fonologica si intende la capacità di richiamare alla mente, e successivamente di pronunciare, il suono corrispondente a un segno convenzionale riconosciuto come lettera alfabetica; coincide con la possibilità, avendone assimilato la corrispondenza, di rievocare mentalmente la sequenza segno-significato-suono e, viceversa, di saper decodificare il grafema in fonema e di associare il fonema al grafema giusto.

La necessità di sviluppare la consapevolezza metafonologica, come ben evidenziato dalla ricerca di Calvani e Ventriglia (2017), viene totalmente disattesa dai testi scolastici attualmente adottati dalla scuola primaria italiana: in larga parte essi si basano sull’utilizzo del cosiddetto metodo globale, quindi sull’apprendimento tramite la cosiddetta via diretta o lessicale (e aggiungerei strumentale), più veloce ma foriera di molti errori anche ortografici che spesso si cronicizzano nel tempo) (Dehaene, 2009).

Rodari, Zamponi, Queneau e Dahal,[1] attraverso la sperimentazione dell’uso creativo delle parole, della lingua e del linguaggio, hanno dimostrato quanto sia significativo l’uso sistematico della ludolinguistica soprattutto per l’apprendimento della letto-scrittura, ma non solo: giocare con la lingua e con le parole veicola in maniera più facile e più adeguata l’apprendimento ortografico, nondimeno quello sintattico e quello semantico.

Giocare con le parole, con la lingua e il linguaggio significa sperimentare in modalità creativa la possibilità di scrivere, di leggere, e anche di pensare (De Mauro, 2002); significa offrire uno strumento apparentemente leggero per affrontare un apprendimento sostanzialmente pesante, favorendone l’acquisizione secondo criteri validi e aderenti a metodologie riconosciute dalla comunità scientifica.

 

Conclusioni

Tutte le attività di ludolinguistica sono particolarmente indicate per favorire l’assimilazione di termini particolari responsabili di molti errori ortografici non solo nelle prime classi di scuola primaria (mi sto riferendo, in particolare, agli innumerevoli errori di cui sono ostaggio gli studenti con un Disturbo Specifico di Apprendimento, ma non solo).

Tutto ciò che viene proposto dalla ludolinguistica rappresenta una palestra di apprendimento creativa, divergente, efficace; la struttura utilizzata si basa essenzialmente sulla possibilità di sperimentare al fine di trovare la soluzione possibile alla domanda proposta, facendo leva sulla curiosità e sul fatto che il processo non richiede uno sforzo oltre le potenzialità reali e lo fa in modalità divertente, quindi interessante.

Questi esercizi hanno tutti i requisiti per essere utilizzati come strumenti per insegnare e apprendere secondo il metodo fonico-sillabico, pretendendo implicitamente l’analisi di ogni singolo grafema all’interno delle parole, e l’abbinamento automatico al fonema corrispondente.

Molte di queste attività possono essere utilizzate fin dalla classe prima per veicolare l’apprendimento consapevole della lettura e della scrittura, apprendimento che dovrebbe precedere quello strumentale il quale è legato necessariamente a un bisogno di chiarezza, bisogno che si scatena dopo aver scoperto la meraviglia del saper leggere e scrivere, e dopo che se ne è compresa la forte portata comunicativa e relazionale.

 

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[1] Questi autori hanno saputo dimostrare con magistrale genialità quanto il gioco, il giocare e il divertirsi possano essere un efficace strumento di attrazione non solo per incoraggiare l’apprendimento ma anche per scoprire quanto l’insegnamento possa dissociarsi dall’idea di severità e serietà nel senso classico.




Autore per la corrispondenza

Donatella Fantozzi
Indirizzo e-mail: donatella.fantozzi @unipi.it
Dipartimento Civiltà e Forme del Sapere Via P. Paoli, 15 - 56126 Pisa


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ISSN 2421-2946. Pedagogia PIU' didattica.
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