L’evidenza di un doppio regime

Da alcuni decenni il discorso didattico ha assunto nel nostro Paese e in alcuni Paesi europei un doppio regime, generale e disciplinare, che caratterizza sia in senso epistemologico sia in senso sociale il sapere sull’insegnamento.

Il regime disciplinare, assunto dalle didattiche disciplinari (Dd), rende evidente e tangibile l’organizzazione dell’insegnamento e della ricerca, fondati entrambi sulla delimitazione degli oggetti del sapere. In questo senso, l’architettura del sistema delle Dd postula una complementarità che poggia sul sistema delle discipline come forme particolari del sapere scientifico. Tali forme particolari, tuttavia, non sono ritagliate da un insieme più vasto, ovvero da un sapere didattico generale. Ne consegue che didattica generale e didattiche disciplinari non stanno fra loro come il tutto e le parti. L’assunzione del regime disciplinare/generale è infatti conseguenza della combinazione di un insieme di fattori culturali e sociali che sfugge, almeno in parte, al processo tipico della scienza moderna di differenziazione progressiva fra settori o campi di attività.

Nel seguito intendiamo approfondire l’emergenza del regime disciplinare da un punto di vista storico-sociale e dal punto di vista dei suoi elementi costitutivi per meglio comprenderli e in vista dell’evoluzione della ricerca in questo campo.

Una prima riflessione riguarda la nozione di disciplina. Nel termine si scorge il riferimento a due elementi. Il primo concerne l’accezione scientifica moderna dei saperi come insiemi di pratiche codificate e validate da una comunità che opera secondo modalità condivise ed entro confini definiti; il secondo, di gran lunga antecedente allo sviluppo delle scienze moderne, concerne il rapporto pedagogico con il discipulus, il che suggerisce che il disciplinamento del sapere, la sua organizzazione sistemica, si articola intorno a un obiettivo didattico di trasmissione delle conoscenze (Fabiani, 2006), che è anche disciplinamento del pensiero: disciplinarizzazione e disciplinamento si sostengono dunque reciprocamente (Hofstetter e Schneuwly, 2014).

Questa duplice accezione di significato rivela la duplice funzione a cui ogni disciplina (non solo didattica) assolve costitutivamente: comunicativa e innovativa. La prima si esprime nell’adesione del ricercatore a un sistema di conoscenze e di regole; la seconda, nella capacità di superarle, o di sovvertirle, istituendone di nuove. In termini kuhniani ciò corrisponde alla “tensione essenziale” tra l’adesione a un insieme complesso di fattori e tecniche, che garantisce il funzionamento della “scienza normale”, e l’innovazione che nasce dall’approfondimento di quest’ultima, all’interno di una comunità disciplinare (Kuhn, 1977).

A marcare il carattere disciplinare dell’evoluzione scientifica interverrà, com’è noto, anche la nozione di  rivoluzioni scientifiche, per precisare il significato del costrutto di paradigma. A questo proposito, anche Stichweh (1991), sulla base dell’assunzione di una prospettiva sistemica, afferma che la scienza moderna è un sistema di sotto-sistemi funzionali, fondato da una parte sull’autorganizzazione e la differenziazione “orizzontale” delle discipline, dall’altra parte sull’attività di comunicazione fra pari, al punto che egli definisce la disciplina come “comunità comunicazionale di specialisti” (Stichweh, 1991, p. 53).

La disciplinarizzazione come modalità funzionale di organizzazione della scienza moderna sottolinea il carattere dinamico e processuale dell’attività della comunità di ricerca e testimonia una trasformazione strutturale dei campi di ricerca che obbedisce a vincoli sia accademici sia professionali. Come ci ha insegnato Foucault (1969), anziché fondarsi sugli oggetti di studio, la disciplina emerge da una forma moderna e inedita del lavoro intellettuale che nel corso del XIX secolo si sistematizza e si estende fino a costituire la forma “normale” della produzione scientifica.

Hofstetter e Schneuwly (2014, pp. 28-29) propongono quattro tratti caratterizzanti il processo di disciplinarizzazione:

  1. l’affermazione di un assetto istituzionale che permette la professionalizzazione della ricerca;
  2. la costituzione di reti di comunicazioni fra queste istituzioni;
  3. l’istituzione, da parte delle infrastrutture istituzionali e comunicazionali, di campi di ricerca per il rinnovamento delle conoscenze e di supporti editoriali (in particolare di riviste) che permettano alla comunità dei ricercatori di lavorare sui medesimi problemi;
  4. l’assunzione di un impegno formativo attraverso il legame tra insegnamento e ricerca e la determinazione dei criteri di legittimità della sua riproduzione.

È interessante osservare, dal nostro punto di vista, che il processo di disciplinamento, inteso come condizione di socializzazione all’interno del campo, è promosso, o almeno facilitato, da dispositivi pedagogici e didattici.

In sintesi, sebbene ci sia una lunga storia semantica della disciplina come criterio di ordinamento delle conoscenze per l'insegnamento nelle scuole e nelle università, la disciplina come unità primaria di differenziazione interna alla scienza è un'invenzione delle società del diciannovesimo secolo. È infatti in quest’epoca che vengono stabiliti veri e propri sistemi di comunicazione disciplinare. Questi sistemi sono basati sulla specializzazione degli scienziati, sulla differenziazione dei ruoli nelle organizzazioni della scienza, sulla definizione di forme standard di pubblicazione scientifica, nonché sull’istanza di incremento continuo di nuova produzione scientifica. Una volta stabilite, le discipline funzionano come unità di formazione della struttura del sistema sociale della scienza, come designazione di ruoli professionali e come area tematica dei sistemi d’istruzione. Ogni disciplina è inoltre incorporata in un sistema di altre discipline in mutuo rapporto tra loro. Il che fa sì che l'osservazione e l'interazione di queste discipline costituiscano i fattori più importanti nelle dinamiche della scienza moderna (Stichweh, 2003).

 

Il regime disciplinare della didattica

Guardiamo ora più in dettaglio al processo di disciplinarizzazione delle Dd. L’emergenza delle Dd è riconducibile a due istanze storico-sociali: la massificazione dell’istruzione superiore e la definizione dei percorsi di formazione degli insegnanti. Questi due fattori costituiscono i principali motori di sviluppo di un processo di elaborazione del sapere che ha la sua genesi negli anni Sessanta in Germania (Helmers, 1966), negli anni Settanta nei Paesi francofoni (Dorier, Leuteneggere e Schneuwly, 2013), negli anni Ottanta in Italia (Martini, 2016), nell’ultimo decennio in Svizzera (Hofstetter, 2010). Tali istanze, infatti, hanno avuto dirette conseguenze sia sul piano istituzionale sia su quello culturale.

Sul piano istituzionale, il consolidamento dei sistemi di istruzione ha imposto un po’ ovunque la necessità di un rafforzamento della formazione didattico-disciplinare degli insegnanti, in direzione sia teorica sia pratica, e ciò ha comportato il bisogno di organi e istituzioni specializzate, accademiche e non, indirizzati allo scopo. Sul piano culturale, nell’ambito delle scienze dell’educazione, l’affermarsi della ricerca psicologica sullo sviluppo evolutivo del bambino ha impresso un’accelerazione agli studi inerenti l’apprendimento scolastico. In particolare, nei Paesi francofoni, in continuità con la tradizione segnata da Claparède prima e da Piaget poi, il discorso didattico si sviluppa inizialmente come discorso psicopedagogico, nel senso di un’applicazione alla pedagogia delle conoscenze psicologiche (soprattutto della psicologia genetica piagetiana), tanto in riferimento ai meccanismi generali dello sviluppo e dell’apprendimento, quanto a quelli della costruzione di conoscenze disciplinari specifiche. Le didattiche disciplinari (didactiques des…) sono infatti inizialmente definite come psychopédagogie des mathématiques, des sciences, o des langues (Schubauer-Leoni, 2008).

Il fatto di emergere da un campo professionale preesistente corrisponde a uno dei due “movimenti” che caratterizzano, secondo Bourdieu (2003), l’emergenza delle scienze empiriche. Il primo movimento, di tipo interno, procede per progressiva specializzazione; il secondo, di tipo “esterno”, procede per progressiva costituzione delle professioni sociali di riferimento. Tali movimenti possono assumere diversa dominanza l’uno sull’altro. In particolare, può avvenire che le professioni di riferimento si dispieghino a partire dalla disciplina, oppure che preesistano ad essa in qualche forma.

In questa prospettiva, la genesi del campo delle Dd può essere pensata come emergente da un corpo di saperi elaborato (sebbene non sistematicamente) da una comunità di professionisti già costituita (sebbene non in maniera del tutto indipendente dalla comunità scientifica). Ritroviamo qui una delle ragioni dell’articolazione del campo di studi in campi didattico-disciplinari: è l’articolazione della professione insegnante in discipline di insegnamento, derivata, come abbiamo visto, dal processo di disciplinarizzazione della scienza moderna, a imporre uno sviluppo del campo come campo di “didattiche”.

È ancora in questa prospettiva che possiamo leggere le Dd come un campo di studi che attinge sia dalle discipline accademiche di riferimento (in forza del processo di disciplinarizzazione della conoscenza scientifica) sia dal sapere professionale dell’insegnamento (in forza del processo di disciplinamento del pensiero di coloro che agiscono all’interno del campo) (Martini, 2016, pp. 229-232).

Anche Hofstetter e Schneuwly (2014) interpretano il processo di disciplinarizzazione delle Dd come un processo di disciplinarizzazione a dominanza secondaria. In accordo con Bourdieu, questi autori articolano la dinamica di disciplinarizzazione in due poli: i campi che si sviluppano secondo un processo di professionalizzazione a dominanza secondaria (processo di sviluppo delle professioni a partire dalla disciplina come accade, per esempio, per la psicologia) e quelli che si sviluppano secondo un processo di disciplinarizzazione a dominanza secondaria (processo di sviluppo delle discipline a partire da un campo professionale preesistente come accade, ad esempio, per le scienze mediche o le scienze politiche).

Questi due poli non sono neutri rispetto alla caratterizzazione degli assetti epistemologici delle discipline che da essi originano/sono originati. In particolare, nel caso delle Dd, incidono sulla natura dei rispettivi oggetti di studio. Nel primo caso oggetti/problemi sono definiti a partire da concetti e metodi di cui i campi professionali costituiscono l’applicazione. Nel secondo caso, sono definiti in rapporto a questioni sociali e a saperi professionali la cui trasformazione ed evoluzione generano l’emergenza e lo sviluppo del campo disciplinare corrispondente. Vale la pena ribadire che questa polarizzazione non comporta una separazione netta tra i due processi. Il carattere dinamico di questi e la molteplicità dei fattori culturali e sociali a cui sono esposti suggeriscono di interpretare questi due poli in senso dinamico, come estremi sui quali in maniera dominante, anziché esclusiva, insiste il processo di costituzione del campo di studi.

Un’ulteriore precisazione riguarda il fatto che la dominanza della disciplinarizzazione secondaria, ovvero la costituzione del campo delle Dd a partire da professioni sociali preesistenti, non deve essere interpretata come l’adesione del campo a una logica empirico-induttiva a svantaggio di una logica razionale deduttiva: logiche entrambe sussistenti, almeno in linea teorica, nel processo di disciplinarizzazione, anche se responsabili di due diversi atteggiamenti conoscitivi. Secondo la logica empirico-induttiva il sapere didattico-disciplinare prende avvio dalle concrete pratiche professionali di insegnamento di un sapere disciplinare specifico; quindi individua problemi ed elabora, sulla scorta dell’epistemologia della didattica disciplinare e di quella del sapere scientifico di riferimento, ipotesi di soluzione ai problemi osservati; infine controlla per via empirica le ipotesi formulate.

Secondo la logica razionale-deduttiva i professionisti dell’insegnamento guardano ai fatti dell’esperienza alla luce dell’epistemologia della didattica disciplinare e di quella del sapere scientifico di riferimento in funzione della comprensione di tali fatti. La difficoltà di conciliazione dei due atteggiamenti conoscitivi dunque non è teorica, semmai sussiste sul piano della pratica giacché una tale conciliazione presuppone la collaborazione di due diverse comunità: quella scientifica dei didatti-disciplinari (i quali contribuiscono alla elaborazione teorica dei costrutti e all’applicazione delle tecniche di validazione sperimentale delle ipotesi) e quella professionale degli insegnanti di una certa disciplina (i quali contribuiscono alla rilevazione dei problemi didattici e alla elaborazione di pratiche di intervento mirate alla loro risoluzione) (Martini, 2016). Conciliazione questa, messa a tema da tempo (Damiano, 2006; Nigris, 2012; Magnoler, 2012) e tanto più proficua in quanto in grado di superare la dicotomia tra l’impegno a definire le migliori condizioni didattiche dell’insegnamento e dell’apprendimento (desumendole in maniera coerente dal sistema teorico di principi generali e costrutti categoriali del campo delle didattiche e delle discipline di riferimento) e l’impegno a studiare i dispositivi e le situazioni di insegnamento e apprendimento di un qualche sapere specifico (osservandole nel concreto svolgimento dell’azione didattica degli insegnanti), per rilevare quei dati dell’esperienza che per regolarità risultano generalizzabili e concettualizzabili, ossia convertibili in teoria.

Le Dd si sviluppano dunque originariamente come sapere pratico emergente dallo sforzo collettivo degli insegnanti per mettere a punto dei metodi efficaci di insegnamento di una certa disciplina.

Tale circostanza “fattuale” segna ancora oggi e costitutivamente la loro evoluzione. In particolare in relazione a tre aspetti.

  1. Le didattiche disciplinari si costituiscono in relazione alle modalità di organizzazione delle discipline di insegnamento. La costruzione dei sistemi di istruzione e le loro trasformazioni influiscono sull’articolazione delle discipline di insegnamento, sulla definizione e gradualità dei contenuti e dunque sulle didattiche. Ad esempio, si assiste all’inserimento nei curricola di nuove discipline (si pensi all’insegnamento delle lingue straniere o delle tecnologie); all’esclusione di altre (si pensi all’insegnamento dell’aritmetica razionale negli istituti magistrali o alla religione); o ancora, alla ridefinizione dei confini delle discipline (si pensi alla istituzione degli ambiti disciplinari nella scuola primaria e dei campi di esperienza nella scuola dell’infanzia).
  2. Le didattiche disciplinari si costituiscono in relazione alle forme particolari del loro insegnamento e agli esiti ad esse associate. Il confronto tra modelli curricolari e di insegnamento con le attese dei sistemi sociali relativamente alle conoscenze da insegnare e da apprendere influisce sulla legittimazione di tali modelli e determina gli indirizzi di sviluppo della ricerca. Si pensi, ad esempio, al fallimento dei curricola di matematica definiti sulla base delle mathématiques modernes di Bourbaki; all’affermazione del modello generativo-trasformazionale contro quello strutturalista per l’insegnamento della lingua; o ancora, agli attuali curricola definiti sulla base delle competenze chiave di cittadinanza o delle life skills.
  3. Le didattiche disciplinari si costituiscono in relazione all’istanza sociale di qualificazione degli insegnanti. La natura complessa dei sistemi sociali e l’eterogeneità dell’utenza scolastica si riflettono sulla formazione degli insegnanti, orientata oggi verso il profilo di un insegnante riflessivo dotato di competenze non solo disciplinari, ma anche professionali declinate in prospettiva generale e disciplinare e legate alla comprensione delle problematiche dell’insegnamento, alla consapevolezza critica delle metodologie di insegnamento, nonché alle capacità relazionali per la gestione del gruppo classe e dei pari professionali (Baldacci, 2013). La necessità di assicurare agli insegnanti un alto profilo formativo che sia sostenuto dai risultati della ricerca scientifica dei campi didattico-disciplinari (e nelle altre scienze dell’educazione) costituisce, oggi più che mai, uno dei fattori fondamentali per lo sviluppo di questi campi.

Se è vero che le discipline costituiscono la struttura di ancoraggio originaria che contribuisce a delimitare i confini epistemologici delle didattiche disciplinari, è vero anche che tali confini richiedono di essere messi costantemente in discussione poiché su di essi incidono le istanze, mutevoli, dei sistemi scolastici e del sistema professionale di riferimento. Discutiamo dunque gli effetti del regime disciplinare in vista dell’avanzamento di “un’unità programmatica del campo di studi” che trascenda le tendenze separatiste (Chevallard, 2010).

 

Gli effetti attuali del regime disciplinare

Nel giugno 2013, l’Association pour les Recherches Comparatistes en Didactiques (ARCD) e il comitato di redazione della rivista Éducation & Didactique organizzano una giornata di studi il cui scopo è di prendere in considerazione i rapporti tra le differenti correnti di ricerca che si sono progressivamente costituite nel corso degli ultimi decenni nel campo delle didattiche. L’istanza che muove l’iniziativa è la ricerca delle modalità di oltrepassamento del frazionamento (cloisonnement) delle Dd, ritenuto responsabile di una certa fragilità epistemologica e/o istituzionale del campo di ricerca. Tale iniziativa, della quale presenteremo alcuni risultati, testimonia la riflessione della comunità dei ricercatori nelle Dd di alcuni Paesi (soprattutto Francia, Belgio, Svizzera, Germania), su alcuni effetti riconosciuti del regime disciplinare della didattica.

A partire dall’evocazione di uno stato di “crisi” delle Dd (crisi epistemologica e istituzionale a un tempo) i diversi autori, seppur secondo indirizzi differenti, si collocano oltre i particolarismi disciplinari nel tentativo di individuare alcuni “indicatori irriducibili” (Ligozat et al., 2014, p. 104) del discorso didattico.

Reuter (2014) e Martinand (2014) individuano come indicatore fondamentale i contenuti di insegnamento. Questo indirizzo pone sotto la lente di ingrandimento l’evoluzione storico-epistemologica dei contenuti e le pratiche del loro insegnamento. In questo approccio si rintraccia con tutta evidenza il programma epistemico delle Dd (Schubauer Leoni e Leutenegger, 2005), che le qualifica prioritariamente come un campo di ricerca scientifica che ha per oggetto la trasmissione dei saperi all’interno di istituzioni specializzate. In questa prospettiva, l’emergenza di qualunque discorso didattico è subordinata alla circostanza che la società garantisca, attraverso i sistemi di istruzione, l’acquisizione dei saperi che in un certo periodo storico si ritiene debbano essere insegnati e appresi.

Reuter (2014), in particolare, individua la responsabilità principale della ricerca didattica nel cercare di chiarire i problemi e le situazioni nelle quali si ritrovano gli allievi e di trovare soluzioni a questi problemi a partire dai contenuti e dalle discipline di insegnamento. La radicalità del punto di vista di Reuter emerge anche dalla definizione di disciplina come costruzione sociale che organizza un insieme di contenuti, di dispositivi e di pratiche articolati in base a delle finalità educative, in vista del loro insegnamento e del loro apprendimento a scuola (Reuter, 2007, p. 85). E ancor più dall’interpretazione conseguente a tale definizione del termine didactique disciplinaire come espressione pleonastica (Reuter, 2014, p. 56).

Martinand (2014), che include nel campo delle didattiche anche la didattica professionale e quella dei contesti extrascolastici, avanza l’ipotesi di rintracciare come indicatore di un programma didattico generale l’insieme delle attività curricolari, ravvisando in ciò anche la possibilità di superare l’attuale rigidità dell’insegnamento delle discipline e la tendenza a disciplinarizzare materie e dispositivi di insegnamento (Martinand, 2014, p. 73). La differenza specifica delle Dd dalle altre discipline accademiche che si occupano di educazione – sottolinea Martinand – non sono i contenuti in quanto tali, quanto l’esercizio di una responsabilità riconosciuta per i contenuti (Martinand, 2014, p. 67). La specificità delle didattiche consiste nell’individuare e analizzare il senso dei contenuti insegnati e nel concepire e sviluppare nuovi contenuti.

Interessante, dal nostro punto di vista, che il concetto di curricolo, inteso da Martinand in senso anglosassone – come dispositivo che ingloba i principi di costruzione e progressività delle attività e dei loro contenuti; le modalità e le risorse materiali, simboliche e umane; nonché gli strumenti di valutazione –, sia ravvisato come concetto-chiave per il campo delle Dd in quanto contemporaneamente teso verso i contenuti (che non sono altro, secondo Martinand, che una delle forme possibili del curricolo) e verso le caratteristiche di tutte le attività di insegnamento dentro e fuori la scuola (Martinand, 2014, p. 74).

Altri due autori, Schneuwly e Chevallard, seppur secondo accezioni diverse, prospettano invece l’individuazione di un campo della didattica (la didactique, al femminile) o del didattico (le didactique, al maschile). Precisiamo che entrambi questi studiosi si collocano nel contesto francofono ove il discorso didattico è declinato istituzionalmente (nella ricerca e nella formazione) solo in direzione disciplinare.

Schneuwly (2014) riconosce l’emergenza di un movimento effettivo di costruzione di un campo di ricerca didattica, attestato dalla costituzione di associazioni trasversali alle diverse Dd; dalla nascita di riviste di ispirazione didattico-generalista; dall’organizzazione di convegni scientifici rivolti a studiosi provenienti dalle diverse Dd e tematizzati su temi generali dell’insegnamento scolastico. La costruzione di un tale campo, secondo Schneuwly, è possibile a partire dalla molteplicità delle didattiche ed è finalizzata a produrre conoscenze plurali per meglio comprendere come le persone si formano e trasformano le loro conoscenze attraverso l’appropriazione del sapere e del saper-fare. La tensione, inevitabile, tra le didattiche (al plurale) e la didattica (al singolare) è potenzialmente fertile – afferma Schneuwly –, a patto di riconoscere la reciprocità del singolare e del plurale nella costituzione del campo: si è “didatti” come altri sono “chimici” o “storici”, e ciò non esclude che si possa essere “didatti della chimica” o “didatti della storia”, al pari dei chimici che possono essere biochimici e degli storici che possono essere storici medievisti (Schneuwly, 2014, p. 20).

Chevallard (2014) afferma fortemente, come già aveva fatto con la sua teoria antropologica del didattico (TAD), l’esigenza di una determinazione generale del discorso didattico (Chevallard, 1992). Per Chevallard l’esistenza del didattico (le didactique, al maschile) è un fatto sociale e si dà ogni qual volta un soggetto ha l’intenzione di far nascere, o di cambiare, il rapporto di un soggetto a un oggetto di conoscenza. Pur aderendo a un’impostazione largamente epistemica, di cui la teoria della Trasposizione didattica è l’espressione più macroscopica (Chevallard, 1991), l’autore avverte da subito l’insufficienza di una riflessione informata delle sole conoscenze epistemologiche, per quanto solide, e la necessità di assumere i fatti dell’insegnamento come gli oggetti di una scienza. “Il didattico” è appunto, secondo Chevallard, l’oggetto di questa scienza.

Scostandosi nettamente dalla posizione assunta da Reuter, Chevallard ipotizza che nell’ambito di una tale scienza sia possibile la costruzione di oggetti di studio inerenti l’insegnamento di uno specifico sapere anche da parte di un’équipe che comprenda pure coloro che non sono specialisti di quel sapere. In questo modo Chevallard prefigura una didattica tout court che comprende tutte le altre Dd costituite a partire dalle discipline insegnate a scuola. Secondo la sua impostazione, se chiamiamo D una certa disciplina scolastica, ∂D la didattica di D e ∂ la didattica tout court, si ha che ∂D ⊂ ∂ (Chevallard, 2014, p. 36). È opportuno precisare che l’autore si riferisce alla situazione francese, anche se non esclude una possibile generalizzazione della sua ipotesi ad altri contesti, nella quale il discorso didattico è, sin dalle sue origini, articolato nelle singole didattiche ∂D. L’emergenza di una didattica ∂ legata alle didattiche da una relazione logica di inclusione costituisce dunque una novità e segna in senso generalista l’evoluzione del campo di studi. Si ammette, in altre parole, la possibilità di un campo di studi a-specifico da un punto di vista disciplinare e tuttavia caratterizzato fortemente da un punto di vista epistemico.

La scienza didattica la quale, afferma Chevallard, trasforma un fatto istituzionale in un fatto epistemologico, è la scienza che studia l’insieme dei fatti didattici. Ciò permette, sempre secondo il nostro autore, di evitare di interpretare acriticamente le discipline come “date” una volta per tutte per assoggettarle ai vincoli storici e sociali che di volta in volta le trasformano e ne ridefiniscono i confini. Lo studio dei fatti/gesti didattici e del loro effetto sugli apprendimenti si allarga allo studio delle condizioni e dei vincoli, articolati secondo i livelli di una scala di codeterminazione didattica (figura 1), suscettibili di influire sull’ecologia di ogni specifico sistema didattico Insegnante-Allievo-Sapere.

 

figura-martini

Fig. 1 Scala di codeterminazione didattica (Chevallard, 2014, p. 38).

 

Ciò significa assumere tra didattica e didattiche una differenza di grado, relativa alle condizioni che insistono sui fatti didattici: condizioni più generali al crescere dei livelli della scala e più specifiche al decrescere di essi.

Si osserva che l’ipotesi chevallardiana non deve suggerire un’analogia impropria tra la scienza didattica e la didattica generale di casa nostra, la quale emana dalla pedagogia e preesiste alle didattiche disciplinari che anche nel nostro Paese si costituiscono, a partire dagli anni Ottanta, con un processo di disciplinarizzazione a dominanza secondaria. Tuttavia, come abbiamo precisato altrove (Martini, 2014; 2016), l’interpretazione della didattica generale come lo studio dell’azione di insegnamento dal punto di vista delle condizioni che consentono all’allievo di apprendere permette anche nel caso italiano di distinguere concettualmente tra condizioni a-specifiche/specifiche, ossia condizioni indipendenti/dipendenti dal particolare oggetto di sapere insegnato e appreso. Sebbene lo studio di queste condizioni e dei loro effetti non esaurisca il campo, può però costituire una via promettente per individuare direzioni di ricerca al confine tra didattica generale e didattiche disciplinari.

Ulteriori prospettive rivolte al superamento delle barriere fra Dd sono espresse da altri due autori, Leutenegger (2014) e Vollmer (2014), i quali propendono rispettivamente per un approccio comparatista alle didattiche (didactique comparée) e per la costituzione di una didattica disciplinare generale (Allgemeine Fachdidaktik).

L’emergenza del comparatismo in didattica risale agli anni Novanta, sostenuto dalla scuola dell’Università di Ginevra (Mercier, Schubauer-Leoni e Sensevy, 2002). Sorto sul prolungamento delle didattiche disciplinari il progetto si dà l’obiettivo di costruire rapporti tra discipline scolastiche; tra concetti emergenti dalle singole Dd; tra ciò che è specifico e ciò che è generale nelle pratiche di insegnamento/apprendimento a partire dall’individuazione e dalla messa alla prova di categorie provenienti dalle diverse didattiche.

Secondo questo approccio, il campo della didattica si configura come un campo necessariamente plurale (cioè articolato in più Dd) in conseguenza della specificità degli oggetti di insegnamento/apprendimento. Tuttavia, al di là di ciò che concerne le specifiche discipline scolastiche, ciascuna di queste didattiche è impegnata a studiare i medesimi fatti sociali, quelli della trasmissione dei saperi, che rivelano, secondo un approccio che prende avvio dagli oggetti delle differenti realtà didattiche, qualcosa di comune a ciò che si insegna e si apprende, a scuola o altrove (Leutenegger, 2014, p. 78). In sintesi, il presupposto di questo approccio è che le situazioni di insegnamento e apprendimento di un sapere, interpretate come fatti sociali, possano essere interrogate e analizzate a proposito degli stessi oggetti (il lavoro degli insegnanti nell’adattamento del sapere da sapere scientifico a sapere da insegnare, il punto di vista degli allievi, il ruolo delle attività linguistiche o simboliche, ecc.) e attraverso gli stessi schemi concettuali: per esempio, la trasposizione didattica (Chevallard, 1991), la teoria delle situazioni didattiche (Brousseau, 1998), la teoria dell’azione congiunta (Sensevy e Mercier, 2007), ecc.

Per Vollmer (2014), il superamento della separazione tra le Dd va nella direzione della costituzione di un campo generale di ricerca, intitolato alla Allgemeine Fachdidaktik. Le Dd (Fachdidaktiken, al plurale), consolidatesi in Germania negli ultimi quarant’anni, si riferiscono alla scienza e all’arte dell’insegnamento di contenuti di sapere specifico, abilità e procedure, dentro e fuori la scuola. Esse mediano tra le strutture dei saperi accademici corrispondenti ed elementi selezionati di questi saperi che devono essere insegnati e appresi. A partire dalla considerazione che ogni apprendimento è content-based, si rende necessario un approfondimento della natura degli obiettivi, delle pratiche e dei concetti che riguardano gli effetti del contenuto sull’insegnamento sull’apprendimento.  

L’esigenza di rafforzare con approcci empirici di ricerca le pratiche curricolari, la necessità di individuare un curricolo di base per la formazione degli insegnanti, nonché la richiesta di riconoscimento scientifico delle singole Fachdidaktik, portano nel 2001 alla fondazione di un'agenzia formale, Associazione nazionale per le didattiche disciplinari (Gesellschaft für Fachdidaktik - GFD) per la rappresentazione di interessi e prospettive comuni. La GFD opera in direzione sia top-down, fornendo indirizzi di tipo teorico, sia bottom up, tenendo conto delle specificità dei diversi gruppi e organizzazioni ma procedendo verso l'identificazione di un nocciolo comune generale, sia da un punto di vista teorico sia da un punto di vista pratico.

In questa direzione è stato individuato in Germania un curriculum di base per l'istruzione e la formazione universitaria in Fachdidaktik che, secondo Vollmer, potrebbe essere applicato a tutte le discipline e ai programmi di formazione per insegnanti in tutta la Germania. A partire dal riconoscimento che al centro delle attività di qualsiasi didattica disciplinare c’è il compito di ricostruire e modellare contenuti insegnabili e che tale compito può essere affrontato da un punto di vista sia normativo sia empirico, è possibile assumere, secondo Vollmer, una postura meta-teorica di integrazione delle Fachdidaktik in una Allgemeine Fachdidaktik, caratterizzata come una scienza transdisciplinare capace di orientare l'intero campo di studi (Vollmer, 2013).

 

Conclusioni

Alla luce degli orientamenti emersi fin qui è possibile interpretare il regime disciplinare della didattica come regime irrinunciabile per includere la postura del sapere nello studio delle situazioni di insegnamento e apprendimento. Collocandosi sul prolungamento delle discipline di insegnamento le Dd tendono tuttavia a rimanere chiuse in se stesse, a svantaggio dell’elaborazione di discorsi didattici reciprocamente intellegibili. Inoltre, laddove un tale regime disciplinare sia stato assunto come esclusivo, emerge una tendenza di tipo “generalista” a costituire spazi di riflessione comuni e, in alcuni casi, quadri più unitari e convergenti.

Sulla base di queste considerazioni, dal nostro punto di vista, è pertanto possibile intravedere (o prospettare) tre direzioni di collaborazione alla ricerca nel campo delle Dd e tra queste e la didattica generale: la collaborazione nell’assumere la responsabilità dei contenuti nella comprensione dei fatti didattici; la collaborazione per l’individuazione delle condizioni generali/specifiche dei fatti didattici; la collaborazione nel lavoro di ricostruzione concettuale e di modellamento di dispositivi teorici e pratici che facciano progredire in senso critico-normativo e in senso empirico-esplicativo la ricerca sull’insegnamento e apprendimento dei saperi.

 

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