Test Book

Educazione degli adulti / Adult Education

Terza missione dell’università tra Alta formazione e società dei diseguali. Alcune questioni critiche


Alessandra Vischi

Ricercatrice in Pedagogia generale e sociale



Sommario

Nella società attuale adottare la prospettiva del lifelong learning significa valorizzare la formazione come dispositivo per avversare la disoccupazione e la precarietà lavorativa, per migliorare le possibilità professionali e, parimenti, favorire la partecipazione attiva di ogni persona all’economia. In linea con le indicazioni europee l’università, accanto ai due obiettivi fondamentali della formazione e della ricerca, è la cosiddetta Terza Missione. Tra la Strategia di Lisbona e la Strategia Europa 2020 la terza missione ha contribuito a migliorare la qualità della vita della comunità umana? Il contributo individua alcuni nodi critici in ordine all’Alta formazione in una società dei diseguali con peculiare riferimento all’importanza di diffondere la conoscenza e le scoperte scientifiche e contribuire al miglioramento sociale, culturale ed economico della società. La sfida educativa della terza missione, nella complessità sociale e culturale, si deve misurare con la crescente disuguaglianza economica affinché la conoscenza sia realmente occasione di inclusione e sviluppo individuale e territoriale.

Parole chiave

Alta Formazione, Terza missione, Pedagogia, disuguaglianze, Lifelong learning.


Abstract

Nowadays the perspective of lifelong learning is a key to enhance training as a device to oppose unemployment and job insecurity. It can improve professional opportunities which should encourage, in turn, a greater adoption by the population and the active involvement of both public and private stakeholders. Universities must carry the so-called Third Mission, as defined in the European guidelines, thus incorporating it to their more traditional activities of teaching and research. The paper identifies some critical issues regarding high-level training in a society characterized by its inequality. The importance of disseminating knowledge and scientific discoveries is particularly important to improve all aspects of society, including social, cultural and economic factors. The third mission is an educational challenge. Knowledge aims to spread social inclusion and to improve social and personal development.

Keywords

Higher Education, Third mission, Pedagogy, Inequality, Lifelong learning.


Sostenibilità, educazione, “società dei diseguali”

La riflessione pedagogica è oggi chiamata in causa da emblematiche sfide di civiltà, tra le quali gravi disuguaglianze socio-economiche e la crisi ecologica globale, questioni che attraversano ogni Paese e ogni cultura del pianeta. Esse sono così rilevanti da richiedere un peculiare impegno da parte delle istituzioni educative, in modo particolare delle università, luoghi emblematici di produzione del sapere, che si confrontano oggi con l’esigenza di un profondo rinnovamento culturale per interpretare le trasformazioni socio-economiche su scala locale e internazionale. L’attenzione alla sostenibilità spinge le Nazioni Unite a considerare il valore della pace (promuovere società inclusive, giuste e pacifiche) e quello della collaborazione (rafforzare la partnership per perseguire lo sviluppo sostenibile). Le cinque aree di intervento – sociale, economica, ambientale, pace e partnership – si declinano nel programma “Agenda 2030”, che affronta le cause principali della povertà, al fine di promuovere lo sviluppo di tutte le persone del Pianeta attraverso i cosiddetti 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile. Questi «mirano a realizzare pienamente i diritti umani di tutti, a raggiungere l’uguaglianza di genere e l’emancipazione di tutte le donne e le ragazze; sono interconnessi e indivisibili e bilanciano le tre dimensioni dello sviluppo sostenibile: la dimensione economica, sociale ed ambientale» (UN, 2015). La situazione complessa dell’ambiente, che può essere considerato un bene collettivo e un patrimonio di tutta l’umanità, evidenzia la responsabilità di tutti, anche verso le generazioni a venire, per «realizzare appieno l’agenda dello sviluppo umano. Porre le persone al centro dello sviluppo non è un mero esercizio intellettuale; significa rendere il progresso equo e diffuso, fare in modo che le persone abbiano un ruolo attivo nel cambiamento e assicurare che i risultati di oggi non siano ottenuti a scapito delle generazioni future. Vincere queste sfide è non solo possibile, ma anche necessario. Ed è più urgente che mai» (UNDP, 2010, p. 12). Nell’affrontare le sollecitazioni poste dalla sostenibilità sarebbe auspicabile sviluppare sensibilità individuale e cultura condivisa perché solo da coscienze sensibili ci si può attendere un senso di responsabilità in dimensione universale, che permette di maturare una cittadinanza planetaria solidale. «Oggi si parla con eguale insistenza tanto della distruzione dell’ambiente naturale quanto della fragilità dei grandi sistemi tecnologici» (Calvino, 1993, p. IX). È la crisi di un’idea di “civiltà” che pare «sospesa sull’abisso, legata con funi e catene e passerelle» dove tutto «invece d’elevarsi sopra, sta appeso sotto» (Calvino, 1993, p. 75). La sostenibilità diviene sfida posta alla cultura dell’educazione, investe il discorso pedagogico per problematizzare e formare una cittadinanza competente e responsabile. L’enfasi sull’innovazione tecnologica rischia di far prevalere, nelle gerarchie valoriali di una società assoggettata al denaro e al potere, una retorica sotto la quale potrebbe soffocare la possibilità di pensare l’essenza della persona. La riflessione pedagogica è chiamata a decifrare criticamente l’ambiguità del progresso tecnologico, al fine di delineare autentiche progettualità educative per l’umanizzazione dell’innovazione in atto, sempre più digitale e immateriale. Emblematico, in quest’ottica, è il concetto di Society 5.0 che è considerato in Giappone la chiave strategica per lo sviluppo economico e sociale dei prossimi anni. K. Matsushima, uno tra i più celebri esperti di robotica e di Internet of Things (Greengard, 2015), asserisce che la strategia nipponica sta perseguendo l’Industria 4.0 con l’obiettivo di dare vita a una Society 5.0, dove la digitalizzazione e la condivisione dei dati sono finalizzate alla centralità dell’umano, con l’intento di sostenere la crescita a medio e lungo termine e risolvere questioni sociali emergenti, migliorando le condizioni di vita individuale. Secondo Matsushima emerge una connessione virtuosa tra persone, organizzazioni pubbliche, imprese di servizi, industrie produttive e macchine, oltre i confini fisici e attraverso le generazioni. L’ipotesi di Society 5.0, attraverso l’Internet delle cose, i Big Data e la robotica consente sia di migliorare la produttività e la qualità del lavoro sia di ridurre i costi. Il cosiddetto smart working, con la pretesa di eliminare le attività più alienanti, quali ricadute avrà sulla occupabilità? Accanto all’eventuale razionalizzazione produttiva, di per sé l’uso dei Big Data e della robotica rispetteranno i vincoli sociali e ambientali di equità e di cittadinanza globale? La Society 5.0, pur tra ambiguità di diverso genere, risulta un disegno significativo nell’attualità del dibattito e sollecita la pedagogia a riflettere sulle ragioni dell’innovazione tecnologica; questa non può essere invocata come soluzione neutra per i problemi della società, ma chiama in causa il senso e i valori dell’umanizzazione del progresso tecnologico e non può essere disgiunta dal compito di maturare una consapevolezza vissuta dei principi etico-morali che reggono la convivenza civile. La realtà dell’innovazione è congiunta con la natura profonda della formazione e del lavoro. «Per quanto l’ambiguità semantica del termine innovazione abbia ridotto quasi a feticcio e a panacea il suo uso nei contesti più disparati, la forza creativa di ogni autentico umanesimo attraversa e oltrepassa la tecnica e può scoprire il futuro avvalendosi dell’inventio, dell’analisi e della sintesi. Un’etica dell’innovazione come creatività orientata a costruire istituzioni giuste, esprime l’anelito ad un mondo migliore ed è l’apertura al Tu» (Malavasi, 2017, p. 121). Il compito educativo di «infrangere una coscienza isolata» per addivenire a una consapevolezza della «necessità di cambiamenti di stili di vita, di produzione e di consumo» nel segno di una «ecologia integrale» (Papa Francesco, 2015, n. 208, 23, pp. 137-162) passa attraverso la conoscenza: «La diffusione del sapere può essere un potente strumento per ridurre le disuguaglianze, sia interne a un Paese che tra Paesi e zone del mondo: ciò ammesso che tutti abbiano accesso alle competenze, alle professioni, all’istruzione e alle istituzioni del mercato del lavoro, come ad esempio il salario minimo». La «società dei diseguali» (Piketty e Warren, 2016, p. 10), con discriminazioni razziali e sociali, ed elementi più nuovi, direttamente legati al capitalismo contemporaneo, intravede uno sviluppo sociale equo solo attraverso la risoluzione delle disuguaglianze su scala globale. In questa prospettiva può essere opportuno il riferimento agli obiettivi dell’Agenda 2030; in modo particolare, l’obiettivo 10 si propone di ridurre l'ineguaglianza all'interno di e fra le Nazioni, mentre l’obiettivo 5 riguarda il raggiungimento dell’uguaglianza di genere e l’emancipazione di tutte le donne e le ragazze. Emblematico è altresì l’obiettivo 4 da cui emerge la necessità di «fornire un’educazione di qualità, equa e inclusiva, e opportunità di apprendimento per tutti». Nella società attuale adottare la prospettiva del lifelong learning significa valorizzare la formazione come «dispositivo di protezione contro la disoccupazione e la precarietà lavorativa, come leva per lo sviluppo della carriera professionale, come strumento per favorire la partecipazione attiva all’economia» (Margiotta, 2012, p. 129). Questa prospettiva evidenzia, da un lato, che l’istruzione e la formazione non sono più il luogo di preparazione al lavoro e, dall’altro lato, che la formazione produce auto-realizzazione del sé e deve riuscire a preparare i giovani affinché riescano a creare nuovi lavori, per sé e per gli altri (Margiotta, 2012, p. 129).

Learning Society, Alta formazione

Tra le diverse tematiche che permettono di proseguire il disegno riflessivo su sviluppo socioeconomico e sostenibilità, troviamo l’orizzonte dell’internazionalizzazione dell’Alta formazione che prospetta alcune sensibilità emblematiche delle trasformazioni in atto. Le università insieme alle scuole, alle famiglie e alle imprese designano gli ambienti educativi fondamentali; esse rappresentano un contesto per «allargare i confini della ragione» al fine di saper riconoscere, tra competenze e saperi, «il bisogno di relazioni buone nella società plurale e compiere una progettazione educativa per la vita in comune, tessuto di pratiche virtuose – di là dall'ottativo delle conferenze internazionali, delle dichiarazioni talora strumentali, degli accordi spesso giuridicamente non vincolanti – rivolta alla dignità spirituale della persona e alla cura dell’operare materiale, all’altezza della dinamicità delle trasformazioni e della pervasività della mediatizzazione del mondo» (Malavasi, 2011, p. XIII). Nella prospettiva di Horizon 2020 le università rivestono un ruolo cardine per la formazione innovativa delle giovani generazioni: esse hanno il compito di stimolare intelligenze e coltivare talenti per affrontare il nuovo che incalza e per sostenere l’impegno dei Paesi membri a migliorare la coesione sociale, l’equità e l’occupabilità. La progressiva armonizzazione dei titoli di studio facilita, per diversi aspetti, le aspettative comunitarie ma richiede un quadro culturale condiviso, dove le identità nazionali e gli interessi comuni possono confrontarsi e rafforzarsi a vicenda per gli studenti, i cittadini, l’Europa. Il cosiddetto “processo di Bologna” rappresenta l’occasione più significativa per la creazione di uno spazio comune europeo cui segue l’impegno comune per la realizzazione di “uno Spazio Europeo dell’Alta Formazione (EHEA – European High Education Area)” attraverso la conversione dei sistemi nazionali di istruzione superiore verso un sistema comune trasparente, organizzato su tre cicli di qualità e proiettato su dimensioni globali e internazionali. La nozione di Internationalization of Higher Education può essere intesa come una prospettiva politico-culturale in evoluzione, una scelta propositiva di fronte all’emergere di nuovi bisogni sociali e all’affermarsi di inedite professionalità; un programma d’azione glocale, aperto alla ristrutturazione in chiave trasversale dell’istruzione superiore. Alla tradizione elitaria che per secoli ha scandito la storia accademica si sta sostituendo il modello di un’università di massa a cui strati sempre più vasti della popolazione possono accedere per ambire ai gradi più alti dell’istruzione, con riferimento alla pluralità di modelli sociali vigenti e alle interconnessioni a livello locale/globale.

G. Williams e C. Loader rilevano una responsabilità collettiva che riguarda non soltanto i docenti ma anche gli studenti, la società e il mercato del lavoro: «Le istituzioni di istruzione superiore sono in un certo senso responsabili verso gli studenti e le loro famiglie, verso i datori di lavoro e verso i cittadini. C’è una responsabilità sociale e politica, che ha obiettivi come quello di assicurare che l’università sia accessibile per tutti coloro che possono usufruirne. C’è una responsabilità finanziaria che riguarda l’uso efficiente delle risorse, e c’è infine una responsabilità qualitativa, che riguarda la capacità di raggiungere gli obiettivi fissati» (Williams e Loader, 1990, pp. 1-12). L’università oggi si deve confrontare con le pressioni che provengono dal mondo economico e produttivo, ma anche con fondamentali questioni riguardanti aspetti come il diritto allo studio, il benessere personale, la formazione alla cittadinanza e, più ampiamente, taluni aspetti sostanziali connessi con l’etica pubblica e riguardanti la vita democratica nelle società globale della conoscenza (Margiotta, 2015) sempre più immateriale. La Learning Society, connotata “dall’espansione accelerata e tumultuosa del potenziale conoscitivo individuale e collettivo e dalla ricerca […] di una sempre più ampia libertà di pensiero e di una sempre più estesa partecipazione di tutti e di ciascuno all’elaborazione, alla revisione ed alla gestione dei saperi riconosciuti su scala planetaria” (Sarracino, 2011, p. 41), è una sfida per l’Alta formazione, che, in questa prospettiva, non può sottrarsi a farsi portatrice di innovazione per la costruzione della società futura, di una «umanità colta, responsabile e solidale» (Frabboni, 2010, p. 19). Essa, qualificata a un livello apicale, il terzo ciclo secondo il processo di Bologna, rappresenta il legame tra università e mondo del lavoro; è auspicabile pertanto che vi siano, da una parte, requisiti minimi di qualità e, dall’altra, incentivi per chi investe sulla ricerca e sui giovani ricercatori. È necessario altresì che le linee programmatiche comunitarie abbiano la possibilità di declinarsi secondo le caratteristiche di ciascun Paese e vi sia spazio di confronto all’interno dei vari Paesi e tra i vari Paesi europei. L’Alta formazione è chiamata a riconoscere la propria responsabilità intergenerazionale e, in dialogo con il mondo del lavoro, a individuare ed esplicitare bisogni e prospettive, delineare obiettivi, modelli e metodi per concorrere a formare competenze e professionalità, tra diritto all’istruzione, equità e innovazione tecnologica. La ricerca pedagogica, nel segno del dialogo multidisciplinare, è sollecitata a indagare il bisogno di relazioni e pratiche virtuose per educare giovani che si presentino nella società come cittadini altamente qualificati, consapevoli, «responsabili, liberi di testimoniare la propria energia creativa, la propria disponibilità socio-affettiva, la propria opzione morale, la propria sensibilità estetica, la propria utopia assiologica» (Frabboni, 2010, p. 21).

Terza missione dell’università, responsabilità educativa

All’università è chiesto di riflettere su se stessa e di rivedere e implementare l’alleanza con il territorio, tra tradizione e innovazione per la realizzazione di società intelligenti e solidali. «L’educazione deve contribuire allo sviluppo totale di ciascun individuo: spirito e corpo, intelligenza, sensibilità, senso estetico, responsabilità personale e valori spirituali e dare libertà di pensiero, giudizio, sentimento, immaginazione per permettere di sviluppare i propri talenti» (Delors, 1997, p. 11). Più che un diritto l’educazione è la chiave del raccordo tra Alta formazione e mondo del lavoro. L’apprendimento, lo sviluppo delle capacità innate e l’acquisizione di nuove competenze, la trasmissione di conoscenze come cognizioni tecniche e la scelta antropologica di riferimento hanno una dimensione educativa. Occorre sperimentare vie partecipative per favorire dinamiche economiche più solidali e competitive, realizzabili soltanto attraverso la promozione della persona: «la prosperità di un territorio è frutto dell’intraprendenza delle persone e della loro effettiva capacità di “crescere” in pace e di cooperare in modo virtuoso, mai disgiunte dal rispetto della dignità umana e da uguali opportunità per ciascuno» (Malavasi, 2017, p. 12). L’interpretazione che guida le pagine del contributo sono che «il consenso o l’ostilità verso le indicazioni normative non devono far dimenticare le questioni cruciali dell’educazione, che spesso rimangono celate, nel ritmo vorticoso dei cambiamenti» (Malavasi, 2017, p. 12). Tra tali questioni, anzitutto, c'è l’incisività delle culture e delle politiche dell’istruzione e del lavoro, la cura nel favorire la partecipazione responsabile e solidale della comunità all’edificazione del bene comune. Pensare, progettare e gestire un’alleanza tra università e attività professionali chiama in causa – senza alcuna pretesa di esaustività – concetti e dinamiche ineludibili, in chiave pedagogica: pervasività della tecnologia e cittadinanza interculturale, economia civile e bene comune, valutazione dei risultati e integrazione delle differenze, disagio e diritto all’istruzione, equità e solidarietà. In questa prospettiva la Terza Missione dell’università reca un contributo critico non estraneo ai motivi della riflessione pedagogica. Si parla di Terza Missione perché oggi, oltre ai peculiari compiti di insegnamento e di ricerca, le università devono promuovere anche attività che consentano loro di entrare in una relazione sempre più coesa con il mondo dell’impresa e quello politico: «Accanto ai due obiettivi fondamentali della formazione e della ricerca, l'università persegue una Terza Missione, opera cioè per favorire l'applicazione diretta, la valorizzazione e l'impiego della conoscenza per contribuire allo sviluppo sociale, culturale ed economico della Società. In tale prospettiva, ogni struttura all'interno dell'Ateneo si impegna per comunicare e divulgare la conoscenza attraverso una relazione diretta con il territorio e con tutti i suoi attori» (http://www.dissgea.unipd.it/che-cos%C3%A8-la-terza-missione ). Si tratta di individuare le condizioni affinché l’università possa collaborare per realizzare percorsi formativi e di employability al fine di contribuire parimenti allo sviluppo economico, facendo riferimento al modello della Tripla Elica (Etzkowitz, 2008), secondo il quale l’università svolge una funzione più imprenditoriale e proattiva, rispetto al passato, nel territorio di appartenenza. Ciò è possibile se le istituzioni governative prevedono finanziamenti, normando le innovazioni che provengono dal mondo accademico. Le università si devono occupare dello sviluppo di nuove competenze scientifiche e tecnologiche attraverso attività di studio e di ricerca, che andranno successivamente condivise e concretizzate nel mondo dell’impresa (Bolsieri, 2017). Questa funzione del mondo accademico “annette due fondamentali istanze: di partecipazione e di cambiamento. La prima intesa come capacità di costruire nuove strategie e orientamenti per diffondere il sapere nella società, attraverso processi comunicativi, di management, di engagement, di reperimento di fondi, di partecipazione dei cittadini. La seconda istanza, intesa come formazione e apprendimento, cioè come assunzione da parte dell’università di una responsabilità diretta in termini di cambiamento sociale” (Del Gottardo, 2014, p. 111). La Terza Missione, oltre a costituire un indicatore di valutazione degli atenei, presenta alcune questioni che interpellano il sapere pedagogico. L’interconnessione tra università e società, lato sensu, richiama, secondo una lettura pedagogica, il concetto di responsabilità sociale d’impresa, secondo il quale un’organizzazione si fa carico delle richieste legittime degli stakeholder, oltre gli obblighi di legge. L’università attuale conserva il compito di fornire una preparazione di alto livello; è chiamata a crescere e a diversificarsi in dialogo con la società per conoscere le effettive necessità del territorio. La preparazione degli allievi ha sì da basarsi su conoscenze e abilità ma richiede un «contesto democratico […] ossia ispirato all’ethos della democrazia» (Baldacci, 2014, p. 101). La Terza missione presenta oggi alcune questioni critiche: l’università “in uscita” non deve riprodurre “caste” e privilegi ma potenziare l’ascensore sociale; il rapporto tra imprese e università dovrebbe essere di collaborazione evitando rapporti di sudditanza; l’università deve mantenere il proprio ruolo per formare, con probità, dedizione e onestà, i futuri professionisti. La Terza missione riuscirà nel suo intento se agirà in modo incisivo sulle situazioni di svantaggio, prendendosi cura dei giovani, affinché non rimangano intrappolati in situazioni di pura precarietà o di disoccupazione ma siano riconosciuti come promessa, professionisti proattivi e preparati. Un approccio pedagogico alla Terza Missione può concorrere a individuare bisogni formativi e di sviluppo per dare vita progettualità autentiche multistakeholder che pongano al centro la persona. La creazione di alleanze generative di sviluppo solidale richiede una conversione ecologica nel modo di pensare e agire e implica una tensione etico-morale, che si manifesta in azioni responsabili, nel quadro di una strategia condivisa. Richiama la responsabilità educativa per compiere scelte che rispondano a esigenze morali profonde, tra ecologia umana ed ecologia dell’ambiente. Il discorso pedagogico è chiamato oggi a contribuire ad aumentare la sensibilità culturale e a orientare il consenso politico verso un modello di sviluppo centrato sulla persona, di là dalle caratteristiche anagrafiche, culturali, confessionali e politiche. È un obiettivo regolativo cui tendere e mai pienamente conseguito. Il riferimento alla società della conoscenza e la sottolineatura dell’importanza della formazione per tutta la vita avranno una presa effettiva se la collaborazione tra i vari stakeholders verrà avvertita come una responsabilità etico-morale, e non un mero adempimento, che coinvolge le diverse parti interessate ed è a favore del bene comune, delle giovani generazioni.

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Autore per la corrispondenza

Alessandra Vischi
Indirizzo e-mail: alessandra.vischi@unicatt.it
Università Cattolica del Sacro Cuore, Via Trieste 17 - 25121 Brescia


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ISSN 2421-2946. Pedagogia PIU' didattica.
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