Recensione
C. Covato, Pericoloso a dirsi. Emozioni, sentimenti, divieti e trasgressioni nella storia dell’educazione (Milano, Unicopli, 2018, pp. 152)
Chiara Meta
Il volume di Carmela Covato affronta le ricadute che, sul piano della storia dell’educazione, derivano da una nuova frontiera della ricerca relativa alla storia delle emozioni. Essa ha attuato una vera e propria rivoluzione nel modo di guardare alle fonti del passato. Si tratta dell’“allargamento” di una prospettiva che, già individuata negli anni Trenta del secolo scorso dalla rivoluzione storiografica messa in campo da «Les Annales», perviene alla delineazione di una storia della sensibilità che si emancipa definitivamente da una visione “teleologica” del processo di civilizzazione e da una trasposizione della psicologia nella storia. Questa nuova consapevolezza, «fuori da ogni deriva intimista» (p. 9), ha sottratto le emozioni e i sentimenti a una dimensione priva di storia. Di qui la definizione di nuovi percorsi conoscitivi del tutto alternativi a una tradizione «tendente a esaurire la memoria educativa del passato nella storia delle idee pedagogiche» (p. 21).
Entrando più nello specifico del volume, diverse sono le piste indagate dall’autrice. Nel primo capitolo, che ha un po’ la funzione introduttiva a tali questioni, si sostiene come «dei sentimenti, delle emozioni e delle passioni è possibile prendere in esame […] sia la dimensione sociale e storica sia gli aspetti connessi alla sfera individuale della vita psichica» (p. 13). Scandagliare l’aspetto privato delle emozioni e dei sentimenti quindi può avere il valore di una ricostruzione tesa a fare luce sulle contraddizioni relative alla mentalità di un’epoca. Anche per questa ragione il discorso sulle fonti riveste, in questo nuovo ambito di indagine, un ruolo cruciale.
Come Covato testimonia in uno specifico capitolo dedicato ai «luoghi e non luoghi nella storia dell’educazione» (p. 123), «le storie di vita, ricostruite anche attraverso i ricordi, quando le autobiografie diventano fonti» non solo sono intimamente connesse a una «geografia personale» che antropomorfizza lo spazio vissuto, ma occorre anche evidenziare che quello stesso spazio costituito da oggetti, cose e luoghi contribuisce a definire «il paesaggio domestico e sociale, entro il quale hanno preso forma, nella storia, i percorsi esistenziali dei singoli e delle collettività» (p. 123). Proprio per questo aspetto interrelato tra lo spazio, i luoghi e i vissuti ad essi associati, per l’autrice una storia delle emozioni che abbia l’ambizione di tentare di ricostruire la materialità della vita sociale del passato non può essere disgiunta dalla storia sentimentale e dalle forme di disciplinamento degli affetti tese a modellare l’agire individuale in base alle regole socialmente condivise.
È questo un ambito di indagine non nuovo per la storia della pedagogia e in particolare per Carmela Covato che ad esso ha associato già da qualche anno il nome di “storia delle pedagogie narrate”, ovvero forme di racconti educanti, «narrazioni intrise di norme pedagogiche che descrivono i molti significati e le innumerevoli fatiche del formarsi dei destini individuali» (p. 29). Sotto questo aspetto il rapporto tra il vissuto dei sentimenti e la costruzione di una “grammatica sociale” ad essi associata e conforme alle norme delle diverse epoche solleva «questioni di grande rilievo conoscitivo in relazione al tema, ad alta densità pedagogica, del rapporto fra spontaneità e coercizione, rispetto al quale l’educazione ha svolto e svolge un ruolo decisivo» (p. 35).
Un angolo visuale particolarmente proficuo, secondo l’autrice, per mettere in luce questo conflitto è rappresentato tra Sette e Ottocento dall’affermarsi della morale borghese in cui, parafrasando Foucault, si passa dal supplizio delle pene corporali alla conformazione disciplinante delle punizioni attraverso l’utilizzo della paura intesa come dispositivo pedagogico. Si tratta di una tematica che l’autrice indaga in modo molto acuto e analitico nel terzo capitolo del volume. Proprio dall’analisi dei contesti materiali delle singole biografie che riproducono a livello molecolare strategie educative perseguite a livello collettivo, l’autrice non si sottrae anche al compito di rintracciare testimonianza di questo carattere prescrittivo della morale del tempo attraverso storie di vita, capaci da sole di far affiorare quel contrasto, che la rivoluzione psicoanalitica freudiana aveva portato alla luce alle soglie del Novecento, fra la visione di un Io monolitico e autotrasparente a se stesso e la presenza, nell’essere umano, di un fondo irrazionale difficilmente educabile. Per l’autrice la letteratura di fine Ottocento mostra magistralmente questo travaglio di una cultura che cerca di elaborare, attraverso la trattatistica pedagogica ufficiale, un ritratto di sé dominato da precetti e norme inscritti nelle buone maniere, e l’esplorazione di territori della psiche fino ad allora ignorati, come l’inconscio, le nevrosi, la sessualità infantile.
Da Rousseau e le sue Confessioni, passando per il Törless di Musil, fino alle lettere di Giacomo Leopardi al padre Monaldo, emerge il ritratto di un’epoca dominata dall’angoscia di passioni avvertite come pericolose sovvertitrici dell’ordine sociale. Il lungo Ottocento poi rappresenta per molti versi «una fase assai significativa di trasformazione dei modelli educativi destinati alle bambine e alle ragazze rispetto a una tradizione dalla durata secolare che aveva privilegiato a lungo la trasmissione di codici comportamentali agita soprattutto nella relazione madre-figlia e in ogni caso, all’interno delle mura domestiche» (p. 107). Da questo punto di vista la testimonianza di Paolina Leopardi, in particolare attraverso l’analisi della corrispondenza epistolare intessuta con le sorelle Brighenti, e che l’autrice definisce femminismo inconsapevole, rappresenta la lente focale per leggere le difficili e lente trasformazioni che riguarderanno la condizione femminile ancora a lungo destinata al ruolo di sposa madre.
Proprio dall’analisi dei contesti familiari, intesi come labirinto di relazioni educative e come luogo privilegiato di manifestazione di coercitive regole identitarie, emerge un elemento transgenerazionale legato alla trasmissione di codici educativi. I comportamenti acquisiti spesso in modo inconsapevole vengono reiterati come agiti preterintenzionali, come ad esempio nel fenomeno della violenza. In particolare coloro che subiscono violenza da piccoli tenderanno a ripetere comportamenti violenti qualora non riescano a elaborare il loro vissuto di dolore. Il rimosso tornerà ad agire tramite l’individuazione di capri espiatori spesso rappresentati dai propri figli. Ma qui, sottolinea bene l’autrice, si dà anche la possibilità di un mutamento, di un’interruzione della catena del dolore, ad opera del potere trasformativo di un’educazione sentimentale intesa come conoscenza profonda di sé, rielaborazione a volte luttuosa del proprio passato di sofferenza e privazione, ma anche opportunità di una nuova progettazione esistenziale in cui l’elemento dell’amore, inteso simbolicamente come altro da sé, accettato e compreso nella propria diversità, diviene la capacità per l’essere umano di costruire un nuovo codice simbolico e valoriale.
© 2017 Edizioni Centro Studi Erickson S.p.A.
ISSN 2421-2946. Pedagogia PIU' didattica.
Tutti i diritti riservati. Vietata la riproduzione con qualsiasi mezzo effettuata, se non previa autorizzazione dell'Editore.